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La storia di Annamaria

 

 

Un’altra bella storia di una nostra collega raccolta da Elisa Bianchi e pubblicata nel blog di Uomini e trasporti: “Anche io volevo il camion”.

Annamaria è prossima alla pensione, ma non vorrebbe lasciare il suo lavoro perchè ama troppo la vita da camionista!

Grande collega! Buona strada sempre!

Questo è il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/annamaria-ciancia-la-vita-in-cabina-di-una-delle-prime-autiste-italiane/

Questo è il testo:

 

Annamaria Ciancia, la vita «in cabina» di una delle prime autiste italiane

Il 24 dicembre Annamaria Ciancia compirà 67 anni. Dopo oltre quattro decenni come autista, tra un anno dovrà appendere il volante al chiodo, ma lei non ne vuole sapere. Ripercorriamo la carriera di una delle prime donne italiane ad aver preso la patente C

La storia di Annamaria Ciancia parte da quello che ormai è quasi un epilogo: «Il prossimo anno compirò 68 anni e dopo 44 anni alla guida di un camion sarò costretta a lasciare il volante» ci racconta. Nella sua voce si avverte una nota amara. «In Italia a 68 si è considerati vecchi, senza valutare il reale stato di salute di una persona. Il risultato è che ti declassano la patente. Niente più mezzi al di sopra dei 200 quintali. Al di sotto, invece, a quanto pare si è ancora liberi di fare danni. Sinceramente non voglio pensare a cosa farò l’anno prossimo, mi sento già male al pensiero che dovrò lasciare il mio lavoro». Facciamo allora un salto indietro di 44 anni e ripercorriamo la carriera straordinaria di Annamaria, una delle prime donne – ci tiene a ricordarlo – ad aver preso la patente C in Italia, quando le donne alla guida di un camion ancora erano un miraggio.

Quando sei salita su un camion per la prima volta?

Fu con il mio ex marito, un autista che viaggiava principalmente all’estero. Sono sempre stata appassionata di motori, amavo il rally, il motocross, e così dopo una breve esperienza come insegnante di scuola materna e come impiegata per le Assicurazioni Generali, decisi di lasciare il mio lavoro – che non mi rappresentava affatto – per seguirlo. Abbiamo viaggiato in Belgio, Inghilterra, Francia e Germania e più viaggiavo più questo mondo iniziava a incuriosirmi. All’estero di donne autiste già se ne vedevano, quindi è stato spontaneo per me pensare che avrei potuto farlo anche io. La prima volta che mi misi al volante fu in un’area di sosta in Francia, un posteggio enorme e deserto. Fu quella la mia prima guida, da allora di strada ne ho fatta parecchia.

In Italia però, al contrario di quanto accadeva all’estero, di donne autiste ancora non ce ne erano. Come è stata accolta la tua decisione?

Un giorno dissi a mio marito che non sarei partita con lui, ma che sarei andata a scuola guida a informarmi per la patente. Non era d’accordo, ma la mia decisione ormai l’avevo presa: al suo ritorno ero già iscritta e poco tempo dopo conseguii la patente C e la patente E. Tra l’altro ricordo che al mio esame l’esaminatrice era una donna che rimase piacevolmente sorpresa vedendomi. Quando diedi l’esame per la patente E, invece, trovai un uomo che era piuttosto spaventato dal fatto che a guidare fosse una donna. Mi diede la patente praticamente subito, perché voleva restare a bordo con me il meno possibile.

E il lavoro come è arrivato?

In realtà, per dieci anni ho dovuto continuare a viaggiare con mio marito. L’idea che una donna guidasse un camion da sola era fuori discussione. Ma quando mio marito decise di intraprendere un’attività sua, relegando me alla gestione degli aspetti burocratici, non ce la feci più. O meglio, resistetti per qualche anno, poi ci lasciammo e io decisi di trasferirmi dal Piemonte alla Lombardia, dove c’erano più opportunità. Rincominciai da capo lavorando come operaia, poi un giorno bevendo un caffè conobbi un autista. Gli raccontai la mia storia e mi propose di fare qualche viaggio con il fratello. Dopo tre settimane con lui ebbi finalmente il suo benestare. Potevo riprendere il mio lavoro di autista per la sua azienda.

Oggi che cosa guidi e che cosa trasporti?

Oggi guido il mio sogno: un Volvo FH. È stata una sorpresa del mio principale e di sua moglie. A febbraio sono stata operata all’anca e al mio rientro al lavoro mi ha fatto trovare il camion che avevo sempre desiderato. Oggi trasporto latte, panna, vino, olio, qualche volta capita anche di trasportare distiller e melasso, prodotti che vanno nelle stalle. Con il trasporto alimentare ho trovato la mia dimensione, nonostante abbia cambiato tante aziende e tanti tipi di trasporto nel corso di questi anni, sono certa che finirò la mia carriera nell’azienda in cui lavoro da due anni e mezzo: l’Autotrasporti Boaglio di Cardè, in provincia di Cuneo.

Non ti dai pace all’idea che il prossimo anno dovrai smettere, ma la tua è una vita frenetica. Non sei stanca?

Passo fuori casa tutta la settimana, weekend compresi perché con il trasporto alimentare i sabati e le domeniche non si riposa – salvo restando le pause dovute – viaggiando per il Nord Italia, ma vivo malissimo l’idea che l’anno prossimo dovrò fermarmi. Ho sempre fatto il mio lavoro con amore. Questo non significa che sia facile o che tutti i giorni siano perfetti, ma io sono felice di viaggiare con il mio camion. Mi rendo conto che per molte persone possa sembrare strano, ma io mi sento ancora energica. Certo il mio corpo non è più quello di quando avevo 25 anni, ma sono ancora in grado di fare il mio lavoro. Non accetto che mi venga detto il contrario. Non sarebbe quindi più logico fare come all’estero? Con le visite adeguate potrei continuare a lavorare. Bisognerebbe basarsi sulla persona, non sull’età. Per non parlare del fatto che i veri pericoli non sono le persone con esperienza che fanno questo mestiere con amore.

A cosa ti riferisci?

Una volta chi viaggiava sul camion lo faceva per passione, oggi purtroppo ci sono tante persone che lo fanno solo per esigenza, senza avere nulla a che fare con questo mestiere. Il fatto è che per viaggiare non basta avere la patente, serve avere passione per diventare un buon autista, e vale sia per gli uomini che per le donne. Quando si è alla guida di certi mezzi bisogna essere consapevoli della responsabilità che si ha, serve la giusta preparazione, oltre all’entusiasmo. Allo stesso tempo, però, non basta solo la passione, ma serve più rispetto per chi fa questo mestiere. Negli anni passati molte aziende se ne sono approfittate giocando al ribasso degli stipendi. Se qualcosa non cambia, arriverà il giorno in cui i camion resteranno fermi nei posteggi.

La preparazione adeguata dovrebbe arrivare dalle scuole di guida. 

Oggi è più difficile prendere le patenti, ma si fa meno attenzione a quello che si insegna. Servirebbero lezioni specifiche sull’importanza di certi gesti e manovre da evitare. Non solo quando si studia per prendere le patenti del camion, ma per qualsiasi patente. Per esempio, sarebbe opportuno insegnare anche agli automobilisti che un camion ha delle zone d’ombra, degli angoli ciechi. Non è sempre colpa degli autisti. Servirebbe sensibilizzare un po’ di più tutti gli utenti della strada.

Parliamo invece delle donne autiste. Tu sei stata una delle prime in Italia. Che prospettiva futura vedi?

Non posso dire di vedere oggi parecchie donne alla guida di un camion, ma sicuramente di più di una volta. Qualche mese fa mi trovavo in un’area di servizio, stavo camminando con il mio cagnolino Trilli, un pinscher che viaggia sempre con me, quando ho sentito un signore esclamare «Complimenti!». Sinceramente pensavo si riferisse a Trilli. Poi ho capito che era entusiasta del fatto che fossi io l’autista. Mi ha detto di avere una ditta di autotrasporti e tra i suoi autisti anche una donna ma, soprattutto, di essere talmente contento che se gli arrivassero altre candidature da parte di donne le assumerebbe all’istante. Mi ha fatto piacere. Non nego che ancora oggi ci siano colleghi che non apprezzano, ma credo che stia tutto nell’intelligenza del singolo individuo.


 

(….) l’articolo continua nella pagina di Uomini e trasporti.

Buona strada sempre!

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Incontro tra colleghe!

E’ sempre bello incontrarsi tra colleghe!

Ciao Chiara, buona strada sempre!!!

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La storia di Beatriz

 

Un’altra nuova collega, Beatriz,  ci racconta la sua storia in questa intervista di Elisa Bianchi dal blog di Uomini e Trasporti – Anche io volevo il camion.

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/beatriz-alvez-la-mia-nuova-vita-felice-alla-guida-di-un-camion/

Questo il testo:

Beatriz Alvez: «La mia nuova vita (felice) alla guida di un camion»

Ha 52 anni, è argentina ed è «una forza della natura», o almeno così si sente dire di lei in giro. In effetti, la storia di Beatriz Alvez, autista da poco più di un anno, è tutt’altro che scontata: nella sua famiglia nessuno è autista e anzi, nemmeno lei ha mai pensato di trovare posto in cabina. E allora cosa ci fa un’ex odontoiatra di Buenos Aires alla guida di una motrice?

Ci sono interviste che non hanno bisogno di frasi a effetto introduttive. Questa a Beatriz Alvez è una di quelle, perché la sua storia è un susseguirsi di colpi di scena che forse più che un’introduzione servirebbe una premessa: per leggerla non bisogna aver paura di saltare nel vuoto.
Beatriz Alvez nasce cinquantadue anni fa da una famiglia di militari, nella campagna argentina. Dopo l’infanzia si trasferisce a Buenos Aires dove si laurea in odontoiatria e conosce l’amore. Si sposa e diventa mamma di due bambini, un maschio e una femmina, che cresce mentre avvia la sua carriera in uno studio dentistico. 11.147 chilometri più in là, esattamente la distanza che divide l’Italia da Buenos Aires, l’attende però la sua nuova vita. Ecco il primo salto nel vuoto.
Undici anni fa l’ormai ex marito di Beatriz decide di trasferirsi in Italia con i figli: l’Argentina sta passando un periodo buio, il pericolo è dietro l’angolo e Beatriz decide di seguire la sua famiglia. Si traferisce a Frosinone, in campagna, dove ritrova le abitudini dell’infanzia e inizia una nuova vita. «Non è stato facile all’inizio, lo ammetto. La mia laurea argentina in Italia non vale, quindi ho dovuto reinventarmi». E Beatriz ci riesce benissimo: trova lavoro come divulgatrice scientifica per una grande azienda e inizia così a viaggiare in tutto il mondo per lavoro. «Ho fatto questa vita per sette anni, poi mi sono resa conto che ero stanca. Quando il mio contratto è scaduto, ho deciso di non rinnovare, di prendermi del tempo per me. Di mezzo c’è stato il covid e poi ho iniziato a viaggiare per piacere, da sola, prendevo la mia macchina e partivo. Avevo voglia di guidare». Ed è qui che qualcosa scatta. La scintilla si accende e in una come Beatriz è difficile spegnerla: «Vedevo spesso i camion posteggiati nelle piazzole di sosta, mi incuriosiva guardali, finché a un certo punto mi sono detta: perché non guidare per lavoro?». Dalla nascita dell’idea alla sua esecuzione il passo è breve. Beatriz prende le patenti e in poco tempo si ritrova a cercare lavoro come autotrasportatrice.

Ma qui il dubbio sorge: forse era già un sogno custodito nel cassetto?

Assolutamente no, mai mi sarei immaginata di fare l’autista, nella mia famiglia nessuno ha fatto questo mestiere prima e sicuramente nessuno si aspettava che io a 52 anni prendessi questa strada. Ma nella mia vita mi è sempre stato detto quello che dovevo fare, per una volta volevo decidere per me stessa, seguire quello che mi faceva stare bene e quello che mi faceva stare bene in quel momento era guidare.

Per iniziare, però, serve trovare un lavoro.

Caricai il mio curriculum su internet ma fu un errore perché iniziai a ricevere diverse chiamate che possiamo definire delle prese in giro. Un giorno mi suonò il telefono, era un uomo e mi chiedeva se davvero stessi cercando lavoro come autista. Alla mia risposta affermativa mi disse che era meglio se andavo a lavare i piatti. Appesi, non vale la pena arrabbiarsi.  Molte ditte a cui mi rivolsi però mi dissero che non potevano assumermi perché non avevano donne con cui farmi fare l’affiancamento e con un collega uomo sarebbero sicuramente sorti problemi. Ci sono ancora tante barriere da abbattere, evidentemente. Però alla fine ce l’ho fatta, ho trovato il lavoro che volevo alla guida di una motrice frigo.

A distanza di poco più di un anno la scintilla c’è ancora?

Rifarei questa scelta anche prima, non so perché ho perso tanto tempo. Dicono tutti che quella dell’autista è una vitaccia, per carità è vero non è facile. Si lavora tante ore, la maggior parte delle quali passate in solitudine e se c’è qualche problema te lo devi risolvere da solo, ma in fondo anche nel mio primo lavoro era così. Se hai un paziente sul lettino hai comunque delle responsabilità, hai dei problemi da risolvere. Sul camion ne hai di più e soprattutto devi pensare che sulla strada non sei solo, ci sono macchine, pedoni e ciclisti.

Un problema di cui si sente parlare spesso ultimamente…

Sì, ma viene mostrato solo un lato. La colpa, alla fine, ricade sempre sull’autista ma ci si dimentica di guardare cosa sta dietro al problema. Spesso si lavora in condizioni difficili, le regole non vengono rispettate oppure chi si occupa di pianificare i trasporti non conosce le reali caratteristiche di un determinato territorio e il risultato è che ti trovi a dover scegliere tra il meno peggio. Così non va bene, non funziona, serve più controllo perché quello che vediamo è solo la punta dell’iceberg.

A risentirne, alla fine, è l’immagine del settore.

Ci sono molti stereotipi rispetto alla figura dell’autista, di conseguenza spesso si pensa di poterne approfittare. Ma l’intelligenza non è data dai titoli di studio, ho conosciuto persone che sanno fare benissimo il proprio lavoro alla guida di un camion pur non avendo studiato. Questo settore, che non è sicuramente facile, è fatto da persone competenti e dobbiamo essere orgogliosi di questo, noi autisti in primis. Eppure, le aziende che la pensano così sono ancora poche. Faccio un esempio: qualche tempo fa ho ripreso a mandare il mio curriculum perché volevo cambiare, ma alla fine su consiglio di mio figlio ho dovuto togliere la mia esperienza come odontoiatra e divulgatrice scientifica. A quanto pare ero “troppo qualificata” e penso sia un peccato perché è una cosa di cui io vado orgogliosa.

Alla fine, il lavoro l’hai trovato?

Sì, ho iniziato da pochi giorni. Guido il bilico e faccio trasporti in ADR. L’affiancamento lo sto facendo con una ragazza, l’unica altra donna oltre a me in azienda.

Perché ci sono ancora così poche donne secondo te?

I tabù ci sono ancora non possiamo negarlo, eppure è provatissimo che noi donne possiamo fare questo mestiere. Dobbiamo entrare nel settore perché possiamo essere un valore aggiunto, possiamo cambiarne l’immagine. E poi non se ne può più dello stereotipo che una donna autista non sia femminile. Io oggi mi sento femminile tanto quanto lo ero da odontoiatra e non perderò questa caratteristica facendo questo lavoro.

Però sicuramente è richiesto uno sforzo fisico.

Sì, ma il camion non lo devo portare in spalla. La prima volta che sono salita in cabina pensai che fosse un mezzo davvero imponente, eppure potevo controllarlo con le mie mani. Se devo essere sincera, mi sono sentita come un Transformers, quelli dei film. Certo non nego che all’inizio anche io ero preoccupata per il peso dei carichi e degli scarichi, ma ho capito che basta un po’ di pratica e manualità ed è fatta. Sicuramente è richiesto uno sforzo, ma non sovraumano, altrimenti non sarei qui oggi a parlarne. E pensare che io non avevo mai guidato neanche un suv, ho sempre avuto macchine piuttosto piccole.

Qual è il ricordo più bello che hai collezionato in questo primo anno come autista?

Qualche mese fa andai a scaricare a Roma. Stavo facendo manovra quando vidi una donna nel piazzale che guardava incuriosita in cabina. Quando entrai in magazzino mi ricevettero tutti con un applauso: era stata lei a dire ai ragazzi che c’era una donna a fare manovra con il camion e che meritavo un applauso. Questi momenti sono emozionanti, una cosa del genere non mi era mai successa nella mia precedente professione.

Hai già in programma altri cambiamenti per il futuro?

Io sono fatta così, quando mi annoio devo cambiare. Ho pensato di fare l’estero, era una delle opzioni sul tavolo quando ho scelto di lasciare la precedente ditta per cui lavoravo, ma ho già viaggiato tanto in vita mia e la sera mi piace tornare a casa, ai miei spazi. Sono nonna adesso e vorrei godermi anche la mia nipotina, le mie amicizie, la mia casa, il mio orto, le mie passioni. Sicuramente voglio fare questo lavoro finché potrò e nel frattempo studiare per continuare a crescere. Sto seguendo un corso per diventare gestore dei trasporti, ma prima di tutto occorre imparare le basi, imparare il mestiere.

Un’ultima domanda: dove trovi tutta questa determinazione?

Credo nella forza di noi donne.
Come dicevo sono nonna adesso, non voglio che mia nipote si senta fuori posto nel mondo o che pensi che non possa fare qualcosa solo perché donna.
Deve poter scegliere di fare quello che le piace.
Mi dico sempre che se un essere umano fa qualcosa lo può fare anche un altro, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna.

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Joanna Wilson lady trucker

 

Decisamente un’altra epoca!

 

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La storia di Valentina

 

 

Ho appena trovato questo articolo (è di oggi!) che racconta la storia di Valentina, camionista da pochi mesi e felice della sua scelta!

E’ pubblicato su “Maremma oggi”  e lo potete leggere a questo link:

https://www.maremmaoggi.net/ciao-sono-valentina-e-di-lavoro-faccio-la-camionista/

Siamo sempre di più a dare un tocco rosa a questo mestiere!

Buona strada Valentina!

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La storia di Silvia!

 

La bella storia della nostra collega Silvia, da 18 anni al volante di un camion, raccontata in questa intervista di Elisa Bianchi nel blog  “Anche io volevo il camion” di “Uomini e trasporti”.

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/silvia-compagno-ai-piu-giovani-bisogna-spiegare-che-quello-che-trovano-nei-supermercati-arriva-grazie-agli-autisti/

E questa la sua storia:

Silvia Compagno: «Ai più giovani bisogna spiegare che quello che trovano nei supermercati arriva grazie agli autisti»

Un’infanzia passata nella campagna veneta, tra trattori e mezzi da lavoro. Silvia Compagno è solo una bambina quando si innamora per la prima volta dei camion: suo papà sta facendo dei lavori in casa e l’iconico Lupetto fa capolinea nel cortile dell’abitazione per portare i materiali. Non è un bestione della strada come quelli che guida oggi, ma è sufficiente per far nascere in lei l’interesse. Quando decide, per gioco, di salire su quel Lupetto qualcosa scatta: è quello l’inizio della sua storia con l’autotrasporto

 

All’inizio Silvia si limita a guardare i camion da lontano: «Dalla camera da letto dei mei genitori si vedeva il posteggio di un concessionario Volvo. All’epoca insieme ai detersivi regalavano delle macchinette fotografiche, quelle con il rullino. Mi nascondevo in camera dei miei e usavo l’obiettivo della macchina fotografica come binocolo, per vedere meglio i camion posteggiati». Oggi Silvia Compagno ha 49 anni, è diventata Volvo Trucks Ambassador e il prossimo 6 ottobre festeggerà la maturità al volante: autista da 18 anni. Nel mezzo, tanti viaggi, tanti sacrifici e soprattutto tanti cambiamenti. Il primo, il più importante di tutti, a 31 anni, quando si trova di fronte a una scelta: cambiare vita e inseguire il suo sogno, o proseguire con il lavoro in fabbrica. «Mia mamma era morta da poco – ricorda Silvia – e io mi dovevo prendere cura di mio papà. Non sapevo cosa fare, ma dovevo decidere nel giro di breve tempo. Ricordo che un giorno mi fermai in un piazzale vicino all’autostrada e lì, in lacrime, decisi di provarci».

Silvia supera in poco tempo tutti gli esami delle patenti con la speranza di trovare facilmente lavoro. Di donne al volante se ne vedevano ancora poche e il successo non era affatto scontato. «Io, tra l’altro, sono sempre stata piccolina, per questo mi chiamavano affettuosamente “Silvietta”, non sembravo certo adatta a un lavoro come questo. Inizialmente trovai lavoro solo come autista di bus: prima per una cooperativa per la quale guidavo i pulmini per i ragazzi disabili, poi per l’ACTV di Venezia, l’azienda di trasporto pubblico. Per tre anni e mezzo mi sono accontentata di fare un po’ da jolly, mi chiamavano quando mancava un altro autista, ma sentivo che non era quella la mia strada, anche se sicuramente è stata un’esperienza utile». La svolta arriva nel 2004. «Mi fu data una possibilità come autista di un portacontainer. Fu grazie a quell’esperienza che capii che davvero era il lavoro che faceva per me. Ogni giorno imparavo cose nuove e conoscevo nuove persone».

Oggi Silvia ha cambiato azienda e alla guida del suo Volvo trasporta un po’ di tutto: stoffe, vino, mobili, talvolta anche merci pericolose. Da Ballò di Mirano, in provincia di Venezia, dove vive, parte per le altre province del Veneto, per il Trentino e per la Liguria. Viaggi giornalieri che però l’hanno spesso portata a togliere tempo alla famiglia e ai tre nipoti di cui è zia orgogliosa. «Anni fa mia nipote Linda, allora adolescente, mi fece notare che il mio non era un bel lavoro, almeno dal suo punto di vista. Non avevo orari, non c’ero per loro tutte le volte che ne avevano bisogno. Ci rimasi molto male, ma cercai di spiegarle che è grazie a chi fa questo mestiere se tutti i giorni al supermercato trova il cibo che mangia. Le cose non arrivano per caso, qualcuno le deve portare, anche se costa qualche sacrificio. Certo che finché questo non lo si spiega ai più giovani, giustamente è difficile che lo capiscano. Inoltre, oggi la nostra professione non gode più del rispetto di un tempo, per colpa della mancanza di educazione di pochi ci abbiamo rimesso tutti. Dal mio punto di vista il progresso ha portato anche a tanto regresso. Oggi abbiamo camion più belli, più comodi e più sicuri, ma mancano i servizi che ci permettono di svolgere questo lavoro con dignità».

Silvia insieme a Elda

La rabbia, però, lascia presto il posto ai bei ricordi che la legano a questo mestiere. «Negli anni ho avuto modo di conoscere persone straordinarie con cui ho costruito rapporti bellissimi, perché se ti presenti con il sorriso e con educazione, penso che il rispetto venga da sé». Una delle persone a cui Silvia è più legata è l’amica storica Elda Guarise, anche lei una veterana del settore. «Conobbi Elda in concessionaria Volvo a Dolo all’inizio della mia carriera. All’epoca lei già guidava la motrice, io ancora il furgone e la prima cosa che pensai fu che era bello vedere una donna alla guida di un camion. Elda aprì una speranza in me. Vedere lei farcela dava a me la forza di provarci». La loro amicizia che dura ormai da 18 anni è immortalata anche sui profili social di Silvia dove spesso e volentieri condivide le sue esperienze, come quella vissuta proprio con Elda qualche mese fa alla guida di un camion elettrico. Le chiediamo quindi se, dal suo punto di vista, sia questa la strada giusta da seguire per la decarbonizzazione del settore. «Penso si debba trovare una soluzione ibrida: i mezzi elettrici per trasporti più brevi e i mezzi diesel per i trasporti più lunghi e pesanti, perché oggi i costi sono ancora molto elevati, si è limitati nel kilometraggio e soprattutto mancano i punti di ricarica. Credo che la valutazione debba essere fatta in base alla tipologia di lavoro».

Prima di salutare Silvia, diretta all’Interporto di Padova per uno scarico, le chiediamo come festeggerà i suoi 18 anni in cabina. «Penso che non ci sia cosa migliore da fare che fermarsi per cinque minuti, tirare il freno a mano e ringraziare per quello che si ha. La vita non è fatta di cose materiali ma di sentimenti e il camion, per me, è un pezzo di cuore».

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Incontro con Lucia

ciao a tutte/i

qualche giorno fa ho ritrovato Lucia nello stesso posto dove ci siamo conosciute. Stavolta le ho consegnato la nostra tabella così anche lei sarà riconoscibile on the road!

Benvenuta Lucia, la prossima volta ci prenderemo anche il caffè!

Lucia

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10 domande a …Beatrice

 

Ancora da “Uomini e trasporti”, dalla rubrica   Voci on the road, un’intervista a cura di Elisa Bianchi, alla nostra collega Beatrice!

 

Il link: https://www.uominietrasporti.it/dopolavoro/voci-on-the-road/10-domande-a-beatrice-donghi/

 

  • Da quanto tempo fai l’autista?

Ho preso le patenti nel dicembre del 2021 e ho trovato lavoro subito dopo, a distanza di pochi giorni. Oggi è un anno e mezzo che sono in cabina.

  • Cosa ti ha spinto a intraprendere questa professione?

Nell’azienda edile di famiglia guidavo già un camion con cassone ribaltabile e gru, ma ho sempre sognato in grande, ero molto attratta dal mondo dell’autotrasporto e così spinta da amici e famiglia ho preso coraggio e ho deciso di provarci.

  • Cosa trasporti oggi?

Un po’ di tutto, dipende dai viaggi che si trovano, ma prevalentemente carta da macero, bobine, vaschette di plastica, terriccio e lamiere. Mi piace portare di tutto, non ho preferenze, perché ogni trasporto lo vivo come una sfida per me stessa.

  • Che tratte percorri?

Principalmente giro per il Nord e il Centro Italia, tra Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.

  • Che camion guidi?

Un bilico centinato Renault Trucks, lo stesso che mi accompagna da quando ho iniziato. Dicono che il bilico sia il più difficile, a me piace, non mi vedrei altrove per ora.

  • Perché una giovane donna si appassiona a questo mestiere?

Un pizzico di passione e di interesse penso debbano essere nel Dna. Io sono partita da zero, non c’erano altri autisti in famiglia, ma ho sempre avuto il gene dell’autotrasporto. Ho conosciuto persone che si sono appassionate al mestiere strada facendo, ma ci deve comunque essere sempre una certa predisposizione e tanta curiosità. Oltre ad apprezzare la solitudine, si passa tanto tempo con se stessi in cabina.

  • Cosa ami di più e cosa di meno del tuo lavoro?

Traffico a parte, che non piace a nessuno e con nessun mezzo, il problema più grande oggi sono le aree di servizio inadeguate. Si guida sempre con la speranza di trovare un posto sicuro in cui fermarsi a riposare, ma si fa fatica a trovarne. Tra gli aspetti positivi, invece, sicuramente amo il fatto di poter incontrare e conoscere tanta gente lungo la strada, parlare e confrontarmi con loro. Sono sempre stati tutti molto cordiali con me.

  • Dal tuo punto di vista, qual è la prima cosa da fare per avvicinare i giovani?

Sicuramente abbassare il costo delle patenti. Molte aziende già aiutano i giovani a conseguire le patenti dando loro la certezza di un posto di lavoro. Forse dovrebbero farlo più realtà. E poi, se posso aggiungere, bisogna andare a cercare la nostra generazione là dove sta: cioè sui social, che possono dare un grande esempio.

  • Oltre al camion, hai altre passioni nel tempo libero?

Mi sono da poco avvicinata allo Yoga, penso sia molto utile per rilassarsi dopo una dura giornata di lavoro.

  • Come immagini il tuo futuro?

Nel breve periodo mi vedo qui, sul mio camion, ma non nascondo che sogno una famiglia. Bisognerà vedere se potrò conciliare le due cose, vedo molte donne che lo hanno fatto, spero e penso sarà anche il mio caso.

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L’incontro del venerdi: Chiara!

 

Sono arrivata poco prima che finissero la pausa in un’azienda del varesotto, dovevo consegnare dei bancali vuoti.

Il carrellista, quando gli ho consegnato le bolle, mi ha detto di andare avanti e mettermi sull’altro lato del piazzale dove c’era già parcheggiata una motrice tre assi con il telo e le sponde aperti.

Passando ho notato che sulle porte dietro aveva un adesivo che riproduceva il disegno e la scritta di questa nota maglietta che si trova on line.

“Sarà una collega?” ho pensato mentre parcheggiavo.

Sono scesa e l’ho vista sbucare da davanti alla cabina con un bel sorriso! Ci siamo presentate, lei è Chiara! Le ho chiesto se conosceva il nostro gruppo di “Lady truck” e mi ha risposto di no. Ho pensato di dover rimediare…

Lei invece mi ha chiesto  – “Da quanto fai questo lavoro?”

e io le ho risposto con una domanda –  “Quanti anni hai?”

– “Trentuno”

– “Da prima che nascessi… ormai son vecchia….” E sono salita sul cassone a spostare i bancali da scaricare, ma abbiamo continuato a parlare tra una palata e l’altra del carrellista, che gentile, portava i pieni a lei e portava via i vuoti a me, cosi faceva due camion contemporaneamente!

Lei è della bergamasca, le ho chiesto se fosse mai venuta al raduno del Coast a Giussano, no, allora l’ho invitata a venirci a trovare, le ho regalato la nostra targa – in cambio della foto per il blog! – e ci siamo scambiate i numeri di telefono.

E’ sempre bello incontrare nuove colleghe, è bello che ci siano ragazze che decidono di mettersi al volante di un camion, è bello pensare che siamo sempre di più a dare un tocco di rosa a questo mestiere!

Buona strada sempre Chiara, spero di rivederti presto!

 

 

 

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incontri on the road

Neanche farlo apposta la settimana scorsa ho beccato due colleghe alto atesine, Lissy e Manuela! Entrambe guidano scania bilico frigo e hanno partecipato alla realizzazione del nostro libro con la loro storia su come è nata la loro passione! due chiacchiere veloci, un caffè e le foto di rito!

Guten reisen immer!

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