“The weight of dream“, (Il peso dei sogni”) il film di Francesco Mattuzzi, alla fine sono riuscita a vederlo!
Non quando è uscito perchè purtroppo non è stato proiettato ovunque, non in TV alla fine dello scorso anno, perchè l’ho scoperto solo dopo che lo hanno trasmesso, ma l’altra sera su RAI PLAY.
Finalmente!!
Ci tenevo molto a vederlo, anche perchè Fabrizio me ne aveva parlato bene, e perchè avevo avuto occasione di conoscere Francesco a un pranzo delle Lady Truck dove aveva partecipato insieme a Fabrizio.
Mi è piaciuto, anche se io non ho gli stessi sogni dei protagonisti, una coppia di camionisti che sognano un giorno di formare una famiglia con tanti bambini, il mio sogno è quello di restare per sempre su un camion, di continuare a viaggiare e purtroppo so che un giorno finirà, ma solo per i limiti d’età! Faccio i miei complimenti a Francesco per avere dedicato un film al nostro mestiere, facendo vedere come è cambiato negli ultimi anni, le problematiche che si sono create nel mondo dell’autotrasporto nell’Unione Europea.
Pubblico spesso video di colleghe dal mondo…ma stavolta…
Ho trovato questo bel canale You Tube, Janas TV, tra i vari video pubblicati c’è una video-intervista con Antonella la Sirenetta mentre è in viaggio sul suo bellissimo Scania super decorato.
Questo è il testo di presentazione del video:
“Tredicesimo appuntamento della Rubrica NON SI NASCE, SI DIVENTA condotta da Pj Gambioli e Monia Cappiello. Direttamente dalla Sicilia, dentro la cabina di Tir ed in viaggio ci colleghiamo su Skype con Antonella Gallo, la sirenetta, camionista, autista di TIR. La sua storia fatta di passione e di grinta, le sue esperienze in un mondo prettamente maschile, la sua creatività e femminilità. Antonella ci racconta di quando ha realizzato il suo sogno: acquistare un Tir tutto suo, decorarlo con l’immagine della Sirenetta (che la rappresenta) e curare la comodità degli interni come se fosse una casa di lusso. Affrontiamo il tema lavoro, maternità, conciliazione ma anche quello della violenza e dell’abbandono. Storie forti che caratterizzano una donna piena di vita, un esempio per tutte. In pieno #coronavirus Antonella porta i viveri dalla Sicilia a Bergamo, macina chilometri e chilometri, ma lo fa sfidando i pregiudizi ed i preconcetti. A nessuna donna dovrebbe essere proibita l’auto-realizzazione. Antonella è una ribelle e andando contro tutto e tutti, ce l’ha fatta. Segui la serie iscrivendoti al canale youtube di JANAS TV. Grazie per i commenti, i like e le condivisioni. Ci sono utili per crescere. Ci vediamo il prossimo mercoledì! #stayhome Ricordiamo che le raccomandazioni sono stare a casa e se si esce, usare mascherina e guanti. Senza trascurare l’uso del disinfettante per le mani ed il lavaggio mani. Grazie per aver seguito la nostra puntata. Vi aspettiamo ogni mercoledì con un nuovo caricamento. Siete pregati di iscrivervi al canale Youtube di JANAS TV, per noi il vostro sostegno vuol dire tanto!”
E questo è il link del video:
Buona strada ad Antonella e al canale You tube di Pj e Monia!
Negli anni ’80 in Italia avevamo il film “Teresa” con una donna alla guida di un autoarticolato, in Australia (1984) c’era il truck movie “Queen of the road”, una divertente commedia con due simpatiche camioniste. per sorridere un pò!
Ho trovato il link del film completo su You Tube, è in inglese, ma si capisce!
Si continua a parlare di Covid-19, anche se siamo entrati nella fase 2 l’emergenza non è finita, soprattutto per chi fa il camionista i problemi sono ancora tanti.
Ho trovato questo bell’articolo con la testimonianza della collega Silvia sul sito di “Uomini e trasporti”.
Silvia Cester «Paura, solitudine e tanta voglia di normalità»
Il Covid-19 visto e vissuto
dagli autisti. Abbiamo sentito diverse voci, con i loro problemi e le
loro mancanze. Ne abbiamo voluto isolare alcune al femminile. Ecco la
storia di Silvia Cester, che ha quasi dell’incredibile: dopo aver
coltivato per anni il sogno di guidare un camion, questa quarantenne
veneta lo ha realizzato proprio qualche mese prima che iniziasse a
circolare il coronavirus
Quaranta, due, tre, uno. È la versione numerica
della vita di Silvia Cester, «veneziana di terra ferma», come ama
definirsi: alle spalle quasi quarant’anni e sulle spalle due bimbi –
Agnese e Filippo – da accudire con l’aiuto dell’ex marito da cui si è
separata tre anni fa. A stupire è quell’uno finale, perché indica gli
anni trascorsi a guidare un camion. In realtà sono meno di dodici mesi,
malgrado il suo amore per i camion nasca molto prima.
Perché una donna decide di fare la camionista?
È
la domanda che mi fanno spesso. La risposta non la so: in famiglia
nessuno è camionista. Però, ho sempre abitato in zona industriale, di
fronte alla tangenziale di Mestre. Ogni mattina, per andare a prendere
l’autobus, mio nonno mi caricava in bicicletta e zigzagavamo in mezzo ai
camion. Ero affascinata da quei bestioni colorati: il profumo
di gasolio e di pneumatici mi inebriava. Un immaginario “annaffiato” da
bambina; ma poi come ha fatto a sbocciare? Ho preso la patente per
l’auto appena compiuti 18 anni. Poi, raggiunti i 23 ho deciso che volevo
anche quella per i camion. Così mi sono iscritta in un’autoscuola e,
contro il volere di tutta la famiglia, ho preso C e D. Nel frattempo
conobbi quello che poi è diventato mio marito. Perché questa puntualizzazione: camion e marito non vanno d’accordo?
No,
il desiderio di salire sul camion era sempre tanto, ma una volta
sposati abbiamo avuto due figli, cambiato tre case e aperto un negozio
di prodotti per animali. E quindi, quand’è che il sogno camionaro diventa realtà?
Quando
ci siamo separati. Inizialmente il mondo mi è crollato addosso. Poi,
grazie al mio atavico sogno sono riuscita a ripartire. È successo a
Misano, durante il weekend del camionista: sono risalita su un camion
per gioco quando erano trascorsi quindici anni da quando avevo preso le
patenti. A quel punto ho pensato che anche il CQC stava per scadere. E
mi sono chiesta: che faccio? Così ho riguardato il sogno e ho deciso di
rinnovare il CQC. A quel punto ho iniziato la ricerca di un lavoro.
Dapprima ho ricevuto proposte assurde, poi ho trovato un messaggio su
facebook che sembrava serio da parte del mio attuale datore di lavoro,
un padroncino veneto come me, Carlo Greghi. Ha avuto molta pazienza e mi
ha dedicato molto tempo, forse ha perso viaggi per colpa mia, ma mi ha
dato fiducia: è stato un grande maestro. Così l’8 luglio 2019 è iniziata
la mia vita da camionista. Il primo viaggio da sola è stato per andare
a prendere le vasche per la campagna delle barbabietole: se ci ripenso
sento ancora il cuore battere a mille. Che emozione! Come hai fatto a conciliare la tua condizione di separata con due figli?
Fortunatamente
sono rimasta in ottimi rapporti con il mio ex marito: durante
la settimana è lui a tenere i bambini. Poi il sabato e la domenica,
quando non lavoro, me li godo io. E comunque ora trasporto container per
lo più tra Veneto e Friuli, con qualche viaggio più lungo di tanto
in tanto. Ma per fortuna riesco a rientrare a casa tutte le sere. Poi,
dopo appena otto mesi vissuti da camionista arriva la pandemia. Questa
mattina ho percorso quella che io chiamo la «strada delle barbabietole»,
da Marcon a Cervignano del Friuli, quella che la scorsa estate
facevo tutti i giorni più volte al giorno durante la campagna. Nel
vedere le strade vuote, i bar chiusi, le serrande abbassate mi sono
scese le lacrime.
Ma nell’operatività quotidiana qual è il problema principale?
Posso
dirlo? Andare in bagno. Trascorro intere giornate trattenendo la pipì,
senza avere la possibilità di trovare un servizio. E per una donna è
anche più complicato di un uomo… Ti ammetto che qualche volta quando
arrivo la sera a casa, dopo aver parcheggiato il camion faccio fatica a
entrare dentro, tanto sono arrivata al limite. Mi è capitato anche di
dovermi nascondere dietro al semirimorchio… Poi c’è il problema di
alimentarsi. Io torno a casa. Ma abito ancora nei pressi di una zona
industriale e vedo i camion fermi, con gli autisti dentro che
restano ore nei parcheggi. Mi piacerebbe andargli incontro, chiedere se
hanno bisogno di qualcosa, se gradiscono un piatto caldo, ma alla fine
ho paura: non soltanto del contagio, ma anche delle persone.
Un sentimento che prima non provavo: strano come in così poco tempo il
Covid-19 ci abbia cambiati. Riesci comunque ad avere contatti con i colleghi?
Sì
e devo dire che in tanti nel corso delle ultime settimane mi hanno
salutata perché si fermano, smettono di lavorare perché manca lavoro. Mi
auguro con tutto il cuore che si possa ritornare alla normalità il
prima possibile. Quando succederà? Mi piace pensare che la terra si stia
prendendo una pausa da noi. Ma poi, quando ci rincontreremo di nuovo e
sarà tutto più bello. Ne sono sicura.
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