Oggi vorremmo parlare di stereotipi di genere, che dovrebbero essere completamente scardinati e accantonati. Se è vero che solo il 2% degli autisti professionisti di camion sono donne è anche vero che quando vi è passione e viene data la possibilità di inserirsi in questo mondo la professionalità e l’efficienza di una donna al volante è perfettamente comparabile a quella di un uomo.
Le autotrasportatrici sono ancora poche; eppure, non bisogna assolutamente incorrere nell’errore di raccontare le loro storie in modo favolistico o paternalistico: sono lavoratrici, donne e camioniste.
Il maschilismo dilaga quando si parla di donne sui camion
Come abbiamo detto questo è un mondo che conta ben 13 mila unità e solo il 2% di esso è composto da donne, ciò permette che un certo tipo di maschilismo possa serpeggiare sia in chi di questo mestiere vive sia nelle aziende che utilizzano o hanno a che fare con gli autotrasportatori.
In questo caso IT Risorse si schiera al fianco di chi combatte ogni giorno per portare in questo mondo:
Equità.
Equiparazione degli stipendi.
Per farlo bisogna affrontare l’argomento e scardinare i luoghi comuni che permettono a ognuno di noi di immaginare le donne al volente sui camion come entità indistinte in un mondo di uomini. Questo, ovviamente, non è vero e ogni donna che sale su di un mezzo pesante possiede lo stesso grado di qualità di qualsiasi altro autotrasportatore.
(….) Il resto dell’articolo sulla pagina ufficiale
Quand elle parle de camions, son enthousiasme est sincère. Une passion, transmise de père en fille. Il était chauffeur routier. Quand j’étais petite, il m’emmenait parfois. Alors, à 14 ans, Mélissa n’hésite pas. Elle sera conductrice de poids lourds, et s’inscrit au lycée Mézen à Alençon (Orne). J’ai passé le bac pro Conducteur transport routier de marchandises. En trois ans et trois permis, j’ai eu le temps de maîtriser la conduite des différents gabarits.
Mélissa obtient son bac à 18 ans, mais en cherchant un emploi, elle essuie de nombreux refus car elle n’a pas d’expérience. Être une femme ne joue pas non plus en sa faveur. « Un transporteur m’a dit : « Moi, je ne veux pas m’embêter avec une femme, parce que ça peut tomber enceinte… » »
Troisième conductrice
Elle interrompt ses recherches dans les transports, puis les reprend en 2017, à 22 ans. J’ai été embauchée par l’entreprise Desjouis le 2 mai. Je suis la troisième conductrice de la société (contre 58 hommes). J’ai tout de suite été acceptée. Au bout de deux jours de formation en interne, mes collègues ont estimé que j’étais capable de me débrouiller seule.
Aujourd’hui, elle fait en moyenne 270 km par jour. Je pars à 7 h de Mortagne-au-Perche (Orne) avec mon porteur chargé. Je livre toutes sortes de marchandises, à des entreprises comme à des particuliers. Et je ne finis jamais après 18 h. Comme je suis seule à élever mon enfant de 5 ans, ce rythme me convient très bien.
Lorsqu’on lui parle de pénibilité, elle répond qu’aujourd’hui,il suffit d’appuyer sur un bouton pour décharger, et elle assure que « conduire un 19 tonnes,c’est comme conduire une grosse voiture ». Reste les réflexions sexistes… Mélissa admet qu’elle en entend encore, notamment des clients. Mais je ne me laisse pas faire ! J’ai mon petit caractère.
E questa è la traduzione:
TESTIMONIANZA.
Al volante del suo 19 ton., Mélissa, camionista, prospera
In Francia, solo il 5% degli autisti sono donne! Testimonianza con Mélissa Szucs, 26 anni,
che esercita questa professione da quattro anni.
Quando parla di camion, il suo entusiasmo è genuino. Una "passione", trasmessa di padre in figlia.
"Era un camionista. Quando ero piccola, a volte mi prendeva". Così, a 14 anni, Mélissa non esita.
Farà la camionista e si iscrive al Lycée Mézen di Alençon (Orne). "Ho superato il diploma di
maturità professionale di autista di trasporto merci su strada. In tre anni e tre patenti,
ho avuto il tempo di padroneggiare la guida di diverse dimensioni".
Mélissa conseguì il diploma di maturità a 18 anni, ma mentre cercava un lavoro subì molti
rifiuti perché non aveva esperienza. Anche essere donna non gioca a suo favore.
"Un corriere mi ha detto: 'Io, non voglio assumere una donna, perché può rimanere incinta...'"
Terza autista
Ha interrotto la sua ricerca nei trasporti, per poi riprenderla nel 2017, all'età di 22 anni.
"Sono stata assunta dalla società Desjouis il 2 maggio. Sono la terza autista donna dell'azienda
(contro 58 uomini). Sono stata subito accettata. Dopo due giorni di formazione interna,
le mie colleghe hanno sentito che ero capace di badare a me stessa. "
Oggi percorre in media 270 km al giorno. "Lascio Mortagne-au-Perche (Orne) alle 7 del mattino
con il mio camion carico. Consegno ogni tipo di merce, ad aziende e privati.
E non finisco mai dopo le 18. Dato che sono da sola a crescere il mio bambino di 5 anni,
questo ritmo mi sta molto bene".
Alla domanda sulle difficoltà, risponde che "oggi", "devi solo premere un pulsante per
scaricare" e assicura che ""guidare un 19 tonnellate", "è come guidare una grande macchina ".
" Rimangono le riflessioni sessiste... Mélissa ammette di sentirne ancora alcune,
soprattutto dai clienti. "Ma non mi arrendo! Ho il mio caratterino."
Ho trovato questo articolo su “Strada Facendo”, il blog di tgcom24, si parla dell’importanza della professione del camionista e del perchè, forse, molti non vogliono più fare questo mestiere. C’è il parere della nostra collega Laura, sempre molto attenta alle problematiche del settore.
Camionista, una professione “importante”. Solo quando l’intero Paese lo capirà i giovani torneranno al volante
“In Italia si continua a parlare di tagliare i costi delle patenti per arginare il problema della carenza di autisti, ma la vera soluzione del problema è un’altra e consiste nel restituire dignità e rispetto alla professione di camionista, nel far comprendere all’opinione pubblica che tutti i lavori hanno un valore sociale, ma che quello di chi ogni giorno consente alle aziende di lavorare le merci e ai cittadini di trovare i prodotti lavorati nei negozi vale molto, ma molto di più di tanti altri. Ai camionisti occorrerebbe dare un “titolo professionale “ che faccia adeguatamente percepire a milioni d’italiani l’importanza di questa professione. Ecco, io credo che molti giovani sarebbero più attratti da questa professione se si rendessero conto che scegliendo questo lavoro verrebbero considerati “importanti” , rispettati. Perché la scelta di cosa fare “da grandi” è legata sicuramente al guadagno che si potrà ottenere (e che per chi fa un lavoro importante e di sacrifici come questo dovrebbe essere adeguato) ma anche all’”importanza” che si dà a una professione”. Laura Broglio, 31 anni, che sulla sua pagina su facebook si definisce “Sono donna, mamma e camionista… n quest’ordine” e che afferma di provare piacere “nel raccontare nel blog il mondo dell’autotrasporto visto da dietro il volante di un Volvo FM, perché nell’FH non vede fuori….”, ha le idee chiare sul presente e sul futuro della professione di autotrasportatore.
Ho trovato questo articolo su Golia che parla di un sondaggio effettuato tra le camioniste rivolto alle problematiche che devono affrontare: voi cosa ne pensate?
Quanto sicure si sentono le donne alla guida di un camion? Avete mai provato a farvi questa domanda?
Certo, il raggio d’azione va allargato a tutto il mondo degli autotrasportatori, con aree di sosta e parcheggi poco sicuri, ma limitando questo interrogativo al mondo femminile si può inturire molto su un settore, quello dei trasporti e della logistica, che lotta da tempo sulla possibilità di diminuire il gender gap.
Secondo un sondaggio promosso dalla Women in Trucking Association, che ha coinvolto 450 autiste professioniste tra luglio e settembre 2021, circa il 54% ritiene il mondo dell’autotrasporto sicuro per le donne, mentre il 18% afferma che ci sia ancora molto lavoro da fare. I punti da migliorare? Addirittura l’87% ritiene i parcheggi poco sicuri, l’85% punta il dito contro le aree di sosta per poi passare a cabina (75%) e magazzino logistico (74%).
Arriva l’inverno e…forse porterà la neve sulle nostre strade e autostrade…
Vi metto i link di due articoli dal sito CamioneFurgoniMag a cura di Gabriele Bolognini, con alcune interviste a colleghi e colleghe che raccontano le loro esperienze invernali:
Iniziamo con la testimonianza di Saura Sacchetti: “Ad essere sincera non ho mai avuto grandi difficoltà o meglio, non mi è mai successo di restare bloccata per neve, ma ho avuto più di qualche volta disagi sulle strade – racconta Saura – Una sola volta ho avuto paura, viaggiavo con il bilico completamente vuoto e mi trovavo in un tratto di strada statale un po’ in collina, nevicava talmente tanto che la strada si imbiancava sempre di più.
(…) continua
Il racconto di Dayana Baruzzo: “Esperienze con la neve ne ho avute solo quando lavoravo con mio padre. All’epoca guidavo un bilico DAF cisterna. Un giorno dovevo prendere la tangenziale di Bergamo e avevo la cisterna mezza piena – ricorda Dayana – Aveva iniziato a nevicare di brutto.
(…) continua
Francesca Marchesin con la sua piccola motrice, un IVECO Daily da 7,2 ton, viaggia tutta Europa. Di esperienze con la neve na ha avute, questa che ci racconta è una delle più antipatiche: “La prima volta che ho beccato la neve in viaggio ero in Romania. In un’ora è caduta tanta di quella neve che non si sa. Però sono riuscita a passare.
(…) continua
Chi parla ora è Paola Gobbetti: “La prima volta che ho guidato un autotreno sotto la neve è stato con un carico di polli. Eravamo in tre camion, dovevamo arrivare a Fossano, in provincia di Cuneo – ricorda Paola – Pioveva di brutto e dopo tre ore ha iniziato a nevicare.
(…) continua
Le interviste complete sono sulla pagina ufficiale, a tutti/e buona strada sempre!!!
Un vecchio articolo che parla della sicurezza delle donne nelle aree di servizio tedesche e che le paragona a quelle italiane, c’è anche l’opinione di una collega, Liliana, che giustamente faceva notare che il problema sicurezza riguardava anche gli uomini… cosa è cambiato da allora?
Ecco il testo dell’articolo:
Venerdì 24 ottobre 1997 – l’Unità – L’UNA e L’ALTRO
Parcheggi per le automobiliste sulle autostrade tedesche. Cosa succede in Italia
La camionista: «La sicurezza riguarda anche gli uomini»
Nessun censimento sul numero di donne al volante nel settore trasporti, ma il fenomeno è in crescita.
I camionisti «importunati». «Certo, nel nostro Paese con il camion non si è mai sicuri».
Viaggiando di notte lungo le autostrade tedesche vi potrebbe capitare di scorgere,nelle piazzole degli Autogrill e dei distributori di carburante, un’insegna luminosa che dice: «Frauenparkplatz bitte 3 Platze freihalten», alla lettera: «Parcheggi per donne, prego lasciare tre posti liberi». È un’iniziativa, promossa da una legge federale, varata lo scorso agosto dal ministero dei Trasporti tedesco, per garantire più sicurezza alle donne sulle autostrade. In passato, sono stati registrati casi di aggressione di donne in aree di servizio autostradali, situazione che spesso ha demotivato le guidatrici a fermarsi, costringendole a lunghi viaggi notturni senza sosta, minando così la loro e l’altrui sicurezza.
La nuova legge prevede da 2 a 4 posti, riservati alle donne, nelle 423 aree di servizio esistenti; inoltre, impone la verifica di sicurezza con test da effettuare nei percorsi dal parcheggio ai servizi della piazzola per controllare che non ci siano zone dove è possibile nascondersi; infine la verifica di un’illuminazione sufficiente e quella della buona visibilità del cartello segnaletico, sia dalla strada sia dall’autogrill o benzinaio. L’iniziativa, promossa in seguito a una mozione della frazione femminile dell’Spd, si immette nella scia della pianificazione urbana avviata già da tempo nel paese, atta a garantire più sicurezza alle donne anche di notte: posteggi riservati in prossimità delle uscite negli autosilo, sottopassaggi e ingressi della metropolitana illuminati a giorno proprio nelle ore notturne.
Le donne, in Germania, si sono divise: per una parte si tratterebbe della solita discriminazione maschile che vuole le donne deboli e indifese.
E in Italia qual è la situazione? La prima risposta l’abbiamo avuta da una delle poche camioniste che solcano le nostre strade nel cuore della notte con carichi e responsabilità di merci e orari da rispettare. E abbiamo scoperto un fenomeno davvero particolare. Ma occorre una piccola premessa.
Al Ministero dei Trasporti così come a quello dei Lavori Pubblici-Ispettorato di circolazione e traffico «non ci sono dati in proposito in quanto non ne sono mai stati raccolti». E ancora: «Le camioniste in Italia non le ha contate mai nessuno. Sono, sicuramente un fenomeno in crescita, ma dai dati oscuri», racconta Alfonso Trapani, responsabile dei trasporti internazionali della Fita (la federazione sindacale di categoria). «Non si conoscono le cifre della percorribilità notturna o diurna femminile e quindi non si prevede alcuna differenziazione». Camionista è Liliana Pavanelli di Como, della ditta Trasporti Ridi, nonché presidente provinciale della Fita: «Difficile quantificare il fenomeno. Certo, da parte degli uomini, colleghi e non, c’è ancora stupore nel vedere una donna alla guida di un camion, soprattutto andando verso il Sud. Capita, quando mi incrociano che, in successione, prima guardino in cabina, poi la targa e poi di nuovo in cabina: non credono che al volante ci sia un’italiana».
Ma lei, la camionista, si sente sicura sulle autostrade italiane? «La sicurezza, esordisce, la vogliono pure gli uomini. Se dovessero fare un progetto simile a quello tedesco in Italia, sarebbe giusto farlo anche per gli uomini. Bisogna rendere sicure per tutti le piazzole di sosta. Ormai è frequente che siano i camionisti a essere importunati. Sulla Serenissima e sull’Autostrada del Sole il fenomeno è in aumento: una macchina, con uomini a bordo, si affianca e fa proposte e gesti molto eloquenti. Alle volte scendono e bussano alla cabina interrompendo e disturbando il sonno del camionista di turno. Molto spesso, il malcapitato, accende il motore e riparte prima ancora di aver esaurito la sosta prevista e concluso le ore di riposo, rischiando anche la multa. Si vive sempre sul chi va là e una macchina che ti affianca ti fa pensare immediatamente ad un furto, magari a quello del camion. La reazione del camionista, una volta che chi importuna manifesta le sue intenzioni, finisce per essere di sollievo». Poi Liliana prosegue con uno stanco, ma rassegnato elenco di problemi, perché si lavora nel disagio. «In Italia, con un camion, non si è mai sicuri. E questo vale sia per gli uomini che per donne.
Non si dorme mai tranquilli, soprattutto dall’Emilia in giù. A differenza di quanto offrono le strade all’estero, soprattutto in Germania, le piazzole di sosta sono sempre piene, mancano i servizi igienici, non ci sono le docce sufficienti e non sono installate dappertutto. Cinque, sei anni fa, fu messo a punto un progetto in collaborazione con l’Agip che prevedeva l’ampliamento delle piazzole di sosta e disponeva di attrezzare con docce le aree di servizio. Inoltre,per tirare via i camionisti dalle cabine, il progetto prevedeva anche la “sala distensiva”, dove era possibile guardare la tv, rilassarsi e il camion intanto lo si controllava con un circuito televigilato, a pagamento. Sarebbe stato utile soprattutto per la sicurezza. Ma, recuperare la stanchezza e viaggiare puliti, è un’altra cosa. Comunque, un progetto per la sicurezza della guida e di chi guida, è giusto se garantisce anche gli uomini, visto che attualmente, loro, sulla strada sono la maggioranza».
Negli ultimi mesi, ma sarebbe meglio dire negli ultimi anni, circola insistentemente la notizia che mancano nuovi autisti, sia in Europa che nel nord America. La preoccupazione principale è che quando andranno in pensione tutti gli ultra cinquantenni, che ora sono la maggioranza, non ci saranno abbastanza giovani in grado di sostituirli, e, incredibile ma vero, dei camionisti ce n’è un gran bisogno!
Ma come mai i giovani non vogliono più fare i camionisti? Le risposte possono essere tante e diverse, le più frequenti sono che gli autisti non sono pagati abbastanza per il lavoro che svolgono, e che conseguire patenti superiori e CQC costa troppo sia in termini di soldi che di tempo. Una volta, almeno in Italia, la maggior parte dei ragazzi prendeva la patente a militare e poi la convertiva, in più si faceva esperienza sul campo accompagnando padri, zii, amici nei loro viaggi (cosa ormai VIETATISSIMA da anni). E, mia personale opinione, sbagliatissima. Chi ha imparato il mestiere in quel modo era molto più preparato alla guida, nelle manovre e nelle operazioni di carico/scarico di chi oggi esce da un lungo corso teorico con qualche ora di guida, ma che tutte sommate fanno poco più di un viaggio medio che si effettua in una normale giornata di lavoro. E i risultati si vedono sulle strade… Tornando alla carenza di autisti, ogni tanto vengono organizzati e finanziati corsi da varie associazioni per invogliare un po’ di giovani…
Ma bisognava fare qualcosa di più per avvicinare i ragazzi al mestiere, per fargli credere che…
Cosi negli ultimi anni sono fiorite, in tutta Europa, trasmissioni, format, reality, che hanno come protagonisti i camionisti e il loro lavoro sulle strade del continente. Un mestiere avventuroso, pieno di soddisfazioni, anche con problemi e imprevisti da risolvere, ma che i nostri “eroi dell’asfalto” affrontano col sorriso sulle labbra portando sempre a termine con successo la loro missione: consegnare il carico in tempo! E a fine giornata, soprattutto quelli italiani, si ritrovano in trattoria, dove come vuole la leggenda, si mangia bene e tanto spendendo il giusto.
Ma tutto questo non era sufficiente. Cosi hanno pensato di rivolgersi alle donne. Le stesse donne che ancora, in alcuni casi sono discriminate, ma in carenza di autisti maschi si potrà far andar bene anche loro! E cosi ecco le nostre “regine della strada” che affrontano viaggi impegnativi, carichi gravosi da sistemare, manovre millimetriche, nello stesso modo dei più grintosi colleghi uomini, dimostrando che questo è un lavoro che possono fare tranquillamente anche le giovani fanciulle.
Riusciranno queste trasmissioni a inoculare il seme della passione nelle giovani leve?
Perché se manca la passione, e credo sia proprio quella la carenza principale, le persone sul camion a fare vita randagia non ci salgono di sicuro. Nelle trasmissioni gli autisti lavorano tutti per ditte serie, rispettano tutte le regole, vengono trattati bene. Non è che non esistono aziende cosi, anzi, ci sono e probabilmente loro non avranno mai problemi a trovare autisti. Ma nella realtà ci si scontra troppo spesso con situazioni molto diverse, dumping sociale, stipendi all’osso, contratti capestro, regole assurde. E ancora porte sbarrate, come in questo periodo di pandemia dove tante volte gli autisti non sanno nemmeno dove lavarsi la faccia se non con l’acqua che hanno nel loro bidone o con le salviette umidificate. Sui servizi igienici stendiamo un velo pietoso, quando chiedi e te li negano cosa fai? Vai a farla sotto il camion? E la sera non sai dove cenare perché i ristoranti sono chiusi… praticamente sei trattato come l’ultima ruota del carro, sei solo un numero, non una persona.
Allora queste belle trasmissioni, perché poi sono belle e avventurose, rimarranno solo delle belle trasmissioni, come i telefilm di “BJ MacKay”, di “Movin On” e di “Due assi per un turbo” che da ragazzi guardavano, sognando di vivere le medesime avventure, i camionisti over-cinquanta che ormai sono quasi a fine carriera!
A chi si preoccupa (giustamente) di non poter prendere l’aereo per poter tornare a casa, guardate questo video di dove sono stati “buttati” i nostri colleghi che volevano tornare in continente dalla Gran Bretagna…
Si continua a parlare di Covid-19, anche se siamo entrati nella fase 2 l’emergenza non è finita, soprattutto per chi fa il camionista i problemi sono ancora tanti.
Ho trovato questo bell’articolo con la testimonianza della collega Silvia sul sito di “Uomini e trasporti”.
Silvia Cester «Paura, solitudine e tanta voglia di normalità»
Il Covid-19 visto e vissuto
dagli autisti. Abbiamo sentito diverse voci, con i loro problemi e le
loro mancanze. Ne abbiamo voluto isolare alcune al femminile. Ecco la
storia di Silvia Cester, che ha quasi dell’incredibile: dopo aver
coltivato per anni il sogno di guidare un camion, questa quarantenne
veneta lo ha realizzato proprio qualche mese prima che iniziasse a
circolare il coronavirus
Quaranta, due, tre, uno. È la versione numerica
della vita di Silvia Cester, «veneziana di terra ferma», come ama
definirsi: alle spalle quasi quarant’anni e sulle spalle due bimbi –
Agnese e Filippo – da accudire con l’aiuto dell’ex marito da cui si è
separata tre anni fa. A stupire è quell’uno finale, perché indica gli
anni trascorsi a guidare un camion. In realtà sono meno di dodici mesi,
malgrado il suo amore per i camion nasca molto prima.
Perché una donna decide di fare la camionista?
È
la domanda che mi fanno spesso. La risposta non la so: in famiglia
nessuno è camionista. Però, ho sempre abitato in zona industriale, di
fronte alla tangenziale di Mestre. Ogni mattina, per andare a prendere
l’autobus, mio nonno mi caricava in bicicletta e zigzagavamo in mezzo ai
camion. Ero affascinata da quei bestioni colorati: il profumo
di gasolio e di pneumatici mi inebriava. Un immaginario “annaffiato” da
bambina; ma poi come ha fatto a sbocciare? Ho preso la patente per
l’auto appena compiuti 18 anni. Poi, raggiunti i 23 ho deciso che volevo
anche quella per i camion. Così mi sono iscritta in un’autoscuola e,
contro il volere di tutta la famiglia, ho preso C e D. Nel frattempo
conobbi quello che poi è diventato mio marito. Perché questa puntualizzazione: camion e marito non vanno d’accordo?
No,
il desiderio di salire sul camion era sempre tanto, ma una volta
sposati abbiamo avuto due figli, cambiato tre case e aperto un negozio
di prodotti per animali. E quindi, quand’è che il sogno camionaro diventa realtà?
Quando
ci siamo separati. Inizialmente il mondo mi è crollato addosso. Poi,
grazie al mio atavico sogno sono riuscita a ripartire. È successo a
Misano, durante il weekend del camionista: sono risalita su un camion
per gioco quando erano trascorsi quindici anni da quando avevo preso le
patenti. A quel punto ho pensato che anche il CQC stava per scadere. E
mi sono chiesta: che faccio? Così ho riguardato il sogno e ho deciso di
rinnovare il CQC. A quel punto ho iniziato la ricerca di un lavoro.
Dapprima ho ricevuto proposte assurde, poi ho trovato un messaggio su
facebook che sembrava serio da parte del mio attuale datore di lavoro,
un padroncino veneto come me, Carlo Greghi. Ha avuto molta pazienza e mi
ha dedicato molto tempo, forse ha perso viaggi per colpa mia, ma mi ha
dato fiducia: è stato un grande maestro. Così l’8 luglio 2019 è iniziata
la mia vita da camionista. Il primo viaggio da sola è stato per andare
a prendere le vasche per la campagna delle barbabietole: se ci ripenso
sento ancora il cuore battere a mille. Che emozione! Come hai fatto a conciliare la tua condizione di separata con due figli?
Fortunatamente
sono rimasta in ottimi rapporti con il mio ex marito: durante
la settimana è lui a tenere i bambini. Poi il sabato e la domenica,
quando non lavoro, me li godo io. E comunque ora trasporto container per
lo più tra Veneto e Friuli, con qualche viaggio più lungo di tanto
in tanto. Ma per fortuna riesco a rientrare a casa tutte le sere. Poi,
dopo appena otto mesi vissuti da camionista arriva la pandemia. Questa
mattina ho percorso quella che io chiamo la «strada delle barbabietole»,
da Marcon a Cervignano del Friuli, quella che la scorsa estate
facevo tutti i giorni più volte al giorno durante la campagna. Nel
vedere le strade vuote, i bar chiusi, le serrande abbassate mi sono
scese le lacrime.
Ma nell’operatività quotidiana qual è il problema principale?
Posso
dirlo? Andare in bagno. Trascorro intere giornate trattenendo la pipì,
senza avere la possibilità di trovare un servizio. E per una donna è
anche più complicato di un uomo… Ti ammetto che qualche volta quando
arrivo la sera a casa, dopo aver parcheggiato il camion faccio fatica a
entrare dentro, tanto sono arrivata al limite. Mi è capitato anche di
dovermi nascondere dietro al semirimorchio… Poi c’è il problema di
alimentarsi. Io torno a casa. Ma abito ancora nei pressi di una zona
industriale e vedo i camion fermi, con gli autisti dentro che
restano ore nei parcheggi. Mi piacerebbe andargli incontro, chiedere se
hanno bisogno di qualcosa, se gradiscono un piatto caldo, ma alla fine
ho paura: non soltanto del contagio, ma anche delle persone.
Un sentimento che prima non provavo: strano come in così poco tempo il
Covid-19 ci abbia cambiati. Riesci comunque ad avere contatti con i colleghi?
Sì
e devo dire che in tanti nel corso delle ultime settimane mi hanno
salutata perché si fermano, smettono di lavorare perché manca lavoro. Mi
auguro con tutto il cuore che si possa ritornare alla normalità il
prima possibile. Quando succederà? Mi piace pensare che la terra si stia
prendendo una pausa da noi. Ma poi, quando ci rincontreremo di nuovo e
sarà tutto più bello. Ne sono sicura.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
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