Io sono sempre affascinata dalle storie delle donne camioniste degli anni passati. Quella di Irene poi è una storia veramente speciale, in quanto lei fu una delle poche donne camioniste a effettuare viaggi sulla linea del Medio Oriente negli anni ’70. Una vera pioniera!
Sono scritti in tedesco, lingua che non conosco a parte qualche parola, ma con l’aiuto di un amico tedesco, Michi – che parla un pò di italiano – che me ne ha fatto un riassunto, e un po di traduttore sono riuscita a mettere insieme un testo, spero che vi piaccia leggere la sua storia:
“Nel 1973 Irene aveva 17 anni e ancora studiava, ma in primavera riusci a partire col fratello di una sua amica, Ueli, per un viaggio a Teheran. Avevano un mese di tempo e 12.000 km da percorrere per giungere a destinazione. Mentre attraversavano la Jugoslavia comunista, nei pressi di Belgrado, lei si mise per la prima volta al volante di un camion. Non avevano GPS nè cellulare, ma una scatola piena di carte stradali e la posizione del sole come guida. Dopo aver preso confidenza col cambio a 16 marce e con un veicolo lungo 18 metri Irene decise che avrebbe voluto fare la camionista. Con Ueli nacque anche una storia d’amore, lui diventò il suo istruttore di guida segreto e successivamente suo marito e il padre dei suoi figli.
I suoi non erano d’accordo, cosi lei fini i suoi studi, fece l’apprendistato come infermiera, ma nel frattempo consegui le patenti per guidare i camion senza dire niente a nessuno.
Finita la formazione mise i suoi familiari di fronte al fatto compiuto, nonostante loro non fossero per niente d’accordo, anzi pensavano che fare la camionista piuttosto che l’nfermiera fosse un passo indietro dal punto di vista sociale.
Ebbe molte avventure nei dieci viaggi che fece in Iran, il percorso era sempre lo stesso ma succedeva sempre qualcosa di diverso. Piccoli guasti da risolvere, infinite pratiche burocratiche da sbrigare quando si attraversavano i confini. Una volta, grazie alla sua formazione da infermiera, aiutò addirittura un collega svizzero che si era ammalato a tornare a casa occupandosi di lui.
Durante i lunghi tempi di attesa a destinazione per lo scarico, Irene girava per i bazar della città e comprava provviste. Successe che un giorno un uomo le tagliò da dietro i suoi capelli, raccolti in una coda di cavallo, per motivi religiosi. “Come camionista, probabilmente ho minacciato troppo il suo modo di pensare patriarcale” dice. Da allora indossò sempre un cappello.
Negli anni ’70 numerosi svizzeri si recavano in Iran o addirittura in Pakistan con i camion. Irene descrive questo periodo come un “boom orientale”. Viaggiava sempre con suo marito. Insieme hanno portato a Teheran interi rimorchi pieni di asciugacapelli, macchine da cucire e persino una Range Rover.
Spesso diversi conducenti si univano per formare piccoli convogli. I camionisti si incontravano nei parcheggi lungo il percorso, o alle fontane dove si fermavano a fare rifornimento di acqua, o nelle leggendarie aree di sosta per camion. Erano sempre tutti contenti di unirsi a loro, Ueli aveva molta esperienza e parlava diverse lingue. Anche la formazione di Irene come infermiera era un vantaggio.
Due anni dopo la caduta dell’Iran nelle mani dei Mullah, Irene voleva tornarci nuovamente. Ma i problemi cominciarono con l’ambasciata iraniana a berna, non volevano rilasciale il visto. Pensavano che Irene fosse una giornalista sotto copertura. Cosi lei prese il suo camion e lo parcheggiò direttamente davanti all’ambasciata bloccandone l’ingresso. “Ha funzionato, ho ricevuto i documenti il giorno stesso.” dice.
A quel tempo erano pochissime le donne che viaggiavano verso l’ Oriente. Successivamente, mentre guidava sulle strade d’ Europa, ha incontrato altre donne camioniste.
Dopo i cambiamenti politici degli anni ’80, l’Arabia Saudita era l’unica destinazione rimasta per le merci dirette in Medio oriente. Ma li alle donne era vietato guidare. Cosi da allora viaggiò per l’Europa da sola, senza il marito Ueli. Dopo essere scampati per un pelo al furto di un camion e a una valanga, lei e suo marito hanno deciso di stabilirsi.
Dall’inizio del millennio non esistono più camionisti svizzeri a lunga percorrenza, spiega Irene. Ci sono quasi solo gli europei dell’Est che lavorano per salari bassissimi. Ciò significa che in Svizzera è crollato un intero settore.
Per commemorare quell’epoca ha scritto e illustrato un libro nell’ambito del progetto culturale “Edition Unik” . In esso racconta la sua storia e quelle di dieci colleghi, quasi cinquant’anni dopo essersi messa per la prima volta al volante di un camion. Il libro si può ordinare per e-mail: vrthr@bluemail. ”
Ho trovato questi due articoli che parlano di Denise Fraiture, classe 1021, una delle prime donne camioniste francesi, il primo articolo è stato scritto in occasione dei suoi 100 anni,
In attesa di leggerne un altro anche quest’anno, per il momento vi metto il testo che racconta un pò della sua storia di donna e di camionista:
Denise a été une des 1re femme à posséder le permis poids lourd, elle fête ses 101 ans à Gournay-en-Bray
Les années passent et semblent ne pas avoir d’effet sur Denise Fraiture. Celle qui a été une des 1re femmes à posséder le permis poids lourd fête ses 101 ans à Gournay-en-Bray.
Les années passent et semblent ne pas avoir d’effet sur Denise Fraiture. Elle vient de fêter ses 101 ans à la maison de retraite de Gournay-en-Bray entourée de sa famille.
« Elle rajeunit de jour en jour » estime la nièce de Denise Fraiture, Michèle Coutant, lors de la cérémonie organisée en l’honneur de la centenaire.
Ici, l’ensemble du personnel est aux petits soins pour les résidents.
Un moment que Mario Ménielle, président des relations avec les familles, n’aurait manqué pour rien au monde. Tout comme le directeur de l’hôpital, Olivier Delahais, lequel a offert un bouquet de fleurs et partagé une part de gâteau avec Denise avant de discuter longuement avec l’héroïne du jour.
Si pour l’occasion, le champagne était de circonstance, Denis Fraiture a eu le droit à un verre de porto, son pêché mignon.
Denise est née le 5novembre 1921 à Bosc-Hyons. Ils tiendront pendant de nombreuses années le restaurant Les négociants à Gournay-en-Bray. Aujourd’hui, le lieu est devenu un restaurant asiatique.
Femme de caractère, elle transportait les bêtes jusqu’au marché de Paris à La Villette. Un travail rude et de nuit mais qui ne lui faisait pas peur.
Lors de ses 100ans, elle expliquait:
Au marché, il n’y avait pratiquement que des hommes. Ils m’aidaient pour descendre les bêtes. Et lors de la vente, je ne me laissais pas faire. Je défendais nos intérêts.
Très élégante, lors de la petite cérémonie en son honneur, Denise s’est mise sur son 31 entourée de ses nièces et neveux qu’elle considère comme ses enfants. « Sa maison était l’endroit où tout le monde se retrouvait. Recevoir et préparer à manger a toujours été sa raison de vivre ».
Come vi avevo anticipato, oggi hanno trasmesso il video dedicato a Teresina Bruno, “La prima donna che…” ha guidato un camion in Italia! Un racconto di pochi minuti ma che racchiude una vita intera!
Dal canale You Tube “Golia”, un audio/video di qualche settimana fa, dedicato anche questo all’indimenticabile Teresina Bruno.
“Fare la differenza” è proprio quello che ha fatto Teresina salendo su un camion nell’immediato dopoguerra, come prima ragazza camionista in Italia.
Prendere la patente superiore, guidare un camion, indossare i pantaloni in un’epoca in cui in Italia le donne non li portavano…essere pioniera di piccoli grandi cambiamenti, quello che oggi ci sembra normale allora era veramente speciale.
E’ bello quando si gira per il web trovare notizie sulle pioniere del volante (di un camion!), e soprattutto è bello che non ci si dimentichi di loro, questo video è di pochi giorni fa ed è dedicato a Teresina Bruno, la prima donna camionista italiana. Abbiamo già scritto di lei altre volte, ma è sempre bello ricordarla!
E’ suo figlio Mauro che nel video racconta la vita della mamma, al volante di un camion nell’immediato dopoguerra, e dei problemi che ha dovuto affrontare all’epoca.
Il video si conclude con la panchina che le è stata dedicata nel “Sentiero delle donne ” a Settimo Torinese.
Forse non erano poi cosi poche le donne camioniste già nei primi anni del dopoguerra, girando e rigirando nel web ogni tanto trovo le “tracce” di qualcuna di loro.
Di solito sono articoli scritti recentemente a ricordare il passato di queste prime signore del volante… pesante!
Ve ne presento due.
La prima é Wanda, in un articolo de “La Nazione” del 16 marzo 2022
I primi cento anni di Wanda, donna con un passato da camionista
“E’ stata una donna tosta fin da giovane, si è trovata a fare un mestiere che all’epoca era quasi una prerogativa degli uomini”. E’ così che la figlia descrive Delfina Grassini, conosciuta a Colle come Wanda, che proprio in questi giorni ha allegramente raggiunto il secolo di vita. Nata a Radicondoli, ma residente a Colle fin dal suo matrimonio nel 1940, Delfina è stata una delle prime donne in Italia a guidare un autotreno: dalla metà degli anni ‘60 ha compiuto numerosi viaggi con la ditta del marito, viaggi che lei stessa organizzava, oltre a tenere la contabilità dell’azienda. Un ricordo che non è mai scomparso: “Per il centesimo compleanno – racconta la figlia – le hanno donato un autotreno giocattolo, e ancora le brillano gli occhi. Fa sorridere sentirle dire che ancora ha dolore alle dita dei piedi a causa dei pedali del camion”. M.B.
La seconda, nominata in questo elenco di donne premiate a Pozzoleone, è Emilia Fioravanzo.
Quando, girando e rigirando nel web, mi imbatto nella storia di una pioniera del camionismo al femminile, sono contenta. Lo sono perchè è grazie a queste donne coraggiose che si è aperta anche per noi la porta per accedere a questa professione. Lo sono perchè ogni volta è bello scoprire che di camioniste ce ne sono state anche negli anni passati, in quegli anni in cui si pensava che solo gli uomini potessero essere in grado di fare quessto mestiere, e invece, una qua e una là, c’erano anche loro e facevano la loro parte al volante di camion che non erano certo comodi e maneggevoli come quelli di oggi!
Ho trovato la storia di Bruna di Trieste, classe 1926, a cui è stato dedicato questo articolo per farle gli auguri per il suo novantaseiesimo compleanno (il 13 giugno scorso), vi metto il link:
Un caloroso augurio da tutta la redazione di Trieste Cafe a Bruna Carli nata il 13 giugno del 1926.
Oggi gli fanno gli auguri le 4 figlie gli 8 nipoti i 14 pronipoti e un trisnipote. Praticamente 5 generazioni!
Nel raccontarsi abbiamo saputo quindi che è madre di 4 figlie e che nel 1965 il marito si è purtroppo ammalato. Una vicenda triste, ma che non ha affatto fatto perdere d’animo la tenacia di Bruna che ha deciso di prendere la patente per guidare un camion in modo da affiancare il marito a lavoro.
Un gesto unico nel suo genere che porta con sé molti record.
Infatti una patente del genere – dalle notizie di quei tempi – è stata la prima a conseguirla una donna a Trieste (Autoscuola Mambrini) e la seconda in Italia.
Il primo camion che Bruna ha guidato per tutta Trieste e dintorni era un autobianchi Scaligero portata 120 quintali e poi il Leoncino il Betford, il 130 e per ultimo il 190 scarrabile, ribaltabile su tre lati tre cassoni scambiabili di cui uno con la gru.
Un record portato avanti per ben 20 anni fino a 65 anni senza mai preso una multa e nemmeno mai fatto un incidente.
E se dopo i 65 anni Bruna non abbia più guidato camion, la passione per i motori è rimasta guidando l’auto e non solo, partecipando per due edizioni alla Trieste Opicina Historic.
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(…) il resto dell’articolo lo potete leggere aprendo il link sopra.
Buona strada e grazie a Bruna e a tutte le pioniere del volante!”
Alla storia di Nikolina ci sono arrivata sbirciando nel fb di un amico (io non ce l’ho), c’era un articolo tradotto dal bulgaro, cosi me lo sono fatto inviare via mail e sono andata a cercare l’originale nel web. Ne ho trovato più di uno, naturalmente sono scritti in cirillico – impossibile per me leggerli – ma c’è il traduttore di Google e cosi ci ho provato…
Ne ho scelto qualcuno, li ho salvati, cosi come le sue foto, e ho cominciato a fare la traduzione, purtroppo alcune frasi non hanno molto senso (succede spesso col traduttore, anche con altre lingue), ma nell’insieme si capisce.
La storia è raccontata da sua figlia in un’intervista in occasione del 65° complenno della mamma che ora è andata in pensione. Una mamma veramente speciale: ha girato in camion Europa e Asia!
Ecco la traduzione:
Con velo e occhiali scuri nei paesi arabi: Nikolina
Nikolina Maneva è la prima camionista donna in Bulgaria. Alle sue spalle ha centinaia di viaggi in varie parti del pianeta. Ha viaggiato in tutta Europa e nella maggior parte del mondo arabo.
La donna bulgara si sta imbarcando in questo calvario
senza timore di dover dare indicazioni verso luoghi dove sono in pieno
svolgimento le feroci attività militari. In Iran, Libano e Siria, la gente del
posto non riesce a credere di vedere una donna al volante di una macchina da 40
tonnellate.
Solo pochi giorni fa, Nikolina ha compiuto 65 anni. Circondata dalle persone più vicine, ha augurato la sua salute e il suo consenso. La sua storia emozionante è stata raccontata a “168 Hours” da sua figlia Jonah.
Jonah, tua madre è la prima donna camionista nella storia della Bulgaria.
Quando e in che modo ha deciso che questa era la sua vocazione?
Sì, ai suoi tempi mia madre era in realtà la prima e unica donna in questa specialità
maschile. Mai prima d'ora vi era entrata, non aveva mai pensato di poterlo fare
professionalmente. L'inizio è stato fissato da quando mio padre ed io ci siamo trasferiti
a Sofia, dove ha iniziato a lavorare come autista di linea di autobus, e in seguito ha
seguito corsi per autista professionista. Senza volere niente di speciale, gli venne in
mente di offrirle un'istruzione. Mia madre acconsente immediatamente e intraprende
per lei questo nuovo passatempo. Si iscrisse a un centro di formazione per leader
internazionali e, con l'impavidità della sua giovinezza, accettò la sfida di studiare in
questa scuola "maschile".
Dopo 6 mesi di studi terminò con un ottimo trionfo ed iniziò la professione di autista
con un vero e proprio inizio alla grande. Fa subito sentire tutti disciplinati e responsabili.
Poco dopo fece domanda per un lavoro nell'allora associazione statale d'élite
Investigation Department of the District Prosecutor's Office International Road
Transport - So Mat, che era l'orgoglio del sistema imprenditoriale
socialista - una delle più grandi società di spedizioni e trasporti in Europa.
In quel momento nella stessa azienda lavora attualmente mio padre, ed è stata
subito approvata dal capo, quindi posso descrivere l'inizio del suo percorso in
questo campo.
Vi ha detto che ha avuto momenti di tormento per il fatto che nel suo
lavoro la classe maschile fosse la maggioranza incondizionata?
No, almeno non mi ha detto che era nei guai. Andava d'accordo con tutti i suoi colleghi.
Né la guardavano in modo diverso solo perché era una donna. È abbastanza diretta
e nel caso avesse qualcosa, lo diceva a se stessa senza tormento, e mio padre era
accanto a lei. Tutti sapevano che erano una famiglia. Nessuno l'ha molestata.
Anche altrimenti - si sono comportati in modo camerata e collegiale. Non sentiva
alcun atteggiamento che la preoccupasse.
E quali carichi ha trasferito nei rispettivi punti? Ci sono stati dei rischi
e durante il viaggio di ritorno in Bulgaria il suo camion è stato
nuovamente sovraccaricato di merci destinate al nostro paese?
Non posso dirti esattamente quale carico hanno trasportato da un punto all'altro.
Immagino fossero articoli di mercato come cibo, mobili e articoli per la casa.
Era allora una delle più grandi aziende. Portavano ogni genere di cose. So che
poco dopo aver iniziato a lavorare, le è stato affidato il compito di guidare una
grossa nave cisterna che riforniva i terminal della compagnia. Non ha condiviso
altri dettagli con me. Sono sicura che come donna, i suoi superiori
probabilmente non l'hanno caricata di oggetti rischiosi.
Ha portato il capitano in passato? Si parla ancora del traffico di droga
da parte dello Stato durante il comunismo?
No, posso dire esplicitamente che in nessun caso per i suoi 30 anni di servizio si è
lasciata intenzionalmente rischiare la vita e la libertà. È una persona onesta e
meritata e tutto ciò che hanno ottenuto con mio padre è stato fatto attraverso un
lavoro intenso. Non accetterebbe mai di trasportare qualcosa di simile che
danneggerebbe altre persone. Anche a costo del tuo lavoro; Sono sicura che avrebbe
voluto essere licenziata invece di fare qualcosa di simile. Ancora una volta, stiamo
parlando di veleno, che può avere conseguenze spiacevoli per le persone che lo
usano. Per tutta la vita è stata contraria a cose simili.
In quali destinazioni è andata Nicolina?
Dopo che i suoi superiori si furono convinti che avesse notevoli qualità professionali,
anche in giovane età, i responsabili del Dipartimento Investigativo della Procura
Distrettuale del Trasporto Stradale Internazionale ( le offrirono di seguire
dei corsi all'estero). Mia madre ha viaggiato in tutti i paesi europei,
così come nei paesi del mondo arabo. Ha viaggiato in lungo e in largo e in due
continenti: Europa e Asia. Dal mondo arabo era in Iran , Iraq, Libano, Siria,
Pakistan, Tagikistan, la sua prima rotta fu Francia-Teheran, all'epoca molto tesa
a causa della guerra in Iraq, ma accettò di percorrere 2.000 chilometri attraverso
la Turchia e altri 1.000 Guidava in una carovana di camion, vestita di nero dalla
testa ai piedi, con un velo sulla testa e occhiali scuri.- secondo le leggi dell'Islam.
Al confine turco-iraniano, si è trasformato in una vera sensazione. Il capo della
dogana ha esclamato che per la prima volta in 37 anni di lavoro al posto
di blocco ha visto una donna al volante di una macchina da 40 tonnellate.
Venne anche la polizia, perché nessuno riusciva a capire chi fosse questa signora,
che girava tra i conducenti. Dopo aver accertato che fosse un impiegato di Willy
Betz, la fecero entrare in testa alla colonna.
Ancora una volta, ha lavorato in tempi estremamente travagliati, fino
al punto di agitazione nel mondo arabo. Ci sono ricordi chiari sui
momenti in cui la sua vita era in pericolo?
C'è un rischio costante per la vita in questo mestiere, anche se non sei nel mondo
arabo. Ho sentito tante storie, ma poi ero molto piccola e non davo un senso alle
cose, non capivo quanto fossero devoti i miei genitori a me e a mio fratello Dimitar.
Si trattava di darci le cose di cui avevamo bisogno. Ho completato gli studi
intermedi e poi mi sono iscritta a Giurisprudenza, così come mio fratello.
Per quanto riguarda la domanda che mi fai, ricordo un caso del loro collega che è
stato addormentato nel camion e poi gli è stato rimosso un organo dal corpo.
Ci sono molte storie spiacevoli e fatali, ma per il benessere di coloro che ci
circondano sono vive e vegeta.
E lei stessa ha assistito a panorami toccanti che riflettono la brutta
faccia della guerra?
No, non ha raccontato storie così scioccanti sulla guerra nel mondo arabo. Hanno
seguito direzioni pertinenti, con l'aiuto delle quali non hanno incontrato opinioni
simili. Ancora una volta, i loro capi hanno pensato alla loro salute e sicurezza.
Difficilmente sarebbero stati mandati nei punti più travagliati di un paese, dove,
oltre a vedere qualcosa di spiacevole, poteva capitare loro qualcosa. Pensavano
solo alla loro sicurezza.
Come consideravano la gente del posto il fatto che fosse una donna che
guida un camion, a causa dei rigidi tabù religiosi e del rimorso dell'est?
Quello che ho sentito da mio padre Jordan sono storie dei suoi primi contatti con i
doganieri alle frontiere. Queste persone sono state incondizionatamente scioccate
dal fatto che una donna sotto il velo nero e gli occhiali stesse guidando un camion.
Sotto shock non in senso spiacevole. Sono rimasti stupiti dal suo coraggio. In
qualche modo era insolito per loro vedere qualcosa di simile, perché le donne lì,
sai, non sono autorizzate a lavorare nemmeno in una specialità leggera che non
richiede molta forza e coraggio. Erano stupiti che mia madre si muovesse da sola
attraverso i deserti del mondo arabo senza tormenti. Al confine con la Turchia, ad
esempio, il doganiere è stato così sorpreso di vederla che le ha subito chiesto come
avrebbe potuto recarsi in questi paesi se, ad esempio, ci fosse stata una sanguinosa
guerra in Iraq.
Durante le guerre, quando certi pacchi venivano fermati alle frontiere,
bisognava “riscattarsi”. Ha dovuto farlo in passato?
Sinceramente, non credo che avesse dovuto fare una cosa del genere. Non so se
abbia avuto casi del genere, né che in passato abbia dato riscatti. Ho sentito
parlare di pratiche simili, ma nella sua carriera professionale non ha riscontrato
nulla di simile. Forse i suoi capi hanno scelto le direzioni giuste per evitare simili
difficoltà che rallenteranno il lavoro dei loro dipendenti.
Come pensi che abbia accettato e superato tutti questi test?
È una donna coraggiosa e abbastanza forte. È il nostro sostegno e orgoglio,
così come per i suoi adorabili genitori: i miei nonni Stoyanka Kancheva e Ivan
Kanchev. Posso dirti che durante tutta la sua vita intenzionale, non si è mai
lamentata del suo lavoro. Ha detto che c'erano complicazioni da risolvere che
l'hanno scoraggiata, ma in nessun caso si è arresa. Immagino le cose che ha
passato, ma non le ha condivise con noi, per non preoccuparci.
E aveva altre colleghe che hanno iniziato a lavorare in una fase
successiva rispetto a lei? Cosa ha consigliato loro?
No, esplicitamente: è stata la prima e unica donna del suo tempo. Non ce n'erano
altre nel 1988. Era circondato solo da uomini. Molto più tardi, la classe femminile
è entrata a far parte di questa specialità. Forse fino ad allora mancava la
Vi ricordate del libro di Lilyane “Fantastique” di cui vi ho parlato un po’ di tempo fa?
Lei è stata una delle prime camioniste francesi, ma non la prima in assoluto…
In un capitolo del suo libro “38 Tonnes de souvenirs en vrac” racconta un episodio che le capitò nel mese di luglio del 1957 a Parigi. All’epoca aveva 20 anni, era arrivata in città a bordo del camion Renault del suo amico Bernard, avevano scaricato a Les Halles, il mercato della frutta. Poi lei era rimasta a Parigi, ospite della sua amica Sylvette per un paio di giorni. E mentre l’amica era al lavoro, Lilyane girava per La Bastille, il quartiere dove abitava Sylvette, armata della sua macchina fotografica, pronta ad immortalare ogni camion che incrociava per aggiungere nuove immagini alla sua collezione di foto.
E’ durante quel suo girovagare per le vie parigine che incontra la “sua” prima donna camionista
Dietro il grande parabrezza di un Berliet vede una donna piccola, bionda, al volante di un camion con rimorchio sul quale è scritto a grandi lettere “BERGER”.
Riesce a scattarle una foto. Una foto che lei conserverà per tutta la vita come una reliquia, un’icona preziosa come un gioiello.
Quella piccola donna camionista diviene il suo idolo. Il suo pensiero fu:”Se lei fa questo mestiere, allora potrò farlo anch’io!”
L’aver visto una donna camionista la fa sentire meno un’eccezione, significa che ci sono altre donne come lei, donne che hanno sognato di fare le camioniste e ci sono riuscite!
Ma chi era quella piccola donna al volante di quel grande camion?
Si chiamava Yvette Pottier e guidava un Berliet musone, un camion molto diffuso in Francia in quegli anni.
A Lilyane capitò ancora di incontrarla nel corso degli anni, quando finalmente anche lei si trovava al volante di un “poids lourd”. La salutava con un colpo di fari al quale Yvette rispondeva sempre, finché un giorno si fermò per abbracciarla, le raccontò che lei non voleva essere notata sulla strada, che per lei era normale guidare un camion e che ognuno doveva fare la sua strada.
Di Yvetteho trovato tempo fa questo vecchio articolo che purtroppo parla della sua scomparsa in un incidente stradale. Un incidente provocato da una Mercedes che viaggiando troppo velocemente urtò un camion che poi si scontrò con quello di Yvette uccidendola sul colpo.
Era il 9 marzo del 1987, aveva 62 anni, guidava i camion dal 1943 e non aveva mai fatto un incidente nella sua carriera di autista. Trasportava esclusivamente per Berger, delle bottiglie, 20 tonnellate e 3000 km minimo alla settimana. Aveva una grande passione per la “route” e tutti quelli che l’avevano conosciuta avevano di lei il ricordo di una “Grand Dame”!
Perché vi parlo di loro? Perché mi è sempre piaciuto leggere le storie delle altre donne camioniste. Scoprire che in questo mondo dell’autotrasporto ancora troppo maschilista, ogni tanto c’è una donna al volante di un camion.
E se ancora oggi quando ci vedono alla guida un po’ di stupore lo suscitiamo, posso solo vagamente immaginare come potesse essere la vita di una camionista in quegli anni. Soprattutto in relazione ai mezzi di allora.
Avete mai visto qualche film sui camionisti degli anni ’50? In realtà non ce ne sono molti, di italiano c’è “Esterina” del 1959, dove i protagonisti, tra cui Carla Gravina, Domenico Modugno e Geoffrey Horne, viaggiano su un vecchio Fiat 634, in Francia ce ne sono un paio che vedono Jean Gabin nelle vesti di un “routier”: “Gas-oil” del 1955 e “Des gens sans importance” (Appuntamento al km 424) del 1956. Non è dei film che vi voglio parlare, ma dei camion che viaggiavano sulle strade in quegli anni.
Quando ho iniziato io negli anni ’80 i camion erano già abbastanza moderni e servoassistiti, ma all’epoca in cui cominciò Yvette non era cosi, la comodità dell’autista non veniva ancora presa in considerazione, e pensare a una donna da sola al volante di un autotreno in quel periodo mi suscita un sentimento di grande ammirazione. E’ grazie a donne come lei – che non finirò mai di ringraziare – se anche noi anni dopo abbiamo potuto salire quei gradini, sederci in cabina e partire.
Se ancora oggi, 21 anni dopo il 2000, mi capita di sentirmi dire “Sei la prima camionista che vedo”, mentre in realtà (il condizionale è d’obbligo) dovremmo essere circa 2000 qui in Italia, cosa si saranno sentite dire le pioniere degli anni ’50? A quante battute legate al pregiudizio sulle donne al volante avranno dovuto ribattere dovendo in più dimostrare la propria bravura? Quello che molti uomini non capivano allora – e forse neanche oggi – è che le donne che scelgono di fare questo mestiere, al 90% lo fanno spinte dalla passione e non per pura necessità, per loro è inconcepibile pensare che una donna possa desiderare di fare questa “vitaccia” sui camion, e invece è proprio cosi. Lo si legge nelle pagine del libro di Lilyane, lo si legge nelle varie interviste ad altre camioniste pubblicate nel corso degli anni, lo si sente dire da quasi tutte le colleghe che si ha la fortuna di incontrare.
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