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Dal camion alla Metro…

 

Tante volte leggiamo storie di colleghe che hanno cambiato la loro vita abbandonando una precedente occupazione per diventare camioniste, la realizzazione di un sogno.

Quello di Katia invece è un percorso inverso, dopo aver fatto la camionista per un periodo della sua vita, ha cambiato settore ed è diventata macchinista in ATM alla guida dei treni della M1 e poi della M3.

Ho trovato questo video dell’anno scorso in cui racconta la sua esperienza, buona visione e buona strada!!!

 

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Un mondo di camioniste…

 

Eccomi di nuovo a raccontare il mondo delle camioniste. Come sapete sono sempre alla ricerca di articoli che parlano di noi. Partendo sempre dal presupposto che ci dicono che siamo solo il 2% del totale degli autisti e che siamo quella famosa “minoranza troppo visibile” e in quanto tale suscitiamo sempre l’attenzione, sia per strada che nei media.

Cosi vi propongo un’altra serie di articoli vecchi e nuovi che ho trovato in rete, aggiungendoli al nostro “album di famiglia”, come mi piace pensare che sia il nostro blog, un punto d’incontro virtuale dove c’è posto per tutte le donne che svolgono questo mestiere, che l’hanno fatto per un periodo della propria vita  o che aspirano ad ottenere un posto al volante di un camion.

Parto subito dalle nuove leve, ultimamente con il problema della carenza di autisti vengono sovvenzionati corsi per l’ottenimento delle patenti superiori per incentivare le persone a entrare nel mondo dell’autotrasporto.

E se in questi corsi c’è anche una donna… è subito notizia!

E’ in caso di Sharon, riportato dalla Gazzetta di Mantova, unica ragazza su 25 candidati:

https://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2021/10/30/news/mantova-in-25-per-fare-gli-autisti-via-al-progetto-formazione-e-patente-1.40865821

 

 

e di Giuseppina di Nola…

Tra quelle che hanno già trovato un impiego c’è Emily, 22 anni, prima donna al volante di un mezzo dell’Asite di Fermo:

https://www.cronachefermane.it/2021/10/12/lasite-si-tinge-di-rosa-il-saluto-dellassessore-ciarrocchi-allautista-emily-vallorani/456735/

E restando nel settore “ambiente”, ho trovato anche questa notizia su Contarina, dove al volante dei camion della raccolta rifiuti ora ci sono anche le donne:

https://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2022/04/02/news/contarina-al-volante-dei-camion-che-raccolgono-rifiuti-ora-ci-sono-le-donne-1.41345452

Non solo new entry, ci sono anche le veterane, come Rossella che dal 1992 guida il camion nelle miniere di talco:

http://www.alpcub.com/le-donne-e-il-talco.htm

E storie un po’ diverse, come quella di Lella Lombardi, indimenticata pilota di Formula Uno (in questi giorni sono 30 anni dalla sua scomparsa) che da ragazza guidava i camion di famiglia:

https://autosprint.corrieredellosport.it/news/formula1/2022/03/03-5190707/in_ricordo_di_lella_lombardi_l_unica_donna_ad_aver_preso_punti_in_f1

 

E di Milena Bertolini – l’allenatrice della nazionale di calcio femminile – che aveva una zia,  Norma, camionista negli anni ’60, con cui adorava andare in giro da piccola. Ne parla in una puntata di “Le ragazze” che si può vedere su Rayplay a questo link, dove c’è anche qualche immagine d’epoca:

https://www.raiplay.it/video/2021/06/Le-Ragazze-65e36f49-c7ef-459c-a852-8eecb8406e72.html

A volte però si trovano anche notizie che preferiremmo non leggere, ecco un paio di titoli:

 

Chiudo con un paio di articoli di qualche anno fa (2018) che raccontano di Giada, prima donna alla guida del camion dei Pompieri in provincia di Lecco:

https://www.ilgiorno.it/lecco/cronaca/bellano-donna-autista-vigili-del-fuoco-1.3751800

https://primalecco.it/cronaca/giada-donna-fuoco-mamma-pompiere-tanto-patente/

Per questa volta mi fermo qui, a tutte l’augurio di una buona strada sempre!!!

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La storia di Beatrice, una giovane collega !

 

Vi ricordate di Beatrice?  Qualche settimana fa le ho consegnato il nostro libro, ora la sua bella storia la potete leggere sulla  pagina di “Uomini e trasporti”  a firma di Elisa Bianchi.

Una ragazza giovane ed entusiasta di aver intrapreso questa professione, a cui auguriamo tanta buona strada per il futuro!!! Vai Beatrice!!!

Questo è il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/beatrice-donghi-dal-cantiere-al-camion-inseguendo-il-sogno-dellautotrasporto/

E questa è la prima parte della sua storia:

Beatrice Donghi, dal cantiere al camion inseguendo il sogno dell’autotrasporto

Classe 1995, varesotta, diplomata in lingue, inizia a lavorare nell’azienda di famiglia che si occupa di edilizia. Poi, da qualche piccola consegna con il furgoncino a conseguire le patenti C, E e Cqc, salire su un bilico e non scendere più, il passo è stato breve

Si chiama Beatrice Donghi, classe 1995 e originaria della provincia di Varese. Colpisce la sua storia perchè Beatrice non è “figlia d’arte”, ma ha un curriculum professionale che lascia innegabilmente di stucco chiunque. Diplomata in lingue, inizia a lavorare da subito nella ditta edile di famiglia. «Dato il mio titolo di studio mi sarei dovuta occupare della parte di ufficio, ma un giorno mi è stata chiesta una mano con il furgoncino della ditta e da quel giorno io l’ufficio non l’ho più visto». All’epoca, però, Beatrice non dava una mano solo alla guida del furgoncino. «Facevo di tutto all’occorrenza, anche la manovale quando c’era da aiutare in cantiere. Preparavo la malta, guidavo gli scavatori e i muletti telescopici. Sono cresciuta tra i cantieri e trovarmi lì a lavorare è stata una conseguenza naturale. Per me era come lavorare con tanti zii, perché i dipendenti mi hanno vista crescere e anche per loro la mia presenza lì era del tutto normale». La strada di Beatrice, però, stava per cambiare e questa volta non per naturale evoluzione delle cose, ma per una passione nascosta in lei da sempre.

Come è andata?

Dopo aver preso la patente C e il CQC per tre anni ho guidato un camion con cassone ribaltabile e gru, ma lavorare in famiglia non è sempre facile, iniziava a pesarmi il fatto che non ci fosse una separazione tra vita famigliare e vita lavorativa e soprattutto più guardavo i camion, più mi brillavano gli occhi e mi convincevo che fosse quella la mia strada. Così ho preso il coraggio con due mani e comunicata alla famiglia la mia decisione – accolta favorevolmente e sostenuta – ho cercato lavoro come autotrasportatrice. Ho mandato una trentina di curricula in una sola notte e la mattina successiva sono stata ricontattata da un’azienda della zona, che è quella per cui oggi lavoro. Per i primi tre mesi ho lavorato nell’ambito dei traslochi e nel mentre studiavo per prendere la patente E, ma dal giorno successivo al conseguimento il mio sogno si è realizzato. Sono salita sul bilico e oggi non ho intenzione di lasciarlo.

Che cosa trasporti?

Di tutto: bobine di carta, tubi di plastica, alimentare non da frigo, polimeri di plastica. Una cosa però è rimasta in comune con il mio precedente lavoro: capita ogni tanto di trasportare ancora cemento.

Che viaggi fai?

Lavoro prevalentemente nel Nord e nel Centro Italia e spesso capita di passare fuori le notti con il camion.

E come ti trovi?

Lavoro da poco in questo settore, ma mi sono resa conto da subito che la situazione per quanto riguarda i servizi non è delle migliori. Quando mi capita di trovare aree di sosta con servizi dedicati alle donne rimango davvero sorpresa, eppure mi è capitato. Una volta in zona Bergamo e un’altra in zona Brescello. Forse è un buon segnale.


 

(…) Il continuo della sua storia sulla pagina ufficiale di Uomini e trasporti

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La storia di Nikolina, una pioniera dalla Bulgaria

 

Alla storia di Nikolina  ci sono arrivata sbirciando nel fb di un amico (io non ce l’ho), c’era un articolo tradotto dal bulgaro, cosi me lo sono fatto inviare via mail e sono andata a cercare l’originale nel web. Ne ho trovato più di uno, naturalmente sono scritti in cirillico – impossibile per me leggerli – ma c’è il traduttore di Google e cosi ci ho provato…

Ne ho scelto qualcuno, li ho salvati, cosi come le sue foto, e ho cominciato a fare la traduzione, purtroppo alcune frasi non hanno molto senso (succede spesso col traduttore, anche con altre lingue), ma nell’insieme si capisce.

 

 

Alcuni link:

https://trud.bg/%D0%BF%D1%8A%D1%80%D0%B2%D0%B0%D1%82%D0%B0-%D0%B1%D1%8A%D0%BB%D0%B3%D0%B0%D1%80%D0%BA%D0%B0-%D0%BC%D0%B5%D0%B6%D0%B4%D1%83%D0%BD%D0%B0%D1%80%D0%BE%D0%B4%D0%B5%D0%BD-%D1%88%D0%BE%D1%84%D1%8C%D0%BE%D1%80-%D0%BD%D0%B0-%D1%82%D0%B8%D1%80-%D1%81%D1%82%D0%B0%D0%BD%D0%B0-%D0%BD%D0%B0-65/

https://novini247.com/novini/nikolina-maneva-e-parvata-jena-tiradjiya-v-balgariya-zad-garba_3907698.html 

https://www.168chasa.bg/article/10681059

Alcune foto: 

 

 

 

 

La storia è raccontata da sua figlia in un’intervista in occasione del 65° complenno della mamma che ora è andata in pensione. Una mamma veramente speciale: ha girato in camion Europa e Asia!

Ecco la traduzione:

Con velo e occhiali scuri nei paesi arabi: Nikolina

 

Nikolina Maneva è la prima camionista donna in Bulgaria. Alle sue spalle ha centinaia di viaggi in varie parti del pianeta. Ha viaggiato in tutta Europa e nella maggior parte del mondo arabo.

La donna bulgara si sta imbarcando in questo calvario
senza timore di dover dare indicazioni verso luoghi dove sono in pieno
svolgimento le feroci attività militari. In Iran, Libano e Siria, la gente del
posto non riesce a credere di vedere una donna al volante di una macchina da 40
tonnellate.

Solo pochi giorni fa, Nikolina ha compiuto 65 anni. Circondata dalle persone più  vicine, ha augurato la sua salute e il suo consenso. La sua storia emozionante è stata raccontata a “168 Hours” da sua figlia Jonah.

 
Jonah, tua madre è la prima donna camionista nella storia della Bulgaria. 
Quando e in che modo ha deciso che questa era la sua vocazione?

Sì, ai suoi tempi mia madre era in realtà la prima e unica donna in questa specialità
maschile. Mai prima d'ora vi era entrata, non aveva mai pensato di poterlo fare
 professionalmente. L'inizio è stato fissato da quando mio padre ed io ci siamo trasferiti
 a Sofia, dove ha iniziato a lavorare come autista di linea di autobus, e in seguito ha 
seguito corsi per autista professionista. Senza volere niente di speciale, gli venne in 
mente di offrirle un'istruzione. Mia madre acconsente immediatamente e intraprende
 per lei questo nuovo passatempo. Si iscrisse a un centro di formazione per leader 
internazionali e, con l'impavidità della sua giovinezza, accettò la sfida di studiare in 
questa scuola "maschile".
Dopo 6 mesi di studi terminò con un ottimo trionfo ed iniziò la professione di autista
 con un vero e proprio inizio alla grande. Fa subito sentire tutti disciplinati e responsabili. 
Poco dopo fece domanda per un lavoro nell'allora associazione statale d'élite 
Investigation Department of the District Prosecutor's Office International Road 
Transport - So Mat, che era l'orgoglio del sistema imprenditoriale 
socialista - una delle più grandi società di spedizioni e trasporti in Europa. 
In quel momento nella stessa azienda lavora attualmente mio padre, ed è stata 
subito approvata dal capo, quindi posso descrivere l'inizio del suo percorso in
 questo campo.
 
Vi ha detto che ha avuto momenti di tormento per il fatto che nel suo 
lavoro la classe maschile fosse la maggioranza incondizionata?
 
No, almeno non mi ha detto che era nei guai. Andava d'accordo con tutti i suoi colleghi. 
Né la guardavano in modo diverso solo perché era una donna. È abbastanza diretta 
e nel caso avesse qualcosa, lo diceva a se stessa senza tormento, e mio padre era 
accanto a lei. Tutti sapevano che erano una famiglia. Nessuno l'ha molestata. 
Anche altrimenti - si sono comportati in modo camerata e collegiale. Non sentiva 
alcun atteggiamento che la preoccupasse.
 
E quali carichi ha trasferito nei rispettivi punti? Ci sono stati dei rischi 
e durante il viaggio di ritorno in Bulgaria il suo camion è stato 
nuovamente sovraccaricato di merci destinate al nostro paese?
 
Non posso dirti esattamente quale carico hanno trasportato da un punto all'altro.
 Immagino fossero articoli di mercato come cibo, mobili e articoli per la casa. 
Era allora una delle più grandi aziende. Portavano ogni genere di cose. So che 
poco dopo aver iniziato a lavorare, le è stato affidato il compito di guidare una 
grossa nave cisterna che riforniva i terminal della compagnia. Non ha condiviso 
altri dettagli con me. Sono sicura che come donna, i suoi superiori 
probabilmente non l'hanno caricata di oggetti rischiosi.
 
Ha portato il capitano in passato? Si parla ancora del traffico di droga 
da parte dello Stato durante il comunismo?
 
No, posso dire esplicitamente che in nessun caso per i suoi 30 anni di servizio si è 
lasciata intenzionalmente rischiare la vita e la libertà. È una persona onesta e 
meritata e tutto ciò che hanno ottenuto con mio padre è stato fatto attraverso un 
lavoro intenso. Non accetterebbe mai di trasportare qualcosa di simile che 
danneggerebbe altre persone. Anche a costo del tuo lavoro; Sono sicura che avrebbe 
voluto essere licenziata invece di fare qualcosa di simile. Ancora una volta, stiamo
 parlando di veleno, che può avere conseguenze spiacevoli per le persone che lo 
usano. Per tutta la vita è stata contraria a cose simili.

 

In quali destinazioni è andata Nicolina?
 
Dopo che i suoi superiori si furono convinti che avesse notevoli qualità professionali, 
anche in giovane età, i responsabili del Dipartimento Investigativo della Procura 
Distrettuale del Trasporto Stradale Internazionale ( le  offrirono di seguire 
dei corsi all'estero).  Mia madre ha viaggiato in tutti i paesi europei, 
così come nei paesi del mondo arabo. Ha viaggiato in lungo e in largo e in due 
continenti: Europa e Asia. Dal mondo arabo era in Iran , Iraq, Libano, Siria, 
Pakistan, Tagikistan, la sua prima rotta fu Francia-Teheran, all'epoca molto tesa 
a causa della guerra in Iraq, ma accettò di percorrere 2.000 chilometri attraverso
 la Turchia e altri 1.000 Guidava in una carovana di camion, vestita di nero dalla 
testa ai piedi, con un velo sulla testa e occhiali scuri. - secondo le leggi dell'Islam.
 Al confine turco-iraniano, si è trasformato in una vera sensazione. Il capo della 
dogana ha esclamato che per la prima volta in 37 anni di lavoro al posto 
di blocco ha visto una donna al volante di una macchina da 40 tonnellate. 
Venne anche la polizia, perché nessuno riusciva a capire chi fosse questa signora, 
che girava tra i conducenti. Dopo aver accertato che fosse un impiegato di Willy 
Betz, la fecero entrare in testa alla colonna.
 
Ancora una volta, ha lavorato in tempi estremamente travagliati, fino
 al punto di agitazione nel mondo arabo. Ci sono ricordi chiari sui 
momenti in cui la sua vita era in pericolo?

 

C'è un rischio costante per la vita in questo mestiere, anche se non sei nel mondo 
arabo. Ho sentito tante storie, ma poi ero molto piccola e non davo un senso alle
 cose, non capivo quanto fossero devoti i miei genitori a me e a mio fratello Dimitar.
 Si trattava di darci le cose di cui avevamo bisogno.  Ho completato gli studi 
intermedi e poi mi sono iscritta a Giurisprudenza, così come mio fratello.
 Per quanto riguarda la domanda che mi fai, ricordo un caso del loro collega che è 
stato addormentato nel camion e poi gli è stato rimosso un organo dal corpo. 
Ci sono molte storie spiacevoli e fatali, ma per il benessere di coloro che ci 
circondano sono vive e vegeta.
 
E lei stessa ha assistito a panorami toccanti che riflettono la brutta 
faccia della guerra?
 
No, non ha raccontato storie così scioccanti sulla guerra nel mondo arabo. Hanno 
seguito direzioni pertinenti, con l'aiuto delle quali non hanno incontrato opinioni 
simili. Ancora una volta, i loro capi hanno pensato alla loro salute e sicurezza. 
Difficilmente sarebbero stati mandati nei punti più travagliati di un paese, dove, 
oltre a vedere qualcosa di spiacevole, poteva capitare loro qualcosa. Pensavano 
solo alla loro sicurezza.

 

Come consideravano la gente del posto il fatto che fosse una donna che 
guida un camion, a causa dei rigidi tabù religiosi e del rimorso dell'est?

 

Quello che ho sentito da mio padre Jordan sono storie dei suoi primi contatti con i 
doganieri alle frontiere. Queste persone sono state incondizionatamente scioccate 
dal fatto che una donna sotto il velo nero e gli occhiali stesse guidando un camion. 
Sotto shock non  in senso spiacevole. Sono rimasti stupiti dal suo coraggio. In 
qualche modo era insolito per loro vedere qualcosa di simile, perché le donne lì, 
sai, non sono autorizzate a lavorare nemmeno in una specialità leggera che non 
richiede molta forza e coraggio. Erano stupiti che mia madre si muovesse da sola 
attraverso i deserti del mondo arabo senza tormenti. Al confine con la Turchia, ad 
esempio, il doganiere è stato così sorpreso di vederla che le ha subito chiesto come
 avrebbe potuto recarsi in questi paesi se, ad esempio, ci fosse stata una sanguinosa
 guerra in Iraq.
 
Durante le guerre, quando certi pacchi venivano fermati alle frontiere, 
bisognava “riscattarsi”. Ha dovuto farlo in passato?
 
Sinceramente, non credo che avesse dovuto fare una cosa del genere. Non so se 
abbia avuto casi del genere, né che in passato abbia dato riscatti. Ho sentito 
parlare di pratiche simili, ma nella sua carriera professionale non ha riscontrato 
nulla di simile. Forse i suoi capi hanno scelto le direzioni giuste per evitare simili 
difficoltà che rallenteranno il lavoro dei loro dipendenti.

 

Come pensi che abbia accettato e superato tutti questi test?
È una donna coraggiosa e abbastanza forte. È il nostro sostegno e orgoglio, 
così come per i suoi adorabili genitori: i miei nonni Stoyanka Kancheva e Ivan 
Kanchev. Posso dirti che durante tutta la sua vita intenzionale, non si è mai 
lamentata del suo lavoro. Ha detto che c'erano complicazioni da risolvere che
 l'hanno scoraggiata, ma in nessun caso si è arresa. Immagino le cose che ha 
passato, ma non le ha condivise con noi, per non preoccuparci.

 

E aveva altre colleghe che hanno iniziato a lavorare in una fase 
successiva rispetto a lei? Cosa ha consigliato loro?
 
No, esplicitamente: è stata la prima e unica donna del suo tempo. Non ce n'erano 
altre nel 1988. Era circondato solo da uomini. Molto più tardi, la classe femminile 
è entrata a far parte di questa specialità. Forse fino ad allora mancava la 
determinazione. Mia madre non ci ha pensato.
 
Fonte: glasnews.bg


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La storia di Bianca

 

La storia di un’altra giovane collega, Bianca,  a cui auguriamo tanta buona strada!!!

Il link dell’articolo:

https://www.albanianews.it/ritratti/bianca-dervishi-giovane-albanese-camionista-italia

 

Inizia cosi:

 

Bianca Dervishi, una giovane albanese, camionista in Italia

Appassionata da sempre di automobili, Bianca aveva soli 19 anni quando è salita per la prima volta su un camion.

“Ho abbandonato la mia professione di parrucchiera, per fare la camionista”, – dichiara Bianca.

Gli inizi di questa professione non sono stati facili.

Ma, il più grande supporto per me in questo percorso è stata la mia famiglia.


 

(…) continua sulla pagina ufficiale…

 

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Grazie a “Uomini e Trasporti”!!!

 

Grazie!

Grazie a Elisa Bianchi e a “Uomini e Trasporti” per la bellissima recensione del nostro libro nel loro blog!!!

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/soprattutto-camioniste-storie-di-autiste-contro-gli-stereotipi/

E questo è l’inizio dell’articolo:

Soprattutto camioniste: storie di autiste contro gli stereotipi

Si chiama “Soprattutto camioniste” ed è il libro edito dal gruppo “Buona strada” Lady Truck Driver Team che riunisce oltre un centinaio di donne tra autotrasportatrici e appassionate del mestiere. Cinquantadue racconti in tutto, storie di vita accomunate sempre dalla passione per i camion, per raccontare com’è essere una donna camionista in Italia e cosa ancora c’è da fare per abbattere gli stereotipi e i pregiudizi che gravitano intorno a questa professione.

«A volte è bello pensare che fai qualcosa che poche donne hanno il coraggio di fare».

Si apre così Soprattutto camioniste, il libro edito dal gruppo Buona strada. Lady Truck Driver Team nato nel 2007 per unire amiche e colleghe camioniste e che oggi conta più di un centinaio di donne tra autiste e appassionate che si riuniscono su un blog, un “Truck stop” virtuale, come lo definisco loro, per raccontare le loro storie di vita, le loro esperienze alla guida, ma anche pensieri, passioni e scambiarsi informazioni utili.

«A volte è bello guardare gli sguardi stupiti della gente che ti nota passare e tu sei lì, seduta a un metro e mezzo da terra che li guardi dall’alto in basso, non con cattiveria ma con un pizzico d’orgoglio per quello che stai facendo». Sì, perché le donne alla guida di un mezzo pesante oggi sono ancora poche. Solo il 2% del totale per la precisione, pari a circa 13 mila unità. Un mondo ancora prevalentemente “maschile e maschilista” come scrive qualcuna di loro, eppure «nel corso degli anni ci sono state donne che hanno sognato di fare questo mestiere e donne che ci sono riuscite, sono salite in cabina e ci sono rimaste». Soprattutto camioniste ne racconta cinquantadue di loro: cinquantadue testimonianze raccolte tra le componenti del gruppo Buona strada. Lady Truck Driver Team per spiegare e raccontare com’è la vita delle donne camioniste in Italia, ma soprattutto per lanciare un messaggio: le donne ci sono e non sono disposte a farsi dire che si tratta “di un mestiere per uomini”.

L’introduzione del volume si chiude con un invito a riflettere, eppure suona quasi come una premonizione: «Adesso questo settore maschilista si sta accorgendo che le donne possono sopperire alla carenza di autisti, al ricambio generazionale. Cercano di motivarle a intraprendere questa professione con varie iniziative. Forse una cosa non è stata compresa, per le donne che scelgono di fare questo mestiere, fare la camionista è la realizzazione di un sogno e se il sogno non corrisponderà alla realtà cambieranno strada».

Come fare in modo quindi che questo sogno non si infranga?

Leggendo i racconti presenti in Soprattutto camioniste sembra evidente: serve agire subito per garantire che le esigenze delle donne autiste siano ascoltate e accolte. I racconti di vita, tutti così diversi tra loro, da chi è “figlia d’arte” a chi il camion l’ha sempre desiderato fin da bambina, fino a chi mai avrebbe pensato di ritrovarsi alla guida di un “bisonte della strada”, convergono quasi tutti però su un unico punto: mancano servizi – soprattutto quelli igienici – dedicati alle donne, manca attenzione alle esigenze di madri, figlie, lavoratrici che da sempre nel nostro Paese ricoprono anche un ruolo fondamentale nelle famiglie.

I commenti sarcastici, gli sguardi attoniti, i pareri contrari, quelli si possono superare. Non è sempre facile, certo. A ognuna di loro è capitato un episodio di questo tipo, ma l’hanno sempre saputo superare con passione, tenacia e intelligenza. La cultura si può e deve cambiare, ma non possono mancare azioni concrete a sostegno dell’occupazione femminile in questo settore che oggi più che mai ha bisogno di forza lavoro.

(….)

Il resto dell’articolo  lo trovate sulla pagina ufficiale di “Uominui e trasporti”

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Giulia, la pioniera degli autobus!

 

Se non è stato facile per le donne farsi accettare come camioniste forse lo è stato ancora meno come conducenti di un autobus. Questa è la storia di Giulia, la prima donna in Italia a conseguire la patente per i mezzi pubblici.

Questi sono i link e i testi di due articoli del 2019 che raccontano la sua storia:

https://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/285739-la-storia-di-giulia-la-prima-donna-a-guidare-un-autobus-veniva-dal-sud/

La storia di Giulia: la prima donna a guidare un autobus veniva dal Sud

La prima donna al volante di un bus
FONTE: www.autolineecamera.it

Donna al volante, pericolo costante“. Se persino in un vecchio adagio popolare viene da sempre messa in discussione la bravura delle donne alla guida, è facile immaginarsi le difficoltà che ha dovuto incontrare Giulia Solomita per potersi mettere al volante addirittura di un autobus, seppur di proprietà dell’azienda di trasporti Camera, sua e di suo marito. Anche perché prima nessuna donna lo aveva mai fatto prima. E’ stata, infatti, l’allora 25enne potentina la prima persona italiana di sesso femminile ad ottenere la patente “D pubblica”, quella necessaria appunto per guidare gli autobus.

Un’esigenza più che una passione per la signora Giulia, che oggi (2019) di anni ne ha 83 e che dell’azienda non ne ha più voluto sapere nulla dalla morte del marito, passandone le redini a un nipote. Come raccontato in un’intervista – concessa al portale www.melandronews.it – infatti le cose sono andate così: “Ci stavamo ampliando e ci serviva il secondo autista. Così ho detto a mio marito: ci provo io. Mi sono messa subito a studiare, andavo a Potenza all’autoscuola. Andavo di pomeriggio, a giorni alterni. Ma non è stato semplice. A me necessitava la patente, altrimenti avremmo dovuto spendere i soldi per un’altra assunzione“.

Il problema è che nonostante il suo impegno e la sua serietà, nessuno voleva neanche solo esaminarla, una responsabilità allora considerata troppo grande: “Ricordo molto bene l’ingegnere che avrebbe dovuto esaminarmi, tanto bravo, ma anche lui mi diceva che non se la sentiva di assumersi quella responsabilità. Così ogni volta mi rimandava alla volta dopo, quaranta giorni dopo. Ogni volta vedevo i candidati uomini che superavano la prova e io che dovevo tornare la volta dopo. Non mi sono stancata, anzi forse ho preso io per sfinimento l’ingegnere. Ricordo che vennero anche altri dirigenti della Motorizzazione, per farmi sostenere l’esame“.

Un esame davvero durissimo, per giunta. La signora Giulia, infatti, dovette prima smontare un motore e poi guidare davanti ad una scuola durante l’orario di uscita degli alunni. Alla fine, però, le fecero persino i complimenti. Era il 1961. Nello stesso anno anche il primo viaggio, a Roma o forse Napoli. Questo non lo ricorda bene. Ancora impresso nella mente, invece, quanto accadde anni dopo: “Un giorno ho notato che quell’ingegnere mi guardava. Un po’ mi sono spaventata, ma poi ho capito che mi seguiva per vedere quel che facevo alla guida del bus, per capire se aveva fatto bene a darmi la patente. Ma questo succedeva sempre anche durante i controlli delle forze dell’ordine: se dovevano fermare qualcuno, capitava sempre a me“.

Alla fine, però, l’unica che l’ha fermata davvero è stata proprio lei stessa: “La patente a chi guida gli autobus si toglie a 68 anni di età, ma devo essere sincera, io sono andata alla motorizzazione e l’ho consegnata un po’ di tempo prima, perché avevo capito che non avevo più le energie per stare al volante. Però continuo a guidare l’automobile“.

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https://www.storieoggi.it/2019/03/07/giulia-la-prima-donna-ditalia-a-guidare-un-bus-nessuno-voleva-esaminarmi/

 

 

Giulia, la prima donna d’Italia a guidare un bus: “Nessuno voleva esaminarmi”

Ha 83 anni e vive a Satriano di Lucania: “Era il 1961, c’era troppa diffidenza. Ogni volta mi rimandavano alla prossima e intanto vedevo tutti gli aspiranti maschi passare avanti”

Le cronache dell’epoca raccontano che lei pianse quando superò l’esame. Giulia Solomita Camera, di Satriano di Lucania è stata la prima donna in Italia a ottenere una patente di guida della Categoria “D pubblica”, quella che serve per poter condurre gli autobus.

Quel pianto era di gioia, ma anche liberatorio, perché – come racconta lei stessa- non fu un percorso facile. Discusse animatamente con l’ingegnere della Motorizzazione civile che doveva esaminarla quando le disse: “La patente D a una donna può assegnarla solo un folle”. Invece, da quel giorno Giulia – che aveva 25 anni – su un autobus ci è salita fino a quasi settant’anni. E oggi, che ne ha 83, continua a guidare la sua utilitaria.

Signora Giulia, lei è stata la prima donna a ottenere una patente che permette di guidare gli autobus nel nostro Paese.

Parliamo di secoli fa…

Com’è nata in lei la voglia di guidare un bus?

Con mio marito avevamo una ditta di autolinee, l’azienda Camera. Ci stavamo ampliando e ci serviva il secondo autista. Così ho detto a mio marito: ci provo io. Mi sono messa subito a studiare, andavo a Potenza all’autoscuola. Andavo di pomeriggio, a giorni alterni. Ma non è stata semplice. A me necessitava la patente, altrimenti avremmo dovuto spendere i soldi per un’altra assunzioni.

Perché non è stato semplice?

Essendo la prima donna che chiedeva di fare l’esame, nessuno si voleva prendere la responsabilità di esaminarmi. Ricordo molto bene l’ingegnere che avrebbe dovuto esaminarmi, tanto bravo, ma anche lui mi diceva che non se la sentiva di assumersi quella responsabilità. Così ogni volta mi rimandava alla volta dopo, quaranta giorni dopo. Ogni volta vedevo i candidati uomini che superavano la prova e io che dovevo tornare la volta dopo. Non mi sono stancata, anzi forse ho preso io per sfinimento l’ingegnere. Ricordo che vennero anche altri dirigenti della Motorizzazione, per farmi sostenere l’esame.

E il giorno dell’esame com’è andata?

Mi fecero un bel po’ di domande poi mi misero un motore davanti e mi chiesero di smontarlo. Lo feci. Ma non bastò, perché quella era solo la teoria. C’era la pratica….

E alla guida com’è andata?

Alla guida dell’autobus mi portarono verso viale Mazzini, dove c’era all’epoca il palazzo dell’Inam, la “mutua”, a Potenza. Mi portarono davanti a una scuola, proprio nel momento in cui uscivano i bambini per vedere come mi sarei comportata Alla fine si sono complimentati. Ma dopo tanti anni che facevo la linea, un giorno ho notato che quell’ingegnere, mi guardava. Un po’ mi sono spaventata ma poi ho capito che mi seguiva per vedere quel che facevo alla guida del bus, per capire se aveva fatto bene a darmi la patente. Ma questo succedeva sempre anche durante i controlli delle forze dell’ordine: se dovevano fermare qualcuno, capitava sempre a me.

Quand’è accaduto tutto questo?

Era il 1961, ero appena diventata mamma di mio figlio.

Ricorda il primo viaggio che ha fatto?

A Roma, mi sembra. O forse Napoli. Facevano le gite portavamo la gente nei luoghi turistici, ad esempio a Pompei.

Si è mai trovata in difficoltà?

No, ho guidato notte e giorno, col bel tempo e con la neve, ma non ho avuto mai problemi. Sono stata baciata anche dalla fortuna, in tanti anni di servizio non ho mai avuto una bucatura.

Da quanto tempo non guida più l’autobus?

La patente a chi guida gli autobus si toglie a 68 anni di età, ma devo essere sincera, io sono andata alla motorizzazione e l’ho consegnata un po’ di tempo prima, perché avevo capito che non avevo più le energie per stare al volante. Però continuo a guidare l’automobile.

Ora si occupa dell’azienda?

No, se ne occupa mio nipote. Da quando mio marito non c’è più, ho deciso di non occuparmi più dell’azienda.

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La storia di Franca!

 

Ho trovato un altro bell’articolo – del mese di ottobre – dedicato alla storia di una collega che fa questo mestiere con passione da tanti anni: Franca da Montecatini.

Era una delle partecipanti alla Gimkana femminile a Misano, io mi ricordo di lei, ma sono passati veramente tanti anni e non ho più avuto occasione di incontrarla.

Buona strada sempre Franca!

Questo è il link dell’articolo su “Prima Pistoia”:

https://primapistoia.it/cronaca/franca-la-camionista-e-una-vita-sul-bisonte/

E questo il testo:

MONTECATINI TERME

Franca, la camionista e «una vita sul bisonte»

Il racconto di una passione diventata professione…alla faccia dei tanti colleghi scettici.

Pistoia, 25 Ottobre 2020 ore 15:14

Lei lo chiama affettuosamente il “Bisonte”: a bordo di questo camion, Franca Sforzi , montecatinese, ha attraversato l’Europa in lungo ed in largo e con qualsiasi condizione atmosferica o di traffico possibile e immaginabile. Un’accoppiata formidabile che non teme confronti, con due protagonisti… non proprio comunissimi.
«Hai visto lui come ci ha guardati storti? Quello guida un Iveco, noi siamo su uno Scania. Questa si chiama invidia!». Scherza Franca, è di buon umore quando è sul suo camion e vede – ogni tanto- qualche collega con lo sguardo incuriosito che la incrocia in senso contrario.

«Sono felice di fare questo lavoro – ha raccontato –, mi permette di vedere tantissimi posti, di conoscere tanta gente, sia in Italia che all’estero. Negli anni ho macinato milioni di chilometri e ne vado molto fiera. E pensare che ho iniziato questo mestiere quando avevo 22 anni, adesso ne ho più di 50!».
Una professione iniziata quasi come un gioco che poi si è rivelata, a tutti gli effetti… la strada giusta. «Lavoravo in un’azienda all’epoca, ma non avevo nulla a che fare con il trasporto di merci. Un giorno l’autista del camion delle consegne non si è presentato a lavoro. Il titolare era disperato, aveva bisogno di qualcuno subito per consegnare la merce. Io mi sono offerta volontaria. Lui è rimasto un po’ sorpreso, poi ha scelto di mettermi alla prova. Ed è tutto cominciato da lì».

Poi, negli anni successivi, sono arrivate le varie patenti speciali per poter guidare il tanto agognato tir.
«Agognato perché sono mezzi bellissimi – ci ha raccontato Franca – ed io ho una grande passione per i motori. Per questo quando finalmente ho conseguito la patente per guidarli è stata una grande soddisfazione. Da quel momento non ho più smesso di guidarne uno. Adesso faccio circa 150mila chilometri all’anno con viaggi soprattutto in Francia e Inghilterra, più le trasferte nazionali. Sono di meno i chilometri rispetto rispetto al passato, ma è comunque la mia vita».

Non sono stati però tutti giorni semplici e felici.

L’ambiente degli autotrasportatori, possiamo dirlo senza ipocrisia, è uno dei più maschilisti in assoluto. Una ragazza – prima – ed una signora – dopo – al volante di un tir ha spesso scatenato non solo qualche risatina di troppo, ma anche episodi di pura e volgare discriminazione. «A volte è stato complicato – ci ha confidato Franca – ma fortunatamente ho sempre avuto intorno persone che in un modo o nell’altro mi hanno difeso.
É sempre stato bello però zittire tutti con le mie manovre o con le mie consegne in perfetto orario. Col mio lavoro ho messo a tacere anche i colleghi più scettici».

Un lavoro, quella della camionista per Franca, che negli anni è diventato a tutti gli effetti una questione di famiglia: prima di tutto perché suo marito, Stefano, è a sua volta un camionista. «Il merito della mia passione è suo – ha detto –. Stefano già lavorava sul camion e andava in giro per tutta l’Italia. Io ho iniziato dapprima ad accompagnarlo, poi ho voluto iniziare anche io con la guida. E non sono più tornata indietro».
Ma non è tutto: il figlio di Franca e Stefano, Simone, è cresciuto… sul camion. «Ho avuto una gravidanza tranquilla – ci ha raccontato – e per questo che ho potuto guidare il camion fino a poco prima della nascita del mio bimbo: quando avevo il pancione, spostavo il volante un po’ più verso l’alto e via! Dopo è iniziato il bello – ha raccontato –! Una volta nato Simone ha fatto l’asilo sul camion insieme a me..Mio figlio ha praticamente imparato a leggere durante i nostri viaggi, seduto buono sul sedile del passeggero».

«Viaggiavamo spesso ed ero contento di portarlo con me sul camion, quando ancora il codice della strada lo permetteva. Poi sono iniziate le elementari e lui è andato a scuola come tutti».
Ma ora il tempo di chiacchierare è finito. C’è una nuova consegna da fare e Franca, insieme a Stefano, devono ripartire nel loro viaggio insieme… al Bisonte.

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La storia di Federica

Un altro articolo, un’altra storia di un’altra collega, Federica, che nelle pagine del ” Tiburno” si racconta…

Questo è il link:

https://www.tiburno.tv/2020/09/07/camionista-e-mamma-federica-racconta-le-sue-scelte/

E questa è una parte dell’articolo:

Camionista e mamma: Federica racconta le sue scelte

Donne al volante pericolo costante? Fesserie! Parola di Federica Aristotile Jurovschi: vive a Villa Adriana, con il suo piccolino Samuel di un anno e il marito, ha sempre avuto il pallino della guida e di lavoro fa la camionista. Orario: dalle 3 alle 8.30 di mattina, per fare arrivare il pesce dai mercati generali in tutta Roma, un’attività di grande concentrazione e responsabilità Dorme poco ma non è mai stata così contenta e piena di voglia di fare. Racconta la sua scelta di vita con il sorriso sulle labbra e alla donne che “pensano” di non sapere nulla di motori, consiglia di informarsi e scoprire tutto il mondo interessante che sta dietro la loro autovettura, imparando a controllare i livelli di acqua e olio, cambiare una ruota quando serve, diventare autonome. Con i colleghi, tutti maschi, problemi non ne ha ma ci tiene a rimarcare che “Se vuoi fare un lavoro da uomo, devi farlo meglio”.

L’intervista completa su Tiburno in edicola l’8 settembre, nelle pagine dedicate ai motori.

 

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La storia di Jennifer

Un’altra bella storia di una nostra collega, tratta sempre da “Uomini e trasporti” nella sezione “Anche io volevo il camion“, a firma di Gabriele Bolognini, la storia di Jennifer da Olginate.

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/jennifer-altilia-il-camion-e-mio-e-lo-gestisco-io/

E questo è l’articolo:

 

Jennifer Altilia: «Il camion è mio e lo gestisco io»

Dinamica e amante del ballo, Jennifer Altilia si trova ancora ragazza a vendere cocktail dietro a un bancone di un locale notturno. Poi, dopo che la mamma le consigliò di «lasciar perdere» e, piuttosto, di «andare a guidare il camion dell’azienda di famiglia», arriva a fare l’autista non per passione, ma per dimostrare agli scettici uomini di famiglia che ce l’avrebbe fatta. Quando però iniziò a personalizzare il veicolo con lucine e colori si rese conto che il mestiere le era entrato nel sangue

Jennifer Altilia a fare la camionista non ci pensava proprio. Nata 36 anni fa a Olginate, in provincia di Lecco, a 16 anni era una peperina che saltava da una discoteca all’altra. Un ragazzo le è dovuto star dietro un anno prima di riuscire a conoscerla. Insomma, era una girandola: ogni settimana un locale diverso. La musica, le luci stroboscopiche, i balli scatenati erano la sua vita. Alla fine, quel ragazzo caparbio la conquistò: divenne (e lo è ancora) suo marito. Ma Jennifer non per questo abbandonò la discoteca, tanto che il suo primo lavoro, di lì a poco, divenne quello di barman (o meglio barlady). Di che tipo? Acrobatica, ovviamente: «Mi divertivo un sacco… ci lanciavamo le bottiglie facendole roteare e poi giù con Martini, Cuba libre, Margarita e tanto altro per i nostri clienti estasiati. Ogni tanto qualche bottiglia finiva a terra – ricorda Jennifer ridendo – ma erano veramente poche. Ero brava a fare quel lavoro e mi piaceva tanto…».

Un giorno mia madre mi disse…

Poi arrivò il giorno in cui la mamma la prese da parte con un piglio convinto: «Mi disse che quella vita non poteva durare a lungo, che era preoccupata perché la notte facevo sempre tardi, che era ora di mettere la testa a posto. E tutti i torti non li aveva. Avevo 21 anni e forse era arrivato il tempo di cominciare a guardare avanti. Poi, quasi per scherzo, mi disse: perché non ti prendi le patenti da camion e prendi il posto di tuo zio che si è stancato di fare il camionista per noi?».

Chiarimento necessario. Il papà di Jennifer, Gerardo, è titolare della Fimal, azienda di zincatura e trattamenti galvanici per metalli con sede a Bosisio Parini (LC), che attualmente gestisce con il figlio Paolo. Per ritirare e consegnare la merce lavorata, la Fimal ha sempre avuto un camion. Quello a cui faceva riferimento la mamma di Jennifer: «La proposta semiseria di mia madre mi lasciò di stucco. Non ci pensavo proprio a mettermi alla guida di uno di quei bestioni che per strada mi terrorizzavano! Però raccolsi la sfida e andai a parlare con mio padre e mio fratello proponendomi come camionista. All’inizio mi risero in faccia, dicendo che non era un lavoro adatto a una ragazza, che non ce l’avrei mai fatta e “piripì, piripà”. Ma siccome io sono tignosa e in questo modo mi hanno scatenato l’orgoglio: “Volete vedere che in due mesi prendo le patenti per il camion e mi metto alla guida di quel coso lì fuori?”».

Patente del camion in due mesi: scommessa vinta

La domanda di Jennifer suonava un po’ come una scommessa, ma gli uomini della sua famiglia la lasciarono fare non perché la vincesse, ma in quanto convinti che tempo qualche giorno avrebbe mollato. Invece, lei – testarda e caparbia – andò avanti nel proposito: «In due mesi presi effettivamente le patenti e le andai a sventolare sotto il naso di mio padre. A quel punto mi diede il camion, una motrice DAF due assi, dicendomi: guarda che al primo incidente o alla prima mancata consegna te ne torni a casa!»

Jennifer non tornò a casa. Anzi, durante il suo primo anno di lavoro ricevette così tanti apprezzamenti positivi da clienti soddisfatti per la sua precisione e puntualità che papà si convinse persino a comprarle un nuovo camion«Andammo insieme in concessionaria a sceglierlo, una motrice a tre assi: un Iveco Stralis da 410 CV. Mi piaceva tantissimo e iniziai a personalizzarlo con lucine e lucette varie. In quel momento mi resi conto che il mestiere di camionista, così come la passione per i camion, mi erano entrati nel sangue».

La famiglia si allarga

Così gli anni sono passati e anche la famiglia di Jennifer è aumentata di numero con l’arrivo di due bambini, Stella e Alexander, che ora hanno rispettivamente 8 e 5 anni. «Sono due tesori. Abbiamo la fortuna di abitare vicino ai miei. Così, quando io e mio marito siamo al lavoro si dividono tra la scuola e i nonni. Oggi anche mio marito lavora nella stessa azienda: Fa il capo operaio e segue tutte le varie lavorazioni. Prima era un imbianchino, ma la ditta per cui lavorava ha conosciuto momenti difficili a causa della mancanza di lavoro successiva al Covid. Così l’ho convinto a entrare in azienda da noi».

Volvo FH: un amore a prima vista

Ma quella familiare non è stata l’unica crescita. Dopo qualche anno di onorato servizio, è arrivato il momento di cambiare il camion: «Fortunatamente il lavoro è aumentato e il tre assi non bastava più. Così abbiamo deciso di prendere un camion più grande: sempre una motrice, ma 4 assi. Avrei voluto uno Scania, però non lo avevano pronto in quella configurazione, avrei dovuto aspettare un anno. Poi dietro consiglio di un cliente, poco più di due anni fa, mi recai a Zingonia dalla Volvo Trucks. Loro da poco avevano in listino il 4 assi. È stato amore a prima vista. Uno splendido FH500 con I-Shift e sospensioni pneumatiche su tutti gli assi. L’ho preso con tutti gli optional possibili. Riguardo la sicurezza, manca solo il sistema di frenata d’emergenza in quanto nella speciale configurazione a 4 assi non è applicabile. In compenso, ho un retarder da paura! Anche a pieno carico in discesa è in grado di rallentare il camion senza stressare i freni in tutta sicurezza».

Una volta arrivato in filiale a Zingonia, il Volvo FH di Jennifer, senza toccare neanche la strada, è stato portato con il carrellone da un carrozziere di Varese per essere personalizzato: «Il colore di origine era già bello, un grigio scuro metallizzato, tuttavia volevo qualcosa di unico. Così studiammo la tonalità con il carrozziere e venne fuori questo grigio canna di fucile molto particolare che, a seconda della luce, cambia tonalità. A volte sembra marrone, altre azzurro. Poi un giovane artista, Lorenzo Dell’Acqua, che aerografa oggetti sin dall’età di 8 anni, è riuscito a capire cosa mi passasse per la testa disegnando sulle fiancate le immagini di Joker e della sua fidanzata, Harley Quinn. Questi personaggi un po’ folli rappresentano me e mio fratello che proprio normali non siamo – spiega ridendo». In più, oltre alle aerografie Jennifer ha montato un kit in acciaio della Acitoinox sul frontale: «Ora è perfetto. All’interno non manca nulla: frigobar, fornetto a micronde, macchina del caffè, televisione. Insomma, una seconda casa».

Assistenza a cinque stelle

Seconda casa che Jennifer si gode solo in viaggio perché la sera torna sempre alla prima: «Non riuscirei mai a stare lontana dai piccoli la notte. Per fortuna i nostri clienti sono quasi tutti in Lombardia. Generalmente percorro circa 400 km al giorno tra Varese, Sondrio, Valsassina, Brianza e Milano».

Una seconda casa in cui inizialmente si è creato qualche grattacapo:«Non riuscivamo a capire perché il quarto asse tendeva a bloccarsi. Poi sempre in Volvo sono riusciti a capire che era un problema di allineamento e, ancora in garanzia, me lo hanno risolto. Da allora non ho avuto più alcun problema. Finora ho percorso circa 100.000 km e fatto due tagliandi. Devo fare i complimenti al personale d’officina di Zingonia, specie a Claudio Selmi dell’accoglienza e al capo officina Dario Notario, per la grande pazienza e professionalità».

Tutta la gamma di espressioni: dal dolce al truce

Quando Jennifer esprime complimenti sorride e sgrana i suoi due grandi occhi marroni. Immagino però che disponga di un campionario di espressioni anche molto diverso con cui gestire situazioni difficili. Perché comunque, in tanti anni di circostanze scomode ne ha vissute. E spesso erano rese tali proprio dal fatto di essere una donna. Come si fa a sopravvivere in questi casi?: «Facile – risponde convinta – basta farsi rispettare. E a questo scopo da tre anni mi sono avvicinata allo Street Fighting, che non è un’arte marziale né uno sport da combattimento, vista l’assenza di regole. Diciamo che l’obiettivo di questo esercizio fisico è quello di uscire incolumi da un’aggressione tramite tre regole fondamentali: cercare di evitare qualsiasi scontro; se necessario colpire e fuggire; usare qualsiasi oggetto ci si trova per le mani come arma».

Difficile resistere alla tentazione di sapere se e come ha attuato questi principi. «Proprio di recente mentre facevo manovra per entrare da un cliente, mi taglia la strada un furgone fregandomi il posto per lo scarico. A bordo c’erano due ragazzotti che iniziano a fare commenti pesanti su di me. Allora, vista la mala parata ho detto al magazziniere che sarei passata più tardi. Senonché dopo poco mi accorgo che i tipi mi seguivano urlando dal finestrino e facendo gestacci molto espliciti. Dopo più in là c’era un semaforo rosso. A quel punto mi decido: afferro uno sfollagente e scendo dal camion…». 

E com’è finita? «Beh, fortunatamente, la mia espressione è stata sufficiente a convincerli a lasciar perdere e a farli dileguare».

 

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