Leggere può essere una passione. Quando si apre un libro e si comincia a leggerlo è come varcare una soglia ed entrare in un mondo parallelo. La mente comincia a dare forma e colore alle parole scritte, i personaggi assumono una loro fisionomia e di solito ci si immedesima in uno dei protagonisti. Si cerca di indovinare le loro prossime mosse e anche il loro passato…
Per mia esperienza personale un libro è più avvincente di un film, probabilmente perché non ha limiti temporali né di pagine, ci possono volere giorni per leggerlo tutto mentre i film devono essere “compressi” in un paio d’ore…
Ma ci sono libri per camionisti? O libri dedicati ai camionisti? O addirittura libri scritti da camionisti? Secondo me si può rispondere di si a tutte e tre le domande. Partendo sempre dal presupposto che a una persona piaccia leggere, indipendentemente dal tipo di lavoro, o meglio di vita che fa, la risposta alla prima domanda è generica, ognuno ha i suoi gusti e sceglie in base a quelli, sia che faccia o meno il camionista.
Alle altre due domande qualche camionista potrebbe obiettare che passa già la vita su un camion ci mancherebbe anche che si metta a leggere libri che lo riportano ancora in cabina anche nel tempo libero…
Eppure ci sono diversi libri che hanno i camionisti come protagonisti, e ce ne sono anche di scritti direttamente da chi svolge questo lavoro (come ben sapete anche noi ci siamo cimentate in questa impresa col nostro libro che racconta la storia di 52 colleghe).
Cosi ho pensato di proporvi qualche titolo tra quelli che ho letto, non sono tutti recenti ma non per questo meno interessanti, un libro per il fine settimana è il titolo di questa nuova rubrica, buona lettura a tutti!
In questo video la storia di Silvia, mamma e donna camionista per passione, presentata dal suo titolare che vede nelle donne al volante una buona opportunità per migliorare l’immagine dell’autotrasporto.
E’ bello quando si gira per il web trovare notizie sulle pioniere del volante (di un camion!), e soprattutto è bello che non ci si dimentichi di loro, questo video è di pochi giorni fa ed è dedicato a Teresina Bruno, la prima donna camionista italiana. Abbiamo già scritto di lei altre volte, ma è sempre bello ricordarla!
E’ suo figlio Mauro che nel video racconta la vita della mamma, al volante di un camion nell’immediato dopoguerra, e dei problemi che ha dovuto affrontare all’epoca.
Il video si conclude con la panchina che le è stata dedicata nel “Sentiero delle donne ” a Settimo Torinese.
E’ stato detto che l’Italia è il paese europeo con più donne camioniste. Addirittura il 6% dei titolari di patenti superiori, quindi dovremmmo incrociare 6 autiste ogni 100 camion! Ma non sempre i numeri corrispondono alla realtà, anche se ultimamente diverse donne hanno intrapreso questa carriera resta comunque difficile trovarle. Con ognuna con cui parlo mi sento dire che la maggior parte delle persone resta stupita a vederla alla guida di un camion e il più delle volte sono le uniche in azienda.
Forse il motivo è che non sempre a una patente superiore corrisponde una donna che fa la camionista? Non lo so però…
Chiara Fossati di professione fa la fotografa. Però, come a volte capita a diverse donne che fanno un lavoro diverso dal nostro, anche lei è titolare di patente C, e con il camion ha girato l’Europa per realizzare servizi forografici.
Simona Piersanti: «Sul camion festeggio di nuovo i 18 anni»
Classe 1984, marchigiana, autista e, scesa dal camion, mamma a tempo pieno. Simona Piersanti quest’anno festeggia un compleanno molto speciale, i suoi 18 anni in cabina, inseguendo la sua più grande passione: guidare
La voce è allegra, l’entusiasmo lo stesso di quando ha iniziato, la passione, neanche a dirlo, non se ne è mai andata. Simona Piersanti, 39 anni, originaria di Serra de Conti – un piccolissimo paese in provincia di Ancora, nelle Marche – è in cabina da quando di anni ne aveva appena venti e quest’anno festeggia un compleanno molto speciale: 18 anni come autista.
Figlia di un camionista, inizia a viaggiare fin da piccolissima, quando il padre la portava con sé nei suoi lunghi viaggi. Con lui macina chilometri su chilometri e più il tempo passa più capisce che quella sarà anche la sua strada. Il papà – oggi anche collega – è il suo primo sostenitore, ma la mette in guardia sulle difficoltà del mestiere. Così Simona inizialmente tentenna: «Subito dopo il diploma- racconta – provai a darmi una possibilità in altro campo. Iniziai a lavorare come impiegata in un’azienda di import-export, ma la vita sedentaria da ufficio non faceva per me che sono sempre stata uno spirito libero. Ho resistito un anno, poi ho capito che dovevo inseguire la mia passione più grande: guidare».
Così trova lavoro in una cantina vinicola dove le affidano il furgone per le consegne, ma lei è abituata a mezzi molto più grandi. L’occasione arriva grazie a un altro grande amore, quello per l’uomo che oggi è suo marito. «Aveva un’azienda di trasporti – l’Autotrasporti Simonetti Antonio di Serra de Conti – e così, compiuti 20 anni, ho deciso di fare sul serio. Ho preso le patenti e ho chiesto di lavorare per la sua azienda, per la quale ancora oggi sono dipendente». Simona torna a viaggiare, questa volta a bordo di una motrice con la quale trasporta “un po’ di tutto”, come dice lei, attraversando in lungo e in largo le Marche, la Toscana, l’Umbria e l’Emilia-Romagna, e riscoprendo la libertà che le dà stare al posto di guida.
…il resto dell’articolo lo trovate cliccando su questo link
Il colpo di fulmine per questo lavoro scoppiò nel lontano 1984. Due anni dopo, nell’86, presi le patenti e l’anno successivo iniziai a lavorare per la ditta di autotrasporto della famiglia del mio ragazzo.
Perché hai scelto «Iron duck» come soprannome?
All’epoca avevo un braccialetto regalatomi da mio papà con la scritta «Anatra metallica» sulla chiusura. Mi è sempre piaciuto, oltre a essere un ricordo prezioso, così lo scelsi come nominativo.
Con quel nome hai aperto anche un canale Youtube. Come è nata l’idea di fare dei video?
È in iniziato tutto con ChiodoVideo, il capostipite dei camionisti YouTuber italiani. Guardavo i suoi video e mi piacevano molto, così nel 2009, su suo suggerimento, mi sono lanciata anche io. Iniziai con dei video fotografici, tra cui Dreamer on the road, perché in fondo è quello che sono, una sognatrice a cui piace trasmettere emozioni e la propria passione.
Come scegli i temi di cui parlare?
La scelta è del tutto casuale, quando faccio un viaggio parlo di quello che capita. Per le musiche, invece, cerco sempre di scegliere qualcosa che mi trasmetta delle emozioni.
Cosa vedi cambiato dagli anni ’80 ad oggi?
Il modo di fare trasporto è cambiato radicalmente negli anni. Per esempio, una volta si dormiva qualche ora quando si era stanchi e si viaggiava quando si era riposati. Oggi esistono più limiti, ma si viaggia sempre con la fretta, un occhio alla strada e uno al tachigrafo per controllare le ore di guida. Non c’è più tempo per la solidarietà o per parlare al baracchino. Di conseguenza sono cambiati molto anche i rapporti umani.
Meglio il passato o il presente?
A volte mi ritrovo a pensare di essere un po’ nostalgica, il mondo deve andare avanti lo so, però il progresso troppo spesso aggiunge tecnologia e toglie umanità.
Come descriveresti la tua vita oggi?
Particolare. Questo mestiere deve piacere, per una donna forse ancora di più. Ci vuole spirito di adattamento che non mi è mai mancato. Non mi è mai servito restare a casa molto tempo, volevo stare sul mio camion. Oggi non faccio più viaggi lunghi, ma va bene così, ho già fatto le mie esperienze.
Il tuo ricordo più bello in tanti anni di questo lavoro?
Anni fa presi parte a un’intervista “7 donne su 7 camion”. Dopo la pubblicazione un giorno mi suonò il telefono. Era la Renault Trucks. Inizialmente pensai addirittura che si trattasse di uno scherzo. Invece avevano apprezzato la mia intervista e mi invitarono nella loro sede in Francia a visitare lo stabilimento. Per un’appassionata come me è stato un sogno che si è realizzato.
Ti aspetti che in futuro ci saranno più donne?
I numeri dicono che le donne al volante di un camion stanno aumentando ma non mi capita spesso di vedere volti nuovi. Ancora oggi ci sono tante difficoltà e porte sbattute in faccia, ci sono stereotipi che vanno superati, anche per avvicinare i giovani, non solo le donne. Dovremmo forse prendere spunto dall’estero e fare in modo che si arrivi all’età per guidare già con un po’ di esperienza pregressa, per esempio grazie ad un tirocinio.
Il tuo motto?
La passione aiuta a vivere meglio, e fare di una passione il proprio lavoro aiuta a tenersi giovane.
Pistaaa! arriva un convoglio di camion a portare sorrisi! proprio così, sabato 1 aprile si terrà il “NONNO TRUCK” ovvero una giornata organizzata dai Truck River dove i mezzi partecipanti marceranno alla volta dei centri anziani del Comune di Tezze sul Brenta (Vicenza).
Lui è il grande Pasquale! Per chi non lo conoscesse è uno degli autori (insieme a Beppe) di libri “bellissimi”, tra cui “Macchina e rimorchio” e “Profuno di nafta”.
Se non li avete mai letti ve li consiglio, soprattutto per le bellissime foto d’epoca!
Ieri ci siamo rivisti a Stroppiana al Museo Marazzato, e ho avuto il piacere di donargli il nostro libro “Soprattutto camioniste”.
Nuovo appuntamento al Museo Marazzato, sabato 18 marzo 2023 a Stroppiana, per tutti gli appassionati di mezzi storici, che non sono per forza solo uomini! Una visita che merita veramente!
Oggi è il compleanno di Elda, una delle prime “ragazze” del nostro gruppo, sempre solare e appassionata del suo lavoro. E per farle gli auguri pubblichiamo l’articolo che le ha dedicato “Uomini e Trasporti” in occasione dell’8 marzo, a firma di Elisa Bianchi.
25 anni a bordo del suo camion e ancora molti altri davanti a sé, perché come dice lei «per farmi scendere dovete tagliarmi le gambe». Elda Guarise, 60 anni il prossimo 13 marzo, è una delle prime dieci Ambassador di Volvo Trucks. Un marchio che per lei è come “la squadra del cuore”. Il campionato è quello dell’autotrasporto, diventato – per sfida – la sua più grande passione
Cosa si prova a essere un punto di riferimento per tante giovani autiste? «Proprio l’altro giorno mi hanno soprannominata “una storica del settore”, ho risposto che è meglio dire che sono vecchia. È questa la verità». Ride Elda, una risata contagiosa che si concede a fine turno quando la raggiungiamo per telefono. Ha terminato le ore ed è nel posteggio di un ristorante, un posto di fiducia, dove aspetta «di mettere le gambe sotto al tavolo». Elda Guarise, 60 anni il prossimo 13 marzo, è una veterana, in cabina da 25 anni. «E non intendo smettere di lavorare – precisa – devono tagliarmi le gambe per farmi scendere dal camion». Ed è proprio da quella cabina che ci racconta la sua storia, con la sua grinta invidiabile e il suo inconfondibile accento padovano.
I motori sono sempre stati la sua passione, fin da quando da appena poco più che bambina iniziò a lavorare come carrellista in un magazzino di frutta e verdura vicino casa, a Rossano Veneto. «Erano altri tempi, oggi sarebbe impensabile per una ragazzina di appena quattordici anni, ma allora la mia famiglia ne aveva bisogno e così durante le vacanze mi davo da fare. Ricordo questi camion enormi che arrivavano dall’estero per portare via la frutta, li ho sempre guardati con grande fascino».
Poi Elda cresce e arriva anche l’amore per Giovanni che presto diventa suo compagno di vita e di lavoro. «Quando ci siamo sposati mio marito ha deciso di riprendere in mano l’attività di suo padre che aveva un’azienda di autotrasporto e così abbiamo comprato casa e camion. Dopo la nascita dei nostri bambini mi propose di iniziare a dargli una mano sul lavoro, ma a dire il vero non si aspettava che avrei colto al volo la sfida. Mi sono iscritta subito a scuola guida, registravo tutte le lezioni e le riascoltavo con le cuffiette il giorno dopo, mentre badavo alla casa e ai figli. Una volta ottenute le patenti sono salita in cabina e non sono più scesa». Elda non dimentica di sottolineare una volta di più che non ha proprio intenzione di smettere. «Cosa devo dire, dovrei trovare qualcuno che mi sostituisca ma non è facile in questo momento trovare altri autisti. Abbiamo cinque camion da mandare avanti». Ogni tentativo di farle cambiare idea è stato vano: «Mia figlia più grande ha provato a convincermi a farmi fare almeno viaggi più brevi, ma non c’è riuscita nemmeno lei». Elda, infatti, ama i viaggi lunghi e la vita in cabina. «Rientro a casa un paio di volte alla settimana, ma per lo più dormo fuori. Ho un Volvo centinato con cui attraverso il Nord Italia e la Svizzera». Quando Elda parla del suo camion si entusiasma. Non a caso è una delle prime dieci Ambassador della casa svedese. «Sono orgogliosa di far parte di questa grande famiglia. È un po’ come tifare per la squadra del cuore». Il suo entusiasmo è contagioso e si capisce quanto ami la sua vita da camionista, nonostante non neghi le difficoltà del caso. «O hai la passione o questo lavoro non ce la fai a farlo, richiede sacrificio. Io è dalle 3 di questa mattina che sono in piedi. Sì sono stanca, però in fondo sto bene, mi sono abituata. Questa è la mia vita e mi piace».
Non può essere però tutto oro quello che luccica, così le chiediamo se ci sia anche qualche aspetto negativo, qualcosa che le piacerebbe cambiasse. «Mancano i servizi per gli autisti e soprattutto per le donne e, quando ci sono, spesso sono sporchi. Poi per carità, bisogna ammettere che a volte la colpa è anche nostra e parlo al plurale perché voglio mettere dentro tutti, senza puntare il dito conto nessuno. Le persone maleducate purtroppo ci sono, sporcano, lasciano l’immondizia per terra. Il risultato è che ne paghiamo tutti le conseguenze».
Poi ci racconta di un brutto incidente avvenuto qualche anno fa. «Di quegli istanti ricordo tutto: il panico nella frazione di un secondo durante la quale ho dovuto decidere come comportarmi, se spostarmi sulla corsia accanto rischiando di prendere qualcuno o se andare a sbattere io, il rumore delle lamiere che si accartocciano, lo shock successivo. Quando sono scesa il camion era distrutto, io per fortuna non mi ero fatta un graffio». Però la ferita era rimasta dentro. «La notte rivivevo quei momenti, non dormivo, ero terrorizzata all’idea di tornare in cabina. Se non fosse stato per mio marito avrei smesso. È stato lui che ancora una volta, come sempre, mi ha incoraggiata a riprendere in mano il volante. Il giorno in cui sono tornata a guidare, appena una settimana dopo l’incidente, ho pianto». Se Giovanni è il suo primo sostenitore, lo stesso vale per i tre figli, Marta, Ermes e Mattia, anche loro oggi impegnati nell’azienda di famiglia, la Jolli Trans di Cittadella. «Devo tutto a loro e soprattutto a mia figlia, che è stata per i suoi fratelli più piccoli una seconda mamma quando io non c’ero». Assenza che però non è mai stata davvero tale. «Gli lasciavo la casa piena di post-it con indicazioni e istruzioni su cosa fare e come farlo. Diciamo che li controllavo a distanza. Lo faccio ancora oggi, ma uso i messaggi». Ride, e poi aggiunge «Una mamma non si ferma mai: quando torno a casa sistemo, pulisco, cucino, organizzo per quando sarò via. E adesso sono anche nonna di quattro nipoti che cerco di godermi nel weekend. In fondo non conta la quantità di tempo che si trascorre insieme, ma la qualità. Lo dimostra quanto siamo uniti nella nostra famiglia, anche sul lavoro». E chissà se un giorno i nipotini seguiranno le orme dei nonni. «I bimbi sanno che lavoro facciamo, vedono il camion posteggiato in cortile e ci giocano». Come si dice, se son rose fioriranno.
C’è un’ultima curiosità che però ci vogliamo togliere. Elda – le chiediamo – ma ti hanno mai fatto pesare di essere una donna? «Ma sì, qualche battuta stupida è capitata e capita ancora. Anche l’altro giorno mi hanno detto che le donne non dovrebbero fare certi lavori. Ho risposto che sono punti di vista. Non ci faccio neanche più caso, tengo conto solo delle cose belle». Lo dice con il suo modo: leggero, ma mai superficiale. Sembra proprio un consiglio da mamma, o meglio, da “veterana”.
La salutiamo e la lasciamo godersi il suo riposo e la sua cena. Ci dice ancora una volta che lei sta bene, ha tutto nella sua cabina che da ormai venticinque anni è la sua seconda casa viaggiante «e quello che manca è nella borsa, come quella di Mary Poppins». E proprio come la tata più famosa del mondo, Elda non manca mai di strappare un sorriso a chiunque o un consiglio per le nuove, giovavi leve che in lei vedono un esempio.
«Una mamma non si ferma mai: quando torno a casa sistemo, pulisco, cucino, organizzo per quando sarò via. E adesso sono anche nonna di quattro nipoti che cerco di godermi nel weekend. In fondo non conta la quantità di tempo che si trascorre insieme, ma la qualità. Lo dimostra quanto siamo uniti nella nostra famiglia, anche sul lavoro»
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