Quando vado ai raduni mi piace sempre parlare con le colleghe, qualche volta mi ricordo anche di riprendere le nostre conversazioni, in questo piccolo video ci sono le storie di Chiara, di Maria Luisa e di Chiara (il nome è lo stesso ma sono due lady diverse!), la cosa che abbiamo in comune è la passione per i camion e per la guida, poi ognuna di noi ha fatto la sua strada sulle strade d’Italia e d’Europa.
C’è chi si è avvicinata al mestiere quasi per caso come Chiara C. che prese la patente per sostituire un autista, chi come Maria Luisa che l’ha fatta per poter guidare il Lancia che era di suo papà, e una cosa bella che Chiara F. mi ha raccontato è che lei è una “nipote d’arte”: anche sua nonna Lina Anna guidava il camion negli anni ’60. Un’altra pioniera del mestiere!
Ma ci sono anche altre storie da ascoltare nel video, buona visione!
Questa volta la nostra amica Elisa Bianchi di UOMINI E TRASPORTI ha intervistato Elena, una collega di Sassuolo, che dopo tanti anni in fabbrica ha deciso di dare una svolta alla sua vita e di salire su un camion!!
Elena Bortolotti, dalla fabbrica al camion: «In cabina ho ritrovato il sorriso»
Era il 2018 quando Elena Bortolotti trovava il coraggio di dare una svolta alla sua vita prendendo le patenti del camion, dando fondo ai pochi risparmi messi da parte con sacrificio. Oggi Elena ha raggiunto il suo obiettivo, è un’autista, ma la strada è stata in salita. Dalle aziende che le hanno sbattuto la porta in faccia dicendole «non assumiamo donne», alla gavetta durante il Covid con il fratello autista, senza il cui aiuto quel sogno non si sarebbe realizzato. Elena ci ha raccontato la sua storia e come è cambiata la sua vita
«Sono una mamma single di (quasi) 47 anni. Mia figlia ha vent’anni, la mantengo da sola da quando ne aveva sei, ma con tanti sacrifici credo di averla tirata su bene. Per più di 20 anni ho lavorato in fabbrica, ma quando mi sono ritrovata senza lavoro, nel 2014, ho dovuto arrangiarmi facendo un po’ di tutto: ho pulito i bagni, ho raccolto l’uva, ho servito ai tavoli in un ristorante. Facevo anche più lavori per volta per portare a casa i soldi. Nel 2018, con i pochi risparmi rimasti e mia figlia ormai adolescente, ho preso la grande decisione di dare una svolta alla mia e alla sua vita: mi sono iscritta a scuola guida, ho preso le patenti e sono salita in cabina. Oggi sono un’autista e non potrei essere più felice».
Si presenta così Elena Bortolotti, classe 1977 e originaria di Sassuolo, in provincia di Modena. Quando le chiediamo di raccontarci la sua storia Elena ci spiazza: è un fiume in piena, ha voglia di raccontarsi, di raccontare la sua storia di riscatto. Partiamo allora proprio da qui, dal momento in cui ha deciso di dare una svolta alla sua vita.
Come è andata esattamente e perché questa scelta?
La mia è sempre stata una famiglia di autotrasportatori: prima mio nonno Bruno, poi mio padre Erminio e infine mio fratello William hanno scelto questa professione. Da bambina mi è capitato di fare qualche viaggio con mio papà e così è nata anche in me la passione. Avrei voluto farlo anche io, ma quello che all’epoca era mio marito non era d’accordo, così ho fatto tutt’altro. Per vent’anni ho lavorato in una fabbrica di ceramica, ma nel 2014 il datore di lavoro ha dichiarato fallimento e ci ha lasciati tutti senza lavoro e con diversi mesi di stipendio arretrati, così ho dovuto cavarmela. Ho fatto qualunque lavoro mi si proponesse. È stato un periodo decisamente faticoso, sia mentalmente che fisicamente. Nel 2018 ho deciso di investire i pochi soldi che avevo da parte nelle patenti, un po’ per passione, un po’ per necessità.
La ricerca del primo lavoro da autotrasportatrice come è andata?
Non è stato facile trovare lavoro, infatti per un po’ di tempo ho dovuto continuare a lavorare saltuariamente in fabbrica. Mi sono sentita dire chiaramente da alcune aziende «non prendiamo donne».
E come ti sei sentita?
Non era una novità, in molti settori è così. Anche nella fabbrica dove ho lavorato per tanti anni, per esempio, erano titubanti ad assumere donne giovani. In più io non avevo esperienza nell’autotrasporto, ma fortunatamente ho potuto contare su mio fratello. Ho iniziato a fare un po’ di gavetta con lui sul suo bilico. In qualche modo dovevo pur iniziare, no? Facevamo viaggi in multipresenza ed è stata un’esperienza bellissima, anche se il periodo non è era dei migliori perché era quello del Covid. Lui è stato un gran maestro, anche se molto severo. Non potevo neanche riposarmi quando non era il mio turno di guidare perché voleva che rimanessi attenta per imparare il più possibile, però mi ha aiutata tanto. Se ci penso ancora mi emoziono, il supporto di un fratello non ha prezzo.
Poi alla fine però il lavoro è arrivato…
Sì, ma sempre grazie al suo aiuto. Quando mi sono sentita pronta a partire da sola sono entrata in società con lui, che è socio del Consorzio S. Francesco di Sassuolo. Avrei voluto continuare con il bilico, ma avevano bisogno di una motrice sul locale, così abbiamo optato per una motrice lunga, 7.20 metri di cassone, centinata, 3 assi, sponda idraulica e portata di 160 ql. Un buon compromesso, no?
Cosa trasporti e che tratte fai oggi?
Resto quasi sempre in Emilia-Romagna, la zona di Sassuolo, Modena e Fiorano. Trasporto prevalentemente macchinari, plastica, piastrelle e pellet per i privati.
Cosa ti piace di più di questo lavoro?
Dopo tanti anni in fabbrica, in mezzo alla gente, oggi non mi dispiace starmene un po’ per i fatti miei in cabina. Però devo dire che questo lavoro mi ha insegnato a comunicare. Per assurdo, quando lavoravo a contatto con altre persone non parlavo mai, non sorridevo. Ho capito che era perché non amavo il mio lavoro. Oggi parlo con tutti, sia con gli altri autisti che con le persone che incontro al carico o allo scarico. Sono cambiata. Sono sempre stata molto chiusa, ma grazie a questo lavoro oggi mi sento una persona diversa, più spigliata.
I disegni che Elena Bortolotti fa durante i tempi di attesa
C’è qualcosa, invece, che cambieresti, che non ti piace?
Un tema critico è sicuramente il tempo che si perde in attesa al carico e allo scarico. Agli inizi mi mandava fuori di testa, mi arrabbiavo per tutta quella perdita di tempo, poi ho imparato ad aver pazienza.
Il segreto?
Passo il tempo a disegnare, mi aiuta a non annoiarmi. È una mia passione, insieme a quella per i tatuaggi, che tra l’altro è nata proprio quando ero bambina durante un viaggio in camion con mio padre. Avevo 5 o forse 6 anni al massimo ed ero con lui all’Isola D’Elba, una zona che serviva spesso. Al porto vidi dei marinai pieni di tatuaggi e mi innamorai di quei disegni così strani. Così gli dissi che ne avrei fatto uno anche io da grande. A 19 anni ho mantenuto la mia promessa.
In definitiva, quindi, meglio la fabbrica o il camion?
Decisamente il camion! Ho aspettato troppo tempo a prendere questa decisione, mi sono fatta influenzare dal giudizio altrui, ma per fortuna non è mai troppo tardi.
Tua figlia come ha preso la tua decisione?
Quando ho preso le patenti lei era già grandicella, per cui è stato tutto più facile. Oggi Giulia, mia figlia, è contenta della mia decisione, perché finalmente mi vede felice, anche se ha già detto che non vuole seguire le mie orme. Il prossimo anno comincerà l’Università e da grande le piacerebbe fare la logopedista. In realtà in famiglia oggi sono tutti felici per me, compresi i miei nipotini, Elide, Emma, Elia e Achille, i figli di mio fratello e di mia sorella. La mia nipotina più grande, che ha 12 anni, mi ha detto che è molto orgogliosa di me.
Ti è rimasto qualche sogno nel cassetto?
Prima o poi riuscirò a dare l’esame per Gestore dell’autotrasporto. Ho già fatto il corso, ma sono stata bocciata. Non è facile per me, ho un problema di dislessia e nella vita ho sempre lavorato, quindi faccio un po’ fatica, ma prima o poi ce la farò, perché mi piacerebbe mettermi in proprio. E poi, beh, se proprio devo dirla tutta, mi piacerebbe trovare qualcuno disposto a fare un viaggio in camper con me. Ad una condizione però: non voglio guidare sempre e solo io, ogni tanto mi deve dare il cambio!
Maria Luisa l’ho conosciuta frequentando i raduni dei mezzi storici e la LAM (Lega Antichi Motori), una collega davvero speciale!
Alla manifestazione “La strada delle tavole” ha incontrato la nostra Raffy che le ha chiesto se poteva raccontarci la sua bella storia da pubblicare qui nel blog, detto, fatto, eccola qui!
“Ciao, sono Maria Luisa figlia di Santino Massardi e Bonardi Enrica.
Essendo donna mio papà non ha voluto che facessi l’autista “le pipine non guidano!” (“pipina “è una bambina detto in dialetto bresciano).
Con questa sua decisione mi ha assicurato una “vita più facile” quando a 14 anni ho scelto quale poteva essere il “mio lavoro da grande” ma non mi ha tolto la curiosità di guidare quel “camion” con il quale mi portava verso il luogo di consegna della merce che trasportava e con orgoglio mi portava negli uffici, dove sbrigava la burocrazia del carico, e mi presentava come “la sua pipina”!
Ho provato, da grande, da tecnico di laboratorio a convincerlo che la vita non finiva andando in pensione, con il camion si poteva fare festa nei raduni di camion storici, si poteva ancora parlare con “gente come lui”, era diverso ma sul camion si poteva ancora stare! Non l’ho convinto! Se ne è andato nel 2008 e a me è toccato chiudere la sua posizione di Artigiano Autotrasportatore. Avevo tre autotreni completi in cortile di casa sua, due motrici ben custodite in garage al riparo dalle intemperie. Una motrice, il lancia , mio coetaneo.
Due li ho storicizzati e uno venduto con i tre rimorchi. Nel 2017 ho conseguito la patente grazie all’entusiasmo coltivato nella Lega Antichi Motori, fatta nascere nel 2015 con il Presidente Dario Bosio e la sua moglie Daniela, e l’appoggio del mio maestro e marito Lucio.
Ora sono contenta, messa ogni volta alla prova, ma “la pipina guida”! ho sempre accanto lo spirito testardo di Santino.
Maria Luisa, per qualcuno sono la Vice, per altri la Signora del Lancia!
Conosco Monica, mi ha dato la vostra pubblicazione e il vostro simbolo, l’ho messo sul Bedford, lo metterò anche sul Lancia.
Il Lancia a Udine sabato 29 giugno 2024 pronto per La Strada delle Tavole!
Grazie Maria Luisa, buona strada sempre , a presto ! ! !
Una nuova intervista di Elisa Bianchi, sempre dal blog di Uomini e trasporti “Anche io volevo il camion”. Ringrazio Elisa di dare voce a tante nostre colleghe e di farci conoscere le loro storie, è un modo per confrontare le nostre esperienze di vita sul camion, sapere che non siamo poi cosi poche a girare per le strade d’Italia e non solo!
Questa volta ci racconta la storia di Martina, una giovane collega con una grande passione: guidare i camion!
Martina la conosco di persona e la considero un’amica, una giovane amica a cui auguro tanta buona strada per il suo futuro on the road!
Martina Caramellino: «Ho 25 anni e voglio guidare il camion. Se non adesso, quando?»
Non è una “figlia d’arte”, ha studiato grafica e comunicazione e nessuno, almeno all’inizio, appoggiava la sua scelta di guidare un camion. Eppure, la sua grinta ha avuto la meglio e oggi Martina Caramellino, venticinquenne originaria di Trino, è un’autista
«Sono riuscita a trovare lavoro a forza di provare e non mollare. Non è stato facile, la maggior parte delle persone con cui ho fatto un colloquio non si fidavano». Martina Caramellino ha 25 anni, è originaria di Trino, in provincia di Vercelli, e dallo scorso maggio ha realizzato il desiderio di guidare un camion. Desiderio nato in modo naturale, istintivo, senza che Martina avesse mai davvero avuto esperienza con il mondo dell’autotrasporto. Non un familiare autista, solo qualche conoscenza, ma nessuno ha mai davvero creduto che Martina facesse sul serio. Oggi guida un camion frigo e tutti si sono dovuti ricredere. Non è stato facile però, e lei non lo nasconde. Anzi, è la prima cosa che ci racconta. «Sono alta poco più di un metro e cinquanta, quando arrivavo ai colloqui mi chiedevano se arrivassi almeno ai pedali, oppure se fossi italiana. Una volta addirittura mi hanno chiesto se fossi lì per portare il curriculum di mio marito. Mi sono scontrata con tanta diffidenza prima di trovare un’azienda che volesse darmi fiducia». Alla domanda su quanti cv abbia dovuto mandare, la si sente sorridere timida dall’altro capo del telefono. «Tanti» è la risposta.
Alla fine, però, il lavoro è arrivato.
Mi ha chiamata una ditta della zona per guidare il camion frigo. Il contratto poi è scaduto e ho iniziato a lavorare per altre aziende, prima sempre con il frigo, poi da inizio gennaio con la nuova azienda ho cambiato anche tipo di lavoro. Oggi, infatti, guido una cisterna per il trasporto di liquidi alimentari.
Facciamo un passo indietro. Perché l’idea di guidare un camion?
Uno dei ricordi più belli che ho della mia infanzia è di quando andavo in giro con mio nonno. Era un fabbro e aveva un furgoncino Daily. Per me era come se fosse un camion, lo vedevo enorme. Credo sia nata così la mia passione per la guida.
Una passione che è diventata anche uno sport: il rally.
Nella zona in cui abito si tiene tutti gli anni una corsa di rally. Mi piaceva guardare quelle macchine colorate che andavano veloci. Volevo provare anche io, così ho preso il brevetto. Ho corso per un paio d’anni e gara dopo gara sono arrivate anche le soddisfazioni. Insieme al ragazzo con cui correvo ci siamo classificati primi di classe al rally di Alba.
Anche nel rally ci si scontra in qualche modo con degli stereotipi di genere, come ti è successo con l’autotrasporto?
È sicuramente un ambiente diverso, ma in cui nessuno mi ha mai fatto pesare il fatto di essere una donna. Penso che comunque dipenda sempre dell’intelligenza e dalla mentalità delle singole persone.
Le persone intorno a te come hanno preso la tua decisione?
Mia mamma all’inizio non voleva, oggi invece capita spesso che mi difenda quando qualcuno giudica la mia scelta. Molte persone non capiscono, mi chiedono come faccia «a portare quel coso». Rispondo che basta schiacciare l’acceleratore, mica lo devo trainare.
Poi Martina si lascia andare a una confidenza…
Non hai idea di quanti pianti mi sono fatta da sola per via di alcuni episodi spiacevoli. Ricordo per esempio che durante il mio affiancamento iniziale stavo guidando e avevo il finestrino abbassato. Un ragazzo poco più grande di me mi ha urlato «voi donne state rovinando il mondo». Quando hai tante buone intenzioni e poi senti dire certe cose ferisce, soprattutto se quelle parole arrivano magari da dei padri di famiglia. Voglio dire, se distruggessero i sogni ai loro figli come si sentirebbero?
Dal blog “Anche io volevo il camion” dal sito web di Uomini e trasporti, questa volta Elisa Bianchi ha raccolto la bella storia della nostra collega e amica Marcela!
Marcela Tauscher: «Impariamo a perdere qualche ora in cambio di più umanità. Solo così possiamo ritrovare il bello di questo mestiere»
Marcela Tauscher è in cabina dal 2014, ma per trovare il coraggio di cambiare vita le ci sono voluti dieci anni (le patenti le conservava nel cassetto dal 2004) e un trasferimento dalla Romania in Italia. Oggi sostiene le giovani autiste offrendo loro consigli e informazioni utili perché, sostiene, «non basta avvicinare le donne al settore, ma l’obiettivo è fare in modo che queste ragazze rimangano»
«Non amo i cambiamenti, ma quando li faccio sono radicali». E in effetti, di cambiamenti nella sua vita Marcela Tauscher ne ha fatti pochi ma importanti. Nel 2006 arriva in Italia dalla Romania dove è nata e cresciuta. La sua famiglia, di origine tedesca, si era spostata nell’Europa dell’Est per fuggire dalla Guerra. Nei primi anni Duemila una zia di Marcela decide di venire in Italia e lei, qualche tempo dopo, la segue. Arriva a Mantova che non parla una sola parola di italiano. Se la sentiste parlare oggi, stentereste quasi a credere che non sia madrelingua. «È merito dei molti amici che ho conosciuto in Italia e a cui devo moltissimo» ci racconta. È proprio grazie agli amici che Marcela, dopo una prima e brevissima esperienza come badante per un’anziana signora, trova lavoro in una fabbrica di confezionamento di calze e intimo. Ci resta per sette anni, poi, ancora una volta, il supporto e la motivazione degli amici la spingono a prendere la decisione che prima di allora non aveva mai avuto il coraggio di prendere: cambiare di nuovo vita e salire in cabina. È il 2014 quando Marcela trova il primo lavoro come autista e da allora non è mai più scesa dal camion. «Ho il gasolio nel sangue – racconta ridendo – avevo bisogno solo della giusta dose di coraggio». In effetti, Marcela conserva le patenti nel cassetto già da dieci anni. «Le presi in Romania nel 2004 – ci spiega – ma poi sono rimaste lì, perché mi è sempre mancato il supporto di qualcuno che mi spronasse a provarci davvero».
Quando la raggiungiamo per telefono Marcela è in viaggio. Si trova a Napoli, direzione Rotterdam, ma è partita il giorno prima da Genova. Il programma della settimana è fitto: arrivo programmato nei Paesi Bassi per il venerdì sera, scarico il lunedì mattina della settimana successiva e poi rientro. Le settimane di Marcela scorrono in cabina, il tempo per rientrare a casa è pochissimo, ma non le pesa affatto. «Con il mio precedente lavoro – ci spiega – rientravo a casa tutte le sere, ma avevo sempre qualcosa da fare. Oggi invece ho più tempo a disposizione per me stessa perché quando ho un riposo lungo in camion posso davvero rilassarmi».
Il precedente lavoro di cui Marcela ci parla era anche il primo come autista. Le chiediamo quindi se per lei sia stato facile entrare nel mondo dell’autotrasporto. «Il primo lavoro è arrivato grazie alle conoscenze di un caro amico. Ho iniziato con il furgone, poi la motrice e la biga. Trasportavo colli di intimo negli outlet, ma nel 2020 con il Covid il lavoro è inevitabilmente calato e ho dovuto trovare un’alternativa. Così sono entrata in Autamarocchi, per la quale trasporto container».
Oggi Marcela ha (quasi) 42 anni e il “supporto psicologico”, come lo definisce lei, che le è mancato agli inizi della sua carriera come autista cerca di offrirlo alle giovani ragazze che, come lei dieci anni fa, sono alle prime armi e hanno bisogno di un po’ di aiuto. «Ultimamente si vedono tante nuove ragazze giovani, soprattutto straniere. Così ho creato insieme ad altre colleghe un gruppo Whatsapp per noi “containeiriste”, per aiutarci a vicenda. Ci scambiamo qualche informazione utile, qualche consiglio, così le nuove leve sanno che possono contare sul supporto di noi più anziane, perché non bisogna dimenticare che non basta avvicinare le donne al settore, ma l’obiettivo è fare in modo che queste ragazze rimangano. Il mio contributo è semplicemente quello di aiutarle a vedere il bello di questo mestiere».
E quale è per te il bello di questo mestiere?
«La cosa che mi piace di più è la possibilità di conoscere sempre persone nuove, di creare nuove amicizie. Trovo molto interessante l’aspetto più psicologico di questo mestiere, se così lo possiamo definire, anche se oggi è sempre più difficile trovare persone che abbiano ancora voglia di ridere e scherzare».
A cosa è dovuta questa mancanza di entusiasmo, secondo te?
«Sento molti colleghi lamentarsi, molti sono stanchi, ma ognuno ha le proprie ragioni e non trovo utile giudicare le altre persone perché ognuno fa percorsi di vita e professionale differenti. Io faccio questo lavoro con passione e sono felice così».
Però alcune difficoltà sono oggettive.
«Sì, ma il modo in cui si affrontano i problemi dipende dal carattere di ciascuno. La mia filosofia di vita è di trovare sempre un modo per adattarmi, altrimenti si rischia di passare la vita a stare male. Per esempio, quando sono arrivata in Italia mi sono adattata alla cultura italiana e oggi infatti sono diciotto anni che mi sono qui e mi trovo benissimo».
Ma esiste un modo per trasmettere di nuovo la passione per questo mestiere?
«Ci vorrebbero più esempi, per esempio ex autisti, oggi più anziani, che possano far crescere i giovani. Insomma, qualcuno che possa trasmettere questa passione. A me, per esempio, piace molto ascoltare i racconti dei veterani, del grande Zingaro, Vittorio Spinelli, per dirne uno».
Di veterane ce ne sono diverse anche nel Lady truck Driver Team “Buona strada”, di cui fai parte. Come sei entrata in contatto con questa realtà?
«Ho conosciuto le ragazze del gruppo molto prima di salire in cabina, quando ancora lavoravo in fabbrica. Allora già indagavo su come fosse la vita da camionista donna, così seguivo quello che facevano, i loro viaggi. Poi le ho incontrate di persona e da quel momento per me sono diventate di famiglia».
Il resto dell’intervista lo potete leggere sulla pagina di Uomini e trasporti.
Questa volta girando e rigirando nel web ho ritrovato questa video intervista fatta alla nostra portavoce, la Gisy!
E’ datata 25 gennaio 2008! Sono passati ormai 16 anni da allora e tante cose sono cambiate nelle nostre vite, i camion, i tragitti, ecc, però è bello riascoltare le sue parole, risentire la sua storia che poi è quella delle donne camioniste, siamo in poche oggi come allora, e anche se per fortuna ci sono tante nuove colleghe, la percentuale rispetto agli uomini è ancora bassa.
Quando il giornalista le chiede cosa significa avere il camion nel cuore, lei risponde cosi:
“Avere passione per i camion significa essere pazienti, tolleranti, cocciute, perseveranti, un sacco di qualità che se non le hai, se non hai quest’alchimia non resisti, è un mestiere molto pesante, molto impegnativo, imprevedibile, devi avere quel pizzico di dote in più che ti permette di cavartela in qualsiasi evento ti possa succedere.”
Sono sempre alla ricerca di qualsiasi cosa che parli di noi, cosi ho trovato questo articolo non più recente – è del 2019 – è la storia della collega Paola, che per trovare lavoro al volante di un camion è dovuta andare all’estero… forse adesso qualcosa è cambiato, ma ci sono ancora donne che purtroppo vengono guardate con diffidenza quando si propongono alle aziende come autiste…
Paola Cestari, autotrasportatrice trentina impiegata in Austria, sui pregiudizi quotidiani, la fiducia dei colleghi maschi da conquistare e il giro di vite al Brennero.
“È come un richiamo, a un certo punto devo accendere il motore e andare”. Lei si chiama Paola Cestari, 37 anni, è di Trento, e dal 2016 fa la camionista. Dopo aver cominciato a lavorare nel settore dell’autotrasporto in Italia la “zingara”, soprannominata così dai suoi cari, è approdata in Germania, “avevo il pallino dell’estero”; ha imparato il tedesco e oggi lavora per una ditta austriaca girando a bordo del suo “Gangal” (“diavolo” in dialetto tirolese, il nome del suo autoarticolato), un “bestione” di 16 metri e mezzo che tre settimane fa ha messo in bella mostra in occasione del suo primo raduno di camionisti. Paola viaggia soprattutto di notte, toccando città come Brema, Modena, Milano, Venezia, e nella sua ancora breve carriera, ha trasportato di tutto, dal legno al marmo. Una vita dura, fatta di orari estenuanti, chilometri da macinare ogni giorno, merci da consegnare in orario e, sgradito “bonus” riservato alla compagine femminile, stereotipi da abbattere a spallate.
Insomma, un mestiere che forse più di altri richiede una massiccia dose di passione. “Da quando ho memoria volevo fare l’autotrasportatrice, è un sogno che avevo fin da bambina, mia madre sperava che cambiassi idea ma non è successo”, racconta Paola. La strada per tagliare l’agognato traguardo non ha concesso scorciatoie. “All’inizio mi è mancato il coraggio, non avevo alle spalle una famiglia proprietaria di un’azienda di trasporti, mio padre lavorava all’Enel, mia madre faceva la casalinga, e io sono, come dire, la ‘prima del mio nome’, ad aver intrapreso questa avventura”, dice con misurato orgoglio, spalancando un sorriso.
Orgoglio e pregiudizio
A 16 anni Paola si inventa benzinaia, poi arriva la parentesi del panificio a Trento, “ma mi mancava l’aria a stare chiusa in un negozio”; nel 2013 Paola prende le patenti C e CE, valide per la guida di camion e veicoli adibiti al trasporto merci, e inizia “dal basso”, con i furgoni, girando in lungo e in largo il Trentino-Alto Adige. “Il mio ex marito faceva l’autista ma non ha mai voluto che diventassi camionista”, confessa Paola, “in più da parte dei datori di lavoro all’inizio la diffidenza era tanta, a Trento per esempio una ditta mi ha liquidato dicendo che non avevo abbastanza esperienza, ‘ma se fossi stata un uomo lo avreste preso senza troppe storie, ho obiettato, purtroppo l’attività dell’autotrasporto viene ancora generalmente percepita come non adatta alle donne”. Le differenze geografiche in questo senso esistono, sottolinea la camionista, “ho notato che in Austria e Germania c’è profondo rispetto verso le donne che fanno questo mestiere, in Italia invece ti guardano ancora con un certo sospetto”.
Le torna in mente un episodio: “Una volta mi trovavo in Italia, vicino a Venezia, ed ero in procinto di scaricare la merce. Un magazziniere, non sapendo che fossi italiana dato che ho la targa austriaca, dà di gomito al collega e indicandomi con il mento a punta gli dice: ‘Vediamo quanto ci mette a mettere il Tir sulla rampa’. Avevo il finestrino abbassato e il commento non mi era sfuggito. Faccio le mie due manovre, scendo dal mezzo e gli chiedo: ‘Ci ho messo il tempo giusto?’, lasciandolo di stucco”.
Sulla litania della retorica stucchevole di cui si nutre il pregiudizio si sovrappone però la melodia del controcanto, che risuona nell’ironia di un cartello recante un annuncio di lavoro (come testimonia la foto sottostante), che Paola ci mostra divertita, o nell’umanità dei colleghi incontrati in viaggio. “Un giorno un autista turco, vedendo il mio camion sulla rampa, mi ha scambiato per la segretaria del magazzino, e quando ha scoperto che guidavo io il mezzo si è inginocchiato davanti a me, tra riverenze e complimenti”, ricorda Paola. “Un’altra volta, in Germania, un autista sloveno mi ha salvato, erano le 3 di notte e mi ha aiutato trainando il mio camion che si era impantanato”.
Come ormai da tradizione, tutti gli anni organizziamo il pranzo del gruppo “Buona Strada Lady Truck Driver Team” presso il Ristorante “La 45” a Niviano di Rivergaro, a cui partecipano anche i nostri amici, vecchi e nuovi, per passare una bella giornata in compagnia! Non ho fatto un filmato ma ho scattato tante foto che ho messo in questo video, e come al solito mi sa che manca qualcuno 🙁 chiedo scusa…
Un grazie a tutti i partecipanti e un saluto e un abbraccio a chi non è potuto venire, buona strada sempre a tutti e a presto!
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
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