Negli ultimi mesi, ma sarebbe meglio dire negli ultimi anni, circola insistentemente la notizia che mancano nuovi autisti, sia in Europa che nel nord America. La preoccupazione principale è che quando andranno in pensione tutti gli ultra cinquantenni, che ora sono la maggioranza, non ci saranno abbastanza giovani in grado di sostituirli, e, incredibile ma vero, dei camionisti ce n’è un gran bisogno!
Ma come mai i giovani non vogliono più fare i camionisti? Le risposte possono essere tante e diverse, le più frequenti sono che gli autisti non sono pagati abbastanza per il lavoro che svolgono, e che conseguire patenti superiori e CQC costa troppo sia in termini di soldi che di tempo. Una volta, almeno in Italia, la maggior parte dei ragazzi prendeva la patente a militare e poi la convertiva, in più si faceva esperienza sul campo accompagnando padri, zii, amici nei loro viaggi (cosa ormai VIETATISSIMA da anni). E, mia personale opinione, sbagliatissima. Chi ha imparato il mestiere in quel modo era molto più preparato alla guida, nelle manovre e nelle operazioni di carico/scarico di chi oggi esce da un lungo corso teorico con qualche ora di guida, ma che tutte sommate fanno poco più di un viaggio medio che si effettua in una normale giornata di lavoro. E i risultati si vedono sulle strade… Tornando alla carenza di autisti, ogni tanto vengono organizzati e finanziati corsi da varie associazioni per invogliare un po’ di giovani…
Ma bisognava fare qualcosa di più per avvicinare i ragazzi al mestiere, per fargli credere che…
Cosi negli ultimi anni sono fiorite, in tutta Europa, trasmissioni, format, reality, che hanno come protagonisti i camionisti e il loro lavoro sulle strade del continente. Un mestiere avventuroso, pieno di soddisfazioni, anche con problemi e imprevisti da risolvere, ma che i nostri “eroi dell’asfalto” affrontano col sorriso sulle labbra portando sempre a termine con successo la loro missione: consegnare il carico in tempo! E a fine giornata, soprattutto quelli italiani, si ritrovano in trattoria, dove come vuole la leggenda, si mangia bene e tanto spendendo il giusto.
Ma tutto questo non era sufficiente. Cosi hanno pensato di rivolgersi alle donne. Le stesse donne che ancora, in alcuni casi sono discriminate, ma in carenza di autisti maschi si potrà far andar bene anche loro! E cosi ecco le nostre “regine della strada” che affrontano viaggi impegnativi, carichi gravosi da sistemare, manovre millimetriche, nello stesso modo dei più grintosi colleghi uomini, dimostrando che questo è un lavoro che possono fare tranquillamente anche le giovani fanciulle.
Riusciranno queste trasmissioni a inoculare il seme della passione nelle giovani leve?
Perché se manca la passione, e credo sia proprio quella la carenza principale, le persone sul camion a fare vita randagia non ci salgono di sicuro. Nelle trasmissioni gli autisti lavorano tutti per ditte serie, rispettano tutte le regole, vengono trattati bene. Non è che non esistono aziende cosi, anzi, ci sono e probabilmente loro non avranno mai problemi a trovare autisti. Ma nella realtà ci si scontra troppo spesso con situazioni molto diverse, dumping sociale, stipendi all’osso, contratti capestro, regole assurde. E ancora porte sbarrate, come in questo periodo di pandemia dove tante volte gli autisti non sanno nemmeno dove lavarsi la faccia se non con l’acqua che hanno nel loro bidone o con le salviette umidificate. Sui servizi igienici stendiamo un velo pietoso, quando chiedi e te li negano cosa fai? Vai a farla sotto il camion? E la sera non sai dove cenare perché i ristoranti sono chiusi… praticamente sei trattato come l’ultima ruota del carro, sei solo un numero, non una persona.
Allora queste belle trasmissioni, perché poi sono belle e avventurose, rimarranno solo delle belle trasmissioni, come i telefilm di “BJ MacKay”, di “Movin On” e di “Due assi per un turbo” che da ragazzi guardavano, sognando di vivere le medesime avventure, i camionisti over-cinquanta che ormai sono quasi a fine carriera!
Ho trovato un altro bell’articolo – del mese di ottobre – dedicato alla storia di una collega che fa questo mestiere con passione da tanti anni: Franca da Montecatini.
Era una delle partecipanti alla Gimkana femminile a Misano, io mi ricordo di lei, ma sono passati veramente tanti anni e non ho più avuto occasione di incontrarla.
Buona strada sempre Franca!
Questo è il link dell’articolo su “Prima Pistoia”:
Il racconto di una passione diventata professione…alla faccia dei tanti colleghi scettici.
Pistoia, 25 Ottobre 2020 ore 15:14
Lei lo chiama affettuosamente il “Bisonte”: a bordo di questo camion, Franca Sforzi , montecatinese, ha attraversato l’Europa in lungo ed in largo e con qualsiasi condizione atmosferica o di traffico possibile e immaginabile. Un’accoppiata formidabile che non teme confronti, con due protagonisti… non proprio comunissimi.
«Hai visto lui come ci ha guardati storti? Quello guida un Iveco, noi siamo su uno Scania. Questa si chiama invidia!». Scherza Franca, è di buon umore quando è sul suo camion e vede – ogni tanto- qualche collega con lo sguardo incuriosito che la incrocia in senso contrario.
«Sono felice di fare questo lavoro – ha raccontato –, mi permette di vedere tantissimi posti, di conoscere tanta gente, sia in Italia che all’estero. Negli anni ho macinato milioni di chilometri e ne vado molto fiera. E pensare che ho iniziato questo mestiere quando avevo 22 anni, adesso ne ho più di 50!».
Una professione iniziata quasi come un gioco che poi si è rivelata, a tutti gli effetti… la strada giusta. «Lavoravo in un’azienda all’epoca, ma non avevo nulla a che fare con il trasporto di merci. Un giorno l’autista del camion delle consegne non si è presentato a lavoro. Il titolare era disperato, aveva bisogno di qualcuno subito per consegnare la merce. Io mi sono offerta volontaria. Lui è rimasto un po’ sorpreso, poi ha scelto di mettermi alla prova. Ed è tutto cominciato da lì».
Poi, negli anni successivi, sono arrivate le varie patenti speciali per poter guidare il tanto agognato tir.
«Agognato perché sono mezzi bellissimi – ci ha raccontato Franca – ed io ho una grande passione per i motori. Per questo quando finalmente ho conseguito la patente per guidarli è stata una grande soddisfazione. Da quel momento non ho più smesso di guidarne uno. Adesso faccio circa 150mila chilometri all’anno con viaggi soprattutto in Francia e Inghilterra, più le trasferte nazionali. Sono di meno i chilometri rispetto rispetto al passato, ma è comunque la mia vita».
Non sono stati però tutti giorni semplici e felici.
L’ambiente degli autotrasportatori, possiamo dirlo senza ipocrisia, è uno dei più maschilisti in assoluto. Una ragazza – prima – ed una signora – dopo – al volante di un tir ha spesso scatenato non solo qualche risatina di troppo, ma anche episodi di pura e volgare discriminazione. «A volte è stato complicato – ci ha confidato Franca – ma fortunatamente ho sempre avuto intorno persone che in un modo o nell’altro mi hanno difeso.
É sempre stato bello però zittire tutti con le mie manovre o con le mie consegne in perfetto orario. Col mio lavoro ho messo a tacere anche i colleghi più scettici».
Un lavoro, quella della camionista per Franca, che negli anni è diventato a tutti gli effetti una questione di famiglia: prima di tutto perché suo marito, Stefano, è a sua volta un camionista. «Il merito della mia passione è suo – ha detto –. Stefano già lavorava sul camion e andava in giro per tutta l’Italia. Io ho iniziato dapprima ad accompagnarlo, poi ho voluto iniziare anche io con la guida. E non sono più tornata indietro».
Ma non è tutto: il figlio di Franca e Stefano, Simone, è cresciuto… sul camion. «Ho avuto una gravidanza tranquilla – ci ha raccontato – e per questo che ho potuto guidare il camion fino a poco prima della nascita del mio bimbo: quando avevo il pancione, spostavo il volante un po’ più verso l’alto e via! Dopo è iniziato il bello – ha raccontato –! Una volta nato Simone ha fatto l’asilo sul camion insieme a me..Mio figlio ha praticamente imparato a leggere durante i nostri viaggi, seduto buono sul sedile del passeggero».
«Viaggiavamo spesso ed ero contento di portarlo con me sul camion, quando ancora il codice della strada lo permetteva. Poi sono iniziate le elementari e lui è andato a scuola come tutti».
Ma ora il tempo di chiacchierare è finito. C’è una nuova consegna da fare e Franca, insieme a Stefano, devono ripartire nel loro viaggio insieme… al Bisonte.
Vi è mai capitato di pensare qualcosa, di scriverlo su un quaderno, che fosse un’idea, un opinione, un ricordo, una considerazione e poi di ritrovare quelle stesse parole scritte pressoché nello stesso modo nelle pagine di un libro piuttosto che di un articolo su una rivista? Parole pensate e scritte da una persona che non avete mai conosciuto.
E’ quello che mi sta capitando leggendo il libro “38 tonnes de souvenirs en vrac” di Lilyane Slavsky detta “Fantastique” (Editions Cany). Qualche mese fa avevo linkato qui nel blog un articolo che raccontava la sua storia, di lei sapevo che era famosa in Francia in quanto una delle prime donne camioniste in quella nazione.
Ora lei ha scritto questo bellissimo libro di memorie corredato con tantissime foto che la ritraggono insieme ai camion che ha usato e altrettante foto di camion d’epoca che lei amava fotografare da ragazza. Alcuni di marchi sconosciuti in Italia!
Mi ritrovo a leggere i suoi racconti di vita e a confrontarli con le mie esperienze, ma soprattutto mi ritrovo a condividere al 100% i suoi pensieri su quello che è il nostro mestiere. La leggo con ammirazione perché quello che lei ha dovuto affrontare per farsi strada in un mondo maschile e maschilista è stato ben diverso da quello che è capitato a me, i miei inconvenienti sono all’acqua di rose in confronto ai suoi, dovuti soprattutto all’epoca in cui ha cominciato, anni in cui io stavo ancora imparando a camminare!
Ma l’amore a 360° per i camion, la passione per questo mestiere, l’entusiasmo mai sopito dal primo all’ultimo giorno della sua carriera al volante di un poids lourd sono gli stessi che provo anch’io, e credo anche molte di voi.
E’ bello pensare che ci sia un filo invisibile che unisce generazioni di persone, che gli fa provare gli stessi sentimenti e le stesse emozioni, creando una sorta di continuità nel tempo e nello spazio.
Quelle che leggo sono le sue avventure, sono le sue considerazioni, ma tra le sue parole ritrovo i miei stessi pensieri, il mio stesso amore per i camion. Mi piace credere che me li abbia trasmessi, non so come, non so quando, ma mi viene spontaneo di ringraziarla per avere aperto la strada con il suo coraggio e il suo entusiasmo (insieme ad altre poche donne) a tutte le ragazze che dopo di lei hanno intrapreso la carriera di camioniste. Quello che ancora oggi non è del tutto normale, cioè vedere una donna alla guida di un camion, in quegli anni era veramente “fantastico”!
Se conoscete un po’ di francese e amate il mondo dei “routiers” questo libro è per voi, ve lo consiglio con tutto il cuore!
Questo è un video della TV francese dell’inizio degli anni ’90 in cui cinque donne raccontano la loro esperienza come camioniste. Comune denominatore è la passione per questo mestiere.
Quante volte abbiamo sentito dire che all’estero le camioniste erano tante e ben accette…. la loro testimonianza conferma l’esatto contrario. Si trattava di un mestiere prettamente maschile in cui le donne venivano guardate con curiosità e spesso con diffidenza. Proprio come in Italia.
Bello rivedere le strade e i camion che circolavano in quegli anni, un altro tuffo nel passato!
Grazie a Philippe Fournet di pubblicare sempre bei video!
Si continua a parlare di Covid-19, anche se siamo entrati nella fase 2 l’emergenza non è finita, soprattutto per chi fa il camionista i problemi sono ancora tanti.
Ho trovato questo bell’articolo con la testimonianza della collega Silvia sul sito di “Uomini e trasporti”.
Silvia Cester «Paura, solitudine e tanta voglia di normalità»
Il Covid-19 visto e vissuto
dagli autisti. Abbiamo sentito diverse voci, con i loro problemi e le
loro mancanze. Ne abbiamo voluto isolare alcune al femminile. Ecco la
storia di Silvia Cester, che ha quasi dell’incredibile: dopo aver
coltivato per anni il sogno di guidare un camion, questa quarantenne
veneta lo ha realizzato proprio qualche mese prima che iniziasse a
circolare il coronavirus
Quaranta, due, tre, uno. È la versione numerica
della vita di Silvia Cester, «veneziana di terra ferma», come ama
definirsi: alle spalle quasi quarant’anni e sulle spalle due bimbi –
Agnese e Filippo – da accudire con l’aiuto dell’ex marito da cui si è
separata tre anni fa. A stupire è quell’uno finale, perché indica gli
anni trascorsi a guidare un camion. In realtà sono meno di dodici mesi,
malgrado il suo amore per i camion nasca molto prima.
Perché una donna decide di fare la camionista?
È
la domanda che mi fanno spesso. La risposta non la so: in famiglia
nessuno è camionista. Però, ho sempre abitato in zona industriale, di
fronte alla tangenziale di Mestre. Ogni mattina, per andare a prendere
l’autobus, mio nonno mi caricava in bicicletta e zigzagavamo in mezzo ai
camion. Ero affascinata da quei bestioni colorati: il profumo
di gasolio e di pneumatici mi inebriava. Un immaginario “annaffiato” da
bambina; ma poi come ha fatto a sbocciare? Ho preso la patente per
l’auto appena compiuti 18 anni. Poi, raggiunti i 23 ho deciso che volevo
anche quella per i camion. Così mi sono iscritta in un’autoscuola e,
contro il volere di tutta la famiglia, ho preso C e D. Nel frattempo
conobbi quello che poi è diventato mio marito. Perché questa puntualizzazione: camion e marito non vanno d’accordo?
No,
il desiderio di salire sul camion era sempre tanto, ma una volta
sposati abbiamo avuto due figli, cambiato tre case e aperto un negozio
di prodotti per animali. E quindi, quand’è che il sogno camionaro diventa realtà?
Quando
ci siamo separati. Inizialmente il mondo mi è crollato addosso. Poi,
grazie al mio atavico sogno sono riuscita a ripartire. È successo a
Misano, durante il weekend del camionista: sono risalita su un camion
per gioco quando erano trascorsi quindici anni da quando avevo preso le
patenti. A quel punto ho pensato che anche il CQC stava per scadere. E
mi sono chiesta: che faccio? Così ho riguardato il sogno e ho deciso di
rinnovare il CQC. A quel punto ho iniziato la ricerca di un lavoro.
Dapprima ho ricevuto proposte assurde, poi ho trovato un messaggio su
facebook che sembrava serio da parte del mio attuale datore di lavoro,
un padroncino veneto come me, Carlo Greghi. Ha avuto molta pazienza e mi
ha dedicato molto tempo, forse ha perso viaggi per colpa mia, ma mi ha
dato fiducia: è stato un grande maestro. Così l’8 luglio 2019 è iniziata
la mia vita da camionista. Il primo viaggio da sola è stato per andare
a prendere le vasche per la campagna delle barbabietole: se ci ripenso
sento ancora il cuore battere a mille. Che emozione! Come hai fatto a conciliare la tua condizione di separata con due figli?
Fortunatamente
sono rimasta in ottimi rapporti con il mio ex marito: durante
la settimana è lui a tenere i bambini. Poi il sabato e la domenica,
quando non lavoro, me li godo io. E comunque ora trasporto container per
lo più tra Veneto e Friuli, con qualche viaggio più lungo di tanto
in tanto. Ma per fortuna riesco a rientrare a casa tutte le sere. Poi,
dopo appena otto mesi vissuti da camionista arriva la pandemia. Questa
mattina ho percorso quella che io chiamo la «strada delle barbabietole»,
da Marcon a Cervignano del Friuli, quella che la scorsa estate
facevo tutti i giorni più volte al giorno durante la campagna. Nel
vedere le strade vuote, i bar chiusi, le serrande abbassate mi sono
scese le lacrime.
Ma nell’operatività quotidiana qual è il problema principale?
Posso
dirlo? Andare in bagno. Trascorro intere giornate trattenendo la pipì,
senza avere la possibilità di trovare un servizio. E per una donna è
anche più complicato di un uomo… Ti ammetto che qualche volta quando
arrivo la sera a casa, dopo aver parcheggiato il camion faccio fatica a
entrare dentro, tanto sono arrivata al limite. Mi è capitato anche di
dovermi nascondere dietro al semirimorchio… Poi c’è il problema di
alimentarsi. Io torno a casa. Ma abito ancora nei pressi di una zona
industriale e vedo i camion fermi, con gli autisti dentro che
restano ore nei parcheggi. Mi piacerebbe andargli incontro, chiedere se
hanno bisogno di qualcosa, se gradiscono un piatto caldo, ma alla fine
ho paura: non soltanto del contagio, ma anche delle persone.
Un sentimento che prima non provavo: strano come in così poco tempo il
Covid-19 ci abbia cambiati. Riesci comunque ad avere contatti con i colleghi?
Sì
e devo dire che in tanti nel corso delle ultime settimane mi hanno
salutata perché si fermano, smettono di lavorare perché manca lavoro. Mi
auguro con tutto il cuore che si possa ritornare alla normalità il
prima possibile. Quando succederà? Mi piace pensare che la terra si stia
prendendo una pausa da noi. Ma poi, quando ci rincontreremo di nuovo e
sarà tutto più bello. Ne sono sicura.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
Cerca nel blog
Chi siamo
...un gruppo di amiche/colleghe camioniste che hanno deciso di viaggiare anche in rete! ...e di trovarsi in questo "Truckstop" x condividere la propria passione x il camion!
See you on the road!
x contatti: [email protected]
commento