Attività: autista di autobus Residenza: Sondalo (SO)
Quando e come è nata la tua passione per i mezzi pesanti? Quando hai capito che questo sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
Sono stata sempre attratta da auto e motori, una passione nata quando frequentavo il liceo e un mio caro parente, che ho perso troppo presto, faceva l’autista. Nel 2009 ho superato l’esame per la patente D, ma con l’entrata in vigore del CQC, la Certificazione di Qualificazione del Conducente, e i relativi costi di gestione, ho accantonato l’idea di fare questo mestiere. Così mi sono laureata in Scienze agrarie e forestali e ho insegnato per alcuni anni in un Centro di formazione professionale. Tuttavia, vista la precarietà del lavoro di insegnante, nel 2020 mi sono decisa una volta per tutte e ho preso la CQC, consigliata anche dal mio ragazzo, autista anche lui. A ottobre 2020 ho cominciato a guidare per l’Autoservizi Silvestri a Livigno. Un anno dopo sono passata all’Automobilistica Perego, risultando la prima e unica donna in azienda con mansione di conducente. Oggi svolgo principalmente servizio di linea extraurbana sugli autobus, ma nel periodo fra novembre e dicembre del 2022, per la prima volta, ho svolto alcuni noleggi in giornata come seconda guida.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Ho deciso di partecipare al Sabo Rosa perché credo sia giusto valorizzare le donne che si lanciano in questo mestiere in Italia, un Paese in cui vi sono ancora parecchi pregiudizi a riguardo. In provincia di Sondrio siamo solo in due a guidare autobus di grandi dimensioni.
Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?
Ciò che mi fa adorare questo mestiere è la passione che ho per la guida e per la meccanica. Inoltre, mi dà la possibilità di visitare posti nuovi e città quando svolgo mansioni turistiche. Ciò che non mi piace è che si tratta di un lavoro sempre meno considerato, anche a livello sindacale.
Sabrina guida gli autobus nella provincia di Como ed è una collega di Nives, che l’ha spinta a iscriversi anche lei al concorso per il Sabo Rosa 2024 per una simpatica sfida tra colleghe!
Attività: autista di autobus Residenza: Menaggio (CO)
Quando hai capito che quello del trasporto pubblico sarebbe stato il tuo lavoro?
Devo fare una premessa: ho cominciato a lavorare, molto giovane, nella ristorazione e in quel mondo ho fatto molta strada. Mio padre, però, che era camionista e guidava i tir, un giorno mi disse: “Sabrina, arriverai a stancarti di lavorare al ristorante. Prendi una patente, che non ti lascerà mai a piedi”. Così vent’anni fa presi la patente D e, poco tempo fa, anche il CQC.
Nel 2021, con la mia famiglia, ci siamo trasferiti da Pesaro a Menaggio, sul Lago di Como, e ho scoperto che nel territorio erano a corto di autisti. Così, anche sostenuta da mio marito, mi sono proposta, ho fatto il concorso e a settembre dello scorso anno ho cominciato a lavorare nel trasporto pubblico, facendo le tratte extraurbane a nord del Lago, nelle province di Como e Sondrio, fino a coprire anche qualche punto della Svizzera.
Sono strade molto difficili in cui guidare, strette e piene di curve, però a me piace molto e mi dà soddisfazione il fatto che mi arrivino tanti complimenti, per la mia guida rilassata e per il fatto che sono una persona solare, che saluta sempre tutti e a cui piace scambiare due chiacchiere.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Questa è divertente. A coprire la tratta extraurbana, nella nostra azienda, siamo due donne. Qualche giorno fa ho incontrato Nives Giussani che mi ha detto: “Ho mandato la candidatura al Sabo Rosa, perché non la mandi anche tu”. Così, per gioco e per fare una sfida simpatica fra colleghe, mi sono iscritta.
Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?
Sono una persona a cui piace molto stare con gli altri, chiacchierare, scherzare. E già questo sarebbe sufficiente, perché le persone che salgono sul bus e mi riconoscono si fermano per una battuta o un saluto. A ciò si aggiunge il fatto che ora ho responsabilità diverse da quelle che avevo nel ristorante e per me è una nuova linfa. Mi sono rimessa in gioco in un lavoro che non avevo mai fatto e che svolgo bene. Sto dimostrando con i fatti che le donne possono fare quello che fanno gli uomini.
Il lato negativo è che prima correvo molto ed ero molto in forma. Ora stando molto tempo seduta il mio fisico ne risente un po’.
Attività: autista di camion Residenza: Alseno (PC)
Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
Era il mio sogno fin da ragazza, sogno accantonato perché sono diventata mamma molto giovane, e ora sono già nonna. Quindi, per crescere i miei quattro figli, ho lavorato per vent’anni in una RSA dove mi occupavo di accudire le persone anziane. Poi è arrivato il Covid e, quello, è stato un momento emotivamente molto difficile, che mi ha portato a prendere la decisione di realizzare il mio sogno. Ho conseguito le patenti mettendoci tutte le mie energie e il 5 agosto 2021 sono finalmente salita su un camion. Tanta fatica all’inizio, ma ho trovato una piccola azienda che mi ha dato fiducia e sono partita. Lavoro nel trasporto industriale e guido un centinato.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Mi piacerebbe che il mio vissuto fosse da esempio per tante donne, che magari pensano che a cinquant’anni non si possa più cambiare vita. I miei figli mi hanno detto di provarci e sono qui.
Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?
Non c’è nulla che non mi piace in questo lavoro. L’ho scelto e voluto nonostante tutte le difficoltà avute e adesso sono orgogliosa di me.
Attività: autista di camion Residenza: Cittadella (PD)
Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
I camion mi sono sempre piaciuti, fin da quando lavoravo come carrellista in un magazzino di frutta e verdura. In quel periodo mio marito faceva l’autista e quando decidemmo di comprare un camion nuovo e una nuova casa, ci siamo trovati a dover far fronte all’esigenza di una patente in più per dare una mano alla famiglia che cresceva. Così sono salita anch’io sul camion.
All’inizio, ormai venticinque anni fa, facevamo viaggi anche lunghissimi. Ai tempi non c’erano le ore di guida da rispettare, dormivamo fuori di notte, si andava a caricare il camion all’alba e alla sera si provava a tornare a casa, per cucinare e stare un po’ con i figli.
Ora abbiamo una nostra azienda di trasporti, con sei mezzi e un paio di autisti che lavorano con noi, oltre ovviamente ai nostri figli. Marta e Mattia, che lavorano in ufficio, ed Ermes, che viaggia come me e suo padre. Principalmente lavoriamo con la Svizzera: trasportiamo un po’ di tutto ma in particolare il vino. Abbiamo un camion frigo che lo tiene fresco anche d’estate.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Sono ambassador della Volvo e il responsabile della nostra zona mi ha detto: perché non ti iscrivi al Sabo Rosa, è una cosa che fa per te! Io all’inizio non volevo, perché mi sentivo fuori età, ma poi mi sono convinta. In fondo sono una super nonna camionista.
Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?
Il vero problema, soprattutto per noi donne autista, sono i servizi. Spesso i bagni, le docce, che si trovano viaggiando, sono molto scomodi per non dire sporchi. Io ormai mi sono organizzata con disinfettante e spugne, ma sarebbe meglio che di queste cose si occupassero i gestori. Per il resto è tutta questione di passione e di organizzazione. Questo è un lavoro che puoi fare solo se il tuo cuore batte per i camion.
Nives guida autobus lungo le strade del Lago di Como da ben 27 anni! Il suo non è stato un percorso facile all’inizio, ma con tenacia è riuscita a superare tutti i pregiudizi ed ottenere un posto al volante!
Attività: autista di autobus Residenza: Gravedona ed uniti (CO)
Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
Quando superai, sudando sette camicie, il concorso per diventare conducente di linea dell’allora società SPT s.p.a. di Como, oggi ASF Autolinee, capii che quello sarebbe stato il mio lavoro. Avrei vissuto circondata da tante persone, chiusa in un dinosauro di lamiera su gomma. Quel concorso era sì aperto anche alle donne, ma solo a livello ipotetico, in quanto l’ambiente era prettamente maschile, il percorso era già difficoltoso per gli uomini, figuriamoci per le donne, e la stessa parola “donna” suonava come sinonimo di “maternità”, per cui non dava garanzia per la copertura futura del servizio.
Tuttavia, con la mia perseveranza, fui capace di stravolgere questa vecchia mentalità, dimostrando di essere all’altezza del compito sotto tutti i punti di vista, aprendo le porte al gentil sesso. Di questo ne vado orgogliosa, anche se devo ammettere che non sempre è stato facile. Il mio non è un lavoro standardizzato, anzi, presenta tante sfaccettature e solo con pazienza, prudenza, intelligenza e, a volte, un pizzico di fantasia, riesco a risolvere i problemi che tutti giorni si presentano. Ogni giorno noi donne dimostriamo che i pantaloni li sappiamo portare, e bene!
Il mio tragitto copre tutta la sponda occidentale del lago di Como, con le varie deviazioni fin dentro le sue vallate, fino a raggiungere Sondrio come ultimo capolinea fuori provincia. E’ il mio percorso settimanale da 27 anni, con autobus che vanno da 8 fino a 12 metri bipiano! In passato ho guidato anche autobus per gite turistiche.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Ho deciso di partecipare a questo concorso per unirmi a tutte coloro che svolgono questo lavoro, sia nel trasporto merci che persone. Tutti i giorni dimostriamo passione e tanto coraggio, costanza e un buon savoir faire dipinto di rosa.
Cosa non ti piace e cosa ti piace di questo lavoro?
Sicuramente guidare, guidare e guidare… costa tanta fatica. Tuttavia quando non guido, ovvero quando sono in malattia, la mia giornata sembra vuota. Poi mi piace conoscere nuove persone, condividere, tra una pausa e l’altra, le proprie idee e opinioni. Ciò che non mi piace è sentire parlar male degli altri, anche fra colleghi. A volte, inoltro, noto come la nostra società non ci valorizzi a dovere; siamo considerati solo dei numeri, la cosa più importante è sempre il guadagno e per questo motivo siamo ormai sotto organico, con conseguenti tagli di corse e tanti disagi per i pendolari: lavoratori e studenti.
Mi piace leggere le storie delle ragazze che partecipano al concorso del Sabo Rosa, Consuelo è una nuova collega che ha realizzato da pochi mesi il suo sogno di guidare un camion!
Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
“Ho sempre sognato questo mondo fin da piccola, quando guardavo con ammirazione i camion sulla strada. Per tanti anni non ho avuto il coraggio di prendere questa direzione professionale poi, verso i trent’anni, dopo la morte del mio cane, che per me era come un figlio, il mio compagno mi ha convinta a prendere la patente C, un modo per tenermi occupata in un momento difficile. Ho preso tutte le patenti poi sono rimasta in stallo per un certo periodo, perché trovavo molta diffidenza nei mie confronti, in quanto donna. Ho trovato tanti ostacoli ma li ho superati brillantemente e adesso, da sei mesi a questa parte, questa è la mia professione”.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
“Sono anni che seguo il Sabo Rosa, mi ha incuriosita tantissimo e trovo bello il fatto che si dia importanza a una categoria, che non è solo quella della autotrasportatrici o delle autiste di autobus, ma è qualcosa di più ampio, si tratta delle donne che lavorano con caparbietà e competenza in questo difficile ambiente.”
Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?
“Non mi piace che in questo lavoro ci siano ancora tanti tabù legati alle donne e, a volte, capita anche di ascoltare allusioni, commenti e avance non proprio piacevoli. Allo stesso tempo ci sono tante persone gradevolmente sorprese nel vedermi alla guida e questa è la parte che mi più mi piace di questo lavoro”.
Anche quest’anno sono numerose le colleghe che partecipano al concorso del Sabo Rosa. Ben 18 tra autiste di autobus, camion e NCC. Le iscrizioni si sono chiuse e io vi voglio proporre anche sulle nostre pagine le loro storie.
Vi state chiedendo che cos’è il SABO Rosa?
“Il SABO Rosa è il tradizionale riconoscimento che, in occasione della Festa della Donna, viene conferito a una lavoratrice del mondo dei trasporti. Il “premio” consiste in un esemplare unico dell’ammortizzatore Sabo tinto di rosa e in un pranzo in onore della vincitrice.
Hanno diritto a ricevere il SABO Rosa: autiste di camion, bus, autoscale; meccaniche, dirigenti di aziende di trasporto, dipendenti o lavoratrici autonome in ogni settore della filiera: dalla produzione alla ricambistica, passando per la logistica.”
Un libro che sto leggendo e che vi voglio segnalare e consigliare, perchè parla anche di noi poichè il nostro è considerato ancora un lavoro prevalentemente maschile (anche se, vista la carenza di nuovi autisti, si stanno accorgendo che forse c’è bisogno anche di donne che guidano i camion!). Naturalmente non è un romanzo, si tratta di un saggio basato su ricerche condotte nel corso degli anni, e che hanno visto anche il nostro gruppo di Lady Truck in parte protagonista. E’ una lettura interessante, fa capire tante cose della nostra società, del perchè di tanti atteggiamenti, cose che viviamo tutti i giorni e che ormai fanno parte del nostro modo di relazionarci, ma che hanno radici profonde e a volte molto difficili da estirpare. Cose che magari abbiamo sempre notato e accettato come naturali, ma che forse cosi “naturali” non sono. Una lettura che aiuta ad aprire gli occhi su come noi donne veniamo veramente considerate nella società.
Cosa significa per una donna attraversare i confini entrando in professioni che la società percepisce maschili per definizione?
«Questa tendenza a raccontare il mondo da un punto di vista maschile non significa non occuparsi delle donne (o per lo meno non più), quanto piuttosto settorializzare le analisi dei sotto-universi femminili, trattare tutto ciò che riguarda le donne come una dimensione a sé stante.»
«Grazie a saggi come Donna Faber l’attenzione, ormai alta da tempo, sul fenomeno si porta a ogni livello: il linguaggio è lo spazio privilegiato, ma ci sono il lavoro, le aspettative, la libertà di contraddirsi, di reagire e di ribellarsi.» – Alessandro Tacchino per Maremosso
Maestra, sarta, cassiera, segretaria sono femminili professionali che esistono da sempre, eppure si fa molta fatica a nominare al femminile quelle professioniste che lavorano in campi a prevalenza maschile: meccaniche, minatrici, camioniste, direttrici d’orchestra sembrano non esistere, a conferma dell’idea che ci siano lavori da uomini e lavori da donne. Rosa e azzurro, dall’infanzia all’età adulta, dalla scuola alla pensione. In un mondo del lavoro ancora fortemente sessuato, cosa significa per le donne decostruire stereotipi e violare i confini di professioni percepite come maschili? Quali violenze subiscono e quali pratiche di resistenza agiscono? Obiettivo del libro è rispondere a queste domande alla luce dei risultati di una ricerca qualitativa socio-fotografica, condotta in Italia nell’ultimo decennio intervistando e fotografando donne in lavori da uomini. Sullo sfondo, un’Italia in tensione tra nuovi femminismi e crociate anti-gender dai risvolti politici reazionari.
Per altre info questo è il link della pagina web di Donna Faber:
Una nuova intervista di Elisa Bianchi, sempre dal blog di Uomini e trasporti “Anche io volevo il camion”. Ringrazio Elisa di dare voce a tante nostre colleghe e di farci conoscere le loro storie, è un modo per confrontare le nostre esperienze di vita sul camion, sapere che non siamo poi cosi poche a girare per le strade d’Italia e non solo!
Questa volta ci racconta la storia di Martina, una giovane collega con una grande passione: guidare i camion!
Martina la conosco di persona e la considero un’amica, una giovane amica a cui auguro tanta buona strada per il suo futuro on the road!
Martina Caramellino: «Ho 25 anni e voglio guidare il camion. Se non adesso, quando?»
Non è una “figlia d’arte”, ha studiato grafica e comunicazione e nessuno, almeno all’inizio, appoggiava la sua scelta di guidare un camion. Eppure, la sua grinta ha avuto la meglio e oggi Martina Caramellino, venticinquenne originaria di Trino, è un’autista
«Sono riuscita a trovare lavoro a forza di provare e non mollare. Non è stato facile, la maggior parte delle persone con cui ho fatto un colloquio non si fidavano». Martina Caramellino ha 25 anni, è originaria di Trino, in provincia di Vercelli, e dallo scorso maggio ha realizzato il desiderio di guidare un camion. Desiderio nato in modo naturale, istintivo, senza che Martina avesse mai davvero avuto esperienza con il mondo dell’autotrasporto. Non un familiare autista, solo qualche conoscenza, ma nessuno ha mai davvero creduto che Martina facesse sul serio. Oggi guida un camion frigo e tutti si sono dovuti ricredere. Non è stato facile però, e lei non lo nasconde. Anzi, è la prima cosa che ci racconta. «Sono alta poco più di un metro e cinquanta, quando arrivavo ai colloqui mi chiedevano se arrivassi almeno ai pedali, oppure se fossi italiana. Una volta addirittura mi hanno chiesto se fossi lì per portare il curriculum di mio marito. Mi sono scontrata con tanta diffidenza prima di trovare un’azienda che volesse darmi fiducia». Alla domanda su quanti cv abbia dovuto mandare, la si sente sorridere timida dall’altro capo del telefono. «Tanti» è la risposta.
Alla fine, però, il lavoro è arrivato.
Mi ha chiamata una ditta della zona per guidare il camion frigo. Il contratto poi è scaduto e ho iniziato a lavorare per altre aziende, prima sempre con il frigo, poi da inizio gennaio con la nuova azienda ho cambiato anche tipo di lavoro. Oggi, infatti, guido una cisterna per il trasporto di liquidi alimentari.
Facciamo un passo indietro. Perché l’idea di guidare un camion?
Uno dei ricordi più belli che ho della mia infanzia è di quando andavo in giro con mio nonno. Era un fabbro e aveva un furgoncino Daily. Per me era come se fosse un camion, lo vedevo enorme. Credo sia nata così la mia passione per la guida.
Una passione che è diventata anche uno sport: il rally.
Nella zona in cui abito si tiene tutti gli anni una corsa di rally. Mi piaceva guardare quelle macchine colorate che andavano veloci. Volevo provare anche io, così ho preso il brevetto. Ho corso per un paio d’anni e gara dopo gara sono arrivate anche le soddisfazioni. Insieme al ragazzo con cui correvo ci siamo classificati primi di classe al rally di Alba.
Anche nel rally ci si scontra in qualche modo con degli stereotipi di genere, come ti è successo con l’autotrasporto?
È sicuramente un ambiente diverso, ma in cui nessuno mi ha mai fatto pesare il fatto di essere una donna. Penso che comunque dipenda sempre dell’intelligenza e dalla mentalità delle singole persone.
Le persone intorno a te come hanno preso la tua decisione?
Mia mamma all’inizio non voleva, oggi invece capita spesso che mi difenda quando qualcuno giudica la mia scelta. Molte persone non capiscono, mi chiedono come faccia «a portare quel coso». Rispondo che basta schiacciare l’acceleratore, mica lo devo trainare.
Poi Martina si lascia andare a una confidenza…
Non hai idea di quanti pianti mi sono fatta da sola per via di alcuni episodi spiacevoli. Ricordo per esempio che durante il mio affiancamento iniziale stavo guidando e avevo il finestrino abbassato. Un ragazzo poco più grande di me mi ha urlato «voi donne state rovinando il mondo». Quando hai tante buone intenzioni e poi senti dire certe cose ferisce, soprattutto se quelle parole arrivano magari da dei padri di famiglia. Voglio dire, se distruggessero i sogni ai loro figli come si sentirebbero?
Io sono sempre affascinata dalle storie delle donne camioniste degli anni passati. Quella di Irene poi è una storia veramente speciale, in quanto lei fu una delle poche donne camioniste a effettuare viaggi sulla linea del Medio Oriente negli anni ’70. Una vera pioniera!
Sono scritti in tedesco, lingua che non conosco a parte qualche parola, ma con l’aiuto di un amico tedesco, Michi – che parla un pò di italiano – che me ne ha fatto un riassunto, e un po di traduttore sono riuscita a mettere insieme un testo, spero che vi piaccia leggere la sua storia:
“Nel 1973 Irene aveva 17 anni e ancora studiava, ma in primavera riusci a partire col fratello di una sua amica, Ueli, per un viaggio a Teheran. Avevano un mese di tempo e 12.000 km da percorrere per giungere a destinazione. Mentre attraversavano la Jugoslavia comunista, nei pressi di Belgrado, lei si mise per la prima volta al volante di un camion. Non avevano GPS nè cellulare, ma una scatola piena di carte stradali e la posizione del sole come guida. Dopo aver preso confidenza col cambio a 16 marce e con un veicolo lungo 18 metri Irene decise che avrebbe voluto fare la camionista. Con Ueli nacque anche una storia d’amore, lui diventò il suo istruttore di guida segreto e successivamente suo marito e il padre dei suoi figli.
I suoi non erano d’accordo, cosi lei fini i suoi studi, fece l’apprendistato come infermiera, ma nel frattempo consegui le patenti per guidare i camion senza dire niente a nessuno.
Finita la formazione mise i suoi familiari di fronte al fatto compiuto, nonostante loro non fossero per niente d’accordo, anzi pensavano che fare la camionista piuttosto che l’nfermiera fosse un passo indietro dal punto di vista sociale.
Ebbe molte avventure nei dieci viaggi che fece in Iran, il percorso era sempre lo stesso ma succedeva sempre qualcosa di diverso. Piccoli guasti da risolvere, infinite pratiche burocratiche da sbrigare quando si attraversavano i confini. Una volta, grazie alla sua formazione da infermiera, aiutò addirittura un collega svizzero che si era ammalato a tornare a casa occupandosi di lui.
Durante i lunghi tempi di attesa a destinazione per lo scarico, Irene girava per i bazar della città e comprava provviste. Successe che un giorno un uomo le tagliò da dietro i suoi capelli, raccolti in una coda di cavallo, per motivi religiosi. “Come camionista, probabilmente ho minacciato troppo il suo modo di pensare patriarcale” dice. Da allora indossò sempre un cappello.
Negli anni ’70 numerosi svizzeri si recavano in Iran o addirittura in Pakistan con i camion. Irene descrive questo periodo come un “boom orientale”. Viaggiava sempre con suo marito. Insieme hanno portato a Teheran interi rimorchi pieni di asciugacapelli, macchine da cucire e persino una Range Rover.
Spesso diversi conducenti si univano per formare piccoli convogli. I camionisti si incontravano nei parcheggi lungo il percorso, o alle fontane dove si fermavano a fare rifornimento di acqua, o nelle leggendarie aree di sosta per camion. Erano sempre tutti contenti di unirsi a loro, Ueli aveva molta esperienza e parlava diverse lingue. Anche la formazione di Irene come infermiera era un vantaggio.
Due anni dopo la caduta dell’Iran nelle mani dei Mullah, Irene voleva tornarci nuovamente. Ma i problemi cominciarono con l’ambasciata iraniana a berna, non volevano rilasciale il visto. Pensavano che Irene fosse una giornalista sotto copertura. Cosi lei prese il suo camion e lo parcheggiò direttamente davanti all’ambasciata bloccandone l’ingresso. “Ha funzionato, ho ricevuto i documenti il giorno stesso.” dice.
A quel tempo erano pochissime le donne che viaggiavano verso l’ Oriente. Successivamente, mentre guidava sulle strade d’ Europa, ha incontrato altre donne camioniste.
Dopo i cambiamenti politici degli anni ’80, l’Arabia Saudita era l’unica destinazione rimasta per le merci dirette in Medio oriente. Ma li alle donne era vietato guidare. Cosi da allora viaggiò per l’Europa da sola, senza il marito Ueli. Dopo essere scampati per un pelo al furto di un camion e a una valanga, lei e suo marito hanno deciso di stabilirsi.
Dall’inizio del millennio non esistono più camionisti svizzeri a lunga percorrenza, spiega Irene. Ci sono quasi solo gli europei dell’Est che lavorano per salari bassissimi. Ciò significa che in Svizzera è crollato un intero settore.
Per commemorare quell’epoca ha scritto e illustrato un libro nell’ambito del progetto culturale “Edition Unik” . In esso racconta la sua storia e quelle di dieci colleghi, quasi cinquant’anni dopo essersi messa per la prima volta al volante di un camion. Il libro si può ordinare per e-mail: vrthr@bluemail. ”
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