Guidare, una passione…
Una video intervista alla collega Simona, guidare è la sua passione!!!
https://etvmarche.it/07/03/2024/simona-piersanti-una-vita-sul-camion-guidare-la-mia-passione-video/
Una video intervista alla collega Simona, guidare è la sua passione!!!
https://etvmarche.it/07/03/2024/simona-piersanti-una-vita-sul-camion-guidare-la-mia-passione-video/
In questa video intervista una bella dichiarazione amore per il nostro mestiere! Tutta da ascoltare!
Buona strada sempre a Silvia e Angela!
Dal canale You Tube del collega Pierantonio De Piccoli una bella video chiacchierata con la nostra cara collega Elda!
Buona strada a tutti e due!
Questa volta girando e rigirando nel web ho trovato quest’audio “intervista alla zia Lory”, sul sito https://www.pugnodisale.com/
La collega Lory racconta la sua vita da camionista (a sua nipote?) iniziata negli anni ’90 e durata per 23 anni. Ricordi, aneddoti, racconti di una vita on the road….tra problemi, discriminazioni e anche soddisfazioni!
La potete ascoltare a questo link:
https://www.pugnodisale.com/vita-da-camionista/
Questa è la presentazione dell’intervista:
“Per me ha sempre incarnato l’ideale della donna forte e volitiva, immaginatevela non tanto alta, dal fisico asciutto ma muscoloso, una donna brillante che sa tener banco con mille aneddoti avventurosi, felice di ciò che fa anche se quelle scelte, più di una volta, l’hanno messa di fronte a giudizi aspri e implacabili.
Una donna bellissima e sorridente questo era in quegli anni. Gli anni 90′ e 2000, l’hanno vista attraversare quasi tutti i paesi europei a bordo del suo camion. Lei, donna camionista in Italia, una delle prime che guardarono a quel mestiere con la voglia di riscatto, un modo per misurarsi con i propri limiti ma a modo proprio, liberamente.
Sceglie viaggiare per tutta Europa, stando quindi fuori casa una settimana intera, a volte due, per 21 anni: Inghilterra, Irlanda, Germania, Danimarca, Olanda, Spagna, Francia, Belgio in anni in cui ci si muoveva con le cartine, arrangiandosi con l’inglese e un’infarinatura delle altre lingue.
“Eravamo due in Italia quando ho iniziato, l’ho presa come una sfida”
“Eravamo due in Italia quando ho iniziato – e con orgoglio racconta di un lavoro non così strano o difficile secondo lei, forse più uno stile di vita – l’ho presa come una sfida”. Si sa “un camionista è solo!”. Sola quindi ha dovuto ideare tutte le sue strategie di sopravvivenza: “Non mi fermavo mai a dormire nel luogo dove mi fermavo a mangiare e quando mi fermavo per riposare non scendevo dal camion per non attirare l’attenzione, mettevo una cinghia con un cricchetto da una portiera all’altra per sentirmi più sicura”.
Nella cabina o appena fuori si svolgeva tutta la vita, si organizzava la spesa, si faceva da mangiare ci si dedicava all’igiene, con ritmi completamente liberi. “Una volta ho portato mio figlio con me, andavo a scaricare vicino casa quella volta. Mi dice di aver fame e poi si mette a riposare in brandina, io gli cucino un buon minestrone, ma quando si sveglia è inorridito ‘mamma sono le 8 del mattino, avevo fame di latte e biscotti’ Ma per me era normale mangiare un minestrone a quell’ora, io mangiavo quando avevo fame”.
Ha vissuto lo stigma dell’essere donna in un mondo di uomini, nell’ambiente i suoi successi erano spiegati da favoritismi dati in cambio di favori sessuali, “perché se mi fermavo in piazzale non stavo dormendo come tutti ma mi davo alla pazza gioia secondo alcuni”. Il giudizio degli altri però poco importava, i suoi datori di lavoro hanno sempre creduto in lei così come le decine di amici e colleghi che hanno costituito la sua comunità.
Ha vissuto lo stigma dell’essere donna in un mondo di uomini, nell’ambiente i suoi successi erano spiegati da favoritismi dati in cambio di favori sessuali.
Una comunità che aveva un mezzo di comunicazione a dir poco mitico e iconico, il baracchino di vitale importanza per ricevere informazioni legate al traffico, per chiacchierare lungo la strada, per incontrarsi e sentirsi meno soli. Tutti hanno incontrato nella vita camionisti che con magie riuscivano a scaricare oggetti di marca a prezzi stracciati: racconta dei sigilli che se scaldati nell’acqua calda si aprivano e dei mille modi in cui ci si riappropriava del lusso negato: con un suo collega si pasteggiava sempre champagne.
Il camion non era un luogo di lavoro ma era il luogo di vita, il luogo dove si cucinava, dove si dormiva dove si leggeva e si sognava, lei all’occorrenza sganciava il rimorchio e andava a fare la spesa, girava per la città, si occupava della sua igiene e di quella del camion “nessuno è mai salito con le scarpe sul mio camion”. Oggi mi accoglie mostrandomi le sue foto i suoi occhi brillano si vede che la vita che ha scelto è quella che l’ha fatta felice e a volte la nostalgia verso quei tempi rende il racconto un po’ amaro; è difficile tornare alla vita fatta di orari e scadenze. Mi da l’idea che voglia raccontarmi ancora tante cose, mi accenna della volta in cui ha portato sua sorella, degli anni, gli ultimi, passati a lavorare con suo marito, di quella volta che ha lanciato la sua fede nuziale dal finestrino.”
Sono sempre alla ricerca di qualsiasi cosa che parli di noi, cosi ho trovato questo articolo non più recente – è del 2019 – è la storia della collega Paola, che per trovare lavoro al volante di un camion è dovuta andare all’estero… forse adesso qualcosa è cambiato, ma ci sono ancora donne che purtroppo vengono guardate con diffidenza quando si propongono alle aziende come autiste…
Questo è il link:
https://salto.bz/en/article/25102019/io-una-camionista-bordo-del-diavolo
E questa la prima parte dell’articolo :
“È come un richiamo, a un certo punto devo accendere il motore e andare”. Lei si chiama Paola Cestari, 37 anni, è di Trento, e dal 2016 fa la camionista. Dopo aver cominciato a lavorare nel settore dell’autotrasporto in Italia la “zingara”, soprannominata così dai suoi cari, è approdata in Germania, “avevo il pallino dell’estero”; ha imparato il tedesco e oggi lavora per una ditta austriaca girando a bordo del suo “Gangal” (“diavolo” in dialetto tirolese, il nome del suo autoarticolato), un “bestione” di 16 metri e mezzo che tre settimane fa ha messo in bella mostra in occasione del suo primo raduno di camionisti. Paola viaggia soprattutto di notte, toccando città come Brema, Modena, Milano, Venezia, e nella sua ancora breve carriera, ha trasportato di tutto, dal legno al marmo. Una vita dura, fatta di orari estenuanti, chilometri da macinare ogni giorno, merci da consegnare in orario e, sgradito “bonus” riservato alla compagine femminile, stereotipi da abbattere a spallate.
Insomma, un mestiere che forse più di altri richiede una massiccia dose di passione. “Da quando ho memoria volevo fare l’autotrasportatrice, è un sogno che avevo fin da bambina, mia madre sperava che cambiassi idea ma non è successo”, racconta Paola. La strada per tagliare l’agognato traguardo non ha concesso scorciatoie. “All’inizio mi è mancato il coraggio, non avevo alle spalle una famiglia proprietaria di un’azienda di trasporti, mio padre lavorava all’Enel, mia madre faceva la casalinga, e io sono, come dire, la ‘prima del mio nome’, ad aver intrapreso questa avventura”, dice con misurato orgoglio, spalancando un sorriso.
A 16 anni Paola si inventa benzinaia, poi arriva la parentesi del panificio a Trento, “ma mi mancava l’aria a stare chiusa in un negozio”; nel 2013 Paola prende le patenti C e CE, valide per la guida di camion e veicoli adibiti al trasporto merci, e inizia “dal basso”, con i furgoni, girando in lungo e in largo il Trentino-Alto Adige. “Il mio ex marito faceva l’autista ma non ha mai voluto che diventassi camionista”, confessa Paola, “in più da parte dei datori di lavoro all’inizio la diffidenza era tanta, a Trento per esempio una ditta mi ha liquidato dicendo che non avevo abbastanza esperienza, ‘ma se fossi stata un uomo lo avreste preso senza troppe storie, ho obiettato, purtroppo l’attività dell’autotrasporto viene ancora generalmente percepita come non adatta alle donne”. Le differenze geografiche in questo senso esistono, sottolinea la camionista, “ho notato che in Austria e Germania c’è profondo rispetto verso le donne che fanno questo mestiere, in Italia invece ti guardano ancora con un certo sospetto”.
Le torna in mente un episodio: “Una volta mi trovavo in Italia, vicino a Venezia, ed ero in procinto di scaricare la merce. Un magazziniere, non sapendo che fossi italiana dato che ho la targa austriaca, dà di gomito al collega e indicandomi con il mento a punta gli dice: ‘Vediamo quanto ci mette a mettere il Tir sulla rampa’. Avevo il finestrino abbassato e il commento non mi era sfuggito. Faccio le mie due manovre, scendo dal mezzo e gli chiedo: ‘Ci ho messo il tempo giusto?’, lasciandolo di stucco”.
Sulla litania della retorica stucchevole di cui si nutre il pregiudizio si sovrappone però la melodia del controcanto, che risuona nell’ironia di un cartello recante un annuncio di lavoro (come testimonia la foto sottostante), che Paola ci mostra divertita, o nell’umanità dei colleghi incontrati in viaggio. “Un giorno un autista turco, vedendo il mio camion sulla rampa, mi ha scambiato per la segretaria del magazzino, e quando ha scoperto che guidavo io il mezzo si è inginocchiato davanti a me, tra riverenze e complimenti”, ricorda Paola. “Un’altra volta, in Germania, un autista sloveno mi ha salvato, erano le 3 di notte e mi ha aiutato trainando il mio camion che si era impantanato”.
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(…) continua…
E’ bello questo video: un viaggio con una simpatica camionista tedesca, Tinka, per far capire l’utilità dei camion nella vita quotidiana e anche le difficoltà che gli autisti devono affrontare, il tutto raccontato senza gridare…
Orari da rispettare, traffico, carenza di parcheggi, sicurezza nelle aree di soste, ecc, paese che vai, stessi problemi che trovi!
Buona strada Tinka!
Cliccate sul video per vederlo direttamente su You Tube.
Un’altra storia di un’altra collega, Simona, dal bolg “Anche io volevo il camion” dal sito di Uomini e Trasporti”. Elisa Bianchi questa volta raccoglie la storia di Simona, 43 anni che , dopo aver perso il suo lavoro ai tempi del covid, ha deciso di buttarsi e di mettere a frutto le patenti conseguite anni prima…
Questo è il link dell’articolo:
Questa è la prima parte del testo:
Simona Ionita ha 43 anni, è rumena ma vive in Italia da ormai vent’anni. Dopo una vita in negozio, il Covid l’ha costretta a prendere una decisione: rimanere in cassa integrazione, o correre il rischio di inseguire i propri sogni e mettere a frutto quelle patenti prese tanti anni prima. Neanche a dirlo, Simona ha trovato finalmente il coraggio di rischiare
La resilienza è quella capacità di resistere e far fronte anche a situazioni avverse che ci mettono alla prova e ci costringono a trarre da un momento di difficoltà un’opportunità. Se questa è la definizione del termine, un esempio concreto è la storia di Simona Ionita. 43 anni e originaria della Romania, Simona vive a Mestre ormai da vent’anni. Arriva nel 2004 con l’intenzione di non fermarsi per troppo tempo. Poi come sempre, la vita ci si mette di mezzo e stravolge i piani.
«L’idea – ci racconta dalla cabina del suo camion – era quella di raggiungere mio fratello che già abitava in Italia, lavorare per qualche anno qui così da potermi permettere una macchina e poi fare rientro a casa. Alla fine, non me ne sono più andata e l’Italia è diventata la mia seconda casa». Simona oggi è un’autista, ma per i suoi primi diciassette anni in Italia ha fatto tutt’altro. Lavorava come commessa in un negozio di scarpe e accessori vicino a Venezia. A stravolgere i piani e offrirle l’occasione di realizzare i suoi sogni è stato il Covid. Da una situazione di difficoltà ecco la sua opportunità: cambiare vita e mettere finalmente a frutto quelle patenti conquistate parecchi anni prima.
Nel 2020, a causa del Covid e dei lockdown, il negozio per il quale lavoravo ha avuto molte difficoltà e mi sono ritrovata in cassa integrazione. A quel punto mi sono detta «ho le patenti, ci provo».
Appena arrivata in Italia ho iniziato a lavorare per un negozio di ortofrutta. Il proprietario era anziano e aveva bisogno di qualcuno che gli potesse dare una mano anche con il camion, così mi pagò la patente C. Una volta fatta quella, ho voluto prendere anche le altre patenti perché ho sempre amato guidare, fin da piccola quando sedevo accanto a mio padre che guidava i trattori nei campi. Una volta conseguite le patenti, però, non me la sono sentita di affrontare un cambiamento così grande.
È stata la paura del cambiamento a bloccarmi. Ho impiegato qualche anno a conseguire tutte le patenti e nel frattempo avevo iniziato a lavorare in un altro negozio nel quale mi trovavo molto bene, avevo un buon rapporto con i colleghi e mi dispiaceva andarmene. Così ho lasciato perdere l’idea di fare l’autista.
Il negozio lavorava principalmente con una clientela straniera e quando i turisti sono venuti meno ci hanno messo in cassa integrazione. A quel punto non avevo più scuse, avevo un piano B ed era arrivato il momento di metterlo in pratica.
Non esattamente, molte aziende erano diffidenti. Ero una donna e senza esperienza, ci ho messo un po’ a trovare chi mi volesse dare fiducia, ma alla fine ce l’ho fatta.
Certo che sì! Anzi, potessi tornare indietro la farei prima. Mi piace davvero questo mestiere. Ho la possibilità di viaggiare, di vedere posti nuovi e incontrare sempre persone diverse. È quello che avevo sempre sognato, mi era solo mancato il coraggio.
Quando c’è passione si può far tutto. Tanti mi chiedono il perché di questa scelta, la risposta è semplicemente che questa vita, questo mestiere, mi piacciono. È ovvio che se una persona desidera uscire di casa la mattina, fare orari di lavoro standard e rientrare la sera questo lavoro non è adatto. È una questione di scelte, e io ho scelto questo per me, consapevole di quale sarebbe stata la mia nuova vita. Oggi sento che il mio posto è al volante, scherzando dico sempre che non sono in grado di stare sul lato del passeggero, neanche quando sono in macchina. A questa vita, anche se non è facile, ci si abitua, tanto che quando non sono in cabina ne sento la mancanza.
Guido un bilico DAF 530 e trasporto un po’ di tutto: pellet, biscotti, rotoli di ferro, bicchieri di plastica, solo per fare qualche esempio. Viaggio soprattutto all’estero, tra Austria, Repubblica Ceca, Francia e Germania, ma mi capita di fare anche viaggi fino al Sud Italia. Parto il lunedì e rientro il venerdì. In questo momento sto rientrando dalla Repubblica Ceca.
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Il resto dell’articolo nella pagina di Uomini e trasporti.
Buona strada sempre a Simona!!!
Un’altra bella storia di una nostra collega raccolta da Elisa Bianchi e pubblicata nel blog di Uomini e trasporti: “Anche io volevo il camion”.
Annamaria è prossima alla pensione, ma non vorrebbe lasciare il suo lavoro perchè ama troppo la vita da camionista!
Grande collega! Buona strada sempre!
Questo è il link dell’articolo:
Il 24 dicembre Annamaria Ciancia compirà 67 anni. Dopo oltre quattro decenni come autista, tra un anno dovrà appendere il volante al chiodo, ma lei non ne vuole sapere. Ripercorriamo la carriera di una delle prime donne italiane ad aver preso la patente C
La storia di Annamaria Ciancia parte da quello che ormai è quasi un epilogo: «Il prossimo anno compirò 68 anni e dopo 44 anni alla guida di un camion sarò costretta a lasciare il volante» ci racconta. Nella sua voce si avverte una nota amara. «In Italia a 68 si è considerati vecchi, senza valutare il reale stato di salute di una persona. Il risultato è che ti declassano la patente. Niente più mezzi al di sopra dei 200 quintali. Al di sotto, invece, a quanto pare si è ancora liberi di fare danni. Sinceramente non voglio pensare a cosa farò l’anno prossimo, mi sento già male al pensiero che dovrò lasciare il mio lavoro». Facciamo allora un salto indietro di 44 anni e ripercorriamo la carriera straordinaria di Annamaria, una delle prime donne – ci tiene a ricordarlo – ad aver preso la patente C in Italia, quando le donne alla guida di un camion ancora erano un miraggio.
Fu con il mio ex marito, un autista che viaggiava principalmente all’estero. Sono sempre stata appassionata di motori, amavo il rally, il motocross, e così dopo una breve esperienza come insegnante di scuola materna e come impiegata per le Assicurazioni Generali, decisi di lasciare il mio lavoro – che non mi rappresentava affatto – per seguirlo. Abbiamo viaggiato in Belgio, Inghilterra, Francia e Germania e più viaggiavo più questo mondo iniziava a incuriosirmi. All’estero di donne autiste già se ne vedevano, quindi è stato spontaneo per me pensare che avrei potuto farlo anche io. La prima volta che mi misi al volante fu in un’area di sosta in Francia, un posteggio enorme e deserto. Fu quella la mia prima guida, da allora di strada ne ho fatta parecchia.
Un giorno dissi a mio marito che non sarei partita con lui, ma che sarei andata a scuola guida a informarmi per la patente. Non era d’accordo, ma la mia decisione ormai l’avevo presa: al suo ritorno ero già iscritta e poco tempo dopo conseguii la patente C e la patente E. Tra l’altro ricordo che al mio esame l’esaminatrice era una donna che rimase piacevolmente sorpresa vedendomi. Quando diedi l’esame per la patente E, invece, trovai un uomo che era piuttosto spaventato dal fatto che a guidare fosse una donna. Mi diede la patente praticamente subito, perché voleva restare a bordo con me il meno possibile.
In realtà, per dieci anni ho dovuto continuare a viaggiare con mio marito. L’idea che una donna guidasse un camion da sola era fuori discussione. Ma quando mio marito decise di intraprendere un’attività sua, relegando me alla gestione degli aspetti burocratici, non ce la feci più. O meglio, resistetti per qualche anno, poi ci lasciammo e io decisi di trasferirmi dal Piemonte alla Lombardia, dove c’erano più opportunità. Rincominciai da capo lavorando come operaia, poi un giorno bevendo un caffè conobbi un autista. Gli raccontai la mia storia e mi propose di fare qualche viaggio con il fratello. Dopo tre settimane con lui ebbi finalmente il suo benestare. Potevo riprendere il mio lavoro di autista per la sua azienda.
Oggi guido il mio sogno: un Volvo FH. È stata una sorpresa del mio principale e di sua moglie. A febbraio sono stata operata all’anca e al mio rientro al lavoro mi ha fatto trovare il camion che avevo sempre desiderato. Oggi trasporto latte, panna, vino, olio, qualche volta capita anche di trasportare distiller e melasso, prodotti che vanno nelle stalle. Con il trasporto alimentare ho trovato la mia dimensione, nonostante abbia cambiato tante aziende e tanti tipi di trasporto nel corso di questi anni, sono certa che finirò la mia carriera nell’azienda in cui lavoro da due anni e mezzo: l’Autotrasporti Boaglio di Cardè, in provincia di Cuneo.
Passo fuori casa tutta la settimana, weekend compresi perché con il trasporto alimentare i sabati e le domeniche non si riposa – salvo restando le pause dovute – viaggiando per il Nord Italia, ma vivo malissimo l’idea che l’anno prossimo dovrò fermarmi. Ho sempre fatto il mio lavoro con amore. Questo non significa che sia facile o che tutti i giorni siano perfetti, ma io sono felice di viaggiare con il mio camion. Mi rendo conto che per molte persone possa sembrare strano, ma io mi sento ancora energica. Certo il mio corpo non è più quello di quando avevo 25 anni, ma sono ancora in grado di fare il mio lavoro. Non accetto che mi venga detto il contrario. Non sarebbe quindi più logico fare come all’estero? Con le visite adeguate potrei continuare a lavorare. Bisognerebbe basarsi sulla persona, non sull’età. Per non parlare del fatto che i veri pericoli non sono le persone con esperienza che fanno questo mestiere con amore.
Una volta chi viaggiava sul camion lo faceva per passione, oggi purtroppo ci sono tante persone che lo fanno solo per esigenza, senza avere nulla a che fare con questo mestiere. Il fatto è che per viaggiare non basta avere la patente, serve avere passione per diventare un buon autista, e vale sia per gli uomini che per le donne. Quando si è alla guida di certi mezzi bisogna essere consapevoli della responsabilità che si ha, serve la giusta preparazione, oltre all’entusiasmo. Allo stesso tempo, però, non basta solo la passione, ma serve più rispetto per chi fa questo mestiere. Negli anni passati molte aziende se ne sono approfittate giocando al ribasso degli stipendi. Se qualcosa non cambia, arriverà il giorno in cui i camion resteranno fermi nei posteggi.
Oggi è più difficile prendere le patenti, ma si fa meno attenzione a quello che si insegna. Servirebbero lezioni specifiche sull’importanza di certi gesti e manovre da evitare. Non solo quando si studia per prendere le patenti del camion, ma per qualsiasi patente. Per esempio, sarebbe opportuno insegnare anche agli automobilisti che un camion ha delle zone d’ombra, degli angoli ciechi. Non è sempre colpa degli autisti. Servirebbe sensibilizzare un po’ di più tutti gli utenti della strada.
Non posso dire di vedere oggi parecchie donne alla guida di un camion, ma sicuramente di più di una volta. Qualche mese fa mi trovavo in un’area di servizio, stavo camminando con il mio cagnolino Trilli, un pinscher che viaggia sempre con me, quando ho sentito un signore esclamare «Complimenti!». Sinceramente pensavo si riferisse a Trilli. Poi ho capito che era entusiasta del fatto che fossi io l’autista. Mi ha detto di avere una ditta di autotrasporti e tra i suoi autisti anche una donna ma, soprattutto, di essere talmente contento che se gli arrivassero altre candidature da parte di donne le assumerebbe all’istante. Mi ha fatto piacere. Non nego che ancora oggi ci siano colleghi che non apprezzano, ma credo che stia tutto nell’intelligenza del singolo individuo.
(….) l’articolo continua nella pagina di Uomini e trasporti.
Buona strada sempre!
Vi ricordate della collega Silvia di cui abbiamo postato alcuni articoli qui nel blog?
Silvia ha anche un canale You Tube:
https://www.youtube.com/@silvymar1664/videos
in cui pubblica brevi video della sua vita da camionista, racconta di carichi, di incontri, di cose che le capitano viaggiando.
Ve ne linko uno e auguro una buona strada sempre a Silvia, sperando di incontrarla prima o poi on the road!
Non sempre essere figlie d’arte aiuta ad entrare nel mondo dell’autotrasporto a tempo pieno: è il caso di Giulia, che ci racconta la sua storia in questa intervista di “Camion e furgoni mag” a firma di Gabriele Bolognini.
Questo è il link dell’articolo:
https://www.camionefurgonimag.com/giulia-camionista-di-giovedi/
E questa è la sua storia:
Giulia Zambolin, 34 anni, di Albiano di Ivrea, durante la settimana lavora presso uno studio di commercialisti, tranne il giovedì che dedica al camion. Discendente da una stirpe di camionisti, Giulia ha il camion nel DNA: “L’impresa a conduzione familiare, fondata da mio nonno nel 1947 è passata successivamente nelle mani dei figli, Franco mio padre e Luigi (68 anni) mio zio. Da sempre si sono occupati di trasporto bovini. Io ho una sorella e mio zio una figlia, maschi non ne sono arrivati, e tra tre femmine io sono l’unica che ereditato la passione per i camion – racconta Giulia – da piccolina, finita la scuola salivo sul camion con papà da giugno a ottobre. Scendevo solo durante la settimana di mare che trascorrevamo tutti insieme. Papà però voleva che studiassi. Non le andava per niente l’idea di farmi fare il suo lavoro da grande. Così mi portavo sul camion, libri e quaderni per i compiti estivi ma non scendevo mai dalla cabina. A 14 anni iniziai a fare le manovre con l’autotreno sul piazzale del mercato di Montichiari. Mi divertivo come una matta.”
Raggiunta la maggiore età, Giulia, oltre a diplomarsi come ragioniera, prende subito tutte le patenti da camion, trovando contemporaneamente lavoro presso uno studio di commercialisti.
“Quando occorreva, davo una mano a papà e allo zio, accompagnandoli, magari nei viaggi in Francia per caricare il bestiame, per sostituirli alla guida quando finivano il tempo. Ogni viaggio era un’avventura diversa. Anni prima di prendere le patenti – ricorda Giulia – in uno di quei viaggi in Francia, mentre tornavamo con il camion carico, in una stradina di montagna, piena di curve e tornanti, un furgoncino ci colpì in piena curva. Un urto frontale terribile dalla parte di papà. Io ricordo che mi misi a piangere disperata. Papà per un momento rimase in uno stato catatonico. Per fortuna non si fece male nessuno.”
“Per questo e per tanti altri motivi papà non ha mai gradito che io facessi la camionista, tuttavia, ho continuato a dare loro una mano almeno un giorno alla settimana. Si andava nella Francia sud-occidentale per caricare le mucche Limousine, che prendono il nome dalla regione dove vengono allevate. È una razza non particolarmente grande che in Italia viene utilizzata come vitello da ristallo, per l’ingrasso e il macello, sia come allevamento, per ottenere femmine fattrici. In pratica negli anni il lavoro è rimasto sempre lo stesso – spiega Giulia – Il trasporto bestiame è un mestiere molto particolare. Devi stare molto attento perché se c’è qualche bestia nervosa può creare problemi e innervosire le altre facendo oscillare il camion o il rimorchio. Dopo averle consegnate bisogna pulire e disinfettare bene camion e rimorchio. In genere i cassoni sono divisi in due piani. Su ogni cassone entrano circa 18 mucche per piano, quindi alle volte viaggi con 60 – 70 capi.”
“Durante i primi anni di guida me ne sono capitate di cotte e di crude. Una volta zio Luigi era appena tornato dalla Francia che venne chiamato subito da un cliente. Non potendo guidare subito per rispettare i turni di riposo mi affidò la guida del camion. Era inverno e mentre ci arrampicavamo sul Monte Bianco ci prese una tempesta di neve. Ero spaventatissima. Ma zio mi incoraggiò dicendomi di rimanere tranquilla e procedere lentamente. Così mentre lui riprese a dormire io mi sono ritrovata a viaggiare in mezzo alla neve alla guida del suo amato Volvo F12. Me la cavai egregiamente. Mentre un’altra volta – ricorda Giulia – eravamo in viaggio con lo Scania 144L 530 di papà. Il camion carico. Forammo una gomma del rimorchio. Fortuna che papà è un omone forzuto grande e grosso. Con calma riuscì a sostituire la ruota con la scorta. Pochi chilometri dopo forammo una gomma della motrice. Ho pensato che se mi fosse capitato quando ero sola, sarebbe stato un vero guaio con il camion carico. Finalmente dopo aver sostituito anche la seconda ruota riprendemmo il viaggio verso casa.”
Ora il papà di Giulia è in pensione da una decina d’anni. Lo Zio Luigi, che che sta per compiere 68 anni, subirà per legge il declassamento della patente e potrà guidare solo la sua motrice DAF: “Alla fine dell’anno zio andrà in pensione e vuole chiudere l’attività. Un vero dolore per me che intendevo portarla fino ai 100 anni – spiega Giulia – Così io continuo a collaborare con dei loro amici che fanno lo stesso lavoro, la Autotrasporti Bollero. Generalmente il giovedì, quando i loro autisti arrivano a Torino con le ore di guida esaurite, io gli do il cambio per consegnare i capi in Piemonte, Lombardia o Veneto. Tutti camion Scania, Volvo o IVECO.”
Circa 13 anni fa Giulia ha conosciuto il suo attuale marito, Francesco, che lavora in uno dei tanti macelli dove lei va a scaricare il bestiame: “Eh già, io sto tanto attenta a non farle soffrire in viaggio povere bestioline che lui me le macella appena arrivano – scherza Giulia – Lo scorso anno ci siamo sposati ma da sei anni abbiamo la nostra meravigliosa bambina, Marta. Lei è il motivo principale per il quale ho scelto di non fare la camionista a tempo pieno. Starò con la mia bimba almeno finché non arriva alle medie. Appena sarò autosufficiente, penso di iniziare a tempo pieno l’attività di camionista. Magari con un camion tutto mio e magari cambiando settore. Chissà, staremo a vedere. Comunque, il mio futuro lavorativo è sul camion di sicuro!”
Buona strada sempre Giulia!
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