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Una storia americana

 

Questa è la storia di una collega americana che a 50 anni ha deciso di cambiare vita e di fare la camionista…ricorda un pò la storia di tante nostre nuove colleghe che hanno aspettato anni per realizzare il proprio sogno. Vi metto il link da un sito italiano:

https://www.curioctopus.it/read/44133/a-50-anni-cambia-vita:-lascia-il-lavoro-da-insegnante-per-diventare-una-camionista

e quello originale da Women in trucking:

https://www.womenintrucking.org/blog/how-the-leadhertrucking-program-impacted-my-start-in-trucking

 

Questo è il testo:

A 50 anni cambia vita: lascia il lavoro da insegnante per diventare una camionista

Matteo Cicarelli

07 Marzo 2023

Arrivati a una certa età gli individui sognano di cambiare la propria vita. Tutto quello che avevano sognato quando erano più piccoli vogliono trasformarlo in realtà. Magari avevano rinunciato a perseguire quella speranza a causa di ostacoli che non erano riusciti a superare oppure hanno dovuto abbandonare quella strada a causa di pressioni esterne. Dopo anni, però, con una consapevolezza diversa è molto probabile che decidano di ritornare sui propri passi e realizzare il sogno accantonato.

La donna protagonista della vicenda a 50 anni ha abbandonato il suo lavoro da insegnante, per inseguire il suo sogno di infanzia e diventare una camionista. Vediamo meglio com’è andata.

Vanita Johnson/womenintruckingfoundation

Vanita Johnson/womenintruckingfoundation

 

Vanita Johnson aveva appena compiuto 50 anni, quando ha deciso di cambiare totalmente vita. Amava il suo mestiere di insegnante, ma aveva bisogno di nuovi stimoli. Per questo motivo, non ha perso tempo e ha deciso di inseguire il suo sogno di bambina: iniziare a guidare i camion.

Aveva ottenuto da poco una posizione di insegnante di ruolo presso una scuola elementare. Fino a quel momento, aveva sempre lavorato come supplente. Quando sembrava che la sua carriera stesse volgendo per il meglio, ha deciso di trasformare la sua vita. Infatti, appena gli istituti sono stati costretti a iniziare a fare lezione online, ha sentito che quello non era più il lavoro che voleva svolgere.

Aveva iniziato quel mestiere per fare lezione faccia a faccia con gli alunni. È stata proprio quella la scintilla che l’ha spinta a prendere la patente per guidare i camion. Nonostante avesse timore di fare un passo del genere, perché abbandonare un posto fisso è una scelta difficile da compiere, non ci ha pensato due volte e si è gettata in questa nuova avventura.

 

Gerard Donnelly/Flickr - Not the actual photo

 

Mi sono dimessa e ho seguito un mio sogno d’infanzia. Quando stavo in macchina osservavo sempre fuori dal finestrino nella speranza che passasse qualche camion, ed ero certa che un giorno ne avrei guidato uno. Quel sogno è diventato realtà. È stato un enorme cambiamento. Ma ero così ansiosa di farlo, che quando ho fatto questa scelta mi sono sentita appagata. La parte che preferisco di questo lavoro è la liberta, mi sento come un uccello che vola libero nel cielo. Adesso conosco le strade e i panorami del mio Paese“.

Tu avresti avuto il suo stesso coraggio?

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“Voleva fare la camionista…

 

Da “Il Dolomiti” la storia Hanane Serkouh  di che da piccola volrva fare la camionista, ma poi…

Questo è il link dell’articolo che racconta la sua storia:

https://www.ildolomiti.it/societa/2023/difficile-accettare-gli-insulti-razzisti-dei-passeggeri-spesso-ho-paura-dal-marocco-allalto-adige-la-storia-dellautista-serkouh-da-piccola-volevo-fare-la-camionista

Inizia cosi:

“Difficile accettare gli insulti razzisti dei passeggeri. Spesso ho paura”. Dal Marocco all’Alto Adige, la storia dell’autista Serkouh: “Da piccola volevo fare la camionista”

Hanane Serkouh ha 45 anni e da 3 anni guida gli autobus della Sasa. Una passione, quella per i motori e i grandi mezzi, che le viene trasmessa dal papà camionista, quando ancora era piccola. L’intervista: “Amo ciò che faccio, ma ci vorrebbe una maggiore sensibilità da parte delle persone, perché certe parole fanno male”

Di Francesca Cristoforetti – 17 aprile 2023 – 20:12

BOLZANO. “Da piccola volevo fare la camionista, poi sono diventata autista di autobus“. E’ così che si presenta Hanane Serkouh, 45 anni appena compiuti, da 3 anni dipendente della Sasa, l’azienda altoatesina che si occupa del trasporto pubblico. Lei, di origine marocchina e arrivata in Alto Adige con la famiglia quando aveva 3 anni, ha sempre avuto una passione per i grandi mezzi. 

Amo il mio lavoro – spiega l’autista intervistata da il Dolomiti -. Tre anni fa circa, dopo aver preso la patente D per guidare gli autobus, dopo una formazione durata circa 4 mesi, ho subito trovato occupazione in questo settore. Così ho realizzato un mio grandissimo sogno, nonostante io sia diplomata come sarta“.

La parte più difficile di questo mestiere? “Gli insulti delle persone – aggiunge . E’ capitato in diverse occasioni di venire aggredita verbalmente, una cosa che mi ha molto spaventato. Una volta mi è capitato di aver dovuto frenare di colpo, per evitare di non investire una persona che si era buttata sulla strada. Alcuni passeggeri hanno cominciato a prendermi a male parole, con insulti razzisti, vedono che guido con lo hijab. Da quel momento ho iniziato ad avere paura, sensazione che ancora oggi mi porto dietro quando vado al lavoro”.

 

Un fenomeno, quello delle aggressioni verbali sui mezzi pubblici, che purtroppo non è nuovo. “Ci vorrebbe una maggiore sensibilità da parte delle persone, perché certe parole fanno male. Ti riaccompagno a casa e invece di salutare ed essere cordiale mi insulti. Vorrei più sicurezza perché mi sono sentita minacciata. Essere donna e straniera mi fa diventare un bersaglio ancora più facile”. Nonostante tutto però “non ho mai pensato di lasciare, perché questo mestiere mi dà ogni giorno anche tante soddisfazioni“.

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(…) La storia di Hanane Serkouh continua sul “Il Dolomiti”

Buona strada collega!

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La storia di Sabrina – bus driver!

 

La storia di Sabrina, figlia di un camionista che a 50 anni cambia vita e diventa autista di autobus sulle strade intorno al Lago di Como!

Il link dell’articolo apparso su “La Provincia” :

https://www.laprovinciadicomo.it/stories/lago-e-valli/la-nuova-vita-di-sabrina-io-autista-dei-bus-con-i-motori-nel-sangue_1468379_11/

Inizia cosi:

La nuova vita di Sabrina: «Io, autista dei bus con i motori nel sangue»

La storia A cinquant’anni ha deciso di cambiare tutto. Assunta dall’Asf, guida regolarmente lungo la Regina: «Passione coltivata sin da ragazzina, grazie a papà»

È la seconda autista donna di Asf che conduce pullman di linea sulla statale Regina e lungo le strade provinciali della vallate lariane. Sabrina Girometti, originaria di Pesaro, ha trovato a 50 anni il lavoro che sognava e non importa se la trafficata statale della sponda occidentale lariana rappresenta ogni giorni una prova del fuoco per chi è alla guida di mezzi pesanti.

Prima la ristorazione

«Ho sempre lavorato nell’ambito della ristorazione – racconta – . La mia famiglia aveva una struttura ricettiva a Pesaro e negli anni ’80 ha gestito anche un hotel all’Aprica, così ho sempre collaborato all’attività. Poi, a 50 anni, ho deciso di rimettermi in gioco».

La decisione di stabilirsi con la famiglia a Menaggio è scaturita dalla volontà di avvicinarsi al figlio maggiore, che da alcuni anni vive e lavora a Como; la scelta di fare l’autista di mezzi di linea, invece, è legata a una passione coltivata fin da ragazza. «Mio padre guidava i tir e ricordo che quei bestioni esercitavano un fascino particolare su di me – dice ancora Sabrina a questo proposito – Così feci subito la patente per guidare anche i mezzi pesanti, senza peraltro mai sfruttarla. Lasciando il mare, ho voluto stabilirmi in un luogo ancora vicino all’acqua e Menaggio mi piace molto. Ho appreso che Asf cercava autisti e non c’ho pensato due volte a presentare la mia candidatura».

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(…) il resto della storia lo potete leggere al link sopracitato.

Buona strada a Sabrina e a tutti voi!

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La storia di Francesca

 

Francesca è una delle colleghe che hanno partecipato al concorso per il Sabo Rosa 2023, è figlia d’arte e in questa intervista di Elisa Bianchi per “Uomini e Trasporti” ci racconta il suo percorso per riuscire a realizzare il suo sogno di diventare camionista! A volte la tenacia premia chi ce l’ha!

 

Il link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/francesca-morrone-dal-magazzino-al-camion-seguendo-le-orme-di-papa/

La prima parte dell’articolo:

 

Francesca Morrone, dal magazzino al camion seguendo le orme di papà

Figlia di un camionista capisce fin da piccolissima che vuole seguire le orme del padre, anche se lui non è d’accordo. Testarda e determinata Francesca Morrone non si perde d’animo, inizia la carriera in magazzino e dopo una gavetta che non le riserva sconti arriva a bordo del suo camion, un posto che è suo da quattro anni e che non ha intenzione di lasciar andare, anche se da mamma sa bene che «senza il supporto delle aziende, spesso l’unica soluzione per le donne che vogliono crearsi una famiglia è sempre quella più amara»

Il rumore metallico dei portelloni che si chiudono indica che il viaggio sta per iniziare. «Metto gli auricolari e sono pronta a partire». Dall’altra parte del telefono la voce è quella di una ragazza, è allegra. Si scusa per il ritardo, «Sai – ci dice – in questo lavoro gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo». Il camion si accende, Francesca ingrana la marcia e parte sicura sulla sua strada. Missione giornaliera: muoversi in direzione Brescia per ritirare del caffè. «Di solito trasporto cose diverse, principalmente bancomat, slot machine, apparecchi medicali e frigoriferi nel milanese e nel bresciano, ma oggi è diverso».

Francesca Morrone, 34 anni, originaria di Genova ma milanese d’adozione, lavora come autotrasportatrice da nove anni. In realtà non ha sempre fatto l’autista. Anzi, il suo percorso di studi è stato «lontano anni luce», come le piace dire, dalle sue inclinazioni. «Sono figlia di un camionista –racconta – e quando ero piccola io e papà abbiamo passato tanti pomeriggi insieme a bordo. Questo ha fatto in modo che si creasse una bella complicità tra noi e ho capito subito che avrei voluto seguire le sue orme. Lui però non era d’accordo. Aveva immaginato per me un futuro più tranquillo, un lavoro da ufficio. Quando ero adolescente papà ha lasciato il camion e ha aperto un’impresa edile, desiderava continuassi con l’attività. Così per amor suo mi sono iscritta a ragioneria. O almeno ci ho provato perché dopo poco ho lasciato, non faceva proprio per me. Il problema è che poi ho scelto un percorso di studi ancora più distante dalle mie passioni». Ci aspettiamo di tutto, data la premessa. «Odontoiatria» dice infine Francesca. La domanda sorge spontanea: perché? «Beh, ho dovuto trovare un compromesso con mio papà che desiderava per me un lavoro redditizio, sembrava una buona idea». Non lo era. Francesca al terzo anno lascia ancora una volta gli studi, questa volta, però, pronta a inseguire il suo di sogno.

L’occasione arriva letteralmente servita su un piatto: «Lavoravo al porto di Genova come cameriera part-time quando un giorno mi ritrovai a servire da mangiare a quello che poi sarebbe diventato mio marito. Oggi ex marito – precisa –. Era un autista e passava di lì per uno scarico. Ci siamo innamorati subito». Dopo qualche anno di amore «pendolare», Francesca si trasferisce da lui, in provincia di Milano. L’avventura, quella sognata fin da piccola quando puntava gli occhi sulla strada davanti a sé dal cruscotto del camion del papà, può finalmente iniziare. «Io volevo guidare, certo, ma non volevo sconti. Ho scelto di fare la gavetta, unico modo per imparare davvero il mestiere, e così ho iniziato come magazziniera per un corriere espresso. Per la prima volta, però, ho tastato con mano il fatto che si trattasse di un mondo ancora poco aperto alle donne. Non tanto il magazzino, quanto l’autotrasporto. Ho lottato per farmi spazio, ho seguito corsi, ho preso i patentini per il carroponte e per il muletto, ma dopo quattro anni di tentativi ho capito che lì non avrei avuto possibilità come autista». Francesca non si arrende, trova un’altra azienda che la assume come magazziniera e nel frattempo studia per prendere le patenti superiori con la speranza che le si aprano le porte della cabina. «In quel momento, però, l’azienda non aveva la possibilità di assumermi come autista, così mi sono licenziata, ma questa volta con la promessa che sarei tornata appena si fosse reso disponibile un posto».

Quello che succede nel frattempo è un’esperienza intensa, non in senso positivo, per un altro corriere espresso. «È stato un lavoro deleterio». Il giudizio è schietto, sincero. «Correvo come una pazza per portare a termine decine e decine di consegne al giorno. Impossibile rispettarle tutte, sia per le ore che per le zone da servire, ma a contare erano solo i numeri, nient’altro». Le chiediamo se ricorda un episodio in particolare in cui si sia trovata in difficoltà. Non deve pensarci molto, i ricordi affiorano. «Quella volta che dovevo consegnare due o tre bancali a un ufficio comunale. Fogli di carta bianchi. La situazione che ho trovato è stata questa: via stretta, zona centrale, ascensore guasto. La mancata consegna non era un’ipotesi percorribile perché avrei rischiato un richiamo, così ho iniziato a sbancalare in mezzo alla strada, visto che non c’era altro posto, e a portare da sola i bancali. Nessuno mi ha aiutata. La motrice bloccava la strada e hanno iniziato a prendermi a male parole, ma io stavo solo facendo il mio lavoro. Sai, in quella situazione mi sono sentita inadeguata. Ho capito che stava venendo meno la mia dignità di persona ed è stata l’unica volta in cui ho pensato di mollare tutto». Le chiediamo se in quella situazione ha pensato di tornare in magazzino. «Al di là del mio sogno di guidare, in quel periodo mi stavo separando da mio marito e facendo la magazziniera, detto sinceramente, non mi sarei potuta mantenere. Nel frattempo avevamo avuto una bambina, Gioia, e così ho dovuto prendere in mano la situazione, non mi potevo accontentare».

Razvan Liviu Scutaru, oggi capo di Francesca, insieme a lei davanti a mezzi della Best Autotrasporti.——————————————————————————-Il resto dell’articolo lo potete leggere a questo link https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/francesca-morrone-dal-magazzino-al-camion-seguendo-le-orme-di-papa/

 

Buona strada Francesca!

 

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10 domande a ….Gloria

 

Sempre da “Uomini e trasporti”, Voci on the road, un’intervista a cura di Elisa Bianchi, alla nostra collega Gloria

Il link: https://www.uominietrasporti.it/dopolavoro/voci-on-the-road/10-domande-a-gloria-benazzi/

  • Come è iniziata la tua avventura con l’autotrasporto?

Sono figlia d’arte, la mia famiglia aveva una ditta di trasporti tramandata da generazioni e fin da piccola ho sempre avuto a che fare con questo mondo. Quando sono cresciuta ho iniziato ad aiutare in azienda, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti più logistici e burocratici, ma io volevo guidare, anche se mio papà non era d’accordo.

  • Come hai superato questo ostacolo?

A 21 anni ho preso le patenti con i soldi che avevo messo da parte lavorando come onicotecnica. La svolta è arrivata grazie al mio ragazzo, Luca, anche lui autista, che mi ha spronato a non lasciar sbiadire il mio sogno di mettermi alla guida. Ho fatto richiesta per lavorare nella sua stessa azienda e mi hanno assunta.

  • Oggi che cosa trasporti?

Ho realizzato il mio sogno di trasportare fiori, viaggio con il mio compagno sulla tratta Olanda, Belgio e Italia.

  • Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Il profumo intenso che si sente quando arrivo al mercato dei fiori in Olanda e i camion customizzati che si vedono girare all’estero. Io amo disegnare e penso che alcuni mezzi siano delle vere e proprie opere d’arte viaggianti. Sto restaurando un camion d’epoca e presto potrò personalizzare anche il nostro camion. Sto preparando i bozzetti delle grafiche.

  • E cosa ti piace di meno?

Essermi scontrata con la realtà. Spesso mancano i servizi per le donne e se non ci fosse Luca con me mi sentirei in difficoltà a entrare nei bagni degli uomini. Ormai i camion sono accessoriati con tutto, quello che manca “fuori”, quindi, sono i servizi e i posti sicuri dove potersi fermare a riposare.

  • Pensi che la situazione sia migliore all’estero?

Credo che in Italia la figura dell’autista sia ancora molto stereotipata. Per quanto riguarda le donne, poi, si pensa ancora che ci spettino dei compiti che non possono essere affidati agli uomini, e viceversa. Come donna ho dei limiti, ma non penso mi possano ostacolare in questo lavoro.

  • Cosa bisogna fare per avvicinare più donne e giovani come te al settore?

Avvicinare i giovani alla professione di autista oggi è più difficile perché se non si nasce figli d’arte non è facile comprendere o scoprire quanto sia affascinante. Se non si investe quindi su altri fronti nessuno potrà mai avvicinarsi spontaneamente. Anche le donne che fanno questo lavoro sono spesso figlie d’arte o mogli che viaggiano con il marito. In questi mesi mi sono resa conto che forse ci sono più donne che giovani alla guida, ma molte cercano di passare inosservate e quindi alla fine sembriamo sempre poche.

  • Perché le autiste si nasconderebbero?

Penso che lo facciano per sicurezza. Se io viaggiassi da sola avrei paura a esporre il mio essere donna in determinate circostanze. Se mi dovessi fermare di notte in un’area di servizio ed entrare nel bagno degli uomini perché non ci sono bagni per le donne vorrei mi vedesse meno gente possibile.

  • I social network possono aiutare ad avvicinare le donne al settore?

I social consentono di condividere la propria esperienza con grande facilità. Possono fare la differenza, portare alla luce degli esempi, delle fonti di ispirazione per altre donne.

  • Che cosa manca oggi al settore per riqualificarsi?

Serve sicuramente più unione, che è quella che fa la forza.

 

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Un vecchio articolo…

 

Girando e rigirando nel web, ogni tanto capita di imbattersi in qualche vecchio articolo che racconta la storia di colleghe camioniste. Questo de “L’Unità” risale ad aprile del 1995 e racconta le storie di Barbara, che all’epoca aveva 22 anni, e di Ester, che ne aveva 32.

Chissà se  dopo 28 anni (dall’articolo) viaggiano ancora o se hanno cambiato “strada”?

Vi metto il link dove potete leggerlo in pdf:

https://archivio.unita.news/assets/main/1995/04/14/page_011.pdf

 

Buona lettura e buona strada a tutti!

 

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Jasmine, la nostra giovane collega!

 

Abbiamo già pubblicato qualche articolo dedicato a Jasmine, la nostra giovane collega, ma è proprio perchè è giovane e appassionata di camion che ci piace!! In un settore in cui il ricambio generazionale sembra non esserci quasi più è bello leggere storie di giovani ragazze che diventano camioniste! Chissà, magari il futuro dell’autotrasporto non sarà tutto in rosa, ma almeno un tocco qua e là è assicurato!

Buona strada sempre Jasmine!

Questo è il link dell’articolo su “Il Mattino di Padova” :

https://mattinopadova.gelocal.it/regione/2023/04/03/news/personaggi_veneto_jasmine_pojana_camionista_regina-12735386/

Inizia cosi:

Jasmine Pojana, 25 anni, la camionista che si sente una regina: «Al volante assaporo la mia libertà»

Padovana di Fontaniva, sin da piccolissima viaggiava in cabina seduta accanto al padre autotrasportatore. «Grazie a lui quando sono nella cabina di un camion mi sento su un trono»

Enrico Ferro

Da piccola sedeva sul sedile del passeggero accanto al padre camionista, amava guardare il mondo dal quel trono con le ruote, altissimo rispetto a tutte le altre macchine. Vent’anni dopo Jasmine Pojana è diventa la regina del quel trono.

È una camionista. «Essere passeggera è un conto, ma guidare il camion è tutt’altra storia», dice con l’entusiasmo di una bambina che stringe tra le mani il suo giocattolo.

Come è nata l’idea di fare questo lavoro?

«Io praticamente sono nata in camion, perché mio papà ha sempre fatto questo mestiere. Prima era dipendente, poi si è messo in proprio.

Sono sempre andata con lui, dall’età di 3 anni. Con il tempo la passione per questi camion grandi è cresciuta, finché mi sono fatta la patente. Volevo lavorare in questo settore, o almeno provare. Ed eccomi qua».

Come funziona il suo lavoro?

«La nostra sede è a Fontaniva, dove abito. Io parto la mattina, vado a Padova e Venezia, carico il cassone con il transpallet e prendo verso Milano. In genere scarico a Pavia o Cremona. Faccio le consegne e torno. Il mio è un lavoro giornaliero, la notte non resto fuori. In genere entro le 21 sono a casa, ma non è scontato».

Cosa le piace del suo lavoro?

«Salire in cabina di guida, accendermi la radio e partire: mi porta in un altro mondo. Mi sento libera. È questo che mi piace.

Ci sono tante insidie e anche momenti non facili: il meteo, le rotture, gli incidenti. Ma a me piace e mi dà soddisfazione.

Poi non è così scontato vedere arrivare un ragazza giovane alla guida di un camion. Tutti mi fanno complimenti e a me fa piacere. Mi sento una regina».

Ha mai avuto la sensazione di essere discriminata in questo ambiente così maschile?

«Non ho mai trovato un muro davanti a me. Se ho avuto bisogno di un consiglio, ho sempre trovato persone disposte ad aiutarmi».

Qualche fischio molesto?

«Nel mazzo qualcosa sì, qualcuno magari si avvicina e fa di tutto per attaccare bottone. Ma io metto subito in chiaro le cose, non mi piace quando le persone fraintendono e non ho problemi a tenerli al loro posto».

 


 

(…) il resto dell’articolo sulla pagina ufficiale del Mattino di Padova

 

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I primi 25 anni di Elda!

 

Oggi è il compleanno di Elda,  una delle prime “ragazze” del nostro gruppo, sempre solare e appassionata del suo lavoro. E per farle gli auguri pubblichiamo l’articolo che le ha dedicato “Uomini e Trasporti”  in occasione dell’8 marzo, a firma di  Elisa Bianchi.

Auguri Elda e buona strada sempre!!!

 

Questo è il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/elda-guarise-i-miei-primi-25-anni-in-cabina/

Questo è il testo:

Elda Guarise, «I miei primi 25 anni in cabina»

25 anni a bordo del suo camion e ancora molti altri davanti a sé, perché come dice lei «per farmi scendere dovete tagliarmi le gambe». Elda Guarise, 60 anni il prossimo 13 marzo, è una delle prime dieci Ambassador di Volvo Trucks. Un marchio che per lei è come “la squadra del cuore”. Il campionato è quello dell’autotrasporto, diventato – per sfida – la sua più grande passione

 

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Silvia e il camion

 

Silvia è una delle colleghe che ha partecipato al concorso del Sabo Rosa, in questo articolo è intervistata da Gabriele Bolognini per il sito “Camion & Furgoni Mag” in occasione della Festa della Donna.

Questo è il link:

https://www.camionefurgonimag.com/silvia-dalla-santa-e-il-camion/

E questo è l’articolo che racconta la sua bella storia di bambina che viaggiava col papà e poi ha intrapreso il suo stesso mestiere:

 

Come celebrare al meglio la “Festa delle Donne” se non raccontando la storia della grande passione di Silvia per il camion?

Silvia ha 49 ed è nata a Conegliano Veneto, fa la camionista da 15 anche se avrebbe voluto iniziare questo lavoro da molto tempo prima.

“La vita a volte ti porta su altre strade – racconta Silvia – da ragazzina scalpitavo, volevo rendermi indipendente, così sono partita per la Germania a fare le stagioni. Ho lavorato nelle gelaterie, nei ristoranti, nelle gastronomie e pure in fabbrica. Intanto covavo dentro la passione per il camion e mettevo da parte i soldi per prendere le patenti. Una grande passione ereditata da mio papà camionista. Sin da piccolina, finita la scuola, mi portava in viaggio con lui sul suo Scania 142.”

“Io ero felicissima. Facevamo l’estero. Ricordo i giorni passati assieme a lui in dogana per andare in Inghilterra quando si incontrava con gli altri colleghi. Era sempre una festa. Poi, purtroppo, i miei si sono separati quando io avevo 10 anni e così sono finiti i viaggi in camion. Papà in quel periodo – erano gli anni ’70 – aveva tentato di mettersi in proprio ma purtroppo le cose non andarono bene, così andò a lavorare per una grande impresa di costruzioni, la Federici, in Africa. Io avevo uno splendido rapporto con lui. Ci scrivevamo sempre. Poi a 14 anni mi fece il biglietto aereo e lo raggiunsi in Algeria. Stavano costruendo il porto di Algeri. Siamo stati qualche giorno insieme poi tornai a casa da mia madre. Dopo quella breve vacanza, una volta diventata maggiorenne, lo andai a trovare molte altre volte. Almeno una volta l’anno mi comprava il biglietto e lo raggiungevo ovunque; Congo, Nigeria, Malawi.”

Patenti e camion

Dopo 10 anni passati in Germania, Silvia decide di tornare in Italia per realizzare il suo sogno di sempre: “Appena tornai a Treviso mi sono iscritta all’autoscuola ed ho preso le patenti. Poi mio fratello mi presentò un suo amico camionista – ricorda Silvia – Ci innamorammo ed iniziammo a lavorare insieme per la stessa ditta. Al tempo facevamo molto estero. Io guidavo uno Scania, proprio come mio papà, e lui un Volvo. Furono anni stupendi. Giravamo tutta Europa: Francia, Germania, Inghilterra…”

Col passare degli anni la famiglia è cresciuta e: “Abbiamo avuto due bambine e ci siamo spostati a Paterno in Basilicata, sua terra d’origine. Per stare vicina alle mie figlie, finché erano piccoline, sono scesa dal camion per fare la mamma. Poi quando sono diventate un po’ più grandi ho ripreso a viaggiare, ma solo sul nazionale con la cisterna.”

Oggi Silvia lavora ora per la Patertrans, società del Gruppo Paterlegno che si occupa di commercio di imballaggi in legno, prevalentemente pallet, nuovi e usati e di servizi per due importanti gestori internazionali di parchi pallet a noleggio. Guida un DAF XF 530 Euro 6 che le è stato assegnato nuovo tre anni fa.

“Patertrans è la seconda società del gruppo che gestisce logistica e trasporti – spiega Silvia – carichiamo pallet usati presso le aziende e li consegniamo alla Paterlegno dove li rimettono in ordine per essere rivenduti. Ritiriamo anche rifiuti in legno che vengono riciclati per la produzione di nuovi pallet. Dopo anni di cisterna, dove non conosci ne sabato, ne domenica, Natale o Pasqua, finalmente sono passata alla centina. Lavoro cinque giorni a settimana ed i weekend li posso trascorrere con le mie ragazze, Dharma, che adesso ha 18 anni e Zoe che ne ha 16. Il titolare della ditta, molto carinamente, mi ha fatto scrivere i loro nomi in rosa su un angolo esterno del frontale del camion. Quando mi hanno consegnato il DAF nuovo mi sono emozionata alla vista dei nomi delle mie bambine.”

Ogni giorno una nuova avventura

“Generalmente lavoro 5 giorni a settimana, il deposito è a soli 17 chilometri da casa mia. Lavoriamo in tutta Italia, da nord a sud, da est a ovest. Si può dire che in ogni viaggio conosco posti nuovi del nostro Paese – racconta Silvia – Capita anche di andare dagli stessi clienti. Quando devo trovare qualche località che non conosco controllo sempre la cartina geografica prima di consultare il navigatore di bordo. Poi cerco di visualizzare la località in modalità satellite per individuare i punti critici, se ce ne sono. A volte capita che dei clienti ti diano un indirizzo per il prelevamento del carico senza rendersi conto che arrivi con il bilico. Una volta mi è capitato vicino Livorno, a Cecina. Mi fecero arrampicare su una stradina di collina in mezzo a un bosco, stretta e sterrata. Avevo i rami che mi entravano in cabina. Una volta arrivata in quello che loro chiamavano piazzale, ho dovuto fare mille manovre per girare il camion in uno spazio estremamente ristretto e senza protezioni sul bordo. Una piccola distrazione e sarei finita sulla scarpata. Ma fa parte del gioco. L’importante è cercare sempre di prevenire determinate situazioni.”

Un camion confortevole come una casa

“Per cinque giorni alla settimana il DAF diventa la mia seconda casa – racconta SilviaGli interni dell’XF sono molto curati e c’è un impianto clima da sosta eccezionale. La temperatura si regola anche da un pannellino situato nella parete posteriore della cabina appena sopra il lettino. Quest’ultimo è molto comodo e poi, per me, che sono piccolina, è quasi una piazza e mezzo. Ci sono tanti spazi per stivare i bagagli e tante prese USB per la ricarica del telefono. Poi c’è un bel frigo capiente sotto la cuccetta dove metto le provviste per il pranzo: tutte cose che mi posto da casa. Però la sera per cena vado al ristorante. Anche se non si direbbe vedendomi, sono una gran mangiona e non riesco a rinunciare a un bel piatto di pasta. Quindi, se posso, mi fermo in locali che già conosco, altrimenti in autostrada cerco sempre aree di ristoro Sarni. La loro cucina mi piace molto.”

Lassù qualcuno mi guarda

Il papà di Silvia ora non c’è più: “È venuto a mancare nel 2011 in Congo. Sono sicura che sarebbe molto orgoglioso di me e della mia carriera da camionista. E sono sicura che da lassù mi guarda sempre!”


 

Buona strada sempre Silvia!

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La storia di Raffaella

 

Un’altra collega, un altro articolo, un’altra bella storia, quella di Raffaella, raccontata da “La Gazzetta del Mezzogiorno”.

Questo è il link :

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/potenza/1384349/dalla-moda-alla-guida-di-un-bisonte-storia-di-raffaella-una-delle-poche-camioniste-lucane.html

L’articolo inizia cosi:

Dalla moda alla guida di un «bisonte»: storia di Raffaella, una delle poche camioniste lucane

Un passato da modella, il primo viaggio in Francia per sciogliere il ghiaccio, e come la pandemia ha messo in crisi l’azienda di famiglia

Gianfranco Gallo

23 Febbraio 2023

SAN GIORGIO LUCANO – Fare il camionista spesso è una scelta di passione, altre di necessità, altre ancora di tradizione. Si sa, è il tipico ambiente maschile. Si vive, come si usa dire «in mezzo a una strada» gran parte della propria vita! Le camioniste in Italia sono pochissime; a differenza di altre realtà europee. Anche in una regione come la Basilicata ce n’è qualcuna. Sono pochissime. Se ne conoscono tre, di cui una solo residente in Basilicata. Fra di loro c’è Raffaella Castellana. Ha 46 anni. Di San Giorgio Lucano. Dipendente da un paio d’anni della ditta di trasporti Cirigliano, di Abriola, con sede operativa a Tito, nella zona industriale alle porte di Potenza. Quale il modo migliore che fare un viaggio con lei, sul suo camion, per avere il quadro di come una donna viva questo lavoro.

Un viaggio di pochi chilometri, da Potenza a Pisticci, andata e ritorno. Cinque ore in tutto fra viaggio e carico della merce. È il viaggio del fine settimana. Il lunedì invece si parte per quello di tre giorni e due notti, da passare nel camion. Per il nord o a volte per l’estero. Una necessità, quella di fare la camionista per Raffaella. Discendente di giostrai lucani, era abituata a maneggiare mezzi come i camion per gestire l’attività di famiglia. Poi è arrivata la pandemia. E come molte attività dello svago anche quella dei giostrai è andata a diminuire man mano fino a sospenderla. La crisi ha morso e allora, la futura camionista per necessità, si è rimboccata le maniche e ha provato diversi lavori. Compresa la raccolta delle fragole. Fin quando ha pensato di sfruttare le sue patenti idonee a guidare tutti i mezzi compreso il rimorchio. Nonostante la contrarietà del compagno, ha iniziato ad avere colloqui con varie ditte del settore che, probabilmente, perchè donna non le hanno aperte le porte. Fin quando, delusa e sconsolata, ha fatto il suo ultimo tentativo: ha chiesto il titolare della ditta Cirigliano, il capo stirpe Angelo, ottantenne che ancora ama guidare i suoi camion. Contro ogni aspettativa le ha dato un appuntamento per un colloquio. Poche parole sono bastate e la pratica per l’assunzione in prova è stata attivata. Dopo tre giorni dal colloquio, avvento il venerdì, il lunedì successivo il primo viaggio in Belgio con un tutor della ditta. Poi una settimana nel piazzale della ditta, per capire, insieme al responsabile, come funziona quell’aspetto. E finalmente il primo viaggio, quello del battesimo da sola; nonostante le sue paure e la sorpresa di molti colleghi: in Francia per tre giorni, con la benedizione del suo titolare che ha insistito affinchè facesse il viaggio che è andato bene e il ghiaccio si è sciolto.

(…) il resto della storia lo potete leggere nella pagina de La Gazzetta del mezzogiorno.

Buona strada Raffaelle!!!

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