Posts Tagged "donne camioniste"

Le partecipanti al concorso del Sabo Rosa 2024

 

Anche quest’anno sono numerose le colleghe che partecipano al concorso del Sabo Rosa. Ben 18 tra autiste di autobus, camion e NCC. Le iscrizioni si sono chiuse e io vi voglio proporre anche sulle nostre pagine le loro storie.

Vi state chiedendo che cos’è il SABO Rosa?

“Il SABO Rosa è il tradizionale riconoscimento che, in occasione della Festa della Donna, viene conferito a una lavoratrice del mondo dei trasporti. Il “premio” consiste in un esemplare unico dell’ammortizzatore Sabo tinto di rosa e in un pranzo in onore della vincitrice.

Hanno diritto a ricevere il SABO Rosa: autiste di camion, bus, autoscale; meccaniche, dirigenti di aziende di trasporto, dipendenti o lavoratrici autonome in ogni settore della filiera: dalla produzione alla ricambistica, passando per la logistica.”

Buona strada a tutte le colleghe che partecipano!

https://www.sabo.it/news/sabo-rosa/

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Irene, una pioniera dalla Svizzera

 

Io sono sempre affascinata dalle storie delle donne camioniste degli anni passati. Quella di Irene poi è una storia veramente speciale, in quanto lei fu una delle poche donne camioniste a effettuare viaggi sulla linea del Medio Oriente negli anni ’70. Una vera pioniera!

 

Vi metto alcuni link di articoli su di lei:

https://www.aargauerzeitung.ch/leben/frau-am-steuer-die-verruckte-geschichte-der-ersten-schweizer-fernfahrerin-ld.1239231

https://www.pilatustoday.ch/zentralschweiz/luzern/geschichte-der-ersten-schweizer-fernfahrerin-138508738

https://static1.squarespace.com/static/5ef204a92f151722ebb7bee3/t/60eeccbedf3d323292d799a3/1626262718325/20200720_CH+Media_Jre%CC%80ne+Liggenstorfer.pdf

Sono scritti in tedesco, lingua che non conosco a parte qualche parola, ma con l’aiuto di un amico tedesco, Michi – che parla un pò di  italiano –  che me ne ha fatto un riassunto, e un po di traduttore sono riuscita a mettere insieme un testo, spero che vi piaccia leggere la sua storia:

“Nel 1973 Irene aveva 17 anni e ancora studiava, ma in primavera riusci a partire col fratello di una sua amica, Ueli,  per un viaggio a Teheran. Avevano un mese di tempo e 12.000 km da percorrere per giungere a destinazione.  Mentre attraversavano la Jugoslavia comunista, nei pressi di Belgrado, lei si mise per la prima volta al volante di un camion. Non avevano GPS nè cellulare, ma una scatola piena di carte stradali e la posizione del sole come guida. Dopo aver preso confidenza col cambio a 16 marce e con un veicolo lungo 18 metri Irene decise che avrebbe voluto fare la camionista. Con Ueli nacque anche una storia d’amore,  lui diventò il suo istruttore di guida segreto e successivamente suo marito e il padre dei suoi figli.

I suoi non erano d’accordo, cosi lei fini i suoi studi, fece l’apprendistato come infermiera, ma nel frattempo consegui le patenti per guidare i camion senza dire niente a nessuno.

Finita la formazione mise i suoi familiari di fronte al fatto compiuto,  nonostante loro non fossero per niente d’accordo, anzi pensavano che fare la camionista piuttosto che l’nfermiera fosse un passo indietro dal punto di vista sociale.

Ebbe molte avventure nei dieci viaggi che fece in Iran, il percorso era sempre lo stesso ma  succedeva sempre qualcosa di diverso. Piccoli guasti da risolvere, infinite pratiche burocratiche da sbrigare  quando si attraversavano i confini. Una volta, grazie alla sua formazione da infermiera, aiutò addirittura un collega svizzero che si era ammalato a tornare a casa occupandosi di lui.

Durante i lunghi tempi di attesa a destinazione per lo scarico, Irene girava per i bazar della  città e comprava provviste. Successe che un giorno un uomo le  tagliò da dietro i suoi capelli, raccolti in una coda di cavallo, per motivi religiosi. “Come camionista, probabilmente ho minacciato troppo il suo modo di pensare patriarcale” dice. Da allora indossò sempre  un cappello.

Negli anni ’70 numerosi svizzeri si recavano in Iran o addirittura in Pakistan con i camion. Irene descrive questo periodo come un “boom orientale”. Viaggiava sempre con suo marito. Insieme hanno portato a Teheran interi rimorchi pieni di asciugacapelli, macchine da cucire e persino una Range Rover.

Spesso diversi conducenti si univano per formare piccoli convogli. I camionisti si incontravano nei parcheggi lungo il percorso, o alle fontane dove si fermavano a fare rifornimento di acqua, o nelle leggendarie aree di sosta per camion. Erano sempre tutti contenti di unirsi a loro,  Ueli aveva molta esperienza e parlava diverse lingue. Anche la formazione di Irene come infermiera era  un vantaggio.

Due anni dopo la caduta dell’Iran nelle mani dei Mullah, Irene voleva tornarci nuovamente. Ma i problemi cominciarono con l’ambasciata iraniana a berna,  non volevano rilasciale il visto. Pensavano che Irene fosse una giornalista sotto copertura. Cosi lei  prese  il suo camion e lo  parcheggiò direttamente davanti all’ambasciata bloccandone l’ingresso. “Ha funzionato, ho ricevuto i documenti il giorno stesso.” dice.

A quel tempo erano pochissime le donne che viaggiavano verso l’ Oriente. Successivamente, mentre guidava sulle strade d’ Europa, ha incontrato altre donne camioniste.

Dopo i cambiamenti politici degli anni ’80,  l’Arabia Saudita era l’unica destinazione rimasta per le merci dirette in Medio oriente. Ma li alle donne era vietato guidare. Cosi da allora viaggiò per l’Europa da sola, senza il marito Ueli. Dopo essere scampati per un pelo al furto di un camion e a una valanga, lei e suo marito hanno deciso di stabilirsi.

Dall’inizio del millennio non esistono più camionisti svizzeri a lunga percorrenza, spiega Irene. Ci sono quasi solo gli europei dell’Est che lavorano per salari bassissimi. Ciò significa che in Svizzera è crollato un intero settore.

Per  commemorare quell’epoca ha scritto e illustrato un libro nell’ambito del progetto culturale “Edition Unik”  . In esso racconta la sua storia e quelle di dieci colleghi, quasi cinquant’anni dopo essersi messa per la prima volta al volante di un camion.
Il libro si può ordinare per e-mail: vrthr@bluemail. ”

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Rita, passione e tenacia.

 

 

Nei podcast di K44 ho ascoltato questa intervista con Rita, una collega di “lungo corso”, come l’anno definita. Mi è venuto in mente che ho avuto il piacere di incontrarla, qualche anno fa,  un paio di volte in un’azienda della bergamasca dove andavo a consegnare. Di lei mi colpi il fatto che nonostante fosse più grande di me non aveva nessuna intenzione di scendere dal suo camion! Ed è un piacere sapere che viaggia ancora! Buona strada sempre Rita!

Questo è il link per ascoltare l’intervista:

https://www.spreaker.com/episode/storie-su-ruote-rita-zamarco-passione-e-tenacia-da-autotrasportatrice–58609845?utm_medium=app&utm_source=widget&utm_campaign=episode-title

E questo il testo che accompagna il podcast:

Rita Zamarco è un’autotrasportatrice di lungo corso, ma soprattutto appassionata del suo lavoro e del suo Daily. Trasporta principalmente bulloni, cassoni, pallet e scatole. Ogni anno percorre mediamente 110-120 mila chilometri e da quando ha iniziato a lavorare ha percorso più di 4 milioni di chilometri. In realtà, Rita non ha sempre fatto questa professione. C’è stato un momento, però, in cui si è convinta che quella del trasporto merci fosse la sua strada. Una decisione facilitata in parte dal fatto di avere in famiglia qualcuno che potesse fungere da formatore. Ma sentiamo direttamente dalla sua voce come sono andate le cose. Sentiamo, cioè, una nuova «storia su ruote» che andiamo a inserire all’interno del nostro podcast di K44 – La voce del trasporto.

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La storia di Samantha

 

 

Tra le candidate al Sabo Rosa 2024 c’è anche la collega Samantha, questa è la sua storia presa dal link ufficiale del concorso:

https://www.sabo.it/samantha-sartoni-2/

 

Questa è la sua intervista:

Samantha Sartoni

Attività: autista di camion
Residenza: Castrocaro Terme (FC)

Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?

Il primo contatto con il mondo dei camion l’ho avuto frequentando un ragazzo che lavorava come rottamatore. Ogni tanto mi capitava di viaggiare con lui e mi sono appassionata ai mezzi pesanti. Così, nel 2019, ho deciso di prendere le patenti e di iniziare a fare il lavoro di camionista. Oggi guido un camion per un’azienda che trasporta uova, ed è un lavoro in cui bisogna stare attenti a dosare il gas, soprattutto nelle rotonde, altrimenti si fanno delle gran frittate.

La mia famiglia, che non è composta da camionisti, ha appoggiato questa mia decisione, anche se ormai credo si siano adeguati al fatto che quando mi metto in testa una cosa la faccio, come quando presi la patente della moto. A dir la verità, in quel momento, mia mamma era un po’ meno contenta. D’altro canto noi romagnoli i motori li abbiamo nel sangue.

Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?

Il Sabo Rosa l’ho scoperto l’anno scorso guardando una notizia su un giornale online. Avendo perso l’occasione di partecipare, perché era scaduto il termine per l’iscrizione, mi sono segnata il fatto di iscrivermi quest’anno.

Mi piace l’idea del Sabo Rosa, perché rivaluta l’idea delle donne in un lavoro che da sempre è considerato solo per i maschi. È un’iniziativa molto bella.

Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?

Credo occorra rivalutare il fatto che le donne non sono da meno degli uomini, in  nessun tipo di lavoro. L’unica cosa che può allontanare una donna da questo mestiere è se se la senta oppure no. Quindi faccio un appello a tutte coloro che magari non fanno le camioniste, o le autiste, perché credono che sia un lavoro “che non si può fare”. Se te la senti, provaci. Ci vuole un po’ di polso e la convinzione di riuscire.

Per il resto quando gli uomini mi vedono scendere da un camion mi guardano con rispetto. E già questo è un bel risultato.

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Una camionista Con i fiocchi: Elda!

Dal canale You Tube del collega Pierantonio De Piccoli una bella video chiacchierata con la nostra cara collega Elda!

Buona strada a tutti e due!

 

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Vita da camionista – Intervista alla zia Lory, camionista.

 

Questa volta girando e rigirando nel web ho trovato quest’audio “intervista alla zia Lory”, sul sito https://www.pugnodisale.com/

La collega Lory racconta la sua vita da camionista (a sua nipote?) iniziata negli anni ’90 e durata per 23 anni. Ricordi, aneddoti, racconti di una vita on the road….tra problemi, discriminazioni e anche soddisfazioni!

La potete ascoltare a questo link:

https://www.pugnodisale.com/vita-da-camionista/

Questa è la presentazione dell’intervista:

“Per me ha sempre incarnato l’ideale della donna forte e volitiva, immaginatevela non tanto alta, dal fisico asciutto ma muscoloso, una donna brillante che sa tener banco con mille aneddoti avventurosi, felice di ciò che fa anche se quelle scelte, più di una volta, l’hanno messa di fronte a giudizi aspri e implacabili.

Una donna bellissima e sorridente questo era in quegli anni. Gli anni 90′ e 2000, l’hanno vista attraversare quasi tutti i paesi europei a bordo del suo camion. Lei, donna camionista in Italia, una delle prime che guardarono a quel mestiere con la voglia di riscatto, un modo per misurarsi con i propri limiti ma a modo proprio, liberamente.

Sceglie viaggiare per tutta Europa, stando quindi fuori casa una settimana intera, a volte due, per 21 anni: Inghilterra, Irlanda, Germania, Danimarca, Olanda, Spagna, Francia, Belgio in anni in cui ci si muoveva con le cartine, arrangiandosi con l’inglese e un’infarinatura delle altre lingue.

“Eravamo due in Italia quando ho iniziato, l’ho presa come una sfida”

“Eravamo due in Italia quando ho iniziato – e con orgoglio racconta di un lavoro non così strano o difficile secondo lei, forse più uno stile di vita – l’ho presa come una sfida”. Si sa “un camionista è solo!”. Sola quindi ha dovuto ideare tutte le sue strategie di sopravvivenza: “Non mi fermavo mai a dormire nel luogo dove mi fermavo a mangiare e quando mi fermavo per riposare non scendevo dal camion per non attirare l’attenzione, mettevo una cinghia con un cricchetto da una portiera all’altra per sentirmi più sicura”.

Nella cabina o appena fuori si svolgeva tutta la vita, si organizzava la spesa, si faceva da mangiare ci si dedicava all’igiene, con ritmi completamente liberi. “Una volta ho portato mio figlio con me, andavo a scaricare vicino casa quella volta. Mi dice di aver fame e poi si mette a riposare in brandina, io gli cucino un buon minestrone, ma quando si sveglia è inorridito ‘mamma sono le 8 del mattino, avevo fame di latte e biscotti’ Ma per me era normale mangiare un minestrone a quell’ora, io mangiavo quando avevo fame”.

Ha vissuto lo stigma dell’essere donna in un mondo di uomini, nell’ambiente i suoi successi erano spiegati da favoritismi dati in cambio di favori sessuali, “perché se mi fermavo in piazzale non stavo dormendo come tutti ma mi davo alla pazza gioia secondo alcuni”. Il giudizio degli altri però poco importava, i suoi datori di lavoro hanno sempre creduto in lei così come le decine di amici e colleghi che hanno costituito la sua comunità.

Ha vissuto lo stigma dell’essere donna in un mondo di uomini, nell’ambiente i suoi successi erano spiegati da favoritismi dati in cambio di favori sessuali.

Una comunità che aveva un mezzo di comunicazione a dir poco mitico e iconico, il baracchino di vitale importanza per ricevere informazioni legate al traffico, per chiacchierare lungo la strada, per incontrarsi e sentirsi meno soli. Tutti hanno incontrato nella vita camionisti che con magie riuscivano a scaricare oggetti di marca a prezzi stracciati: racconta dei sigilli che se scaldati nell’acqua calda si aprivano e dei mille modi in cui ci si riappropriava del lusso negato: con un suo collega si pasteggiava sempre champagne.

Il camion non era un luogo di lavoro ma era il luogo di vita, il luogo dove si cucinava, dove si dormiva dove si leggeva e si sognava, lei all’occorrenza sganciava il rimorchio e andava a fare la spesa, girava per la città, si occupava della sua igiene e di quella del camion “nessuno è mai salito con le scarpe sul mio camion”. Oggi mi accoglie mostrandomi le sue foto i suoi occhi brillano si vede che la vita che ha scelto è quella che l’ha fatta felice e a volte la nostalgia verso quei tempi rende il racconto un po’ amaro; è difficile tornare alla vita fatta di orari e scadenze. Mi da l’idea che voglia raccontarmi ancora tante cose, mi accenna della volta in cui ha portato sua sorella, degli anni, gli ultimi, passati a lavorare con suo marito, di quella volta che ha lanciato la sua fede nuziale dal finestrino.”

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Un articolo di qualche anno fa… ma è sempre attuale!

 

Sono sempre alla ricerca di qualsiasi cosa che parli di noi, cosi ho trovato questo articolo non più recente – è del 2019 – è la storia della collega Paola, che per trovare lavoro al volante di un camion è dovuta andare all’estero… forse adesso qualcosa è cambiato, ma ci sono ancora donne che purtroppo vengono guardate con diffidenza quando si propongono alle aziende come autiste…

Questo è il link:

https://salto.bz/en/article/25102019/io-una-camionista-bordo-del-diavolo

E questa la prima parte dell’articolo :

“Io, una camionista a bordo del Diavolo”

Paola Cestari, autotrasportatrice trentina impiegata in Austria, sui pregiudizi quotidiani, la fiducia dei colleghi maschi da conquistare e il giro di vite al Brennero.

Paola Cestari

Foto: Paola Cestari

“È come un richiamo, a un certo punto devo accendere il motore e andare”. Lei si chiama Paola Cestari, 37 anni, è di Trento, e dal 2016 fa la camionista. Dopo aver cominciato a lavorare nel settore dell’autotrasporto in Italia la “zingara”, soprannominata così dai suoi cari, è approdata in Germania, “avevo il pallino dell’estero”; ha imparato il tedesco e oggi lavora per una ditta austriaca girando a bordo del suo “Gangal” (“diavolo” in dialetto tirolese, il nome del suo autoarticolato), un “bestione” di 16 metri e mezzo che tre settimane fa ha messo in bella mostra in occasione del suo primo raduno di camionisti. Paola viaggia soprattutto di notte, toccando città come Brema, Modena, Milano, Venezia, e nella sua ancora breve carriera, ha trasportato di tutto, dal legno al marmo. Una vita dura, fatta di orari estenuanti, chilometri da macinare ogni giorno, merci da consegnare in orario e, sgradito “bonus” riservato alla compagine femminile, stereotipi da abbattere a spallate.

Insomma, un mestiere che forse più di altri richiede una massiccia dose di passione. “Da quando ho memoria volevo fare l’autotrasportatrice, è un sogno che avevo fin da bambina, mia madre sperava che cambiassi idea ma non è successo”, racconta Paola. La strada per tagliare l’agognato traguardo non ha concesso scorciatoie. “All’inizio mi è mancato il coraggio, non avevo alle spalle una famiglia proprietaria di un’azienda di trasporti, mio padre lavorava all’Enel, mia madre faceva la casalinga, e io sono, come dire, la ‘prima del mio nome’, ad aver intrapreso questa avventura”, dice con misurato orgoglio, spalancando un sorriso.

Orgoglio e pregiudizio

A 16 anni Paola si inventa benzinaia, poi arriva la parentesi del panificio a Trento, “ma mi mancava l’aria a stare chiusa in un negozio”; nel 2013 Paola prende le patenti C e CE, valide per la guida di camion e veicoli adibiti al trasporto merci, e inizia “dal basso”, con i furgoni, girando in lungo e in largo il Trentino-Alto Adige. “Il mio ex marito faceva l’autista ma non ha mai voluto che diventassi camionista”, confessa Paola, “in più da parte dei datori di lavoro all’inizio la diffidenza era tanta, a Trento per esempio una ditta mi ha liquidato dicendo che non avevo abbastanza esperienza, ‘ma se fossi stata un uomo lo avreste preso senza troppe storie, ho obiettato, purtroppo l’attività dell’autotrasporto viene ancora generalmente percepita come non adatta alle donne”. Le differenze geografiche in questo senso esistono, sottolinea la camionista, “ho notato che in Austria e Germania c’è profondo rispetto verso le donne che fanno questo mestiere, in Italia invece ti guardano ancora con un certo sospetto”.

Le torna in mente un episodio: “Una volta mi trovavo in Italia, vicino a Venezia, ed ero in procinto di scaricare la merce. Un magazziniere, non sapendo che fossi italiana dato che ho la targa austriaca, dà di gomito al collega e indicandomi con il mento a punta gli dice: ‘Vediamo quanto ci mette a mettere il Tir sulla rampa’. Avevo il finestrino abbassato e il commento non mi era sfuggito. Faccio le mie due manovre, scendo dal mezzo e gli chiedo: ‘Ci ho messo il tempo giusto?’, lasciandolo di stucco”.
Sulla litania della retorica stucchevole di cui si nutre il pregiudizio si sovrappone però la melodia del controcanto, che risuona nell’ironia di un cartello recante un annuncio di lavoro (come testimonia la foto sottostante), che Paola ci mostra divertita, o nell’umanità dei colleghi incontrati in viaggio. “Un giorno un autista turco, vedendo il mio camion sulla rampa, mi ha scambiato per la segretaria del magazzino, e quando ha scoperto che guidavo io il mezzo si è inginocchiato davanti a me, tra riverenze e complimenti”, ricorda Paola. “Un’altra volta, in Germania, un autista sloveno mi ha salvato, erano le 3 di notte e mi ha aiutato trainando il mio camion che si era impantanato”.

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(…) continua…

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Aperte le iscrizioni per il concorso “Sabo Rosa 2024”

 

Riparte il concorso per il Sabo Rosa, edizione 2024, come sempre offerto dalla Roberto Nuti Group a una donna impiegata nel settore dei trasporti. Il premio verrà conferito in occasione della Festa della Donna.

Questo è il link ufficiale:

https://www.sabo.it/donne-autista-via-alle-candidature-del-sabo-rosa-2024/

E questo il testo:

 

Donne autista, via alle candidature del Sabo Rosa 2024

È partita la quindicesima edizione del Sabo Rosa, il tradizionale riconoscimento che, in occasione della Festa della Donna, viene conferito a una lavoratrice del mondo dei trasporti. Alla “Autista/Camionista dell’anno”, ma possono partecipare tutte le dipendenti della filiera del trasporto, verrà consegnato, nella giornata di mercoledì 6 marzo 2024, un esemplare unico dell’ammortizzatore Sabo con livrea rosa. La cerimonia si svolgerà nella nostra sede bolognese.

Per partecipare si può inviare la candidatura, propria o di un’altra persona, entro le ore 12.30 del 20 febbraio 2024 compilando in pochi minuti l’apposito form accessibile cliccando qui.

Hanno diritto a candidarsi per il Sabo Rosa: autiste di camion, bus, autoscale; meccaniche (riparazione di veicoli industriali), dirigenti o dipendenti di aziende di trasporto, lavoratrici o imprenditrici in ogni settore delle filiere del trasporto merci o persone, manager, titolari o dipendenti di rivenditori di ricambi, costruttori di rimorchi..

La preselezione della candidature sarà svolta da un team di giornalisti, il quale procederà a contattare e intervistare le partecipanti per dare risalto alle loro appassionanti storie lavorative e di vita. Sulla base di questi profili la giuria, composta dalle dipendenti dell’azienda main sponsor dell’iniziativa e presieduta da Elisabetta Nuti, direttore finanziario del nostro Gruppo, proclamerà la vincitrice dell’esclusivo riconoscimento. Al termine della cerimonia di consegna, sarà offerto un pranzo alla vincitrice e a un suo accompagnatore

Il Sabo Rosa è stato istituito nel 2010 e, finora, è stato consegnato a una campionessa di cronoscalata e manager di team corse, un’autista dei Vigili del Fuoco, due autiste di pullman, alla titolare di un’officina meccanica e a otto camioniste: due bolognesi, una livornese, una modenese, una lombarda, una altoatesina, una ligure e tre venete. Chi sarà la prossima a festeggiare l’Otto marzo con il prestigioso “esemplare unico” riservato alla camionista/autista dell’anno?

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On the road with Mexico’s female truck drivers

 

Un video che racconta la storia di tre camioniste messicane: Clara, Liszt e Paty, che hanno rotto le barriere in un mondo ancora prevalentemente maschile, quello dell’autotrasporto. Loro sono alcune delle  ” Mexico’s traileras”,  donne camioniste che viaggiano sulle lunghe distanze sulle pericolose strade della loro nazione. E lo fanno con una grande passione!

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I consigli di una collega e la sua storia: Chiara!

 

Dalla rubrica “Me l’ha detto un camionista” dal sito di “Uomini e trasporti”, la storia della collega Chiara che  ci consiglia la trattoria “La locanda delle noci” a Passo Corese (RI) .

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/me-lha-detto-un-camionista/pizzeria-la-locanda-delle-noci-passo-corese-ri/

E questa la prima parte dell’articolo (che continua nella pagina ufficiale di Uomini e Trasporti):

 

La Locanda delle Noci | Passo Corese (RI)

Chiara Belleggia.

Per il ristorante truck del mese ci siamo rivolti a una nostra “vecchia” conoscenza, Chiara Belleggia, che intervistammo qualche tempo fa per la rubrica Anche io volevo il camion (potete andare a leggere l’articolo sul nostro sito). Chiara ha 34 anni ed è nata a Monterotondo, in provincia di Roma. È autotrasportatrice da quando ne aveva 18 ed è figlia d’arte, anzi nipote d’arte visto che anche il nonno, oltre al padre, faceva il camionista. Lavora per la FR Pluriservizi, una ditta di Anzio, con cui trasporta un po’ di tutto, dai frigoriferi alle centine, dall’alimentare all’abbigliamento. La Locanda delle Noci – questo il nome del locale di cui parliamo – Chiara l’ha conosciuta perché si trova vicino al Polo Logistico di Fara Sabina, in provincia di Rieti, un’infrastruttura che spesso attraversa nei suoi viaggi. «Una sera ho provato per curiosità ad andarci a mangiare con un collega – mi racconta – e ci siamo trovati benissimo. É una trattoria/pizzeria di medie dimensioni, un ambiente carino con camerieri giovani e cordiali. Fanno paste favolose della tradizione capitolina, ben condite e cotte al punto giusto, e lo dico da romana doc. Ed è per questo che tanti autotrasportatori lo frequentano».

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