Archive for Agosto 19th, 2020

Una video intervista a Barbara

Una video intervista alla collega Barbara sulle donne nel mondo dell’autotrasporto.

Buona visione e buona strada sempre!

 

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Colleghe dal mondo…

Ho trovato anche questo articolo che racconta la storia di una collega russa e del suo sogno – realizzato – di diventare camionista!

Questo è il link:

https://it.sputniknews.com/mondo/202006209218788-ho-sempre-voluto-guidare-il-camion-una-russa-al-volante-di-un-mezzo-pesante/

E questo l’articolo:

Questa bella ragazza bionda gira per diverse città della Regione di Kaliningrad ma non lavora come guida. Viene fotografata ai semafori, ma non è una modella. Spesso si offrono di aiutarla, ma lei risponde sempre che ce la fa da sola.

Questo è il motto dell’unica camionista donna della regione, nonché madre di due figli, la trentacinquenne Svetlana Masterskikh di Gur’evsk (cittadina a 15 km da Kaliningrad).

Chiese al marito: “Comprami un camion!”

Svetlana e il marito avevano una società di logistica con 20 mezzi pesanti. All’epoca però Svetlana non voleva mettersi al volante di uno di questi.

“Ho sempre amato i mezzi pesanti, vedevo come li guidavano i nostri camionisti e volevo tanto che mio marito me ne comprasse uno. In realtà, allora i bambini erano ancora piccoli e capivo bene che non mi potevo permettere di partire”, afferma Svetlana Masterskikh a Sputnik.

Per via dell’ennesima crisi i coniugi dovettero rinunciare alla società. Ad avverare il vecchio sogno di Svetlana contribuì il divorzio fra i due che avvenne dopo un po’ di tempo. Svetlana decise di lavorare come tassista, era un’esperta guidatrice, aveva diverse patenti (B, C, E).

Un giorno sul taxi arrivò un lavoratore di una società di trasporti alla quale qualche mese prima Svetlana aveva inviato senza successo il proprio CV. Il passeggero era un camionista il quale, sentendo la storia di Svetlana, promise di aiutarla ad avere un colloquio.

“Alla fine mi iscrissero ad alcuni corsi di guida tenuti dall’Associazione dei trasporti internazionali su strada”, racconta Svetlana. “Una volta conclusi i corsi, andai da loro e capii che erano davvero interessati a me”.

Il rispetto degli uomini

Secondo Svetlana, i colleghi l’hanno tenuta sotto controllo per molto tempo. Erano in pochi a credere che ce l’avrebbe fatta.

“Quando i camionisti mi videro per la prima volta, dissero “resisterà uno o due mesi, poi scapperà, è troppo pesante”. C’erano alcuni che provavano sempre ad aiutarmi, ma io dicevo che ero venuta qui per lavorare e che non c’era bisogno di aiutarmi. Se volete farmi vedere come si fa, prego!”, diceva Svetlana Masterskikh, l’unica donna nella Regione di Kaliningrad ad essere ufficialmente certificata alla guida di camion per il trasporto a terra.

Svetlana lavora come camionista in servizio già da 8 mesi: le affidano la conduzione di 4 diversi mezzi quali Man, Mercedes, Scania e Volvo e durante una giornata le capita di cambiarli più volte.

“A livello di difficoltà di conduzione sono di fatto uguali. Ci sono mezzi più vecchi, altri più nuovi”, spiega Svetlana.

I colleghi maschi di Svetlana la rispettano, si rivolgono a lei come a un collega camionista, cosa però difficile visto l’aspetto avvenente della ragazza. “Chiaramente all’inizio ci sono stati momenti di ambiguità, ma li ho tagliati sul nascere”, spiega e aggiunge che gli altri camionisti cercano di non dire parolacce di fronte a lei e che, se ne scappa una, si scusano.

Niente sentimentalismo nel camionismo

Svetlana si occupa prevalentemente di trasporto merci nella Regione di Kaliningrad: trasporta materie prime per gli stabilimenti locali del settore dei mobili. Ad esempio, da Kaliningrad, dove ha sede l’azienda per cui lavora, trasporta merci fino al confine della Regione.

“Nelle 2 ore necessarie ad arrivare a destinazione posso godermi l’insolita natura circostante: infatti, dalla cabina del camion ho un’ampia panoramica. Guidi e la tua anima è felice mentre guardi la bellezza intorno a te”, sostiene. Ma il sentimentalismo non ha modo di esistere nel camionismo. Infatti, Svetlana si prepara accuratamente ad ogni viaggio.

“Prima del viaggio mi studio sempre l’itinerario, devo sapere in anticipo quali sono le piazzole sicure dove potrò fermarmi perché ho io la responsabilità della merce e del camion. Sulla strada può succedere qualsiasi cosa. I banditi della strada ancora oggi squarciano le tende dei camion, rubano la merce e le ruote. Questo perché i camionisti inconsapevoli si fermano in piazzole sospette che non sono in alcun modo controllate”, spiega Svetlana.

In tutti i suoi viaggi Svetlana fa riferimento al cronotachigrafo installato sul camion. Si tratta di uno strumento che controlla l’alternarsi del regime operativo e del riposo. Ad esempio, dopo una tratta di 4 ore e mezza lo strumento ricorda al conducente che deve riposarsi per 45 minuti.

“La cosa migliore da fare è osservare l’alternarsi di lavoro-riposo. Anche se manca solo mezz’ora e il conducente sente che ne ha bisogno, è meglio che dorma per un po’”, spiega.

I camionisti non sono assicurati per qualsivoglia guasto occorra sulla strada, ma Svetlana è convinta che si possa trovare sempre una soluzione.

“Sai come aprire il cofano, puoi chiamare il meccanico, descrivere la situazione e chiedere cosa fare. Anche se buchi una ruota, le altre continuano ad andare. Bucarle tutte è un evento molto raro. Ad ogni modo, c’è sempre un modo per arrivare all’officina più vicina. Se proprio la situazione è nera, puoi accostare e chiedere aiuto via radio”, spiega Svetlana.

“Rispondo che ce la faccio, è il mio lavoro”

Il camionista non solo trasporta merce, ma si assicura anche che il carico e lo scarico della stessa sia a norma. Per la fragile Svetlana non c’è alcuna eccezione. “Quando caricano una merce, devo fissarla con delle cinghie in modo che non si sposti in curva. È un lavoro che mi dà soddisfazione. Capita che mi offrano aiuto. Ma io rispondo che ce la faccio da sola, che è il mio lavoro. Chiaramente ci sono anche attività di difficile esecuzione per le quali non ce la faccio. In questi casi chiedo aiuto e gli altri mi aiutano volentieri, nessuno mi dice “è il tuo lavoro, arrangiati””, aggiunge.

La Polonia in shock

Svetlana racconta che in Polonia tutti si sono meravigliati nel vederla al volante di un camion. Ad ogni modo le reazioni sono state positive.

“Quando guido il camion, tutti si stupiscono. Ma le reazioni sono molto positive. Da quanto guido in Polonia non ho mai ricevuto commenti negativi”, spiega. La comparsa di Svetlana sulle strade (russe o polacche che siano) è un evento: infatti, la gente la fotografa ai semafori.

“Capita che si sporgano dal finestrino e comincino a scattarmi fotografie, alcuni mi fanno un cenno di approvazione. Spesso passo per la dogana dove carico e scarico la merce. Gli altri camionisti si avvicinano e mi dicono “Dev’essere difficile per te guidare un mezzo del genere” e io rispondo che non ho ancora trovato niente di difficile. Se ci riesco, perché non continuare?”.

Non solo Russia, ma anche Europa

In futuro Svetlana sta valutando la possibilità di lavorare in Europa. Ma l’ostacolo rimane la sua scarsa conoscenza della lingua inglese.

“Sinceramente vorrei andare in Europa”, dice Svetlana. A Mosca e in altre città russe per adesso non si spinge visti i possibili ingorghi al confine (infatti, la Regione di Kaliningrad è una exclave russa divisa dalla “Grande Russia” da Lituana e Bielorussia).

“Naturalmente, posso scusarmi con gli altri camionisti via radio e dire loro che non sono pronta a stare in strada per più di un giorno. Dopotutto a casa mi aspettano mia figlia di 12 anni e mio figlio che presto ne compirà 9”, spiega.

“Se nella Regione di Kaliningrad ci fossero le corse sui Kamaz, le vincerei”

I figli di Svetlana la sostengono in tutto. “Il mio obiettivo è risparmiare per comprarmi un appartamento. Lo spero per me stessa. Sì, forse non vedo i miei cari così spesso come vorrei, ma nella vita bisogna porsi delle priorità. Mi rendo conto che, se non mi impegno ora, non avrò nulla in futuro. E non voglio nemmeno sgobbare tutta la vita”, spiega Svetlana. Anche se nei forum di camionisti scrivono che questa professione non è particolarmente redditizia, lei è convinta che non sia così.

“Chi vuole guadagna, mi pare. Nella Regione di Kaliningrad i soldi che guadagno guidando il camion non li guadagnerei da nessun’altra parte”, spiega. Da quando è arrivata nel 2000, ha lavorato come infermiera, commessa, cameriera, contabile, agente immobiliare e persino portaborse di un deputato.

Riguardo all’impatto dei continui spostamenti sulla sua forma fisica, Svetlana risponde che cerca sempre di prendersi cura di sé e che per i viaggi programma sempre i pasti.

“I problemi di sovrappeso dei camionisti sono legati al fatto che amano mangiare. Quando si fermano nelle piazzole, per passare il tempo, si riuniscono in gruppo, si riposano, si fanno preparare tanto cibo. Oppure anche quando sono in fila alla dogana di frontiera, stuzzicano sempre qualcosa”, spiega Svetlana.

Inoltre, la donna ama molto lo sport: gioca a pallavolo, pallacanestro, tiro con arma da fuoco. “Se nella Regione di Kaliningrad ci fossero le corse sui Kamaz, probabilmente le vincerei”, conclude.

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La storia di Carla

Un altro bell’articolo dalle pagine di “Uomini e Trasporti“, sempre a firma di Gabriele Bolognini, questa volta ci racconta la storia della collega Carla.

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/carla-arzenton-autista-di-veicoli-pesanti-se-la-forza-e-donna/

E questo parte dell’articolo:

Carla Arzenton, autista di veicoli pesanti. Se la forza è donna

È un rischio che si corre: descrivere le donne che varcano la soglia del trasporto come esseri delicati, da tutelare e proteggere. Carla è tutt’altro: in più di vent’anni di carriera in questo mondo ha guidato di tutto, dalle motrici ai bilici, dai trasporti eccezionali ai frigo, per l’Italia e per l’Europa. E oggi è atterrata in cava, dove il machismo incontra il nonnismo e lo sfruttamento. Un cocktail che troncherebbe le gambe a tanti. Ma non a lei

Carla Arzenton è nata 60 anni fa nella casa di famiglia, in aperta campagna, a Ospedaletto Euganeo, un paesino in provincia di Padova circondato dalla nebbia d’inverno e dall’afa d’estate. E ancora oggi vive lì, dove, mentre parla, i ricordi riemergono dietro ogni cosa.
Il papà di Carla era agricoltore e trattorista. Quando lei nacque trovò impiego presso una ditta che installava pali della luce. La mamma era casalinga. Quando aveva appena 4 anni il papà la fece salire su un vecchio trattore Landini. E lei, malgrado piccolissima, aggrappata al volante riusciva a condurlo diritto senza sbandare. «Mi piaceva tantissimo – ricorda – In fondo quelli erano i miei giochi. Non ero abituata a stare con i bambini, non ne conoscevo. Intorno a casa mia c’erano solo parenti e vicini, tutta gente grande. Quando mi iscrissero all’asilo scappai: mi facevano paura quelle piccole creaturine. Non ero abituata a vederne!». Esperienze che modellano un carattere, rendendolo schivo e solitario.
Finita la scuola media Carla decide di iscriversi all’Istituto d’Arte, ma due anni dopo lo molla: «Io e l’arte – scherza – abbiamo sempre fatto a pugni!».
Il primo impiego la porta a lambire il mondo del trasporto e della movimentazione. Arriva a 24 anni, presso una fabbrica di vestiti, come magazziniera mulettista, lavoro che accompagnò Carla fin quasi alla soglia dei 40 anni.

Amore che viene, amore che va
A quel punto, a scombinare la sua vita, arriva l’amore. «Lui faceva il camionista, mi piaceva tantissimo, però era sempre fuori per lavoro…». Una distanza accettata male e che avrebbe fatto di tutto per rimuovere. E forse proprio questa pretesa creò una crepa irreparabile nel rapporto: «Mi lasciò perché diceva che non riuscivo a capire il suo lavoro! Forse aveva ragione. E siccome mio papà mi diceva sempre che per capire una cosa bisogna conoscerla, allora mi misi d’impegno a prendere le patenti per il camion: dovevo capire».E Carla capì in fretta come si faceva a guidare un camion. Anzi, capì così bene che, il mese dopo aver ottenuto la patente DE, trova posto in un’azienda che trasporta generi alimentari: «Mi assegnarono una motrice con cui giravo il Nord Italia. I primi tempi non sono stati semplici, anche perché non ho mai avuto nessuno ad affiancarmi: ho sempre fatto e imparato tutto da sola. Per fortuna ho grande memoria visiva: quello che vedo immagazzino e imparo. Però, purtroppo, tutto questo non è servito per riconquistare il mio ex. Siamo rimasti ottimi amici, ma non siamo mai tornati insieme, anche se per anni sono stata innamorata di lui».

Il machismo dilagante
Il rapporto con i colleghi uomini non sempre è “rose e fiori” per via dei soliti pregiudizi. Carla sopporta, abbozza, minimizza. Poi, un giorno, che ha ben stampato nella memoria, qualcosa le apre gli occhi: «Mi ricordo che ero presso una piattaforma logistica di Bassano del Grappa, quando si avvicina un collega, un ragazzo marocchino, e mi dice: ‘Vedi, io e te in questo lavoro siamo uguali: due extracomunitari. Perché è così che considerano anche voi donne. Se un domani avrai bisogno di aiuto per far valere i tuoi diritti chiamami: sarò felice di darti una mano’. E lì mi resi conto che aveva ragione: il mondo del trasporto è governato dal machismo! Noi donne veniamo pagate meno rispetto agli uomini, tocca sorbirci sempre commenti stupidi dai colleghi maschi e, purtroppo, molte volte veniamo trattate con sufficienza».

Trasporto ergo sum
Passano gli anni e Carla accumula tante esperienze diverse: «Ho guidato di tutto, dalle motrici ai bilici, dai trasporti eccezionali ai frigo. Nei momenti di crisi più duri ho fatto anche tre lavori pur di andare avanti. Con il frigo, per esempio, ho viaggiato tutta Europa per distribuire fiori. Ho rispolverato quel po’ di francese che avevo studiato a scuola e, grazie anche alla lingua dei gesti, me la sono sempre cavata. Anzi, direi che all’estero mi sono trovata sempre bene, specie in Francia i colleghi sono gentili e disponibili. Quando c’è stato il momento degli attacchi terroristici preceduti da furti di camion, per esempio, mi hanno sempre protetto. Magari venendo a parcheggiare il loro camion vicino al mio in sosta quando vedevano che ero una donna sola».

Il nonnismo tra gli inerti
Da una decina d’anni Carla si occupa di trasporto inerti in cava e ha cambiato diverse ditte: «Sono passata ai bilici lavorando con le vasche. Inizialmente mi hanno fatto fare il giro di un distributore e hanno appurato che sapevo guidare. Il lavoro di cava è considerato lo zoccolo duro del trasporto. E qui più che machismo c’è vero e proprio nonnismo. Io per fortuna me la sono sempre cavata, forse il mio carattere schivo e trasparente mi ha in qualche modo protetta». E non facile, perché in cava tra colleghi si fanno scherzi tremendi. «Quello più terribile è lo sgancio della ralla con la vasca piena. Per fortuna in genere si parte lentamente e così il semirimorchio si appoggia sul telaio senza conseguenze, tranne la scocciatura di dover scendere e ripetere tutte le operazioni per il riaggancio. Ma se parti veloce, fai danni veri. Ho assistito a un paio di colleghi a cui è capitato».Ma il nonnismo è l’antipasto. Poi ci sono anche le pietanze gustose, fatte di lavoro impegnativo fino allo strenuo. E in un caso è sorta anche una contesa legale: «Quando si lavora in cava non c’è orario. Nel periodo dell’asfalto, per esempio, non ci si ferma mai, nemmeno il sabato e la domenica. Un anno però l’ispettorato del lavoro inizia a effettuare costanti controlli dei cronotachigrafi presso una ditta per cui lavoravo all’epoca: nessuno di noi era in regola. Il conto finale era salato: una sanzione di 800 mila euro. La mia parte era di 30.000, ma in molti raggiungevano i 60.000. Ma siccome noi autisti non avevamo colpe, perché ci limitavamo a fare ciò che ci chiedevano, mi rivolsi al sindacato. Dopo lunghe trattative, quando tutti avevano perso le speranze e a combattere eravamo rimasti solo io e un collega rumeno, avemmo la meglio. Venne appurato una sorta di abuso d’ufficio dell’ispettorato e la multa, ridotta di parecchio, fu girata al datore di lavoro. Noi autisti fummo sollevati da tutto».

Educazione euganea
Poi, l’onda dei ricordi si interrompe. Carla si guarda intorno e non trova qualcosa. «Mio padre è scomparso nel 2004. Aveva solo 77 anni, ma era stato colpito dall’Alzheimer, una malattia tremenda». La mamma, invece, è ancora lì che vaga portandosi dietro i suoi 86 anni. «È una vecchina dolcissima – sottolinea – ma con me può essere ancora dura come un macigno». Educazione euganea, utile per imboccare la strada della vita – come diceva De Andrè – in direzione ostinata e contraria.C

 

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Una donna camionista ai tempi del Covid19!

Questo video è del mese di giugno, ma io l’ho trovato adesso e ve lo propongo. E’ una video intervista a una collega, Francesca, che racconta dei problemi che ha dovuto affrontare ai tempi del blocco per il Covid19.

Buona visione e buona strada a tutti sempre!

 

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