La storia di Palmira

 

La storia di Palmira è la dimostrazione che non è mai troppo tardi per poter realizzare il proprio sogno: guidare un camion!

Il link:

https://www.sabo.it/palmina-mura/

 

La sua intervista:

Palmira Mura

Attività: autista di camion
Residenza: Alseno (PC)

Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?

Era il mio sogno fin da ragazza, sogno accantonato perché sono diventata mamma molto giovane, e ora sono già nonna. Quindi, per crescere i miei quattro figli, ho lavorato per vent’anni in una RSA dove mi occupavo di accudire le persone anziane. Poi è arrivato il Covid e, quello, è stato un momento emotivamente molto difficile, che mi ha portato a prendere la decisione di realizzare il mio sogno. Ho conseguito le patenti mettendoci tutte le mie energie e il 5 agosto 2021 sono finalmente salita su un camion. Tanta fatica all’inizio, ma ho trovato una piccola azienda che mi ha dato fiducia e sono partita. Lavoro nel trasporto industriale e guido un centinato.

Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?

Mi piacerebbe che il mio vissuto fosse da esempio per tante donne, che magari pensano che a cinquant’anni non si possa più cambiare vita. I miei figli mi hanno detto di provarci e sono qui.

Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?

Non c’è nulla che non mi piace in questo lavoro. L’ho scelto e voluto nonostante tutte le difficoltà avute e adesso sono orgogliosa di me.

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La storia di Elda

 

Elda la conosciamo già tutte, è una delle prime “ragazze” del nostro gruppo, e anche quest’anno partecipa al concorso per il Sabo Rosa 2024!

Il link:

https://www.sabo.it/elda-guarise/

La sua intervista:

Elda Guarise

Attività: autista di camion
Residenza: Cittadella (PD)

Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?

I camion mi sono sempre piaciuti, fin da quando lavoravo come carrellista in un magazzino di frutta e verdura. In quel periodo mio marito faceva l’autista e quando decidemmo di comprare un camion nuovo e una nuova casa, ci siamo trovati a dover far fronte all’esigenza di una patente in più per dare una mano alla famiglia che cresceva. Così sono salita anch’io sul camion.

All’inizio, ormai venticinque anni fa, facevamo viaggi anche lunghissimi. Ai tempi non c’erano le ore di guida da rispettare, dormivamo fuori di notte, si andava a caricare il camion all’alba e alla sera si provava a tornare a casa, per cucinare e stare un po’ con i figli.

Ora abbiamo una nostra azienda di trasporti, con sei mezzi e un paio di autisti che lavorano con noi, oltre ovviamente ai nostri figli. Marta e Mattia, che lavorano in ufficio, ed Ermes, che viaggia come me e suo padre. Principalmente lavoriamo con la Svizzera: trasportiamo un po’ di tutto ma in particolare il vino. Abbiamo un camion frigo che lo tiene fresco anche d’estate.

Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?

Sono ambassador della Volvo e il responsabile della nostra zona mi ha detto: perché non ti iscrivi al Sabo Rosa, è una cosa che fa per te! Io all’inizio non volevo, perché mi sentivo fuori età, ma poi mi sono convinta. In fondo sono una super nonna camionista.

Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?

Il vero problema, soprattutto per noi donne autista, sono i servizi. Spesso i bagni, le docce, che si trovano viaggiando, sono molto scomodi per non dire sporchi. Io ormai mi sono organizzata con disinfettante e spugne, ma sarebbe meglio che di queste cose si occupassero i gestori. Per il resto è tutta questione di passione e di organizzazione. Questo è un lavoro che puoi fare solo se il tuo cuore batte per i camion.

 

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La storia di Nives

 

Nives guida autobus lungo le strade del Lago di Como da ben 27 anni! Il suo non è stato un percorso facile all’inizio, ma con tenacia è riuscita a superare tutti i pregiudizi ed ottenere un posto al volante!

 

Il link

https://www.sabo.it/nives-giussani/

La sua storia:

Nives Giussani

Attività: autista di autobus
Residenza: Gravedona ed uniti (CO)

Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?

Quando superai, sudando sette camicie, il concorso per diventare conducente di linea dell’allora società SPT s.p.a. di Como, oggi ASF Autolinee, capii che quello sarebbe stato il mio lavoro. Avrei vissuto circondata da tante persone, chiusa in un dinosauro di lamiera su gomma. Quel concorso era sì aperto anche alle donne, ma solo a livello ipotetico, in quanto l’ambiente era prettamente maschile, il percorso era già difficoltoso per gli uomini, figuriamoci per le donne, e la stessa parola “donna” suonava come sinonimo di “maternità”, per cui non dava garanzia per la copertura futura del servizio.
Tuttavia, con la mia perseveranza, fui capace di stravolgere questa vecchia mentalità, dimostrando di essere all’altezza del compito sotto tutti i punti di vista, aprendo le porte al gentil sesso. Di questo ne vado orgogliosa, anche se devo ammettere che non sempre è stato facile. Il mio non è un lavoro standardizzato, anzi, presenta tante sfaccettature e solo con pazienza, prudenza, intelligenza e, a volte, un pizzico di fantasia, riesco a risolvere i problemi che tutti giorni si presentano. Ogni giorno noi donne dimostriamo che i pantaloni li sappiamo portare, e bene!

Il mio tragitto copre tutta la sponda occidentale del lago di Como, con le varie deviazioni fin dentro le sue vallate, fino a raggiungere Sondrio come ultimo capolinea fuori provincia. E’ il mio percorso settimanale da 27 anni, con autobus che vanno da 8 fino a 12 metri bipiano! In passato ho guidato anche autobus per gite turistiche.

Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?

Ho deciso di partecipare a questo concorso per unirmi a tutte coloro che svolgono questo lavoro, sia nel trasporto merci che persone. Tutti i giorni dimostriamo passione e tanto coraggio, costanza e un buon savoir faire dipinto di rosa.

Cosa non ti piace e cosa ti piace di questo lavoro?

Sicuramente guidare, guidare e guidare… costa tanta fatica. Tuttavia quando non guido, ovvero quando sono in malattia, la mia giornata sembra vuota. Poi mi piace conoscere nuove persone, condividere, tra una pausa e l’altra, le proprie idee e opinioni. Ciò che non mi piace è sentire parlar male degli altri, anche fra colleghi. A volte, inoltro, noto come la nostra società non ci valorizzi a dovere; siamo considerati solo dei numeri, la cosa più importante è sempre il guadagno e per questo motivo siamo ormai sotto organico, con conseguenti tagli di corse e tanti disagi per i pendolari: lavoratori e studenti.

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La storia di Consuelo

 

Mi piace leggere le storie delle ragazze che partecipano al concorso del Sabo Rosa, Consuelo è una nuova collega che ha realizzato da pochi mesi il suo sogno di guidare un camion!

Il link:

https://www.sabo.it/consuelo-viola/

 

La sua intervista:

Consuelo Viola

Attività: autista di camion
Residenza: Loano (SV)

Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?

“Ho sempre sognato questo mondo fin da piccola, quando guardavo con ammirazione i camion sulla strada. Per tanti anni non ho avuto il coraggio di prendere questa direzione professionale poi, verso i trent’anni, dopo la morte del mio cane, che per me era come un figlio, il mio compagno mi ha convinta a prendere la patente C, un modo per tenermi occupata in un momento difficile. Ho preso tutte le patenti poi sono rimasta in stallo per un certo periodo, perché trovavo molta diffidenza nei mie confronti, in quanto donna. Ho trovato tanti ostacoli ma li ho superati brillantemente e adesso, da sei mesi a questa parte, questa è la mia professione”.

Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?

“Sono anni che seguo il Sabo Rosa, mi ha incuriosita tantissimo e trovo bello il fatto che si dia importanza a una categoria, che non è solo quella della autotrasportatrici o delle autiste di autobus, ma è qualcosa di più ampio, si tratta delle donne che lavorano con caparbietà e competenza in questo difficile ambiente.”

Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?

“Non mi piace che in questo lavoro ci siano ancora tanti tabù legati alle donne e, a volte, capita anche di ascoltare allusioni, commenti e avance non proprio piacevoli. Allo stesso tempo ci sono tante persone gradevolmente sorprese nel vedermi alla guida e questa è la parte che mi più mi piace di questo lavoro”.

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Le partecipanti al concorso del Sabo Rosa 2024

 

Anche quest’anno sono numerose le colleghe che partecipano al concorso del Sabo Rosa. Ben 18 tra autiste di autobus, camion e NCC. Le iscrizioni si sono chiuse e io vi voglio proporre anche sulle nostre pagine le loro storie.

Vi state chiedendo che cos’è il SABO Rosa?

“Il SABO Rosa è il tradizionale riconoscimento che, in occasione della Festa della Donna, viene conferito a una lavoratrice del mondo dei trasporti. Il “premio” consiste in un esemplare unico dell’ammortizzatore Sabo tinto di rosa e in un pranzo in onore della vincitrice.

Hanno diritto a ricevere il SABO Rosa: autiste di camion, bus, autoscale; meccaniche, dirigenti di aziende di trasporto, dipendenti o lavoratrici autonome in ogni settore della filiera: dalla produzione alla ricambistica, passando per la logistica.”

Buona strada a tutte le colleghe che partecipano!

https://www.sabo.it/news/sabo-rosa/

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Donna faber. Lavori maschili, sex-sismo e forme di r-esistenza

 

Un libro che sto leggendo e che vi voglio segnalare e consigliare, perchè parla anche di noi poichè  il nostro è  considerato ancora un lavoro prevalentemente maschile (anche se, vista la carenza di nuovi autisti, si stanno accorgendo che forse c’è bisogno anche di donne che guidano i camion!). Naturalmente non è un romanzo, si tratta di un saggio basato su ricerche condotte nel corso degli anni, e che hanno visto anche il nostro gruppo di Lady Truck in parte protagonista. E’ una lettura interessante, fa capire tante cose della nostra società, del perchè di tanti atteggiamenti, cose che viviamo tutti i giorni e che ormai fanno parte del nostro modo di relazionarci, ma che hanno radici profonde e a volte molto difficili da estirpare. Cose che magari abbiamo sempre notato e accettato come naturali, ma che forse cosi “naturali” non sono. Una lettura che aiuta ad aprire gli occhi su come noi donne veniamo veramente considerate nella società.

 

Un link:

https://www.ibs.it/donna-faber-lavori-maschili-sex-libro-emanuela-abbatecola/e/9788807990892

La descrizione:

Descrizione

Cosa significa per una donna attraversare i confini entrando in professioni che la società percepisce maschili per definizione?

«Questa tendenza a raccontare il mondo da un punto di vista maschile non significa non occuparsi delle donne (o per lo meno non più), quanto piuttosto settorializzare le analisi dei sotto-universi femminili, trattare tutto ciò che riguarda le donne come una dimensione a sé stante.»

«Grazie a saggi come Donna Faber l’attenzione, ormai alta da tempo, sul fenomeno si porta a ogni livello: il linguaggio è lo spazio privilegiato, ma ci sono il lavoro, le aspettative, la libertà di contraddirsi, di reagire e di ribellarsi.»Alessandro Tacchino per Maremosso

Maestra, sarta, cassiera, segretaria sono femminili professionali che esistono da sempre, eppure si fa molta fatica a nominare al femminile quelle professioniste che lavorano in campi a prevalenza maschile: meccaniche, minatrici, camioniste, direttrici d’orchestra sembrano non esistere, a conferma dell’idea che ci siano lavori da uomini e lavori da donne. Rosa e azzurro, dall’infanzia all’età adulta, dalla scuola alla pensione. In un mondo del lavoro ancora fortemente sessuato, cosa significa per le donne decostruire stereotipi e violare i confini di professioni percepite come maschili? Quali violenze subiscono e quali pratiche di resistenza agiscono? Obiettivo del libro è rispondere a queste domande alla luce dei risultati di una ricerca qualitativa socio-fotografica, condotta in Italia nell’ultimo decennio intervistando e fotografando donne in lavori da uomini. Sullo sfondo, un’Italia in tensione tra nuovi femminismi e crociate anti-gender dai risvolti politici reazionari.


Per altre info questo è il link della pagina web di Donna Faber:

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La storia di Martina!

 

Una nuova intervista di Elisa Bianchi, sempre dal blog di Uomini e trasporti “Anche io volevo il camion”. Ringrazio Elisa di dare voce a tante nostre colleghe e di farci conoscere le loro storie, è un modo per confrontare le nostre esperienze di vita sul camion, sapere che non siamo poi cosi poche a girare per le strade d’Italia e non solo!

Questa volta ci racconta la storia di Martina, una giovane collega con una grande passione: guidare i camion!

Martina la conosco di persona e la considero un’amica, una giovane amica a cui auguro tanta buona strada per il suo futuro on the road!

Questo è il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/martina-caramellino-ho-25-anni-e-voglio-guidare-il-camion-se-non-adesso-quando/

 

E questa la sua storia:

Martina Caramellino: «Ho 25 anni e voglio guidare il camion. Se non adesso, quando?»

Non è una “figlia d’arte”, ha studiato grafica e comunicazione e nessuno, almeno all’inizio, appoggiava la sua scelta di guidare un camion. Eppure, la sua grinta ha avuto la meglio e oggi Martina Caramellino, venticinquenne originaria di Trino, è un’autista

«Sono riuscita a trovare lavoro a forza di provare e non mollare. Non è stato facile, la maggior parte delle persone con cui ho fatto un colloquio non si fidavano». Martina Caramellino ha 25 anni, è originaria di Trino, in provincia di Vercelli, e dallo scorso maggio ha realizzato il desiderio di guidare un camion. Desiderio nato in modo naturale, istintivo, senza che Martina avesse mai davvero avuto esperienza con il mondo dell’autotrasporto. Non un familiare autista, solo qualche conoscenza, ma nessuno ha mai davvero creduto che Martina facesse sul serio. Oggi guida un camion frigo e tutti si sono dovuti ricredere. Non è stato facile però, e lei non lo nasconde. Anzi, è la prima cosa che ci racconta. «Sono alta poco più di un metro e cinquanta, quando arrivavo ai colloqui mi chiedevano se arrivassi almeno ai pedali, oppure se fossi italiana. Una volta addirittura mi hanno chiesto se fossi lì per portare il curriculum di mio marito. Mi sono scontrata con tanta diffidenza prima di trovare un’azienda che volesse darmi fiducia». Alla domanda su quanti cv abbia dovuto mandare, la si sente sorridere timida dall’altro capo del telefono. «Tanti» è la risposta.

Alla fine, però, il lavoro è arrivato.

Mi ha chiamata una ditta della zona per guidare il camion frigo. Il contratto poi è scaduto e ho iniziato a lavorare per altre aziende, prima sempre con il frigo, poi da inizio gennaio con la nuova azienda ho cambiato anche tipo di lavoro. Oggi, infatti, guido una cisterna per il trasporto di liquidi alimentari.

Facciamo un passo indietro. Perché l’idea di guidare un camion?

Uno dei ricordi più belli che ho della mia infanzia è di quando andavo in giro con mio nonno. Era un fabbro e aveva un furgoncino Daily. Per me era come se fosse un camion, lo vedevo enorme. Credo sia nata così la mia passione per la guida.

Una passione che è diventata anche uno sport: il rally.

Nella zona in cui abito si tiene tutti gli anni una corsa di rally. Mi piaceva guardare quelle macchine colorate che andavano veloci. Volevo provare anche io, così ho preso il brevetto. Ho corso per un paio d’anni e gara dopo gara sono arrivate anche le soddisfazioni. Insieme al ragazzo con cui correvo ci siamo classificati primi di classe al rally di Alba.

Anche nel rally ci si scontra in qualche modo con degli stereotipi di genere, come ti è successo con l’autotrasporto?

È sicuramente un ambiente diverso, ma in cui nessuno mi ha mai fatto pesare il fatto di essere una donna. Penso che comunque dipenda sempre dell’intelligenza e dalla mentalità delle singole persone.

Le persone intorno a te come hanno preso la tua decisione?

Mia mamma all’inizio non voleva, oggi invece capita spesso che mi difenda quando qualcuno giudica la mia scelta. Molte persone non capiscono, mi chiedono come faccia «a portare quel coso». Rispondo che basta schiacciare l’acceleratore, mica lo devo trainare.

Poi Martina si lascia andare a una confidenza…

Non hai idea di quanti pianti mi sono fatta da sola per via di alcuni episodi spiacevoli. Ricordo per esempio che durante il mio affiancamento iniziale stavo guidando e avevo il finestrino abbassato. Un ragazzo poco più grande di me mi ha urlato «voi donne state rovinando il mondo». Quando hai tante buone intenzioni e poi senti dire certe cose ferisce, soprattutto se quelle parole arrivano magari da dei padri di famiglia. Voglio dire, se distruggessero i sogni ai loro figli come si sentirebbero?

 

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Irene, una pioniera dalla Svizzera

 

Io sono sempre affascinata dalle storie delle donne camioniste degli anni passati. Quella di Irene poi è una storia veramente speciale, in quanto lei fu una delle poche donne camioniste a effettuare viaggi sulla linea del Medio Oriente negli anni ’70. Una vera pioniera!

 

Vi metto alcuni link di articoli su di lei:

https://www.aargauerzeitung.ch/leben/frau-am-steuer-die-verruckte-geschichte-der-ersten-schweizer-fernfahrerin-ld.1239231

https://www.pilatustoday.ch/zentralschweiz/luzern/geschichte-der-ersten-schweizer-fernfahrerin-138508738

https://static1.squarespace.com/static/5ef204a92f151722ebb7bee3/t/60eeccbedf3d323292d799a3/1626262718325/20200720_CH+Media_Jre%CC%80ne+Liggenstorfer.pdf

Sono scritti in tedesco, lingua che non conosco a parte qualche parola, ma con l’aiuto di un amico tedesco, Michi – che parla un pò di  italiano –  che me ne ha fatto un riassunto, e un po di traduttore sono riuscita a mettere insieme un testo, spero che vi piaccia leggere la sua storia:

“Nel 1973 Irene aveva 17 anni e ancora studiava, ma in primavera riusci a partire col fratello di una sua amica, Ueli,  per un viaggio a Teheran. Avevano un mese di tempo e 12.000 km da percorrere per giungere a destinazione.  Mentre attraversavano la Jugoslavia comunista, nei pressi di Belgrado, lei si mise per la prima volta al volante di un camion. Non avevano GPS nè cellulare, ma una scatola piena di carte stradali e la posizione del sole come guida. Dopo aver preso confidenza col cambio a 16 marce e con un veicolo lungo 18 metri Irene decise che avrebbe voluto fare la camionista. Con Ueli nacque anche una storia d’amore,  lui diventò il suo istruttore di guida segreto e successivamente suo marito e il padre dei suoi figli.

I suoi non erano d’accordo, cosi lei fini i suoi studi, fece l’apprendistato come infermiera, ma nel frattempo consegui le patenti per guidare i camion senza dire niente a nessuno.

Finita la formazione mise i suoi familiari di fronte al fatto compiuto,  nonostante loro non fossero per niente d’accordo, anzi pensavano che fare la camionista piuttosto che l’nfermiera fosse un passo indietro dal punto di vista sociale.

Ebbe molte avventure nei dieci viaggi che fece in Iran, il percorso era sempre lo stesso ma  succedeva sempre qualcosa di diverso. Piccoli guasti da risolvere, infinite pratiche burocratiche da sbrigare  quando si attraversavano i confini. Una volta, grazie alla sua formazione da infermiera, aiutò addirittura un collega svizzero che si era ammalato a tornare a casa occupandosi di lui.

Durante i lunghi tempi di attesa a destinazione per lo scarico, Irene girava per i bazar della  città e comprava provviste. Successe che un giorno un uomo le  tagliò da dietro i suoi capelli, raccolti in una coda di cavallo, per motivi religiosi. “Come camionista, probabilmente ho minacciato troppo il suo modo di pensare patriarcale” dice. Da allora indossò sempre  un cappello.

Negli anni ’70 numerosi svizzeri si recavano in Iran o addirittura in Pakistan con i camion. Irene descrive questo periodo come un “boom orientale”. Viaggiava sempre con suo marito. Insieme hanno portato a Teheran interi rimorchi pieni di asciugacapelli, macchine da cucire e persino una Range Rover.

Spesso diversi conducenti si univano per formare piccoli convogli. I camionisti si incontravano nei parcheggi lungo il percorso, o alle fontane dove si fermavano a fare rifornimento di acqua, o nelle leggendarie aree di sosta per camion. Erano sempre tutti contenti di unirsi a loro,  Ueli aveva molta esperienza e parlava diverse lingue. Anche la formazione di Irene come infermiera era  un vantaggio.

Due anni dopo la caduta dell’Iran nelle mani dei Mullah, Irene voleva tornarci nuovamente. Ma i problemi cominciarono con l’ambasciata iraniana a berna,  non volevano rilasciale il visto. Pensavano che Irene fosse una giornalista sotto copertura. Cosi lei  prese  il suo camion e lo  parcheggiò direttamente davanti all’ambasciata bloccandone l’ingresso. “Ha funzionato, ho ricevuto i documenti il giorno stesso.” dice.

A quel tempo erano pochissime le donne che viaggiavano verso l’ Oriente. Successivamente, mentre guidava sulle strade d’ Europa, ha incontrato altre donne camioniste.

Dopo i cambiamenti politici degli anni ’80,  l’Arabia Saudita era l’unica destinazione rimasta per le merci dirette in Medio oriente. Ma li alle donne era vietato guidare. Cosi da allora viaggiò per l’Europa da sola, senza il marito Ueli. Dopo essere scampati per un pelo al furto di un camion e a una valanga, lei e suo marito hanno deciso di stabilirsi.

Dall’inizio del millennio non esistono più camionisti svizzeri a lunga percorrenza, spiega Irene. Ci sono quasi solo gli europei dell’Est che lavorano per salari bassissimi. Ciò significa che in Svizzera è crollato un intero settore.

Per  commemorare quell’epoca ha scritto e illustrato un libro nell’ambito del progetto culturale “Edition Unik”  . In esso racconta la sua storia e quelle di dieci colleghi, quasi cinquant’anni dopo essersi messa per la prima volta al volante di un camion.
Il libro si può ordinare per e-mail: vrthr@bluemail. ”

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Rita, passione e tenacia.

 

 

Nei podcast di K44 ho ascoltato questa intervista con Rita, una collega di “lungo corso”, come l’anno definita. Mi è venuto in mente che ho avuto il piacere di incontrarla, qualche anno fa,  un paio di volte in un’azienda della bergamasca dove andavo a consegnare. Di lei mi colpi il fatto che nonostante fosse più grande di me non aveva nessuna intenzione di scendere dal suo camion! Ed è un piacere sapere che viaggia ancora! Buona strada sempre Rita!

Questo è il link per ascoltare l’intervista:

https://www.spreaker.com/episode/storie-su-ruote-rita-zamarco-passione-e-tenacia-da-autotrasportatrice–58609845?utm_medium=app&utm_source=widget&utm_campaign=episode-title

E questo il testo che accompagna il podcast:

Rita Zamarco è un’autotrasportatrice di lungo corso, ma soprattutto appassionata del suo lavoro e del suo Daily. Trasporta principalmente bulloni, cassoni, pallet e scatole. Ogni anno percorre mediamente 110-120 mila chilometri e da quando ha iniziato a lavorare ha percorso più di 4 milioni di chilometri. In realtà, Rita non ha sempre fatto questa professione. C’è stato un momento, però, in cui si è convinta che quella del trasporto merci fosse la sua strada. Una decisione facilitata in parte dal fatto di avere in famiglia qualcuno che potesse fungere da formatore. Ma sentiamo direttamente dalla sua voce come sono andate le cose. Sentiamo, cioè, una nuova «storia su ruote» che andiamo a inserire all’interno del nostro podcast di K44 – La voce del trasporto.

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La storia di Marcela!

 

Dal blog  “Anche io volevo il camion” dal sito web di Uomini e trasporti, questa volta Elisa Bianchi ha raccolto la bella storia della nostra collega e amica Marcela!

Questo è il ink dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/marcela-tauscher-impariamo-a-perdere-qualche-ora-in-cambio-di-piu-umanita-solo-cosi-possiamo-ritrovare-il-bello-di-questo-mestiere/

E questa la prima parte della sua intervista!

Grande Marcela, buona strada sempre!!!

Marcela Tauscher: «Impariamo a perdere qualche ora in cambio di più umanità. Solo così possiamo ritrovare il bello di questo mestiere»

Marcela Tauscher è in cabina dal 2014, ma per trovare il coraggio di cambiare vita le ci sono voluti dieci anni (le patenti le conservava nel cassetto dal 2004) e un trasferimento dalla Romania in Italia. Oggi sostiene le giovani autiste offrendo loro consigli e informazioni utili perché, sostiene, «non basta avvicinare le donne al settore, ma l’obiettivo è fare in modo che queste ragazze rimangano»

«Non amo i cambiamenti, ma quando li faccio sono radicali». E in effetti, di cambiamenti nella sua vita Marcela Tauscher ne ha fatti pochi ma importanti. Nel 2006 arriva in Italia dalla Romania dove è nata e cresciuta. La sua famiglia, di origine tedesca, si era spostata nell’Europa dell’Est per fuggire dalla Guerra. Nei primi anni Duemila una zia di Marcela decide di venire in Italia e lei, qualche tempo dopo, la segue. Arriva a Mantova che non parla una sola parola di italiano. Se la sentiste parlare oggi, stentereste quasi a credere che non sia madrelingua. «È merito dei molti amici che ho conosciuto in Italia e a cui devo moltissimo» ci racconta. È proprio grazie agli amici che Marcela, dopo una prima e brevissima esperienza come badante per un’anziana signora, trova lavoro in una fabbrica di confezionamento di calze e intimo. Ci resta per sette anni, poi, ancora una volta, il supporto e la motivazione degli amici la spingono a prendere la decisione che prima di allora non aveva mai avuto il coraggio di prendere: cambiare di nuovo vita e salire in cabina. È il 2014 quando Marcela trova il primo lavoro come autista e da allora non è mai più scesa dal camion. «Ho il gasolio nel sangue – racconta ridendo – avevo bisogno solo della giusta dose di coraggio». In effetti, Marcela conserva le patenti nel cassetto già da dieci anni. «Le presi in Romania nel 2004 – ci spiega – ma poi sono rimaste lì, perché mi è sempre mancato il supporto di qualcuno che mi spronasse a provarci davvero».

Quando la raggiungiamo per telefono Marcela è in viaggio. Si trova a Napoli, direzione Rotterdam, ma è partita il giorno prima da Genova. Il programma della settimana è fitto: arrivo programmato nei Paesi Bassi per il venerdì sera, scarico il lunedì mattina della settimana successiva e poi rientro. Le settimane di Marcela scorrono in cabina, il tempo per rientrare a casa è pochissimo, ma non le pesa affatto. «Con il mio precedente lavoro – ci spiega – rientravo a casa tutte le sere, ma avevo sempre qualcosa da fare. Oggi invece ho più tempo a disposizione per me stessa perché quando ho un riposo lungo in camion posso davvero rilassarmi».

Il precedente lavoro di cui Marcela ci parla era anche il primo come autista. Le chiediamo quindi se per lei sia stato facile entrare nel mondo dell’autotrasporto. «Il primo lavoro è arrivato grazie alle conoscenze di un caro amico. Ho iniziato con il furgone, poi la motrice e la biga. Trasportavo colli di intimo negli outlet, ma nel 2020 con il Covid il lavoro è inevitabilmente calato e ho dovuto trovare un’alternativa. Così sono entrata in Autamarocchi, per la quale trasporto container».

Oggi Marcela ha (quasi) 42 anni e il “supporto psicologico”, come lo definisce lei, che le è mancato agli inizi della sua carriera come autista cerca di offrirlo alle giovani ragazze che, come lei dieci anni fa, sono alle prime armi e hanno bisogno di un po’ di aiuto. «Ultimamente si vedono tante nuove ragazze giovani, soprattutto straniere. Così ho creato insieme ad altre colleghe un gruppo Whatsapp per noi “containeiriste”, per aiutarci a vicenda. Ci scambiamo qualche informazione utile, qualche consiglio, così le nuove leve sanno che possono contare sul supporto di noi più anziane, perché non bisogna dimenticare che non basta avvicinare le donne al settore, ma l’obiettivo è fare in modo che queste ragazze rimangano. Il mio contributo è semplicemente quello di aiutarle a vedere il bello di questo mestiere».

E quale è per te il bello di questo mestiere?

«La cosa che mi piace di più è la possibilità di conoscere sempre persone nuove, di creare nuove amicizie. Trovo molto interessante l’aspetto più psicologico di questo mestiere, se così lo possiamo definire, anche se oggi è sempre più difficile trovare persone che abbiano ancora voglia di ridere e scherzare».

A cosa è dovuta questa mancanza di entusiasmo, secondo te?

«Sento molti colleghi lamentarsi, molti sono stanchi, ma ognuno ha le proprie ragioni e non trovo utile giudicare le altre persone perché ognuno fa percorsi di vita e professionale differenti. Io faccio questo lavoro con passione e sono felice così».

Però alcune difficoltà sono oggettive.

«Sì, ma il modo in cui si affrontano i problemi dipende dal carattere di ciascuno. La mia filosofia di vita è di trovare sempre un modo per adattarmi, altrimenti si rischia di passare la vita a stare male. Per esempio, quando sono arrivata in Italia mi sono adattata alla cultura italiana e oggi infatti sono diciotto anni che mi sono qui e mi trovo benissimo».

Ma esiste un modo per trasmettere di nuovo la passione per questo mestiere?

«Ci vorrebbero più esempi, per esempio ex autisti, oggi più anziani, che possano far crescere i giovani. Insomma, qualcuno che possa trasmettere questa passione. A me, per esempio, piace molto ascoltare i racconti dei veterani, del grande Zingaro, Vittorio Spinelli, per dirne uno».

Di veterane ce ne sono diverse anche nel Lady truck Driver Team “Buona strada”, di cui fai parte. Come sei entrata in contatto con questa realtà?

«Ho conosciuto le ragazze del gruppo molto prima di salire in cabina, quando ancora lavoravo in fabbrica. Allora già indagavo su come fosse la vita da camionista donna, così seguivo quello che facevano, i loro viaggi. Poi le ho incontrate di persona e da quel momento per me sono diventate di famiglia».

 


 

Il resto dell’intervista lo potete leggere sulla pagina di Uomini e trasporti.

Buona strada!

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