Antonella & la Sirenetta su TGR Calabria
Una video intervista ad Antonella a bordo della sua bellissima Sirenetta su TGR Calabria.
Buona strada sempre Antonella!!!
Una video intervista ad Antonella a bordo della sua bellissima Sirenetta su TGR Calabria.
Buona strada sempre Antonella!!!
Se non è stato facile per le donne farsi accettare come camioniste forse lo è stato ancora meno come conducenti di un autobus. Questa è la storia di Giulia, la prima donna in Italia a conseguire la patente per i mezzi pubblici.
Questi sono i link e i testi di due articoli del 2019 che raccontano la sua storia:
“Donna al volante, pericolo costante“. Se persino in un vecchio adagio popolare viene da sempre messa in discussione la bravura delle donne alla guida, è facile immaginarsi le difficoltà che ha dovuto incontrare Giulia Solomita per potersi mettere al volante addirittura di un autobus, seppur di proprietà dell’azienda di trasporti Camera, sua e di suo marito. Anche perché prima nessuna donna lo aveva mai fatto prima. E’ stata, infatti, l’allora 25enne potentina la prima persona italiana di sesso femminile ad ottenere la patente “D pubblica”, quella necessaria appunto per guidare gli autobus.
Un’esigenza più che una passione per la signora Giulia, che oggi (2019) di anni ne ha 83 e che dell’azienda non ne ha più voluto sapere nulla dalla morte del marito, passandone le redini a un nipote. Come raccontato in un’intervista – concessa al portale www.melandronews.it – infatti le cose sono andate così: “Ci stavamo ampliando e ci serviva il secondo autista. Così ho detto a mio marito: ci provo io. Mi sono messa subito a studiare, andavo a Potenza all’autoscuola. Andavo di pomeriggio, a giorni alterni. Ma non è stato semplice. A me necessitava la patente, altrimenti avremmo dovuto spendere i soldi per un’altra assunzione“.
Il problema è che nonostante il suo impegno e la sua serietà, nessuno voleva neanche solo esaminarla, una responsabilità allora considerata troppo grande: “Ricordo molto bene l’ingegnere che avrebbe dovuto esaminarmi, tanto bravo, ma anche lui mi diceva che non se la sentiva di assumersi quella responsabilità. Così ogni volta mi rimandava alla volta dopo, quaranta giorni dopo. Ogni volta vedevo i candidati uomini che superavano la prova e io che dovevo tornare la volta dopo. Non mi sono stancata, anzi forse ho preso io per sfinimento l’ingegnere. Ricordo che vennero anche altri dirigenti della Motorizzazione, per farmi sostenere l’esame“.
Un esame davvero durissimo, per giunta. La signora Giulia, infatti, dovette prima smontare un motore e poi guidare davanti ad una scuola durante l’orario di uscita degli alunni. Alla fine, però, le fecero persino i complimenti. Era il 1961. Nello stesso anno anche il primo viaggio, a Roma o forse Napoli. Questo non lo ricorda bene. Ancora impresso nella mente, invece, quanto accadde anni dopo: “Un giorno ho notato che quell’ingegnere mi guardava. Un po’ mi sono spaventata, ma poi ho capito che mi seguiva per vedere quel che facevo alla guida del bus, per capire se aveva fatto bene a darmi la patente. Ma questo succedeva sempre anche durante i controlli delle forze dell’ordine: se dovevano fermare qualcuno, capitava sempre a me“.
Alla fine, però, l’unica che l’ha fermata davvero è stata proprio lei stessa: “La patente a chi guida gli autobus si toglie a 68 anni di età, ma devo essere sincera, io sono andata alla motorizzazione e l’ho consegnata un po’ di tempo prima, perché avevo capito che non avevo più le energie per stare al volante. Però continuo a guidare l’automobile“.
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Le cronache dell’epoca raccontano che lei pianse quando superò l’esame. Giulia Solomita Camera, di Satriano di Lucania è stata la prima donna in Italia a ottenere una patente di guida della Categoria “D pubblica”, quella che serve per poter condurre gli autobus.
Quel pianto era di gioia, ma anche liberatorio, perché – come racconta lei stessa- non fu un percorso facile. Discusse animatamente con l’ingegnere della Motorizzazione civile che doveva esaminarla quando le disse: “La patente D a una donna può assegnarla solo un folle”. Invece, da quel giorno Giulia – che aveva 25 anni – su un autobus ci è salita fino a quasi settant’anni. E oggi, che ne ha 83, continua a guidare la sua utilitaria.
Signora Giulia, lei è stata la prima donna a ottenere una patente che permette di guidare gli autobus nel nostro Paese.
Parliamo di secoli fa…
Com’è nata in lei la voglia di guidare un bus?
Con mio marito avevamo una ditta di autolinee, l’azienda Camera. Ci stavamo ampliando e ci serviva il secondo autista. Così ho detto a mio marito: ci provo io. Mi sono messa subito a studiare, andavo a Potenza all’autoscuola. Andavo di pomeriggio, a giorni alterni. Ma non è stata semplice. A me necessitava la patente, altrimenti avremmo dovuto spendere i soldi per un’altra assunzioni.
Perché non è stato semplice?
Essendo la prima donna che chiedeva di fare l’esame, nessuno si voleva prendere la responsabilità di esaminarmi. Ricordo molto bene l’ingegnere che avrebbe dovuto esaminarmi, tanto bravo, ma anche lui mi diceva che non se la sentiva di assumersi quella responsabilità. Così ogni volta mi rimandava alla volta dopo, quaranta giorni dopo. Ogni volta vedevo i candidati uomini che superavano la prova e io che dovevo tornare la volta dopo. Non mi sono stancata, anzi forse ho preso io per sfinimento l’ingegnere. Ricordo che vennero anche altri dirigenti della Motorizzazione, per farmi sostenere l’esame.
E il giorno dell’esame com’è andata?
Mi fecero un bel po’ di domande poi mi misero un motore davanti e mi chiesero di smontarlo. Lo feci. Ma non bastò, perché quella era solo la teoria. C’era la pratica….
E alla guida com’è andata?
Alla guida dell’autobus mi portarono verso viale Mazzini, dove c’era all’epoca il palazzo dell’Inam, la “mutua”, a Potenza. Mi portarono davanti a una scuola, proprio nel momento in cui uscivano i bambini per vedere come mi sarei comportata Alla fine si sono complimentati. Ma dopo tanti anni che facevo la linea, un giorno ho notato che quell’ingegnere, mi guardava. Un po’ mi sono spaventata ma poi ho capito che mi seguiva per vedere quel che facevo alla guida del bus, per capire se aveva fatto bene a darmi la patente. Ma questo succedeva sempre anche durante i controlli delle forze dell’ordine: se dovevano fermare qualcuno, capitava sempre a me.
Quand’è accaduto tutto questo?
Era il 1961, ero appena diventata mamma di mio figlio.
Ricorda il primo viaggio che ha fatto?
A Roma, mi sembra. O forse Napoli. Facevano le gite portavamo la gente nei luoghi turistici, ad esempio a Pompei.
Si è mai trovata in difficoltà?
No, ho guidato notte e giorno, col bel tempo e con la neve, ma non ho avuto mai problemi. Sono stata baciata anche dalla fortuna, in tanti anni di servizio non ho mai avuto una bucatura.
Da quanto tempo non guida più l’autobus?
La patente a chi guida gli autobus si toglie a 68 anni di età, ma devo essere sincera, io sono andata alla motorizzazione e l’ho consegnata un po’ di tempo prima, perché avevo capito che non avevo più le energie per stare al volante. Però continuo a guidare l’automobile.
Ora si occupa dell’azienda?
No, se ne occupa mio nipote. Da quando mio marito non c’è più, ho deciso di non occuparmi più dell’azienda.
Qualche mese fa vi ho parlato di un libro, “CB Filomena” di Carmela Bruscella, un romanzo che racconta la storia di una donna camionista, Filomena appunto…
Ora ho trovato questo articolo dedicato a lei, alla sua storia e al libro che la racconta.
E’ una bella storia, fatta di coraggio e tenacia, perchè in quegli anni non era facile farsi accettare come donna camionista, c’era lo stupore di chi la vedeva al volante, ma c’era anche l’ostinazione di chi non la voleva vedere al volante!
Questo è l’articolo:
Partita da Acerenza per il Piemonte, ha sempre fatto l’autista per l’impresa edile del marito Canio
Un modello per le ragazze di oggi: la storia raccolta in un libro da Carmela Bruscella
“Quando si fermava ai semafori, gli automobilisti che l’affiancavano la guardavano con stupore e meraviglia: una donna minuta, bella e femminile alla guida di un camion. Lei, per niente turbata, li ha sempre disarmati con un sorriso.
Altre volte, quando si presentava agli ingressi di aziende o di cave, non la facevano entrare. Oppure non caricavano l’automezzo con il materiale, perché aspettavano un autista maschio per dare il via alle operazioni.
Agli inizi la vita di Filomena è stata così: un continuo combattere con la diffidenza degli altri.
Fin da quando, per aiutare il marito, un piccolo imprenditore edile, aveva deciso di mettersi alla guida del furgone da nove posti con il quale portava i dipendenti sui cantieri.
Eppure Filomena si era mostrata audace fin da ragazzina, quando non ancora sedicenne, aiutava la sua famiglia nei lavori in campagna.
La storia di Filomena Lucente, la donna che ha vissuto gran parte della sua vita alla guida di un camion, è stata raccontata da Carmela Bruscella, nel libro “Cb Filomena”, edito da Letteratura Alternativa.
“Cb – avverte l’autrice – non sono le mie iniziali ma è la sigla con cui internazionalmente si chiama la ricetrasmittente che usano gli autisti del camion”.
Uno strumento e un linguaggio fatto di sigle per comunicare. Ma Filomena ha “comunicato” sempre con i fatti, con il suo modo di essere e di agire, rappresentando un modello di emancipazione reale, proprio negli anni in cui le donne lottavano per vedere riconosciute certe conquiste.
Siamo negli anni Sessanta. Ad Acerenza. Il padre di Filomena è guardiano in una masseria della zona, La Polosa. Filomena, quand’è il periodo della raccolta del grano, parte dal paese con il suo cavallo per portare al padre le taniche di gasolio che serve a far funzionare il trattore. Un Om 311 sul quale lei si era seduta più volte alla guida. Coi mezzi meccanici aveva confidenza.
Già a quell’età era audace, capace, testarda. A 21 anni, a una festa di matrimonio, conosce Canio. Gli piace. Si piacciono. Si scambiano promesse d’amore. Restano fidanzati un anno e mezzo, poi si sposano. La cerimonia viene fatta proprio nella masseria dove lavorava il padre.
Poi gli sposi, come avveniva spesso in quel periodo, lasciano Acerenza. Lui aveva una azienda di edilizia, si era trasferito in Piemonte da tempo, ma ora stava costruendo una palazzina vicino Savona. La coppia di sposini si trasferisce lì, Borghetto Santo Spirito.
Filomena ci tiene a dare una mano al marito. Vuole aiutarlo, come aveva sempre fatto, del resto, con la sua famiglia.
Si fa assumere come collaboratrice: fa di tutto nei cantieri. E ben presto si mette alla guida del furgone con il quale trasporta i suoi dipendenti, va a fare piccole commissioni.
Con gli anni la ditta si ingrandisce, Filomena e Canio acquistano un camion più grande, più capiente, perché adesso si occupa anche di movimento terra: un Renault 130 da 80 quintali di portata.
Quel mezzo diviene presto la seconda casa di Filomena. Ma anche uno strumento per combattere i pregiudizi: una volta fu necessario chiamare il geometra della ditta per avere conferma che l’autista inviato dalla ditta fosse proprio lei, prima di darle il materiale di cui aveva bisogno. Un’altra la tennero fuori da una cava, perché gli operai non si aspettavano una conduttrice donna. Ostacoli che avrebbero potuto demoralizzarla, ma che lei ha sempre superato con il suo sorriso, la sua tenacia, i suoi modi gentili.
Carmela Bruscella racconta questa storia intrecciandola, nel suo romanzo, con storie di altre donne comuni e contemporanee, mettendo in risalto come l’esempio di Filomena sia riferimento anche tanti anni dopo.
Filomena e il marito Canio vivono ancora in Piemonte. Hanno avuto due figli e, come hanno sempre fatto, non hanno mai reciso le loro radici con la terra natia. Sono membri attivi dell’Associazione Culturale Amici della Lucania di Asti e Provincia. Promuovono, insieme agli altri soci, la Basilicata, le tradizioni e i prodotti della terra da cui provengono.
E lo fanno con passione e anche impegno costante. Tanto che, pochi mesi fa, il presidente dell’Associazione culturale amici della Lucania di Asti e provincia Antonio di Stasi, a nome di tutti i soci le ha conferito un riconoscimento “per la sua tenacia e intraprendenza nel lavoro. Un esempio per tutti, la sua storia di emigrazione, sacrifici e di lavoro, ha evidenziato come la donna abbia contribuito al miglioramento della vita della famiglia nei paesi di destinazione”.
Anche le camioniste olandesi hanno una serie tutta dedicata a loro : “Meiden die rijden“, sul canale You Tube
https://www.youtube.com/channel/UCL-TfH_o9SCctxauOcGf6_w/videos
si trovano gli otto episodi che le vedono protagoniste.
L’unico difetto è che non ci sono i sottotitoli e parlano in olandese…ma le immagini sono belle!
Buona strada alle colleghe e buona visione!
Negli ultimi mesi, ma sarebbe meglio dire negli ultimi anni, circola insistentemente la notizia che mancano nuovi autisti, sia in Europa che nel nord America. La preoccupazione principale è che quando andranno in pensione tutti gli ultra cinquantenni, che ora sono la maggioranza, non ci saranno abbastanza giovani in grado di sostituirli, e, incredibile ma vero, dei camionisti ce n’è un gran bisogno!
Ma come mai i giovani non vogliono più fare i camionisti? Le risposte possono essere tante e diverse, le più frequenti sono che gli autisti non sono pagati abbastanza per il lavoro che svolgono, e che conseguire patenti superiori e CQC costa troppo sia in termini di soldi che di tempo. Una volta, almeno in Italia, la maggior parte dei ragazzi prendeva la patente a militare e poi la convertiva, in più si faceva esperienza sul campo accompagnando padri, zii, amici nei loro viaggi (cosa ormai VIETATISSIMA da anni). E, mia personale opinione, sbagliatissima. Chi ha imparato il mestiere in quel modo era molto più preparato alla guida, nelle manovre e nelle operazioni di carico/scarico di chi oggi esce da un lungo corso teorico con qualche ora di guida, ma che tutte sommate fanno poco più di un viaggio medio che si effettua in una normale giornata di lavoro. E i risultati si vedono sulle strade… Tornando alla carenza di autisti, ogni tanto vengono organizzati e finanziati corsi da varie associazioni per invogliare un po’ di giovani…
Ma bisognava fare qualcosa di più per avvicinare i ragazzi al mestiere, per fargli credere che…
Cosi negli ultimi anni sono fiorite, in tutta Europa, trasmissioni, format, reality, che hanno come protagonisti i camionisti e il loro lavoro sulle strade del continente. Un mestiere avventuroso, pieno di soddisfazioni, anche con problemi e imprevisti da risolvere, ma che i nostri “eroi dell’asfalto” affrontano col sorriso sulle labbra portando sempre a termine con successo la loro missione: consegnare il carico in tempo! E a fine giornata, soprattutto quelli italiani, si ritrovano in trattoria, dove come vuole la leggenda, si mangia bene e tanto spendendo il giusto.
Ma tutto questo non era sufficiente. Cosi hanno pensato di rivolgersi alle donne. Le stesse donne che ancora, in alcuni casi sono discriminate, ma in carenza di autisti maschi si potrà far andar bene anche loro! E cosi ecco le nostre “regine della strada” che affrontano viaggi impegnativi, carichi gravosi da sistemare, manovre millimetriche, nello stesso modo dei più grintosi colleghi uomini, dimostrando che questo è un lavoro che possono fare tranquillamente anche le giovani fanciulle.
Riusciranno queste trasmissioni a inoculare il seme della passione nelle giovani leve?
Perché se manca la passione, e credo sia proprio quella la carenza principale, le persone sul camion a fare vita randagia non ci salgono di sicuro. Nelle trasmissioni gli autisti lavorano tutti per ditte serie, rispettano tutte le regole, vengono trattati bene. Non è che non esistono aziende cosi, anzi, ci sono e probabilmente loro non avranno mai problemi a trovare autisti. Ma nella realtà ci si scontra troppo spesso con situazioni molto diverse,
dumping sociale, stipendi all’osso, contratti capestro, regole assurde. E ancora porte sbarrate, come in questo periodo di pandemia dove tante volte gli autisti non sanno nemmeno dove lavarsi la faccia se non con l’acqua che hanno nel loro bidone o con le salviette umidificate. Sui servizi igienici stendiamo un velo pietoso, quando chiedi e te li negano cosa fai? Vai a farla sotto il camion? E la sera non sai dove cenare perché i ristoranti sono chiusi… praticamente sei trattato come l’ultima ruota del carro, sei solo un numero, non una persona.
Allora queste belle trasmissioni, perché poi sono belle e avventurose, rimarranno solo delle belle trasmissioni, come i telefilm di “BJ MacKay”, di “Movin On” e di “Due assi per un turbo” che da ragazzi guardavano, sognando di vivere le medesime avventure, i camionisti over-cinquanta che ormai sono quasi a fine carriera!
Buona strada a tutti!!!
La prima donna camionista in Spagna (e forse anche in Europa) fu Celia Rivas Casais, classe 1912. Una vera pioniera del settore!
Suo padre trasportava prodotti ittici e altre mercanzie da Calcoba a La Coruña, e poi tornava con prodotti che non raggiungevano facilmente la zona, per venderli. . Nel 1932, comprò un nuovo camion, uno Chevrolet, ma poi per problemi di salute non potè guidarlo, cosi chiese alla maggiore delle sue figlie, Maria, di fare la patente. Lei come le sue sorelle resto allibita dalla richiesta del padre, in Spagna all’epoca non c’erano donne camioniste! Ma lui rispose che quando era stato in America aveva visto delle donne guidare i camion, perchè non poteva farlo anche lei? Maria però non se la senti’ di provare, fu la sorella più giovane, Clelia ad accettare la proposta del papà e a fare la patente. Il giorno dell’esame l’ingegnere non credeva fosse lei la persona da esaminare, ma alla fine, dopo averla “torchiata” per bene dovette ammettere che era molto più preparata di molti uomini che aveva esaminato! (…)
Il resto della storia di questa pioniera del camionismo in rosa la trovate in questi articoli spagnoli:
https://acorunhadasmulleres.gal/celia-rivas-casais/
https://solocamion.es/soy-camionera-celia-rivas-casais-fuente-de-inspiracion/
C’è anche su wikipedia!
La “Regina rosa” non è una camionista, è… la mortadella!
Cosa c’enta con noi?
Ho trovato un sito “Libri su misura” in cui si parla di un ebook…
Questo ebook contiene tutti i racconti finalisti del concorso letterario dedicato alla mortadella proposto all’interno della manifestazione Mortadella Please di Zola Predosa.
Il primo racconto, quello che apre la raccolta, ha come protagonista una camionista!
Questo è il link del sito, se qualcuna è interessata all’acquisto dell’ebook:
https://www.librisumisura.it/index.php/entra-in-libreria/item/c-era-una-volta-e-c-e-una-regina-rosa
E questo è il racconto:
L’AUTOSTRADA… IN FUGA!
Simona Aiuti
L’autostrada è un mondo magico è misterioso, fatto di sacrifici, grandi avventure, sogni da coltivare e un pizzico di poesia, che prende vita di notte, quando ogni colore si diluisce nel buio tra le luci dei fari, o dei mezzi di soccorso che sfrecciano spezzando il silenzio. Si scivola via tutti sul nastro nero d’asfalto, sentendosi più leggeri, là dove a volte è possibile vivere emozioni e sogni incredibili e qualche disillusione. In molti credono che ogni autista sia chiuso nella sua solitudine, ma non è affatto così. Esiste una grande solidarietà tra noi e guai a lasciare un amico in difficoltà sul nastro nero.
Io sono qui, sulla mia bestia, con un carico di mortadelle, sul mio treno di gomme a macinare chilometri in attesa di un autogrill, che sembra lontanissimo quando la stanchezza si fa sentire dopo tante ore al volante, e darei il mio braccio destro per un caffè e qualche frittella calda.
Quando il freddo si fa più pungente e magari nevica che Dio la manda, o la nebbia è come un mare di latte freddo e infido, fanno male gli occhi, la vista si sforza, ma non si può abbassare la guardia, perché bisogna portare a casa la pelle.
Ho viaggiato molto in giro per l’Europa io, e ho trovato paesaggi diversi, pessimi caffè, e lontano dall’Italia non si mangia nemmeno tanto bene, ma il cuore e la fratellanza di noi camionisti è sempre grande ovunque, non cambia mai.
Sono una donna in fuga io, con il mutuo troppo grande da pagare, un ex marito più attaccato alla bottiglia che alla famiglia, i bambini che mi mancano da morire, e questo mestiere che amo, ma che mi porta sempre lontano, tanto lontano e in fuga, appunto.
Mio nonno era camionista durante la guerra, facendola sotto il naso ai tedeschi con scaltrezza, aiutando i partigiani nascondendoli dentro un intercapedine del mezzo, e ci sapeva fare davvero il nonno Gino!
Mio padre ha speso tutta la vita su questo camion, consumando le strade in un’epoca dura, e io ho imparato a conoscerlo solo quando ha iniziato a portarmi con lui. Portava la mortadella in Francia, che combinazione! Ricordo i primi viaggi con il batticuore e le prime donne camioniste viste oltralpe, e l’odore meraviglioso che spandevamo!
La mamma non voleva che partissi con il babbo, non voleva che prendessi quella strada, ma il nastro d’asfalto nero è stato il destino prima dei miei tre fratelli più grandi e poi anche il mio, ma non lo rimpiango.
Sono sempre stata la “pulce” in famiglia, la più piccola, eppure il babbo è sempre stato molto fiero di me, poiché non mi sono mai risparmiata sul lavoro. Ho imparato presto a guidare i mezzi pesanti, quando non arrivavo nemmeno ai pedali, ma credo d’aver prima appreso a guidare e a domare questi bestioni su gomma che ad aver a che fare con la gente. Lavoro più dei miei fratelli maschi, e se loro fanno un viaggio, io ne faccio due e la fatica non mi ha mai spaventata. Tuttavia io non sono un’eccezione: di donne come me è pieno l’ambiente e gli uomini ci rispettano.
È dura, è vero, ma non cambierei questa vita con un’altra, non lo farei davvero!
Questa è la mia vita, e viaggiando ho conosciuto Lilly, la mia migliore amica: gestisce un pub, ha un’enorme testa di ricci rossi perennemente scompigliati, dei vestiti a fiori appariscenti e una grassa risata contagiosa che mette allegria a tutti; sarà una deformazione la mia, ma Lilly sembra sul serio una grande mortadella!
Io dentro il camion di mio padre ho dato il primo bacio a un suo lavorante, un ragazzino come me di cui ero cotta. Dentro il camion ho quasi partorito il mio secondo figlio, e mancava poco che arrivassi in ospedale con il mezzo pesante da sola, invece mi ci portò il “Bestia”, un caro amico che captò la mia disperata richiesta d’aiuto, perché mio marito era già latitante!
Dicono che dove ci fermiamo noi camionisti si mangi molto bene, e accidenti se è vero! Non dimenticherò mai quella volta dalle parti di Brescia, quando festeggiammo il matrimonio di “Gianni l’orso” nel locale della Rosa, mangiando e bevendo fino all’alba con frittelle al miele, marmellate ai lamponi fatte dalla padrona e vino novello: a momenti ci portò via l’ambulanza. Si stava così bene che non saremmo mai andati via, e forse nessuno aveva il coraggio d’alzarsi per primo, perché sentivamo che stava cambiando qualcosa. Un amico ci stava lasciando per sposarsi, cambiare lavoro, e il nostro cuore si stava spezzando. È dura la vita sul camion, e alcuni cambiano lavoro, scegliendo un mestiere con meno rischi, ma che consenta di stare più a casa con la famiglia, ma poi nell’anima resta sempre la nostalgia.
È gente sana e generosa quella dell’autostrada, fatta di camionisti, pendolari, svincoli e paesi facili da raggiungere; basta poco e ci si aiuta tutti, specie nelle difficoltà, come quando nevica.
Nel ‘93 mio fratello Bruno si ritrovò bloccato con un guasto al motore, senza niente da mangiare e rischiava grosso, perché aveva un carico deteriorabile, ma io smossi mari e monti con il babbo, e i colleghi non esitarono. Con un piccolo aiuto non solo lo salvammo dal congelamento, ma aiutammo anche una mamma che era rimasta nella neve e non poteva dare la poppata al bambino, e noi eravamo là sulla strada come sempre, e come sempre un po’ in fuga; inutile dire che mangiarono tutti le nostre mortadelle!
Ci sono pure le prostitute sulla strada, però quelli che le sfruttano stanno al caldo, mentre quelle donne rischiano la pelle, si gelano d’inverno e per lo più sono povere disgraziate con dei figli da crescere, un sacco di guai e la loro autostrada non finisce mai.
Dodici anni fa su questo nastro d’asfalto ho conosciuto il mio ex marito.
Ricordo che era pressappoco la prima volta che ero scesa dal camion perché volevo essere e comportarmi da donna per entrare in una discoteca con Lilly. Mi hanno guardata dall’alto in basso, e piuttosto male perché avevo gli scarponi, e lui, quel bel tipo, faceva lo splendido con tutte: avrei dovuto capirlo subito che genere era!
Avevo poca esperienza con gli uomini, e lui riuscì facilmente a conquistare il mio cuore semplice con i suoi modi da latin lover. La testa mi girò così tanto che mi ritrovai completamente imbambolata e con le fette di salame sugli occhi. I miei mi dissero da subito che quel ragazzo dai modi da bullo non faceva per me, ma naturalmente non li ascoltai e, innamorata com’ero, ignorai che non era affidabile, che aveva poca voglia di lavorare e che non aveva la vocazione da marito e tanto meno quella da padre.
Fu una doccia gelata a farmi svegliare da quell’ubriacatura d’amore. Nonostante alcune avvisaglie a cui mi ostinavo a non dare peso, dopo tre anni di matrimonio mio marito mi lasciò il cane, il mutuo da pagare, i bambini che tanto aveva voluto ma a cui non aveva mai cambiato un pannolino, alcuni debiti che aveva fatto a mio nome, alcune multe da pagare, la vergogna per delle risse in cui si era prima ubriacato e poi fatto arrestare.
Tutto questo per via di una bionda ossigenata in tubino leopardato e zeppa trampolata dai “facili costumi”!
Forse i soldi pagati per l’avvocato per separarmi sono stati tra i meglio spesi nella mia vita e non li rimpiango.
Il mio ex marito non si fa mai vedere, non cerca i figli nonostante io abbia tentato di fare da tramite e da ponte tra lui e i bimbi, non è mai servito a nulla. Solo Dio sa la fatica che ho fatto e che continuo a fare per crescerli con serenità senza mai fargli mancare nulla; forse ci sto riuscendo, ma non lo sto facendo da sola, bensì con l’aiuto della mia famiglia che non è mai mancato.
I primi tempi della separazione sono stati duri perché non ero consapevole di potercela fare. È passato tanto tempo da allora, ma i miei figli restano e resta pure questo mestiere che è sempre più difficile, specie se incontri di notte qualche giovane automobilista impasticcato e ubriaco, eppure è la mia vita. Ce la faccio da sola, e sono sempre le mortadelle a farmi sbarcare il lunario, e siano benedette!
La gente non si rende conto dei pericoli che ci sono sul nastro d’asfalto. C’è un sacco di gente che non conosce o meglio ignora il Codice della strada, che beve una birra dopo l’altra come se fosse acqua fresca, mettendo consapevolmente in pericolo gente che lavora e che ha a casa una famiglia e dei figli ad aspettare. Ci sono genitori incoscienti che mettono nelle mani di figli neopatentati automobili potenti e mi domando con quale criterio lo facciano. Le persone che non vivono la realtà là fuori non hanno idea di quanta droga ci sia. Si tratta di acidi, pasticche, cocaina e mi è capitato più volte d’andare in bagno in un autogrill e vedere ragazzine, che potrebbero essere mie figlie, farsi.
Mi domando perché a tredici o quindici anni si desideri così tanto essere considerate già donne, perché il cuore è ancora bambino e, se ti feriscono, fa ancora più male. Essere madre mi fa provare una stretta al cuore, poi leggo la cronaca locale e vedo che non tutti quei ragazzini che entrano ed escono da locali di notte, poi tornano a casa all’alba da madri come me.
Noi camionisti siamo amici delle forze dell’ordine, cerchiamo di collaborare con loro, e vediamo quanto sia duro anche il loro mestiere, forse anche più del nostro. Con quale cuore un poliziotto dopo la chiamata che non vorrebbe mai ricevere si trova costretto a raccogliere sulla strada un ragazzo che non tornerà a casa, e pupazzetti e oggetti vari che fanno pensare a bambini, da dover riconsegnare ai genitori? Eppure il nastro d’asfalto corre nonostante tutto e ingoia storie, lacrime, passioni e speranze.
Corre e corre il nastro d’asfalto, e con lui mille vite che s’incontrano e a volte non si ritrovano per anni.
La vita sull’autostrada può essere dura, ma può riservare anche delle belle sorprese, direi inaspettate.
Circa due mesi fa, mentre ero ferma a un parcheggio, quasi senza motivo mi sono messa a litigare con un collega, un tipo che davvero mi ha fatto salire il sangue alla testa, poi però ci siamo chiariti e fatti un sacco di risate davanti a una cioccolata calda che ha voluto offrirmi subito dopo al bar.
Qualche volta può servire litigare per un parcheggio.
C’ho messo un po’ a capirlo, forse perché ero in jeans, con i capelli legati e senza trucco, anche perché non ho mai imparato a truccarmi, ma quel collega mi stava proprio corteggiando.
Sarà che non sono abituata a certe cose, anche se mia madre da tempo cerca di spingermi a uscire un po’, dicendo che dovrei pensare a rifarmi una vita, ma io ho già una vita, ed è anche molto piena.
Si chiama Antonio il tale, mi è risultato simpatico e avevo bisogno di farmi due risate, e credo anche d’essere diventata rossa quando m’ha chiesto il numero del cellulare. Il bello è che poi mi ha pure chiamata e mi ha chiesto d’uscire con lui a cena, e io mi sono messa a ridere per telefono. Ho un po’ paura di rimettermi in discussione, ma è vero che ho anche voglia di vivere e di sentirmi oltre che madre e camionista, anche di nuovo donna.
Che imbarazzo se penso che mi ha vista in abiti da lavoro, senza messa in piega, anche perché io non ho mai fatto dei colpi di sole in vita mia, non sono mai andata dall’estetista e non ho idea di come si depilino le sopracciglia, ma almeno mi ha vista così come sono, senza maschere e sovrastrutture. Antonio in dieci minuti mi ha conosciuta con camion, figli, fratelli camionisti e tutto, e sembra che io gli piaccia con tutto il pacchetto formato famiglia.
Sembra un tipo a posto Antonio, ed è gentile, carino ed è un anche un buon collega che sa quanto sia dura questa vita. Lui trasporta latticini, un carico altamente deperibile, e dice d’avere degli sconti sulla merce; non so se sia vero, ma da un po’ a casa mia i fior di latte si sprecano, e io li preferisco alle rose se devo dire la verità.
Poi alla fine sono uscita con lui ed è stata anche una bella serata. Ora ci vediamo ogni tanto, mi chiama spesso, ed è diventato una presenza nella mia vita.
Io che sono sempre stata abituata a cavarmela da sola, io che devo aggiustare il lavandino se si rompe, io che devo pagare le bollette, io che devo fare il lavoro della donna e poi anche quello dell’uomo, per la prima volta ho visto un “tizio” che mi ha detto: “tranquilla me ne occupo io”!
Non credevo alle mie orecchie, giuro che per uno così potrei imparare a fare le torte di mele, e forse lo farò sul serio.
Tuttavia il momento in cui Antonio mi ha conquistata è stato quando è venuto a trovarmi a casa mia una sera. Ero nervosa, non ero sicura che i miei figli fossero pronti per conoscere un “amico della mamma”, però dovevo tentare. Finalmente ha conosciuto i bambini e quando ha visto che il grande, Marco, stava facendo i compiti di matematica con scarso successo, si è messo là a spiegargli le espressioni: un uomo così si merita l’applauso! Non batte ciglio se la merenda è pane e mortadella che per me costa poco, e ragazzi, non è poco!
Antonio mi ha proposto di fare un fine settimana fuori e io ci sto pensando e sto rimuginando molto sulla cosa, perché non m ricordo cosa sia una vacanza o un fine settimana fuori. Preferisco passare più tempo che posso con i miei figli, ma è un secolo che non mi prendo un po’ di tempo per me, davvero tanto tempo, quindi ci penserò.
Non so ancora se ho voglia di mettermi di nuovo in gioco con gli uomini, ho qualche timore, ma la vita continua, i bimbi crescono e io ho tempo di riflettere, di pensare a mia madre che vorrebbe vedermi serena accanto a un uomo che mi ama e che io possa riamare, di riflettere sulle bollette, su Marco che ha bisogno della macchinetta per i denti e il piccolino che forse soffre d’asma e ha bisogno di mare, insomma i pensieri e le questioni da risolvere non mancano mai.
La mamma ha alzato gli occhi al cielo quando gli ho detto che anche Antonio è camionista, ma credo che sia comunque rassegnata, e poi l’importante per lei è vedermi felice e da un po’ forse lo sono o almeno comincio a vedere un pizzico di sereno in fondo al tunnel. Probabilmente sto iniziando a vivere di nuovo come donna, anche se lo sto facendo timidamente e soppesando le mie azioni e le mie emozioni.
Magari potrei prendere un appuntamento dal parrucchiere, e magari farmi la manicure e comprarmi un paio di scarpe con il tacco, chissà!
Già, ho tempo di riflettere quando guido, specie di notte, quando i pensieri si diluiscono, le storie e ogni cosa si fanno più fluide, intense, illuminate solo dai fari e io ascolto la solitudine che ho nel cuore e guido, corro sempre in fuga. Riflettevo che Antonio porta sacchi di farina, e con la farina si fa il pane, io ho la mortadella, quindi, se non è destino, non so cosa sia!
2019
Questo è un video spagnolo dedicato alle donne “camioneras” in occasione di una festa della donna qualche anno fa, è proprio vero che tutto il mondo è paese e che siamo uniti da un filo invisibile: le stesse cose che loro dichiarano di amare in questo mestiere sono identiche a quelle che prova ognuna di noi. Ascoltare per credere!
Buona strada a tutte!
Vi state chiedendo come mai vi propongo un video del 1959 dell’Istituto Luce?
Ve lo dico subito, perchè racconta un pezzo della nostra storia, quando le autostrade erano ancora in costruzione e si viaggiava principalmente sulle vecchie strade statali. Perchè si vedono tante vecchie auto e tanti vecchi camion di cui molti/e di noi non hanno mai visto il passaggio e perchè parla anche del lavoro dei camionisti: “I trasporti su strada ogni giorno si incrementano sviluppando la giovane categoria di lavoratori, i camionisti che alla guida dei loro enormi autotreni divorano chilometri e chilometri da un punto all’altro della penisola….”
Prendetevi il tempo di guardarlo questo video, ne vale la pena, parla di anni pieni di speranze e di entusiasmo!
L’unica cosa che purtroppo – per noi – non si è avverata è la predizione finale:
” L’Autostrada del Sole appare già come una tra le realizzazioni più perfette in questo campo, altre autostrade sono state già approvate dal governo e si aggiungeranno a questa fornendo la penisola di una viabilità efficiente che eliminando pericoli darà sicurezza e snellirà il traffico. Anche i nostri camionisti avranno una vita meno dura e pur intensificando la loro attività disporranno loro, uomini della strada di molto più tempo da dedicare alle gioie della casa.”
Gisy ha appena ricevuto questo biglietto di auguri da parte della nostra cara collega Giorgia, le Poste purtroppo gliel’hanno recapitato un pò in ritardo…
Ma i messaggi di auguri sono sempre belli, anche quando arrivano tardi… quindi visto che i saluti sono per tutte ha pensato di condividerli dalle pagine del nostro Blog, a dicembre purtroppo non abbiamo potuto organizzare il nostro pranzo annuale per scambiarceli di persona, li ricambiamo a Giorgia da qui e li giriamo a tutte voi!
Grazie e Buon 2021 a tutte!!!! Buona strada sempre!!!
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