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Irene, una pioniera dalla Svizzera

 

Io sono sempre affascinata dalle storie delle donne camioniste degli anni passati. Quella di Irene poi è una storia veramente speciale, in quanto lei fu una delle poche donne camioniste a effettuare viaggi sulla linea del Medio Oriente negli anni ’70. Una vera pioniera!

 

Vi metto alcuni link di articoli su di lei:

https://www.aargauerzeitung.ch/leben/frau-am-steuer-die-verruckte-geschichte-der-ersten-schweizer-fernfahrerin-ld.1239231

https://www.pilatustoday.ch/zentralschweiz/luzern/geschichte-der-ersten-schweizer-fernfahrerin-138508738

https://static1.squarespace.com/static/5ef204a92f151722ebb7bee3/t/60eeccbedf3d323292d799a3/1626262718325/20200720_CH+Media_Jre%CC%80ne+Liggenstorfer.pdf

Sono scritti in tedesco, lingua che non conosco a parte qualche parola, ma con l’aiuto di un amico tedesco, Michi – che parla un pò di  italiano –  che me ne ha fatto un riassunto, e un po di traduttore sono riuscita a mettere insieme un testo, spero che vi piaccia leggere la sua storia:

“Nel 1973 Irene aveva 17 anni e ancora studiava, ma in primavera riusci a partire col fratello di una sua amica, Ueli,  per un viaggio a Teheran. Avevano un mese di tempo e 12.000 km da percorrere per giungere a destinazione.  Mentre attraversavano la Jugoslavia comunista, nei pressi di Belgrado, lei si mise per la prima volta al volante di un camion. Non avevano GPS nè cellulare, ma una scatola piena di carte stradali e la posizione del sole come guida. Dopo aver preso confidenza col cambio a 16 marce e con un veicolo lungo 18 metri Irene decise che avrebbe voluto fare la camionista. Con Ueli nacque anche una storia d’amore,  lui diventò il suo istruttore di guida segreto e successivamente suo marito e il padre dei suoi figli.

I suoi non erano d’accordo, cosi lei fini i suoi studi, fece l’apprendistato come infermiera, ma nel frattempo consegui le patenti per guidare i camion senza dire niente a nessuno.

Finita la formazione mise i suoi familiari di fronte al fatto compiuto,  nonostante loro non fossero per niente d’accordo, anzi pensavano che fare la camionista piuttosto che l’nfermiera fosse un passo indietro dal punto di vista sociale.

Ebbe molte avventure nei dieci viaggi che fece in Iran, il percorso era sempre lo stesso ma  succedeva sempre qualcosa di diverso. Piccoli guasti da risolvere, infinite pratiche burocratiche da sbrigare  quando si attraversavano i confini. Una volta, grazie alla sua formazione da infermiera, aiutò addirittura un collega svizzero che si era ammalato a tornare a casa occupandosi di lui.

Durante i lunghi tempi di attesa a destinazione per lo scarico, Irene girava per i bazar della  città e comprava provviste. Successe che un giorno un uomo le  tagliò da dietro i suoi capelli, raccolti in una coda di cavallo, per motivi religiosi. “Come camionista, probabilmente ho minacciato troppo il suo modo di pensare patriarcale” dice. Da allora indossò sempre  un cappello.

Negli anni ’70 numerosi svizzeri si recavano in Iran o addirittura in Pakistan con i camion. Irene descrive questo periodo come un “boom orientale”. Viaggiava sempre con suo marito. Insieme hanno portato a Teheran interi rimorchi pieni di asciugacapelli, macchine da cucire e persino una Range Rover.

Spesso diversi conducenti si univano per formare piccoli convogli. I camionisti si incontravano nei parcheggi lungo il percorso, o alle fontane dove si fermavano a fare rifornimento di acqua, o nelle leggendarie aree di sosta per camion. Erano sempre tutti contenti di unirsi a loro,  Ueli aveva molta esperienza e parlava diverse lingue. Anche la formazione di Irene come infermiera era  un vantaggio.

Due anni dopo la caduta dell’Iran nelle mani dei Mullah, Irene voleva tornarci nuovamente. Ma i problemi cominciarono con l’ambasciata iraniana a berna,  non volevano rilasciale il visto. Pensavano che Irene fosse una giornalista sotto copertura. Cosi lei  prese  il suo camion e lo  parcheggiò direttamente davanti all’ambasciata bloccandone l’ingresso. “Ha funzionato, ho ricevuto i documenti il giorno stesso.” dice.

A quel tempo erano pochissime le donne che viaggiavano verso l’ Oriente. Successivamente, mentre guidava sulle strade d’ Europa, ha incontrato altre donne camioniste.

Dopo i cambiamenti politici degli anni ’80,  l’Arabia Saudita era l’unica destinazione rimasta per le merci dirette in Medio oriente. Ma li alle donne era vietato guidare. Cosi da allora viaggiò per l’Europa da sola, senza il marito Ueli. Dopo essere scampati per un pelo al furto di un camion e a una valanga, lei e suo marito hanno deciso di stabilirsi.

Dall’inizio del millennio non esistono più camionisti svizzeri a lunga percorrenza, spiega Irene. Ci sono quasi solo gli europei dell’Est che lavorano per salari bassissimi. Ciò significa che in Svizzera è crollato un intero settore.

Per  commemorare quell’epoca ha scritto e illustrato un libro nell’ambito del progetto culturale “Edition Unik”  . In esso racconta la sua storia e quelle di dieci colleghi, quasi cinquant’anni dopo essersi messa per la prima volta al volante di un camion.
Il libro si può ordinare per e-mail: vrthr@bluemail. ”

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Un libro, un’autostrada, una coincidenza…

Lunedì, 18 maggio, stavo andando nelle Marche. Siccome le mie ore di guida finivano li, mi sono fermata all’area di
servizio Bevano. Ho cenato in cabina, perché a me cenare da sola seduta ad un tavolo mette tristezza. Poi sono andata a fare un giro dentro l’autogrill. L’ho visto negli scaffali, quel libro. A dire il vero l’avevo già notato un’altra
volta ma non l’avevo preso. Questa volta si. L’ho rigirato tra le mani, sfogliato, letto qualche riga… e sono andata alla cassa a pagarlo. Cibo per la mente invece di cibo per lo stomaco. L’economia gira anche cosi…

 

Sono tornata in cabina e ho cominciato a leggerlo. 
“La strada dritta” di Francesco Pinto, (http://ilmiolibro.kataweb.it/booknews_dettaglio_recensione.asp?id_contenuto=3722841 )è un romanzo che narra la costruzione dell’Autostrada del Sole. Ci hanno messo otto anni per costruire settecentocinquantacinque chilometri di autostrada partendo dal… niente!!!
Infatti all’inizio del libro è riportata questa frase:
“C’è stato un tempo in cui si
Facevano le cose impossibili.
C’è stato un tempo.”
Non è un libro nuovo, anzi, la prima stampa è del 2011, ne hanno fatto anche una miniserie TV, (che io non ho visto perché non guardo mai la televisione), però , citando una canzone che si ascolta in questi giorni : “una storia che non conosci non è mai di seconda mano”…
Ho letto i primi tre capitoli e poi ho dormito. Bisogna farlo, di dormire, se no le giornate al volante poi si fanno pesanti.
La mattina dopo ho continuato il viaggio e sono arrivata a destinazione. Dovevo aspettare il mio turno per scaricare. Cosi ho continuato la lettura.
Nel quarto capitolo si narra dell’inaugurazione dei lavori, a San Donato Milanese, dove in mezzo al nulla era stata posta una stele di marmo bianco su cui era inciso semplicemente:
“Autostrada del Sole –
Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli”  e la
data,  “19 maggio 1956”
.
Martedì era il 19 maggio 2015, esattamente cinquantanove  anni dopo quel giorno… che strana coincidenza, ho pensato, sottolineando quella frase.
inaugurazione
Poi ho continuato a leggere.. l’ho fatto in ogni momento di pausa, affascinata da quel racconto, perché sull’Autostrada del Sole io ci ho vissuto e ci vivo tuttora, anche se oramai non la percorro più tutta come una volta, e leggere di come è stata costruita, dei problemi che hanno affrontato, della voglia di farcela a tutti i costi rispettando i tempi previsti (oggi impensabili, nonostante abbiamo a disposizione tecnologie e macchinari ben più all’avanguardia di allora), della fatica degli uomini che lavoravano nei vari cantieri con tutti i mezzi… beh , è stato emozionante. C’è stato veramente un tempo in cui si facevano le cose impossibili. Viene solo da dire grazie ha chi le ha rese possibili.
viadotto Aglio
Un libro che consiglio a chi crede che il coraggio e la forza di volontà sono più forti di tutte le avversità e permettono di raggiungere il traguardo!!
Buona lettura a tutti!!!
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