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La storia di Giulia

 

Non sempre essere figlie d’arte aiuta ad entrare nel mondo dell’autotrasporto a tempo pieno: è il caso di Giulia, che ci racconta la sua storia in questa intervista di “Camion e furgoni mag” a firma di Gabriele Bolognini.

Questo è il link dell’articolo:

https://www.camionefurgonimag.com/giulia-camionista-di-giovedi/

E questa è la sua storia:

 

Giulia, camionista di giovedì

29 luglio 2023

Ragioniera per professione, camionista per vocazione, Giulia prima o poi lascerà la scrivania per mettersi definitivamente alla guida del camion

Giulia Zambolin, 34 anni, di Albiano di Ivrea, durante la settimana lavora presso uno studio di commercialisti, tranne il giovedì che dedica al camion. Discendente da una stirpe di camionisti, Giulia ha il camion nel DNA: “L’impresa a conduzione familiare, fondata da mio nonno nel 1947 è passata successivamente nelle mani dei figli, Franco mio padre e Luigi (68 anni) mio zio. Da sempre si sono occupati di trasporto bovini. Io ho una sorella e mio zio una figlia, maschi non ne sono arrivati, e tra tre femmine io sono l’unica che ereditato la passione per i camion – racconta Giulia – da piccolina, finita la scuola salivo sul camion con papà da giugno a ottobre. Scendevo solo durante la settimana di mare che trascorrevamo tutti insieme. Papà però voleva che studiassi. Non le andava per niente l’idea di farmi fare il suo lavoro da grande. Così mi portavo sul camion, libri e quaderni per i compiti estivi ma non scendevo mai dalla cabina. A 14 anni iniziai a fare le manovre con l’autotreno sul piazzale del mercato di Montichiari. Mi divertivo come una matta.”

Raggiunta la maggiore età, Giulia, oltre a diplomarsi come ragioniera, prende subito tutte le patenti da camion, trovando contemporaneamente lavoro presso uno studio di commercialisti.

“Quando occorreva, davo una mano a papà e allo zio, accompagnandoli, magari nei viaggi in Francia per caricare il bestiame, per sostituirli alla guida quando finivano il tempo. Ogni viaggio era un’avventura diversa. Anni prima di prendere le patenti – ricorda Giulia – in uno di quei viaggi in Francia, mentre tornavamo con il camion carico, in una stradina di montagna, piena di curve e tornanti, un furgoncino ci colpì in piena curva. Un urto frontale terribile dalla parte di papà. Io ricordo che mi misi a piangere disperata. Papà per un momento rimase in uno stato catatonico. Per fortuna non si fece male nessuno.”

“Per questo e per tanti altri motivi papà non ha mai gradito che io facessi la camionista, tuttavia, ho continuato a dare loro una mano almeno un giorno alla settimana. Si andava nella Francia sud-occidentale per caricare le mucche Limousine, che prendono il nome dalla regione dove vengono allevate. È una razza non particolarmente grande che in Italia viene utilizzata come vitello da ristallo, per l’ingrasso e il macello, sia come allevamento, per ottenere femmine fattrici. In pratica negli anni il lavoro è rimasto sempre lo stesso – spiega Giulia – Il trasporto bestiame è un mestiere molto particolare. Devi stare molto attento perché se c’è qualche bestia nervosa può creare problemi e innervosire le altre facendo oscillare il camion o il rimorchio. Dopo averle consegnate bisogna pulire e disinfettare bene camion e rimorchio. In genere i cassoni sono divisi in due piani. Su ogni cassone entrano circa 18 mucche per piano, quindi alle volte viaggi con 60 – 70 capi.”  

 

“Durante i primi anni di guida me ne sono capitate di cotte e di crude. Una volta zio Luigi era appena tornato dalla Francia che venne chiamato subito da un cliente. Non potendo guidare subito per rispettare i turni di riposo mi affidò la guida del camion. Era inverno e mentre ci arrampicavamo sul Monte Bianco ci prese una tempesta di neve. Ero spaventatissima. Ma zio mi incoraggiò dicendomi di rimanere tranquilla e procedere lentamente. Così mentre lui riprese a dormire io mi sono ritrovata a viaggiare in mezzo alla neve alla guida del suo amato Volvo F12. Me la cavai egregiamente. Mentre un’altra volta – ricorda Giulia – eravamo in viaggio con lo Scania 144L 530 di papà. Il camion carico. Forammo una gomma del rimorchio. Fortuna che papà è un omone forzuto grande e grosso. Con calma riuscì a sostituire la ruota con la scorta. Pochi chilometri dopo forammo una gomma della motrice. Ho pensato che se mi fosse capitato quando ero sola, sarebbe stato un vero guaio con il camion carico. Finalmente dopo aver sostituito anche la seconda ruota riprendemmo il viaggio verso casa.”

A sinistra il papà di Giulia, Franco, a destra lo zio Luigi

Ora il papà di Giulia è in pensione da una decina d’anni. Lo Zio Luigi, che che sta per compiere 68 anni, subirà per legge il declassamento della patente e potrà guidare solo la sua motrice DAF: “Alla fine dell’anno zio andrà in pensione e vuole chiudere l’attività. Un vero dolore per me che intendevo portarla fino ai 100 anni – spiega Giulia – Così io continuo a collaborare con dei loro amici che fanno lo stesso lavoro, la Autotrasporti Bollero. Generalmente il giovedì, quando i loro autisti arrivano a Torino con le ore di guida esaurite, io gli do il cambio per consegnare i capi in Piemonte, Lombardia o Veneto. Tutti camion Scania, Volvo o IVECO.”  

Circa 13 anni fa Giulia ha conosciuto il suo attuale marito, Francesco, che lavora in uno dei tanti macelli dove lei va a scaricare il bestiame: “Eh già, io sto tanto attenta a non farle soffrire in viaggio povere bestioline che lui me le macella appena arrivano – scherza Giulia – Lo scorso anno ci siamo sposati ma da sei anni abbiamo la nostra meravigliosa bambina, Marta. Lei è il motivo principale per il quale ho scelto di non fare la camionista a tempo pieno. Starò con la mia bimba almeno finché non arriva alle medie. Appena sarò autosufficiente, penso di iniziare a tempo pieno l’attività di camionista. Magari con un camion tutto mio e magari cambiando settore. Chissà, staremo a vedere. Comunque, il mio futuro lavorativo è sul camion di sicuro!”


 

Buona strada sempre Giulia!

 

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Lo stile di vita di Silvia!

 

 

Dal Blog “Anche io volevo il camion” di “Uomini e Trasporti”, l’intervista di Elisa Bianchi alla collega Silvia Martellotta.

Il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/silvia-martellotta-fare-lautista-non-e-solo-un-lavoro-e-uno-stile-di-vita/

E il testo:

Silvia Martellotta: «Fare l’autista non è solo un lavoro, è uno stile di vita»

Silvia Martellotta ha 52 anni e quattro anni fa, nel 2019, ha deciso di cambiare la sua vita per diventare autista. Una scelta fatta un po’ per necessità, un po’ per vocazione, «ma la passione non basta» tiene a precisare, «per fare questo mestiere bisogna essere disposti a fare molti sacrifici». Lo sa bene Silvia, che è anche mamma di due ragazzi…

Sono le cinque di un pomeriggio di luglio quando Silvia risponde al telefono. La fatica nella sua voce lascia intuire che non si trovi alla guida. «Sto caricando il camion – conferma – tra poco parto». L’ennesimo viaggio che la porterà lontana da casa, in provincia di Livorno, per l’intera settimana. Partenza il lunedì e rientro il venerdì in serata, talvolta il sabato mattina. Silvia Martellotta, 52 anni e “ufficialmente autista” dal 2019 trasporta principalmente ferro, tubi e lamiere dalla Toscana al nord Italia. Questa vita l’ha scelta un po’ per necessità e un po’ per vocazione, ma tiene subito a chiarire che non vuole che passi il messaggio che basta un po’ di passione per fare questo mestiere ma «servono i sacrifici perché fare l’autista non è solo un lavoro, è uno stile di vita». E allora lo chiariamo subito, a scanso di equivoci.

La grinta Silvia l’ha presa tutta dalla mamma, una pioniera dei van camperizzati – oggi ormai un trend – e una delle poche donne a guidare, all’epoca, un mezzo del genere. «Dopo il divorzio da mio padre – ricorda Silvia – per trascorrere dei momenti insieme a me e i miei fratelli ci caricava tutti sul suo van che usava anche per la sua attività come floricoltrice e ci portava in vacanza». È così che nasce la passione di Silvia per i viaggi; quella per la guida, invece, arriva più tardi. «Avevo 23 anni e lavoravo nel campo ippico. La patente del camion serviva per il trasporto dei cavalli perché settimanalmente c’erano trasferte da fare per le gare e così la presi. Certo non posso dire che ero un’autista come lo sono oggi, guidavo quando ce ne era bisogno».

La carriera di Silvia era avviata, in tasca aveva tutti i brevetti professionali, da quello per l’allenamento dei cavalli a quello per il salto a ostali, ma è quando cambia la gestione dell’ippodromo per cui lavora che Silvia capisce che è il momento di cambiare vita. «Decisi di rinnovare le patenti che già avevo conseguito e prendere la E». Le sorprese, però, non sono finite. «Rimasi incinta della mia seconda figlia per cui per alcuni anni dovetti mettere in pausa il mio progetto per dedicarmi a lavori più saltuari, ma che mi permettevano di starle vicina».

La maternità di un’autista, per Silvia come per molte altre donne, è ancora un tasto dolente.
«Quando rimasi incinta la prima volta lavoravo ancora nel campo ippico e grazie all’aiuto del mio team non fu affatto un problema. Mio figlio Davide, che oggi ha 27 anni, salì per la prima volta sul camion insieme a me quando aveva appena una settimana. Fu una trasferta breve, ma un’esperienza bellissima». Le cose vanno diversamente con la nascita della seconda figlia, Vittoria, che oggi ha 18 anni. «Se non hai un aiuto esterno o non ti puoi permettere una baby-sitter non c’è modo di farcela. Così ho messo in pausa l’idea di lavorare a tempo pieno come autista e per diversi anni mi sono arrangiata facendo qualche lavoretto, tra cui anche qualche viaggio ma solo trasferte giornaliere». Nel 2019 la figlia è ormai adolescente e Silvia decide che è arrivato il momento di riprendere quell’idea messa da parte per troppo tempo. «Decisi di cambiare radicalmente la mia vita e iniziare a fare la linea, ma devo ammettere che fu un trauma tanto per me quanto per lei. L’abbiamo vissuta male entrambe, io per l’apprensione, lei per la distanza. Più di una volta le ho detto che se la situazione fosse diventata troppo difficile avrei valutato di cambiare lavoro per lei perché se deve essere deleterio per i figli il gioco non vale la candela». Una crisi familiare superata grazie «alla forza di volontà, soprattutto da parte sua. Io cercai solo di farle capire che con questo nuovo lavoro potevamo stare meglio a livello economico, permetterci cose che prima non si potevano fare. È stato un sacrificio giornaliero da parte di entrambe. Da parte mia ho cercato di supportarla il più possibile nelle sue passioni, ma non basta, essere presenti è un’altra cosa. Fortunatamente sia Vittoria che Davide in mia assenza hanno potuto contare sulla presenza del loro papà, Enzo, sempre attento e premuroso».

L’unica soluzione al problema, per Silvia, «è una revisione dell’articolo 54 del Codice della strada che impedisce di portare altre persone al di fuori dei dipendenti sui mezzi».
«Certo – precisa – andrebbe fatto con cognizione di causa e senso di responsabilità, in sicurezza insomma, ma in questo modo si darebbe la possibilità a genitori e figli di passare del tempo insieme. Tra l’altro non dimentichiamo che un tempo molti arrivavano a fare questo mestiere proprio perché da piccoli avevano viaggiato con i genitori. Io stessa da ragazzina ho viaggiato sul camion di qualche amico di famiglia e furono esperienze che mi aprirono gli occhi su questo mestiere». In altre parole, una soluzione che strizza l’occhio anche al problema della carenza di giovani autisti. «La realtà è diversa dai simulatori a cui oggi siamo abituati, un po’ di esperienza sul campo penso sia solo positiva, così come si fa già all’estero».
Il tema della responsabilità però è spinoso. «Devo ammettere che se il prezzo da pagare per una violazione della norma fosse stato un verbale a mio nome mio e a mie spese, io avrei rischiato; ma siccome il rischio è per l’azienda diventa impossibile trovare un punto di incontro».

Quello della lontananza dalla famiglia cui gli autisti sono spesso costretti non è però l’unico problema da scontare: un altro tasto dolente è quello dei servizi.
«Spesso ci ritroviamo al carico o allo scarico in piazzali gelidi d’inverno e roventi d’estate, senza un posto in cui poter socializzare o riposare perché il più delle volte occorre aspettare davanti al tabellone l’avviso per poter entrare. Tutto questo genera solo ulteriore stress e stanchezza, ma quando si riparte e si va in strada non possiamo permetterci di non essere al 100%. Basterebbe poco, basterebbe che le aziende creassero un piccolo spazio sociale, così lo definirei, all’aperto o al chiuso, in cui gli autisti possano passare le ore di attesa in serenità, bere una bibita, chiacchierare o fare attività fisica, riposarsi insomma. Per non parlare delle aree di sosta dove ci accalchiamo senza servizi adeguati. È un tema di cui si parla molto, ma nonostante questo il problema sussiste. La soluzione l’ho trovata da sola: ho messo sul camion un piccolo gabinetto, di quelli che si usano anche sui camper, da usare in caso di emergenza. La verità è che lo uso regolarmente, perché spesso non ci sono soluzioni alternative o adeguate».

Non manca però anche il rovescio della medaglia.
«Dal momento che c’è carenza di autisti ho trovato subito lavoro, anche se resta il problema dello scarso affiancamento iniziale. Tutto quello che ho imparato lo devo ai miei colleghi che con molta pazienza e gentilezza mi hanno insegnato quello che c’è da sapere. Ho avuto la fortuna di incontrare solo persone che hanno compreso le mie difficoltà e mi hanno aiutata, a loro sono e sarò sempre infinitamente grata. Questo lavoro ti mette ogni giorno di fronte a imprevisti che sono difficili da gestire, ti costringe a prendere consapevolezza dei tuoi limiti e delle tue paure e a cambiare anche le tue abitudini più elementari; ma proprio perché permette di crescere, evolversi e imparare tanto che spesso dà anche grandi soddisfazioni».

Ci resta solo un’ultima curiosità, così chiediamo a Silvia che cosa sia rimasto di quella sua passione per gli animali che per tanto tempo l’ha portata a lavorare con i cavalli. «Non è mai sparita – ci rivela – tanto che più volte per strada mi sono trovata a soccorrere degli animali in difficoltà. Ho salvato due corvi e una tortorella. Quest’ultima l’ho portata con me in piazzale e una volta guarita è rimasta lì, a farci compagnia».


 

 

Buona strada sempre Silvia!

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La storia di Beatriz

 

Un’altra nuova collega, Beatriz,  ci racconta la sua storia in questa intervista di Elisa Bianchi dal blog di Uomini e Trasporti – Anche io volevo il camion.

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/beatriz-alvez-la-mia-nuova-vita-felice-alla-guida-di-un-camion/

Questo il testo:

Beatriz Alvez: «La mia nuova vita (felice) alla guida di un camion»

Ha 52 anni, è argentina ed è «una forza della natura», o almeno così si sente dire di lei in giro. In effetti, la storia di Beatriz Alvez, autista da poco più di un anno, è tutt’altro che scontata: nella sua famiglia nessuno è autista e anzi, nemmeno lei ha mai pensato di trovare posto in cabina. E allora cosa ci fa un’ex odontoiatra di Buenos Aires alla guida di una motrice?

Ci sono interviste che non hanno bisogno di frasi a effetto introduttive. Questa a Beatriz Alvez è una di quelle, perché la sua storia è un susseguirsi di colpi di scena che forse più che un’introduzione servirebbe una premessa: per leggerla non bisogna aver paura di saltare nel vuoto.
Beatriz Alvez nasce cinquantadue anni fa da una famiglia di militari, nella campagna argentina. Dopo l’infanzia si trasferisce a Buenos Aires dove si laurea in odontoiatria e conosce l’amore. Si sposa e diventa mamma di due bambini, un maschio e una femmina, che cresce mentre avvia la sua carriera in uno studio dentistico. 11.147 chilometri più in là, esattamente la distanza che divide l’Italia da Buenos Aires, l’attende però la sua nuova vita. Ecco il primo salto nel vuoto.
Undici anni fa l’ormai ex marito di Beatriz decide di trasferirsi in Italia con i figli: l’Argentina sta passando un periodo buio, il pericolo è dietro l’angolo e Beatriz decide di seguire la sua famiglia. Si traferisce a Frosinone, in campagna, dove ritrova le abitudini dell’infanzia e inizia una nuova vita. «Non è stato facile all’inizio, lo ammetto. La mia laurea argentina in Italia non vale, quindi ho dovuto reinventarmi». E Beatriz ci riesce benissimo: trova lavoro come divulgatrice scientifica per una grande azienda e inizia così a viaggiare in tutto il mondo per lavoro. «Ho fatto questa vita per sette anni, poi mi sono resa conto che ero stanca. Quando il mio contratto è scaduto, ho deciso di non rinnovare, di prendermi del tempo per me. Di mezzo c’è stato il covid e poi ho iniziato a viaggiare per piacere, da sola, prendevo la mia macchina e partivo. Avevo voglia di guidare». Ed è qui che qualcosa scatta. La scintilla si accende e in una come Beatriz è difficile spegnerla: «Vedevo spesso i camion posteggiati nelle piazzole di sosta, mi incuriosiva guardali, finché a un certo punto mi sono detta: perché non guidare per lavoro?». Dalla nascita dell’idea alla sua esecuzione il passo è breve. Beatriz prende le patenti e in poco tempo si ritrova a cercare lavoro come autotrasportatrice.

Ma qui il dubbio sorge: forse era già un sogno custodito nel cassetto?

Assolutamente no, mai mi sarei immaginata di fare l’autista, nella mia famiglia nessuno ha fatto questo mestiere prima e sicuramente nessuno si aspettava che io a 52 anni prendessi questa strada. Ma nella mia vita mi è sempre stato detto quello che dovevo fare, per una volta volevo decidere per me stessa, seguire quello che mi faceva stare bene e quello che mi faceva stare bene in quel momento era guidare.

Per iniziare, però, serve trovare un lavoro.

Caricai il mio curriculum su internet ma fu un errore perché iniziai a ricevere diverse chiamate che possiamo definire delle prese in giro. Un giorno mi suonò il telefono, era un uomo e mi chiedeva se davvero stessi cercando lavoro come autista. Alla mia risposta affermativa mi disse che era meglio se andavo a lavare i piatti. Appesi, non vale la pena arrabbiarsi.  Molte ditte a cui mi rivolsi però mi dissero che non potevano assumermi perché non avevano donne con cui farmi fare l’affiancamento e con un collega uomo sarebbero sicuramente sorti problemi. Ci sono ancora tante barriere da abbattere, evidentemente. Però alla fine ce l’ho fatta, ho trovato il lavoro che volevo alla guida di una motrice frigo.

A distanza di poco più di un anno la scintilla c’è ancora?

Rifarei questa scelta anche prima, non so perché ho perso tanto tempo. Dicono tutti che quella dell’autista è una vitaccia, per carità è vero non è facile. Si lavora tante ore, la maggior parte delle quali passate in solitudine e se c’è qualche problema te lo devi risolvere da solo, ma in fondo anche nel mio primo lavoro era così. Se hai un paziente sul lettino hai comunque delle responsabilità, hai dei problemi da risolvere. Sul camion ne hai di più e soprattutto devi pensare che sulla strada non sei solo, ci sono macchine, pedoni e ciclisti.

Un problema di cui si sente parlare spesso ultimamente…

Sì, ma viene mostrato solo un lato. La colpa, alla fine, ricade sempre sull’autista ma ci si dimentica di guardare cosa sta dietro al problema. Spesso si lavora in condizioni difficili, le regole non vengono rispettate oppure chi si occupa di pianificare i trasporti non conosce le reali caratteristiche di un determinato territorio e il risultato è che ti trovi a dover scegliere tra il meno peggio. Così non va bene, non funziona, serve più controllo perché quello che vediamo è solo la punta dell’iceberg.

A risentirne, alla fine, è l’immagine del settore.

Ci sono molti stereotipi rispetto alla figura dell’autista, di conseguenza spesso si pensa di poterne approfittare. Ma l’intelligenza non è data dai titoli di studio, ho conosciuto persone che sanno fare benissimo il proprio lavoro alla guida di un camion pur non avendo studiato. Questo settore, che non è sicuramente facile, è fatto da persone competenti e dobbiamo essere orgogliosi di questo, noi autisti in primis. Eppure, le aziende che la pensano così sono ancora poche. Faccio un esempio: qualche tempo fa ho ripreso a mandare il mio curriculum perché volevo cambiare, ma alla fine su consiglio di mio figlio ho dovuto togliere la mia esperienza come odontoiatra e divulgatrice scientifica. A quanto pare ero “troppo qualificata” e penso sia un peccato perché è una cosa di cui io vado orgogliosa.

Alla fine, il lavoro l’hai trovato?

Sì, ho iniziato da pochi giorni. Guido il bilico e faccio trasporti in ADR. L’affiancamento lo sto facendo con una ragazza, l’unica altra donna oltre a me in azienda.

Perché ci sono ancora così poche donne secondo te?

I tabù ci sono ancora non possiamo negarlo, eppure è provatissimo che noi donne possiamo fare questo mestiere. Dobbiamo entrare nel settore perché possiamo essere un valore aggiunto, possiamo cambiarne l’immagine. E poi non se ne può più dello stereotipo che una donna autista non sia femminile. Io oggi mi sento femminile tanto quanto lo ero da odontoiatra e non perderò questa caratteristica facendo questo lavoro.

Però sicuramente è richiesto uno sforzo fisico.

Sì, ma il camion non lo devo portare in spalla. La prima volta che sono salita in cabina pensai che fosse un mezzo davvero imponente, eppure potevo controllarlo con le mie mani. Se devo essere sincera, mi sono sentita come un Transformers, quelli dei film. Certo non nego che all’inizio anche io ero preoccupata per il peso dei carichi e degli scarichi, ma ho capito che basta un po’ di pratica e manualità ed è fatta. Sicuramente è richiesto uno sforzo, ma non sovraumano, altrimenti non sarei qui oggi a parlarne. E pensare che io non avevo mai guidato neanche un suv, ho sempre avuto macchine piuttosto piccole.

Qual è il ricordo più bello che hai collezionato in questo primo anno come autista?

Qualche mese fa andai a scaricare a Roma. Stavo facendo manovra quando vidi una donna nel piazzale che guardava incuriosita in cabina. Quando entrai in magazzino mi ricevettero tutti con un applauso: era stata lei a dire ai ragazzi che c’era una donna a fare manovra con il camion e che meritavo un applauso. Questi momenti sono emozionanti, una cosa del genere non mi era mai successa nella mia precedente professione.

Hai già in programma altri cambiamenti per il futuro?

Io sono fatta così, quando mi annoio devo cambiare. Ho pensato di fare l’estero, era una delle opzioni sul tavolo quando ho scelto di lasciare la precedente ditta per cui lavoravo, ma ho già viaggiato tanto in vita mia e la sera mi piace tornare a casa, ai miei spazi. Sono nonna adesso e vorrei godermi anche la mia nipotina, le mie amicizie, la mia casa, il mio orto, le mie passioni. Sicuramente voglio fare questo lavoro finché potrò e nel frattempo studiare per continuare a crescere. Sto seguendo un corso per diventare gestore dei trasporti, ma prima di tutto occorre imparare le basi, imparare il mestiere.

Un’ultima domanda: dove trovi tutta questa determinazione?

Credo nella forza di noi donne.
Come dicevo sono nonna adesso, non voglio che mia nipote si senta fuori posto nel mondo o che pensi che non possa fare qualcosa solo perché donna.
Deve poter scegliere di fare quello che le piace.
Mi dico sempre che se un essere umano fa qualcosa lo può fare anche un altro, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna.

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Joanna Wilson lady trucker

 

Decisamente un’altra epoca!

 

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La storia di Valentina

 

 

Ho appena trovato questo articolo (è di oggi!) che racconta la storia di Valentina, camionista da pochi mesi e felice della sua scelta!

E’ pubblicato su “Maremma oggi”  e lo potete leggere a questo link:

https://www.maremmaoggi.net/ciao-sono-valentina-e-di-lavoro-faccio-la-camionista/

Siamo sempre di più a dare un tocco rosa a questo mestiere!

Buona strada Valentina!

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La storia di Silvia!

 

La bella storia della nostra collega Silvia, da 18 anni al volante di un camion, raccontata in questa intervista di Elisa Bianchi nel blog  “Anche io volevo il camion” di “Uomini e trasporti”.

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/silvia-compagno-ai-piu-giovani-bisogna-spiegare-che-quello-che-trovano-nei-supermercati-arriva-grazie-agli-autisti/

E questa la sua storia:

Silvia Compagno: «Ai più giovani bisogna spiegare che quello che trovano nei supermercati arriva grazie agli autisti»

Un’infanzia passata nella campagna veneta, tra trattori e mezzi da lavoro. Silvia Compagno è solo una bambina quando si innamora per la prima volta dei camion: suo papà sta facendo dei lavori in casa e l’iconico Lupetto fa capolinea nel cortile dell’abitazione per portare i materiali. Non è un bestione della strada come quelli che guida oggi, ma è sufficiente per far nascere in lei l’interesse. Quando decide, per gioco, di salire su quel Lupetto qualcosa scatta: è quello l’inizio della sua storia con l’autotrasporto

 

All’inizio Silvia si limita a guardare i camion da lontano: «Dalla camera da letto dei mei genitori si vedeva il posteggio di un concessionario Volvo. All’epoca insieme ai detersivi regalavano delle macchinette fotografiche, quelle con il rullino. Mi nascondevo in camera dei miei e usavo l’obiettivo della macchina fotografica come binocolo, per vedere meglio i camion posteggiati». Oggi Silvia Compagno ha 49 anni, è diventata Volvo Trucks Ambassador e il prossimo 6 ottobre festeggerà la maturità al volante: autista da 18 anni. Nel mezzo, tanti viaggi, tanti sacrifici e soprattutto tanti cambiamenti. Il primo, il più importante di tutti, a 31 anni, quando si trova di fronte a una scelta: cambiare vita e inseguire il suo sogno, o proseguire con il lavoro in fabbrica. «Mia mamma era morta da poco – ricorda Silvia – e io mi dovevo prendere cura di mio papà. Non sapevo cosa fare, ma dovevo decidere nel giro di breve tempo. Ricordo che un giorno mi fermai in un piazzale vicino all’autostrada e lì, in lacrime, decisi di provarci».

Silvia supera in poco tempo tutti gli esami delle patenti con la speranza di trovare facilmente lavoro. Di donne al volante se ne vedevano ancora poche e il successo non era affatto scontato. «Io, tra l’altro, sono sempre stata piccolina, per questo mi chiamavano affettuosamente “Silvietta”, non sembravo certo adatta a un lavoro come questo. Inizialmente trovai lavoro solo come autista di bus: prima per una cooperativa per la quale guidavo i pulmini per i ragazzi disabili, poi per l’ACTV di Venezia, l’azienda di trasporto pubblico. Per tre anni e mezzo mi sono accontentata di fare un po’ da jolly, mi chiamavano quando mancava un altro autista, ma sentivo che non era quella la mia strada, anche se sicuramente è stata un’esperienza utile». La svolta arriva nel 2004. «Mi fu data una possibilità come autista di un portacontainer. Fu grazie a quell’esperienza che capii che davvero era il lavoro che faceva per me. Ogni giorno imparavo cose nuove e conoscevo nuove persone».

Oggi Silvia ha cambiato azienda e alla guida del suo Volvo trasporta un po’ di tutto: stoffe, vino, mobili, talvolta anche merci pericolose. Da Ballò di Mirano, in provincia di Venezia, dove vive, parte per le altre province del Veneto, per il Trentino e per la Liguria. Viaggi giornalieri che però l’hanno spesso portata a togliere tempo alla famiglia e ai tre nipoti di cui è zia orgogliosa. «Anni fa mia nipote Linda, allora adolescente, mi fece notare che il mio non era un bel lavoro, almeno dal suo punto di vista. Non avevo orari, non c’ero per loro tutte le volte che ne avevano bisogno. Ci rimasi molto male, ma cercai di spiegarle che è grazie a chi fa questo mestiere se tutti i giorni al supermercato trova il cibo che mangia. Le cose non arrivano per caso, qualcuno le deve portare, anche se costa qualche sacrificio. Certo che finché questo non lo si spiega ai più giovani, giustamente è difficile che lo capiscano. Inoltre, oggi la nostra professione non gode più del rispetto di un tempo, per colpa della mancanza di educazione di pochi ci abbiamo rimesso tutti. Dal mio punto di vista il progresso ha portato anche a tanto regresso. Oggi abbiamo camion più belli, più comodi e più sicuri, ma mancano i servizi che ci permettono di svolgere questo lavoro con dignità».

Silvia insieme a Elda

La rabbia, però, lascia presto il posto ai bei ricordi che la legano a questo mestiere. «Negli anni ho avuto modo di conoscere persone straordinarie con cui ho costruito rapporti bellissimi, perché se ti presenti con il sorriso e con educazione, penso che il rispetto venga da sé». Una delle persone a cui Silvia è più legata è l’amica storica Elda Guarise, anche lei una veterana del settore. «Conobbi Elda in concessionaria Volvo a Dolo all’inizio della mia carriera. All’epoca lei già guidava la motrice, io ancora il furgone e la prima cosa che pensai fu che era bello vedere una donna alla guida di un camion. Elda aprì una speranza in me. Vedere lei farcela dava a me la forza di provarci». La loro amicizia che dura ormai da 18 anni è immortalata anche sui profili social di Silvia dove spesso e volentieri condivide le sue esperienze, come quella vissuta proprio con Elda qualche mese fa alla guida di un camion elettrico. Le chiediamo quindi se, dal suo punto di vista, sia questa la strada giusta da seguire per la decarbonizzazione del settore. «Penso si debba trovare una soluzione ibrida: i mezzi elettrici per trasporti più brevi e i mezzi diesel per i trasporti più lunghi e pesanti, perché oggi i costi sono ancora molto elevati, si è limitati nel kilometraggio e soprattutto mancano i punti di ricarica. Credo che la valutazione debba essere fatta in base alla tipologia di lavoro».

Prima di salutare Silvia, diretta all’Interporto di Padova per uno scarico, le chiediamo come festeggerà i suoi 18 anni in cabina. «Penso che non ci sia cosa migliore da fare che fermarsi per cinque minuti, tirare il freno a mano e ringraziare per quello che si ha. La vita non è fatta di cose materiali ma di sentimenti e il camion, per me, è un pezzo di cuore».

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Incontro con Lucia

ciao a tutte/i

qualche giorno fa ho ritrovato Lucia nello stesso posto dove ci siamo conosciute. Stavolta le ho consegnato la nostra tabella così anche lei sarà riconoscibile on the road!

Benvenuta Lucia, la prossima volta ci prenderemo anche il caffè!

Lucia

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10 domande a …Beatrice

 

Ancora da “Uomini e trasporti”, dalla rubrica   Voci on the road, un’intervista a cura di Elisa Bianchi, alla nostra collega Beatrice!

 

Il link: https://www.uominietrasporti.it/dopolavoro/voci-on-the-road/10-domande-a-beatrice-donghi/

 

  • Da quanto tempo fai l’autista?

Ho preso le patenti nel dicembre del 2021 e ho trovato lavoro subito dopo, a distanza di pochi giorni. Oggi è un anno e mezzo che sono in cabina.

  • Cosa ti ha spinto a intraprendere questa professione?

Nell’azienda edile di famiglia guidavo già un camion con cassone ribaltabile e gru, ma ho sempre sognato in grande, ero molto attratta dal mondo dell’autotrasporto e così spinta da amici e famiglia ho preso coraggio e ho deciso di provarci.

  • Cosa trasporti oggi?

Un po’ di tutto, dipende dai viaggi che si trovano, ma prevalentemente carta da macero, bobine, vaschette di plastica, terriccio e lamiere. Mi piace portare di tutto, non ho preferenze, perché ogni trasporto lo vivo come una sfida per me stessa.

  • Che tratte percorri?

Principalmente giro per il Nord e il Centro Italia, tra Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.

  • Che camion guidi?

Un bilico centinato Renault Trucks, lo stesso che mi accompagna da quando ho iniziato. Dicono che il bilico sia il più difficile, a me piace, non mi vedrei altrove per ora.

  • Perché una giovane donna si appassiona a questo mestiere?

Un pizzico di passione e di interesse penso debbano essere nel Dna. Io sono partita da zero, non c’erano altri autisti in famiglia, ma ho sempre avuto il gene dell’autotrasporto. Ho conosciuto persone che si sono appassionate al mestiere strada facendo, ma ci deve comunque essere sempre una certa predisposizione e tanta curiosità. Oltre ad apprezzare la solitudine, si passa tanto tempo con se stessi in cabina.

  • Cosa ami di più e cosa di meno del tuo lavoro?

Traffico a parte, che non piace a nessuno e con nessun mezzo, il problema più grande oggi sono le aree di servizio inadeguate. Si guida sempre con la speranza di trovare un posto sicuro in cui fermarsi a riposare, ma si fa fatica a trovarne. Tra gli aspetti positivi, invece, sicuramente amo il fatto di poter incontrare e conoscere tanta gente lungo la strada, parlare e confrontarmi con loro. Sono sempre stati tutti molto cordiali con me.

  • Dal tuo punto di vista, qual è la prima cosa da fare per avvicinare i giovani?

Sicuramente abbassare il costo delle patenti. Molte aziende già aiutano i giovani a conseguire le patenti dando loro la certezza di un posto di lavoro. Forse dovrebbero farlo più realtà. E poi, se posso aggiungere, bisogna andare a cercare la nostra generazione là dove sta: cioè sui social, che possono dare un grande esempio.

  • Oltre al camion, hai altre passioni nel tempo libero?

Mi sono da poco avvicinata allo Yoga, penso sia molto utile per rilassarsi dopo una dura giornata di lavoro.

  • Come immagini il tuo futuro?

Nel breve periodo mi vedo qui, sul mio camion, ma non nascondo che sogno una famiglia. Bisognerà vedere se potrò conciliare le due cose, vedo molte donne che lo hanno fatto, spero e penso sarà anche il mio caso.

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La storia di Barbara!

 

Una nuova intervista di Elisa Bianchi a una delle nostre colleghe!

Questa volta ci racconta la storia di Barbara, dal suo sogno di bambina alla sua lunga carriera al volante di un camion, naturalmente sempre sul sito di “Uomini e trasporti” nella pagina “Anche io volevo il camion”.

Buona lettura e buona strada sempre!!!

Il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/barbara-strozzi-la-contessa-acida-dellautotrasporto-si-racconta/

 

Inizia cosi:

Barbara Strozzi, la «contessa acida» dell’autotrasporto si racconta

51 anni di cui 23 trascorsi alla guida del suo camion, Barbara Strozzi è una veterana del settore. Salita a bordo a 26 anni con due figlie piccole e la famiglia contraria, Barbara si è fatta strada – e soprattutto un nome – in un’epoca in cui le donne al volante erano ancora poche, ma i sogni erano tanti e soprattutto grandi…quanto un bilico

«Sono una bimba di nove anni quando vedo per la prima volta un camion e subito me ne innamoro». Inizia così la storia d’amore tra Barbara Strozzi e il mondo dell’autotrasporto. Un amore a prima vista che da 23 anni a questa parte non si è mai affievolito. Quando la intercettiamo è naturalmente alla guida, «ma ho l’auricolare» ci rassicura con la sua voce allegra e l’inconfondibile accento bolognese delle sue origini, anche se ormai da tempo vive a Ferrara. Scopriamo solo in seguito che per parlare con noi ha abbassato la radio che tiene sempre accesa a farle compagnia con un po’ di musica: «Anche techno, a volte» ci rivela. Barbara ha l’anima grintosa di una veterana che per realizzare il suo sogno ha dovuto farsi le ossa e mentre i chilometri scorrono sotto le ruote del suo camion, la mente vola al passato, a quando era solo una bambina che con occhi sognanti guardava i “bestioni della strada” dal balcone di casa, accanto al distributore di benzina dove si fermavano a fare rifornimento prima di ripartire per lunghi viaggi che allora Barbara poteva solo immaginare.

«In famiglia non c’erano camionisti, per cui quando dicevo che avrei voluto fare questo mestiere da grande nessuno mi prendeva sul serio». Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo la vita e i piani di Barbara, crescendo, cambiano: «A 18 anni mi sono sposata e insieme al matrimonio sono arrivate a distanza di quattro anni l’una dall’altra due bambine, Sabrina e Francesca.
All’epoca lavoravo già in una ditta per la quale guidavo furgoni, ma il mio sogno di guidare un camion, uno vero, è sempre rimasto. Nessuno immaginava che avessi ancora voglia di inseguirlo, ma dopo la nascita della seconda bambina mi sono decisa a iscrivermi a scuola guida e prendere la patente. Avevo 26 anni e tutta la famiglia era contraria, ma non c’è stato verso di farmi cambiare idea».

Il sogno inizia a prendere forma quando viene assunta come autista. Un lavoro giornaliero che le consente di rientrare la sera e occuparsi delle figlie ancora piccole. Quando le bambine crescono, Barbara inizia a viaggiare anche all’estero: il Sud della Francia, la Germania, ma soprattutto la Svizzera e in un’occasione anche la Spagna. Ed è proprio di quel viaggio avvenuto nel 2010 che conserva uno dei ricordi più belli: «Arrivammo a Valencia dopo due giorni bellissimi di viaggio. Stavamo facendo un trasporto per una ditta di catering che doveva gestire un evento per la Ferrari, in occasione del Gran Premio di F1. La vista dell’autodromo pieno di auto meravigliose sarebbe di per sé bastata per farmi portare a casa un ricordo bellissimo, ma l’ultima sera, prima di ripartire, presentavano la nuova auto con la quale avrebbero corso il Gran Premio. Stavo parlando con i meccanici di Maranello quando a un certo punto entra in sala un ragazzino, guarda la macchina, stringe la mano a tutti, compresa a me, e poi si allontana. Era Fernando Alonso. Ho stretto la mano ad Alonso!». A sentirla raccontare questo episodio Barbara sembrerebbe ancora incredula. «Ma non fu l’unico incontro interessante fatto durante la mia carriera di autista: in pausa a un Autogrill incontrai anche Raz Degan. Io uscivo, lui entrava con la troupe per le riprese. Non si fanno certi incontri se si fanno altri lavori» ci dire ridendo e aggiunge che il suo sogno sarebbe stato quello di guidare un bilico per il Cavallino Rampante. «Ti immagini, la prima donna autista in Ferrari, mi sa che resterà solo un sogno nel cassetto però». In realtà, non è l’unico. «All’epoca mi sarebbe piaciuto aprire un’azienda di autotrasporto tutta mia, di sole donne, ma dopo aver fatto qualche calcolo mi sono resa conto che sarebbe stato un debito troppo grande da pagare. Tra l’altro, all’epoca non era facile trovare donne autiste, ce ne erano molte meno. Ho scelto di non rischiare e di abbandonare quella strada. Lo ammetto, oggi mi è rimasto un po’ il rimpianto».

L’avventura estera termina con la nascita di altri due bambini, i gemelli Alessandro e Andrea che oggi hanno 13 anni. Nel frattempo, Barbara inizia a lavorare per una piccola ditta vicino a casa per la quale trasporta ortofrutta nei mercati e nei supermercati, «Lavoro di notte e di giorno mi occupo della famiglia» spiega. La domanda, però, sorge spontanea: ma Barbara, quando si riposa? La risposta arriva ancora una volta sincera e allegra: «Non sono mai stata una dormigliona per fortuna, mi basta qualche ora al giorno e sono di nuovo carica. D’altronde ho preso questa decisione per non stare troppo lontana dai bambini, anche se per loro è stato più facile perché con la mamma autista ci sono nati, ma le prime due figlie da piccole hanno patito un po’ di più la mia mancanza e non mi andava di essere poco presente anche per i gemelli. Oggi che sono più grandi è più facile, non hanno più bisogno costante della mamma, anche se adesso ci sono anche le nipotine a cui badare». Tre, per la precisione: Veronica di 13 anni, Asia di 12 e Kawthar di 7. Ed è proprio quest’ultima che sembrerebbe aver già la grinta della nonna che oggi, a 51 anni, non ha assolutamente intenzione di appendere il volante al chiodo e vorrebbe trasmettere la passione a una futura erede: «Kawthar segue con attenzione quando faccio le manovre o i posteggi e dice di voler fare l’autista da grande, ma è ancora presto per dirlo». Anche se è di poco più piccola di quella bambina che si sporgeva dal balcone di casa per guardare i camion e alla fine, quel sogno, l’ha realizzato.


 

 

Il resto della storia lo potete leggere al link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/barbara-strozzi-la-contessa-acida-dellautotrasporto-si-racconta/

 

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L’incontro del venerdi: Chiara!

 

Sono arrivata poco prima che finissero la pausa in un’azienda del varesotto, dovevo consegnare dei bancali vuoti.

Il carrellista, quando gli ho consegnato le bolle, mi ha detto di andare avanti e mettermi sull’altro lato del piazzale dove c’era già parcheggiata una motrice tre assi con il telo e le sponde aperti.

Passando ho notato che sulle porte dietro aveva un adesivo che riproduceva il disegno e la scritta di questa nota maglietta che si trova on line.

“Sarà una collega?” ho pensato mentre parcheggiavo.

Sono scesa e l’ho vista sbucare da davanti alla cabina con un bel sorriso! Ci siamo presentate, lei è Chiara! Le ho chiesto se conosceva il nostro gruppo di “Lady truck” e mi ha risposto di no. Ho pensato di dover rimediare…

Lei invece mi ha chiesto  – “Da quanto fai questo lavoro?”

e io le ho risposto con una domanda –  “Quanti anni hai?”

– “Trentuno”

– “Da prima che nascessi… ormai son vecchia….” E sono salita sul cassone a spostare i bancali da scaricare, ma abbiamo continuato a parlare tra una palata e l’altra del carrellista, che gentile, portava i pieni a lei e portava via i vuoti a me, cosi faceva due camion contemporaneamente!

Lei è della bergamasca, le ho chiesto se fosse mai venuta al raduno del Coast a Giussano, no, allora l’ho invitata a venirci a trovare, le ho regalato la nostra targa – in cambio della foto per il blog! – e ci siamo scambiate i numeri di telefono.

E’ sempre bello incontrare nuove colleghe, è bello che ci siano ragazze che decidono di mettersi al volante di un camion, è bello pensare che siamo sempre di più a dare un tocco di rosa a questo mestiere!

Buona strada sempre Chiara, spero di rivederti presto!

 

 

 

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