Archive for Febbraio, 2021

Una camionista per Federico!

 

Un video-promo divertente per “Il salone delle meraviglie” che vede protagonista Patrizia che con il suo camion va a farsi i capelli!!!

 

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Le finaliste del Sabo Rosa 2021

Il concorso “Sabo Rosa” 2021 è in dirittura di arrivo: ora si può votare on line la preferita tra le quattro finaliste!

Questo è il link della pagina dove si può dare la propria preferenza.

https://www.sabo.it/news/sabo-rosa/

e queste sono le quattro ragazze finaliste!

Buona strada a tutte!!!!

SABO Rosa – Le candidate all’edizione 2021

Per il Sabo Rosa 2021 comincia la seconda parte, quella delle votazioni online. Il tradizionale riconoscimento giunto alla sua dodicesima edizione viene conferito, in occasione della Festa della Donna, a una lavoratrice del mondo dei trasporti. La vincitrice, il prossimo 8 marzo a Castel Guelfo di Bologna, riceverà come da tradizione un esemplare unico dell’ammortizzatore Sabo tinto di rosa e sarà ospitata a un pranzo in suo onore.

Dalle ore 9 di sabato 13 fino alle ore 21 di domenica 28 febbraio, sarà possibile votare on line per la candidata preferita in questa stessa pagina. Quattro le aspiranti al titolo di “camionista dell’anno”: Manuela Brunner di Kurtatsch (Bolzano), Erika Garello di Villafalletto (Cuneo), Paola Gobbetti di Sant’Ambrogio di Valpolicella (Verona) e Suzanna Howard di Solbiate Olona (Varese).

Le prime tre con il maggior numero di voti ottenuti online andranno alla finalissima, che prevede la valutazione dei profili da parte della giuria, composta da giornalisti e, soprattutto, dalle dipendenti del Roberto Nuti Group.

Manuela Brunner

Mi chiamo Manuela Brunner. Ho 30 anni e abito in provincia di Bolzano. Fin da piccola ho avuto la passione per macchine e motori. Nel 2016, con tanto coraggio, ho iniziato a lavorare come autista di camion. Oggi sono dipendente in una ditta di trasporti internazionali. Ogni giorno porto vari tipi di merce dall’Italia alla Germania e viceversa.

Erika Garello

Fin da piccola ho avuto la passione per i camion, mio papà era un padroncino e mi dispiace non sia riuscito a vedermi alla guida. Ora con mio marito gestisco una ditta di contoterzismo e possediamo un trattore con vasca ribaltabile e pianale.

Paola Gobbetti

Tutti mi conoscono come Pinky. Sono mamma di Kevin (12 anni) e moglie di un altro autista. Amo guidare, faccio questo lavoro da 19 anni. Le mie passioni sono gli autotreno e i pullman.

Suzanna Howard

Sono nata in Australia, fin da piccola aveva la passione per i camion. Vengo da una famiglia che ha sempre lavorato con mezzi pesanti (miniera, bestiame). Sono più di 13 anni che guido il bilico. Per 10 anni ho trasportato motocicli (concessionari, fiere, circuiti di gare). Ora mi dedico alla merce aereoportuale. Ho quasi sempre viaggiato all’estero. Ho un figlio di nove anni. Attualmente lavoro per Travaglini Logistics and Trasport srl. Prevalentemente ci occupiamo di gestione e trasporto di motocicli.

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La storia di Tiziana

 

Girando e rigirando nel web ho trovato anche la storia di Tiziana, è tratta da un libro:

https://www.acegasapsamga.it/chi_siamo/comunicazione_media/24ore/

che si trova anche in pdf a questo link:

https://www.acegasapsamga.it/binary/hera_acegas//2017_11_03_Acegas_booklet_web.pdf

che racconta la giornata lavorativa di 24 persone, donne e uomini che sono impiegati all’AcegasApsAmga di Trieste.

Tiziana è una delle protagoniste e guida un camion per la raccolta dei rifiuti per le vie della sua città.

Questo è il link del suo “capitolo”:

https://www.acegasapsamga.it/chi_siamo/comunicazione_media/24ore/pagina81.html

E questa è la sua storia:

“24 ORE IN ACEGASAPSAMGA”, UN LIBRO PER RACCONTARE L’AZIENDA

LA WONDER MAMMA E IL SUO MOTORE

 

  • 24
    ore 24:00

TIZIANA VILLANOVICH

RACCOLTA RIFIUTI URBANI A TRIESTE


 

Le mamme sono tutte una specie di supereroine. Vuoi per quella virtù tutta femminile di essere multitasking.
Vuoi per l’arte di inventarsi una cena per quattro persone in quindici minuti netti. Vuoi perché la mamma è sempre la mamma. Ma alcune lo sono più di altre. Soprattutto se, mentre si addormentano, i figli la possono immaginare ai comandi di un camion da 11 tonnellate, un colosso lucido che attraversa con borbottio possente la città. Ha molti occhi Tiziana Villanovich: due, impreziositi da un velo di ombretto celeste, le servono per controllare la strumentazione di bordo, i passaggi stretti per le vie del centro di Trieste e i cassoni dei rifiuti alzati dalle forche del suo camion.

Altri due, o forse di più, per vigilare sul sonno dei suoi bambini, Nicholas e Kevin, mentre lei di notte svuota i contenitori della plastica in città. Perché una madre turni non ne ha mai: è in servizio attivo permanente 24 ore al giorno.
Una cosa però è certa: quel lavoro non solo se l’è scelto, ma se l’è conquistato passo dopo passo, con la determinazione che solo una donna può mettere nel raggiungere uno scopo.

Una determinazione che raddoppia se l’ambiente, quello della gestione rifiuti, è tipicamente maschile. Tiziana è entrata nell’allora Acegas nel 2003 con le idee già chiare: guidare i camion. E ha iniziato dal basso: in coppia con un autista a movimentare a mano i cassonetti da svuotare. Un lavoro duro per un uomo, con sollecitazioni importanti ai polsi e alla
schiena, figurarsi per una donna.
Poi, dopo qualche anno, l’acquisizione della patente C e finalmente il passaggio alla guida: prima su camion di dimensioni
normali con carico posteriore, poi sui monoperatori. Bestioni da quattro assi capaci di regalare uno sguardo inedito sulla città.

“A guidare da quell’altezza, alle volte Trieste appare diversa”, spiega. “Appaiono dettagli dei palazzi o delle strade stesse, di cui non ti accorgi guidando un’auto”.
Ma quello fra Tiziana e i motori era un appuntamento scritto dal destino molti anni prima. Quando a quella ragazza rossa con le lentiggini tirò un brutto scherzo. Lei amava gli aerei militari e avrebbe dato qualunque cosa pur di pilotarli.
Da bambina aveva passato domeniche con i genitori oltre le recinzioni della base militare di Aviano. Il naso all’insù, il cuore a inseguire quel rombo supersonico e un sogno: essere un giorno ai comandi di quei jet. Avrebbe fatto qualunque cosa, anche accettare i rigori della vita militare, ma non fu possibile.

“Allora esisteva una norma che impediva alle donne di guidare gli aerei militari per via della cassa toracica troppo piccola”.
Adesso ci ride sopra, però le costò parecchio accettarlo. “Più avanti venne superata, ma avevo già 26 anni e ormai la mia vita aveva preso un’altra piega”.
Una piega comunque sempre con un volante in mano, perché prima del lavoro in AcegasApsAmga, Tiziana per anni ha guidato spazzatrici stradali per conto di un’azienda privata.
“Non c’è solo la bellezza dello spostamento, guidare mi è sempre piaciuto”, spiega. “A differenza di tanti, mi rilassa, anche se sono nel traffico di Trieste”. Che neppure di notte è una passeggiata, soprattutto se ti capita di lavorare su vie strette, piene di auto in sosta e locali, come quelledel centro città. Ma per quello ci sono i molti occhi di Tiziana. Quello che magari infastidisce è il nervosismo delle persone che si incrociano sugli altri mezzi.

“È forse questo l’aspetto più stressante: avere a che fare con gente che spesso è frenetica, nervosa… direi, addirittura furiosa. E gli uomini decisamente di più delle donne”.

Ma Tiziana anche se non guida aerei, lo spirito militare ce lo ha dentro comunque. E ha imparato bene a mantenere il sangue freddo in ogni situazione, a non farsi mai prendere la mano. Anche perché, in quasi 25 anni di lavoro in un ambiente per lo più maschile, ha avuto più di un’occasione per esercitarsi nell’arte della cortese fermezza.

“Del resto dobbiamo essere concentrati sul servizio, che poi è quello che dà più soddisfazione. Soprattutto perché vedi immediatamente il frutto di ciò che fai. Se lavori a regola d’arte la città è pulita e si vede”.
Poi alle volte non basta neppure la perizia marziale di Tiziana. Magari di fronte a qualcuno che da uno scooter in movimento cerca di fare canestro (e sbaglia, ovviamente), lanciando un sacchetto dell’immondizia.
O constatando i tanti, troppi, rifiuti ingombranti che ancora vengono ammassati all’esterno dei cassonetti.
“Abbiamo da anni un servizio di ritiro gratuito, i camion tappezzati di pubblicità… Non so davvero cosa si possa fare di più…”.
Ma la marcia di Tiziana non si ferma certo davanti a un manipolo di distratti. Scrolla le spalle, sale in cabina e veste i panni della Wonder Mamma, che con il suo grande motore rinnova ogni giorno la bellezza di Trieste.


Buona strada Tiziana!

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La storia di Debora

 

Debora è una delle prime ragazze a far parte del nostro gruppo, ha partecipato spesso alle nostre iniziative, è davvero una veterana tra le camioniste italiane e Elisa Bianchi di  “Uomini e Trasporti” le ha dedicato questo bell’articolo in cui ci racconta la sua lunga storia d’amore con i camion, una passione cresciuta con lei, un sogno realizzato!

Buona strada sempre Debora!

Questo è il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/debora-facchetti-una-veterana-del-trasporto-ho-girato-leuropa-inseguendo-una-passione/

E questa è l’intervista:

Debora Facchetti, una veterana del trasporto: «Ho girato l’Europa inseguendo una passione»

Alla guida da oltre trent’anni, Debora ha attraversato le strade di tutta Europa trasportando con il suo camion frigo frutta e verdura. Erano gli anni 90 quando decise di inseguire la sua passione con  dedizione, nonostante le difficoltà e una brutta rapina che nel 2009 l’ha portata a essere sequestrata nella sua cabina per cinque ore

Debora Facchetti, classe 1971, è originaria di Grassobbio, in provincia di Bergamo, dove oggi è tornata a lavorare dopo aver girato l’Europa a bordo del suo bilico. Oggi è una veterana dell’autotrasporto, un’icona per le nuove leve, e ha molto da raccontarci sulla sua vita trascorsa a bordo dei mezzi pesanti.  Fin da piccola ha sempre avuto le idee chiare: il suo sogno “da grande” era guidare un camion. Un sogno nato tra i tavoli della trattoria di famiglia frequentata dai molti camionisti che guardava con ammirazione e invidia. Osservava i loro camion e sapeva che un giorno, anche lei, ne avrebbe avuto uno.

Determinata e spigliata, quando si tratta di aprire l’album dei ricordi Debora si fa più timida: «Per me l’autotrasporto è tutta la mia vita, raccontare del mio lavoro è come raccontare me stessa».

Partiamo dagli esordi, come hai iniziato? 

 

Sono cresciuta in mezzo ai camionisti che frequentavano la trattoria di famiglia, li ho sempre ammirati per il loro lavoro. Quando ho spiegato ai miei genitori che volevo diventare anche io un’autotrasportatrice penso che mamma abbia segretamente esultato. Abbiamo pochi anni di differenza per cui ci capiamo molto bene, in più da giovane anche lei avrebbe voluto guidare un camion, ma la vita l’ha portata a fare altro. In qualche modo con il mio lavoro ho realizzato anche il suo sogno nel cassetto. Appena compiuti i 18 anni ho preso la patente e l’anno successivo, era il 1990, ho iniziato a lavorare con DHL Aviation all’aeroporto di Orio al Serio. Inizialmente era un lavoro part-time: di giorno davo una mano ai miei genitori in trattoria e la sera, per 4 ore, guidavo i furgoni. Anni difficili, ma bellissimi.

Quando hai iniziato a dedicarti totalmente a questo mestiere?

Qualche anno dopo, nel ’98, ho cambiato società e mi sono messa alla guida di un bilico con cui ho iniziato a fare tratte soprattutto all’estero. Ho lavorato anche in Sicilia e a Napoli, ma ho sempre fatto tratte lunghe: Spagna, Portogallo, Svezia, Svizzera, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca. Non ricordo neanche tutti i paesi in cui ho guidato, ma è grazie a questi viaggi che mi si è aperto un mondo: in Italia, agli inizi, erano poche le donne che facevano questo lavoro, circa una ventina (me compresa) e nella mia azienda ero l’unica. In giro per l’Europa, invece, di donne ce ne erano eccome, soprattutto tedesche, olandesi e francesi. All’estero fare la camionista era un lavoro come un altro, in Italia invece sono sempre stata guardata con un misto di ammirazione e diffidenza. Le persone si complimentavano con me per quello che facevo, ma c’era sempre il dubbio che non fossi in grado di farlo bene come lo avrebbe fatto un uomo.

Oggi è ancora così?

Sono cambiate tante cose. Oggi ci sono molte più donne in questo settore e con gli anni, con il lavoro e con l’impegno abbiamo saputo dimostrare che siamo perfettamente qualificate per fare questo mestiere. C’è molto rispetto tra i colleghi, ognuno di noi fa cose diverse e in modo diverso e se lo facciamo bene o male non dipende certo dal nostro genere. Quando si decide di intraprendere questa strada bisogna essere consapevoli che non è facile, ci sono barriere all’ingresso, ma l’essere donna non deve essere una di queste: io e le mie colleghe ne siamo la dimostrazione.

E con i colleghi all’estero i rapporti com’erano?

Ho sempre amato viaggiare all’estero, ho girato l’Europa per 22 anni e ad oggi è la cosa che mi manca di più del mio lavoro. Conoscevo poco le colleghe straniere, ma mi sono sempre trovata benissimo a lavorare con tutti. Spagna e Olanda, in particolare, erano le mie tratte preferite: lì la gente è calorosa e accogliente, mi hanno sempre fatto sentire come a casa, anche perché capitava che non rientrassi per 40/45 giorni consecutivi.

Quando stavi via così a lungo dove dormivi?

All’estero non è mai stato un problema passare tante notti fuori. Ci sono aree di servizio attrezzate con bagni per uomini e donne, docce, spogliatoi, lavatrici e asciugatrici, soprattutto in Germania e in Francia. Devo essere sincera: non posso dire di non avere mai paura. Soprattutto dopo la rapina che ho subìto. È successo nel 2009, ero a Cassino. Stavo dormendo quando due uomini mi hanno assalita in cabina bloccandomi. La loro prima reazione quando si sono accorti che ero una donna è stata di sorpresa, ricordo che addirittura si scusarono, ma mi dissero che dovevano fare il loro lavoro. Mi hanno tenuta sequestrata in cabina per cinque ore, mentre uno rubava il carico e l’altro mi controllava. Sono state ore terribili, anche se io reagii con più calma di quanto anche loro non si aspettassero. Mi misi addirittura a chiacchierare con l’uomo con me in cabina: era una situazione surreale, ma a distanza di diversi anni penso di essere stata fortunata e che in fondo mi sia andata bene. La paura è stata tanta e ancora oggi non nego di averne, sono cose che ti segnano. Nonostante questo episodio ho continuato a fare il mio lavoro con passione e con la consapevolezza che anche le situazioni più difficili si possono superare. Mi è capitato altre volte di subire tentativi di furto, fortunatamente non andati a buon fine, ma ho imparato a gestire certe situazioni: mi tutelo, chiamo subito qualcuno e aspetto in cabina. La paura non deve essere un limite, il mio lavoro è bellissimo e non permetto a niente o nessuno di rovinarmelo.

Oggi dormi ancora fuori con il camion? 

Sì, lavoro principalmente nel Nord Italia. Parto da Bergamo la domenica e rientro il venerdì sera facendo varie tappe tra Tortona, Alessandria, Milano e Brescia. Non è mai stato un problema per me stare fuori casa, l’autotrasporto era ed è ancora la mia unica e più grande passione. Motivo per cui non ho mai pensato a una famiglia: non è mi è capitato di trovare la persona giusta e quindi mi sono dedicata al mio lavoro. Non me ne pento, è una scelta che rifarei altre cento volte: io sono felice.

Cosa ti aspetti dal futuro? 

Non vedo l’ora tornare a viaggiare in Europa, mi piacciono le tratte lunghe, hai molto tempo per stare con te stessa e pensare. Uno dei ricordi più belli che conservo risale al 1999: eravamo sei camion e dovevamo andare in Inghilterra. Siamo rimasti bloccati a bordo della nave per diciotto ore. Un viaggio interminabile ma in cui abbiamo fatto squadra e ci siamo sostenuti a vicenda. Ecco, è questo il bello di questo mestiere, secondo me: un lavoro solitario, dove si impara a fare i conti con sé stessi, ma in cui quando ho avuto bisogno di una mano c’è sempre stato qualcuno disposto ad aiutarmi.

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Che lavoro fai?…La camionista!

 

Un altro racconto trovato su un altro blog, “50enni.blog“, un altro racconto con protagonista una camionista!

Il blog lo trovate a questo link, fateci un giro:

http://50enni.blog/che-lavoro-fai-la-camionista/

Come sapete,  tutto quello che trovo che riguarda il nostro meraviglioso mondo mi piace condividerlo nel nostro blog, quindi buona lettura:

“CHE LAVORO FAI?…LA CAMIONISTA!

L’ho rivista dopo trent’anni , sempre carina e sorridente, così come la ricordavo. E’ la mia amica Daniela, compagna di serate spensierate ..un’altra vita fa, quando i weekend erano un turbinio di discoteche e feste!

Ci sediamo a bere un caffè e a raccontarci un po’ -cosa fai nella vita?-le chiedo, –la camionista!- mi risponde.

Wow, mi coglie di sorpresa. Non è certo un’occupazione tipicamente femminile! Le chiedo di spiegarmi le ragioni di tale scelta.

Già il padre guidava un camion per una società di trasporti e fin da bambina covava il desiderio di poter guidare un simile, enorme mezzo su 4 ruote. Sogno che ha congelato per un lungo periodo poichè la sua vita ha preso una strada più tranquilla. Ha sposato il fidanzato di sempre, si è impiegata in un ufficio legale, un tran tran classico.

Forse, però, un fuochino covava in un angolo della sua mente e quando, per motivi legati ad un tradimento, il matrimonio è naufragato, Dany ha sentito l’esigenza di una svolta radicale della sua –grigia esistenza-( parole sue). Si è iscritta ad una scuola guida per ottenere la patente C, poi grazie a vecchie amicizie di lavoro del padre, ha trovato impiego come camionista di tratte nazionali.

Sicura e capace, transita l’Italia da nord a sud, giorno e notte. -Ma non hai paura? io avrei il terrore di essere assalita!- Mi spiega che si è conquistata nel tempo la stima dei colleghi, che sono come un grande network per cui si aiutano e sostengono a vicenda. Lei è una bella donna, di fascino discreto ma femminile, ed è riuscita ad imporsi per le sue capacità piuttosto che per il bell’aspetto.

Ah, sento una punta d’orgoglio femminile crescere: in un mondo tipicamente maschile una di noi, una “ragazza” over anta…spacca!

La saluto con calore complimentandomi per il suo coraggio nel seguire le sue passioni!

Salgo sulla mia auto per tornare a casa e….non mi è mai sembrata così…piccola! ”

 

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Brigitte des transports Cayon

 

Un nuovo  video dal canale You Tube francese di Philippe Fournet:

https://www.youtube.com/c/fierdetreroutiervideo

Una bella video intervista del 1992 a Brigitte che guidava un Renault G bilico della ditta Cayon sia su tratte nazionali che internazionali. Prima donna ad essere assunta in un’azienda che contava 400 autisti. Il suo entusiasmo per il mestiere è contagioso!!

Bonne route !

 

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La storia di Simona

 

Un’altra camionista, un’altra bella storia, sempre dalla pagina di “Uomini  e trasporti“, un articolo di Elisa Bianchi che racconta  la storia di Simona che trasporta bestiame in Trentino Alto Adige.

 

https://www.uominietrasporti.it/simona-maresca-guido-camion-per-passione-dove-non-arriva-la-forza-arriva-la-testa/

 

Simona Maresca: «Guido camion per passione. Dove non arriva la forza, arriva la testa»

Non è questione di essere uomini o donne: ciò che serve per mettersi al volante di un veicolo pesante è la passione. La vicenda di Simona lo dimostra: nata in Liguria da papà camionista, ambirebbe a seguirne le orme. Lui non vuole e lei mette da parte il suo desiderio. Lo farà riaffiorare qualche anno dopo, quando decide di seguire il suo attuale compagno per gestire insieme un’azienda attiva nel trasporto animali vivi

«Tu guidi quel coso lì? Ma non hai paura?». «Questa è la domanda che mi fanno più spesso, ma ho la risposta pronta: Perché dovrei, anche se sono una donna non ho forse due mani sane anche io?».
Lei è Simona Maresca, nome in codice «la tremenda», o almeno così l’hanno soprannominata i suoi colleghi e a lei non dispiace affatto. Anzi, ci spiega che è più che azzeccato: «Non ho peli sulla lingua, sono molto schietta ed estroversa».
Simona ha 38 anni, è ligure ma vive e lavora in Trentino-Alto Adige con il compagno, dove gestiscono la loro azienda di trasporto, la Viehtrans Gasser. È mamma di un bimbo di 10 anni e da quattro anni è alla guida di un autotreno per il trasporto bestiame. Quando la contattiamo è appena rientrata da una giornata di lavoro, ma ci racconta con entusiasmo e un pizzico di orgoglio la sua storia.

Simona come hai iniziato a fare l’autotrasportatrice?
A dire il vero è sempre stato il mio sogno. Sono figlia d’arte, mio papà faceva il camionista e avrei voluto seguire le sue orme fin da sempre. Lui però non era dell’idea, erano altri tempi e così ho seguito mamma, che lavorava con i fiori. Qualche anno fa ho incontrato il mio attuale compagno, anche lui un autotrasportatore, che mi ha spronata a inseguire il mio sogno proponendomi di lavorare con lui per la sua azienda. Così l’ho seguito in Trentino-Alto Adige, a Chiusa, dove ormai da quattro anni siamo un team, «King and Queen of animals», perché trasportiamo bestiame e viaggiamo quasi sempre insieme.

Rifaresti la stessa scelta anche oggi?
Assolutamente sì: amo il mio lavoro che mi permette di stare a contatto con la natura e con gli animali. Trasportiamo bovini, quindi mucche, vitelli, tori, da una stalla a un’altra o in alpeggio, per il pascolo.

Che tratte percorri di solito?

Lavoriamo prevalentemente in Trentino, ma capita di doverci spostare anche all’estero, in Germania e in Austria, o in altre regioni d’Italia. Le tratte lunghe sono più impegnative, ma i veri problemi iniziano quando bisogna attraversare i passi di montagna con un autotreno pieno di animali. Vado in apprensione per loro e sono terrorizzata dall’idea che per strada qualche animale possa perdere l’equilibrio e farsi male, quindi cerco di rendergli il viaggio meno fastidioso possibile. Preferisco metterci qualche minuto in più, ma far fare loro un viaggio dignitoso. I contadini lo sanno e apprezzano: è sempre una soddisfazione quando mi dicono che gli piace come lavoro.

Hai raccontato che spesso i contadini quando ti vedono arrivare sul tuo autotreno un po’ si sorprendono, ti chiedono se non hai paura… 

Sì, è vero, ma ho due mani sane e finché le avrò potrò guidare senza problemi e senza paura. Non nego che sia un lavoro difficile, spesso molto fisico, ma dove non arriva la forza arriva la testa e così ogni problema può essere superato.

Tuo figlio cosa pensa del tuo lavoro?
Lui è un guerriero. A 10 anni già sa come cavarsela da solo quando io non ci sono. Capitano i giorni in cui sente di più la mia mancanza, ma gli ho spiegato che è proprio grazie al lavoro della mamma se non gli manca nulla. È un ragazzo intelligente e ha capito. Non nego che anche a me dispiace passare poco tempo con lui, coniugare la famiglia con il lavoro non è facile, ma ho la fortuna di poter contare anche sull’aiuto dei figli del mio compagno, una ragazza di 20 anni e uno di 14 anni. Si fanno molta compagnia e quando noi non ci siamo la ragazza più grande segue i più piccoli. Certo, bisogna sapersi organizzare con anticipo.

Cosa ti ha insegnato questa professione?
Ho imparato a contare su me stessa per fare questo lavoro, perché spesso non sono capita, mancano gli aiuti e così devi arrangiarti. Ho insegnato a mio figlio a fare lo stesso, ma se un giorno dovesse avere bisogno di me, sarei pronta a scendere dal camion senza esitare.

Pensi che un giorno tuo figlio seguirà le tue orme? 
Mi piacerebbe tantissimo, ma per ora dice di voler fare il pasticcere. L’importante è che segua il suo sogno, come ho avuto la fortuna di fare io.

Oggi le donne in questo settore sono poche e mancano molti autisti. Tu cosa diresti ai giovani per invogliarli a intraprendere questo mestiere?
Che non è facile, ma bisogna provarci. Spesso mi sento dire “io non ce la farei mai”. Non è vero, può farlo chiunque, basta avere passione e forza di volontà, come per qualsiasi altro lavoro. Bisogna correre, è un lavoro fisico, ma bellissimo. Mi rendo conto che gli stereotipi riguardo questo mestiere ci sono, non lo si può negare, sia nei confronti delle donne che degli uomini, ma la verità è che siamo il motore del paese per cui dobbiamo andare avanti a testa alta e fare quello che ci piace. Per me siamo tutti uguali in questo settore, donne e uomini. Ho un buon rapporto con tutte le mie colleghe e i miei colleghi, ognuno fa il suo lavoro e ci rispettiamo a vicenda.

Secondo te, perché sono così pochi i giovani che si approcciano a questa professione?
Il problema è che ci sono barriere all’ingresso importanti: i costi per prendere la patente sono alti, parliamo di qualche migliaio di euro, e una volta usciti dalla scuola guida non è così scontato trovare lavoro. Le aziende spesso ricercano personale già con esperienza, senza investire sulle nuove leve. Bisognerebbe fare qualcosa a riguardo per incentivare le nuove generazioni e sponsorizzare maggiormente la professione.

Senti Simona, ma alla fine tuo padre ha accettato il fatto che sei un’autotrasportatrice?
Ti racconto un aneddoto. Qualche giorno fa ho avuto un momento di sconforto. Capitano, soprattutto dopo un anno difficile come il 2020, in cui siamo stati tutti sotto pressione. In più per motivi familiari mi sono trovata a dover fare molte cose da sola, insomma, ho ceduto. A farmi ritrovare la forza sono stati proprio i miei genitori: mi hanno mandato un messaggio dicendomi che erano fieri di me e di quello che faccio e non c’è soddisfazione più grande.

Quando viaggi, preferisci ascoltare musica o pensare?
Io amo cantare, qualsiasi cosa, in base al mio umore. Quindi metto la musica al massimo e canto a squarciagola, per la gioia delle orecchie del mio compagno che viaggia accanto a me. Però c’è un momento, a fine giornata, in cui sai che hai finito e stai tornando a casa, dalla tua famiglia. Il camion è vuoto quindi non hai la preoccupazione degli animali. Ecco, in quei momenti mi piace spegnere la radio e pensare.

Progetti per il futuro?
Guidare, naturalmente! Forse lascerò il mio autotreno per un bilico, chissà, ma di sicuro non ho intenzione di fermarmi. Se la vita è un viaggio, io voglio viaggiare, ma sempre a bordo del mio camion.

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Laura, la camionista

 

Questo racconto l’ho trovato in un altro blog, ma visto che è la storia di un incontro con una camionista mi piace condividerlo anche qui.

Il Blog “Rita Lopez” lo trovate a questo link, ci sono tanti bei racconti, vale la pena farci un giro e leggerne qualcuno!

https://lopezrita.wordpress.com/tag/camionista/

E questa è la storia dell’incotro tra la scrittrice e la camionista!

 

Laura, la camionista

Non mi piace andare dal parrucchiere.

Ci vado quando proprio non posso più farne a meno.

Ma quest’ultima volta non è stato noioso.

Questa volta ho conosciuto Laura, la camionista.

Siamo sedute una accanto all’altra e già penso alla scelta amletica che mi si pone ogni volta.  A):  prendere uno dei giornali disponibili e girare noiosamente le pagine patinate, stracolme di fotografie di soubrette prosperose e attrici al mare, colte impietosamente nell’atto di chinarsi a raccogliere l’asciugamano, così da mostrare al mondo sadico e ipercritico delle donne comuni i fianchi coperti di cellulite. B):  conversare del più e del meno col mio parrucchiere, il quale ti parla stando in piedi, dietro di te, e tu lo vedi dallo specchio che hai di fronte, solo che i suoi occhi non guardano te. No. Sono perennemente puntanti su se stesso. E a me dà un fastidio!

Questa volta il parrucchiere è impegnato a chiacchierare con la mia vicina e così non mi resta che agguantare uno degli interessantissimi giornali di cui sopra.

“E allora, Laurè, adesso che fai le pulizie, non è meglio di quando facevi la camionista?”,  le sta chiedendo lui.

Fa la domanda a lei, ma nello specchio guarda se stesso.

“Ma manco pè niente!” risponde Laura, con i bigodini sulla testa.

“Me rompo le palle che nun poi capì. Sempre ‘e stesse cose, sempre a’ stessa vita! E vai a casa de quella e je pulisci i vetri, e vai a casa de quell’artra e je spazzi pè tera e poi cori dalla vecchia e je sporveri ‘e bomboniere….No, quanno facevo ‘a camionista me piaceva de più”.

Poso il giornale sulle ginocchia e guardo Laura.

Avrà una sessantina d’anni, portati benissimo.

Ha un fisico asciutto, due spalli grandi, e dai jeans aderenti si indovinano un paio di gambe muscolose. Prive di cellulite.

Le chiedo timidamente: “Lei…”.

“Tu” mi dice, perentoria.

“Tu…facevi la camionista?”.

“Eccerto” mi risponde con orgoglio, “ho fatto ‘a camionista pè più de trent’anni”.

Le sorrido.

“ ‘O sai?” continua, “negli anni 70, in Italia, c’erano tre camioniste donne. Mbè: una ero io. Dovevi vedè che era, pe ‘na donna, fà sto lavoro a quei tempi!”.

Ma come hai cominciato? Le domando.

“Mì padre faceva er camionista. A 14 anni gli ho detto: a pà, io non vojo più annà a scola.

“A no?” Me fa lui! “e allora viè co me”.

E così sò salita sur camion a 14 anni e sò scesa quanno ne avevo 50. Ho iniziato cor 12 13 e poi cor 19 19. Tutti l’ho portati”.

Non la mollo un attimo, Laura.

La tempesto di domande, voglio sapere dei suoi viaggi, dei suoi sacrifici, di come riusciva a gestire il suo lavoro, quel lavoro, in un mondo dominato dai maschi.

E Laura mi racconta, non si ferma un attimo.

Parla senza pudore, senza nascondermi niente, come sanno fare alcune donne tra di loro, anche se è la prima volta che si vedono.

E raggiunge gradi di confidenza e di intimità sorprendenti, aprendoti il cuore,  quando racconta delle notti d’inverno, a dormire sul camion, nell’area di parcheggio degli autogrill. E degli approcci fastidiosi ed  insistenti di alcuni suoi colleghi, delle loro battute cattive e gratuite. Dei tradimenti continui di un marito balordo. Dell’amarezza  di veder crescere un’unica figlia, affidata per tutta la settimana alle cure di una suocera acida.

“E quella, mi socera, me fa: “Aò! È ora che fai n’artro fijo”.

Sì, pè dattelo a te! Je faccio io!”.

Le diventano lucidi gli occhi.

“Nun me la so goduta pè niente… Ma mò c’ho dù nipotine e guai a chi me ‘e tocca”.

Mi mostra le foto delle bimbe sul suo cellulare.

Le mostra anche al parrucchiere: “Sono bellissime, Lauré” le fa lui, sorridendo a se stesso nello specchio, e poi aggiunge:

“Ecco, abbiamo finito”.

Laura si alza.

“Anvedi che capello, aò! Come sto?”, mi chiede.

“Sei bellissima!” le rispondo. E lo penso davvero.

Laura paga e se ne va.

Il parrucchiere adesso si rivolge a me, anzi a se stesso.

Guardandosi intensamente negli occhi, mi chiede:

“Che facciamo? Tagliamo?”.

 

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