Simona Piersanti: «Sul camion festeggio di nuovo i 18 anni»
Classe 1984, marchigiana, autista e, scesa dal camion, mamma a tempo pieno. Simona Piersanti quest’anno festeggia un compleanno molto speciale, i suoi 18 anni in cabina, inseguendo la sua più grande passione: guidare
La voce è allegra, l’entusiasmo lo stesso di quando ha iniziato, la passione, neanche a dirlo, non se ne è mai andata. Simona Piersanti, 39 anni, originaria di Serra de Conti – un piccolissimo paese in provincia di Ancora, nelle Marche – è in cabina da quando di anni ne aveva appena venti e quest’anno festeggia un compleanno molto speciale: 18 anni come autista.
Figlia di un camionista, inizia a viaggiare fin da piccolissima, quando il padre la portava con sé nei suoi lunghi viaggi. Con lui macina chilometri su chilometri e più il tempo passa più capisce che quella sarà anche la sua strada. Il papà – oggi anche collega – è il suo primo sostenitore, ma la mette in guardia sulle difficoltà del mestiere. Così Simona inizialmente tentenna: «Subito dopo il diploma- racconta – provai a darmi una possibilità in altro campo. Iniziai a lavorare come impiegata in un’azienda di import-export, ma la vita sedentaria da ufficio non faceva per me che sono sempre stata uno spirito libero. Ho resistito un anno, poi ho capito che dovevo inseguire la mia passione più grande: guidare».
Così trova lavoro in una cantina vinicola dove le affidano il furgone per le consegne, ma lei è abituata a mezzi molto più grandi. L’occasione arriva grazie a un altro grande amore, quello per l’uomo che oggi è suo marito. «Aveva un’azienda di trasporti – l’Autotrasporti Simonetti Antonio di Serra de Conti – e così, compiuti 20 anni, ho deciso di fare sul serio. Ho preso le patenti e ho chiesto di lavorare per la sua azienda, per la quale ancora oggi sono dipendente». Simona torna a viaggiare, questa volta a bordo di una motrice con la quale trasporta “un po’ di tutto”, come dice lei, attraversando in lungo e in largo le Marche, la Toscana, l’Umbria e l’Emilia-Romagna, e riscoprendo la libertà che le dà stare al posto di guida.
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Il colpo di fulmine per questo lavoro scoppiò nel lontano 1984. Due anni dopo, nell’86, presi le patenti e l’anno successivo iniziai a lavorare per la ditta di autotrasporto della famiglia del mio ragazzo.
Perché hai scelto «Iron duck» come soprannome?
All’epoca avevo un braccialetto regalatomi da mio papà con la scritta «Anatra metallica» sulla chiusura. Mi è sempre piaciuto, oltre a essere un ricordo prezioso, così lo scelsi come nominativo.
Con quel nome hai aperto anche un canale Youtube. Come è nata l’idea di fare dei video?
È in iniziato tutto con ChiodoVideo, il capostipite dei camionisti YouTuber italiani. Guardavo i suoi video e mi piacevano molto, così nel 2009, su suo suggerimento, mi sono lanciata anche io. Iniziai con dei video fotografici, tra cui Dreamer on the road, perché in fondo è quello che sono, una sognatrice a cui piace trasmettere emozioni e la propria passione.
Come scegli i temi di cui parlare?
La scelta è del tutto casuale, quando faccio un viaggio parlo di quello che capita. Per le musiche, invece, cerco sempre di scegliere qualcosa che mi trasmetta delle emozioni.
Cosa vedi cambiato dagli anni ’80 ad oggi?
Il modo di fare trasporto è cambiato radicalmente negli anni. Per esempio, una volta si dormiva qualche ora quando si era stanchi e si viaggiava quando si era riposati. Oggi esistono più limiti, ma si viaggia sempre con la fretta, un occhio alla strada e uno al tachigrafo per controllare le ore di guida. Non c’è più tempo per la solidarietà o per parlare al baracchino. Di conseguenza sono cambiati molto anche i rapporti umani.
Meglio il passato o il presente?
A volte mi ritrovo a pensare di essere un po’ nostalgica, il mondo deve andare avanti lo so, però il progresso troppo spesso aggiunge tecnologia e toglie umanità.
Come descriveresti la tua vita oggi?
Particolare. Questo mestiere deve piacere, per una donna forse ancora di più. Ci vuole spirito di adattamento che non mi è mai mancato. Non mi è mai servito restare a casa molto tempo, volevo stare sul mio camion. Oggi non faccio più viaggi lunghi, ma va bene così, ho già fatto le mie esperienze.
Il tuo ricordo più bello in tanti anni di questo lavoro?
Anni fa presi parte a un’intervista “7 donne su 7 camion”. Dopo la pubblicazione un giorno mi suonò il telefono. Era la Renault Trucks. Inizialmente pensai addirittura che si trattasse di uno scherzo. Invece avevano apprezzato la mia intervista e mi invitarono nella loro sede in Francia a visitare lo stabilimento. Per un’appassionata come me è stato un sogno che si è realizzato.
Ti aspetti che in futuro ci saranno più donne?
I numeri dicono che le donne al volante di un camion stanno aumentando ma non mi capita spesso di vedere volti nuovi. Ancora oggi ci sono tante difficoltà e porte sbattute in faccia, ci sono stereotipi che vanno superati, anche per avvicinare i giovani, non solo le donne. Dovremmo forse prendere spunto dall’estero e fare in modo che si arrivi all’età per guidare già con un po’ di esperienza pregressa, per esempio grazie ad un tirocinio.
Il tuo motto?
La passione aiuta a vivere meglio, e fare di una passione il proprio lavoro aiuta a tenersi giovane.
Oggi è il compleanno di Elda, una delle prime “ragazze” del nostro gruppo, sempre solare e appassionata del suo lavoro. E per farle gli auguri pubblichiamo l’articolo che le ha dedicato “Uomini e Trasporti” in occasione dell’8 marzo, a firma di Elisa Bianchi.
25 anni a bordo del suo camion e ancora molti altri davanti a sé, perché come dice lei «per farmi scendere dovete tagliarmi le gambe». Elda Guarise, 60 anni il prossimo 13 marzo, è una delle prime dieci Ambassador di Volvo Trucks. Un marchio che per lei è come “la squadra del cuore”. Il campionato è quello dell’autotrasporto, diventato – per sfida – la sua più grande passione
Cosa si prova a essere un punto di riferimento per tante giovani autiste? «Proprio l’altro giorno mi hanno soprannominata “una storica del settore”, ho risposto che è meglio dire che sono vecchia. È questa la verità». Ride Elda, una risata contagiosa che si concede a fine turno quando la raggiungiamo per telefono. Ha terminato le ore ed è nel posteggio di un ristorante, un posto di fiducia, dove aspetta «di mettere le gambe sotto al tavolo». Elda Guarise, 60 anni il prossimo 13 marzo, è una veterana, in cabina da 25 anni. «E non intendo smettere di lavorare – precisa – devono tagliarmi le gambe per farmi scendere dal camion». Ed è proprio da quella cabina che ci racconta la sua storia, con la sua grinta invidiabile e il suo inconfondibile accento padovano.
I motori sono sempre stati la sua passione, fin da quando da appena poco più che bambina iniziò a lavorare come carrellista in un magazzino di frutta e verdura vicino casa, a Rossano Veneto. «Erano altri tempi, oggi sarebbe impensabile per una ragazzina di appena quattordici anni, ma allora la mia famiglia ne aveva bisogno e così durante le vacanze mi davo da fare. Ricordo questi camion enormi che arrivavano dall’estero per portare via la frutta, li ho sempre guardati con grande fascino».
Poi Elda cresce e arriva anche l’amore per Giovanni che presto diventa suo compagno di vita e di lavoro. «Quando ci siamo sposati mio marito ha deciso di riprendere in mano l’attività di suo padre che aveva un’azienda di autotrasporto e così abbiamo comprato casa e camion. Dopo la nascita dei nostri bambini mi propose di iniziare a dargli una mano sul lavoro, ma a dire il vero non si aspettava che avrei colto al volo la sfida. Mi sono iscritta subito a scuola guida, registravo tutte le lezioni e le riascoltavo con le cuffiette il giorno dopo, mentre badavo alla casa e ai figli. Una volta ottenute le patenti sono salita in cabina e non sono più scesa». Elda non dimentica di sottolineare una volta di più che non ha proprio intenzione di smettere. «Cosa devo dire, dovrei trovare qualcuno che mi sostituisca ma non è facile in questo momento trovare altri autisti. Abbiamo cinque camion da mandare avanti». Ogni tentativo di farle cambiare idea è stato vano: «Mia figlia più grande ha provato a convincermi a farmi fare almeno viaggi più brevi, ma non c’è riuscita nemmeno lei». Elda, infatti, ama i viaggi lunghi e la vita in cabina. «Rientro a casa un paio di volte alla settimana, ma per lo più dormo fuori. Ho un Volvo centinato con cui attraverso il Nord Italia e la Svizzera». Quando Elda parla del suo camion si entusiasma. Non a caso è una delle prime dieci Ambassador della casa svedese. «Sono orgogliosa di far parte di questa grande famiglia. È un po’ come tifare per la squadra del cuore». Il suo entusiasmo è contagioso e si capisce quanto ami la sua vita da camionista, nonostante non neghi le difficoltà del caso. «O hai la passione o questo lavoro non ce la fai a farlo, richiede sacrificio. Io è dalle 3 di questa mattina che sono in piedi. Sì sono stanca, però in fondo sto bene, mi sono abituata. Questa è la mia vita e mi piace».
Non può essere però tutto oro quello che luccica, così le chiediamo se ci sia anche qualche aspetto negativo, qualcosa che le piacerebbe cambiasse. «Mancano i servizi per gli autisti e soprattutto per le donne e, quando ci sono, spesso sono sporchi. Poi per carità, bisogna ammettere che a volte la colpa è anche nostra e parlo al plurale perché voglio mettere dentro tutti, senza puntare il dito conto nessuno. Le persone maleducate purtroppo ci sono, sporcano, lasciano l’immondizia per terra. Il risultato è che ne paghiamo tutti le conseguenze».
Poi ci racconta di un brutto incidente avvenuto qualche anno fa. «Di quegli istanti ricordo tutto: il panico nella frazione di un secondo durante la quale ho dovuto decidere come comportarmi, se spostarmi sulla corsia accanto rischiando di prendere qualcuno o se andare a sbattere io, il rumore delle lamiere che si accartocciano, lo shock successivo. Quando sono scesa il camion era distrutto, io per fortuna non mi ero fatta un graffio». Però la ferita era rimasta dentro. «La notte rivivevo quei momenti, non dormivo, ero terrorizzata all’idea di tornare in cabina. Se non fosse stato per mio marito avrei smesso. È stato lui che ancora una volta, come sempre, mi ha incoraggiata a riprendere in mano il volante. Il giorno in cui sono tornata a guidare, appena una settimana dopo l’incidente, ho pianto». Se Giovanni è il suo primo sostenitore, lo stesso vale per i tre figli, Marta, Ermes e Mattia, anche loro oggi impegnati nell’azienda di famiglia, la Jolli Trans di Cittadella. «Devo tutto a loro e soprattutto a mia figlia, che è stata per i suoi fratelli più piccoli una seconda mamma quando io non c’ero». Assenza che però non è mai stata davvero tale. «Gli lasciavo la casa piena di post-it con indicazioni e istruzioni su cosa fare e come farlo. Diciamo che li controllavo a distanza. Lo faccio ancora oggi, ma uso i messaggi». Ride, e poi aggiunge «Una mamma non si ferma mai: quando torno a casa sistemo, pulisco, cucino, organizzo per quando sarò via. E adesso sono anche nonna di quattro nipoti che cerco di godermi nel weekend. In fondo non conta la quantità di tempo che si trascorre insieme, ma la qualità. Lo dimostra quanto siamo uniti nella nostra famiglia, anche sul lavoro». E chissà se un giorno i nipotini seguiranno le orme dei nonni. «I bimbi sanno che lavoro facciamo, vedono il camion posteggiato in cortile e ci giocano». Come si dice, se son rose fioriranno.
C’è un’ultima curiosità che però ci vogliamo togliere. Elda – le chiediamo – ma ti hanno mai fatto pesare di essere una donna? «Ma sì, qualche battuta stupida è capitata e capita ancora. Anche l’altro giorno mi hanno detto che le donne non dovrebbero fare certi lavori. Ho risposto che sono punti di vista. Non ci faccio neanche più caso, tengo conto solo delle cose belle». Lo dice con il suo modo: leggero, ma mai superficiale. Sembra proprio un consiglio da mamma, o meglio, da “veterana”.
La salutiamo e la lasciamo godersi il suo riposo e la sua cena. Ci dice ancora una volta che lei sta bene, ha tutto nella sua cabina che da ormai venticinque anni è la sua seconda casa viaggiante «e quello che manca è nella borsa, come quella di Mary Poppins». E proprio come la tata più famosa del mondo, Elda non manca mai di strappare un sorriso a chiunque o un consiglio per le nuove, giovavi leve che in lei vedono un esempio.
«Una mamma non si ferma mai: quando torno a casa sistemo, pulisco, cucino, organizzo per quando sarò via. E adesso sono anche nonna di quattro nipoti che cerco di godermi nel weekend. In fondo non conta la quantità di tempo che si trascorre insieme, ma la qualità. Lo dimostra quanto siamo uniti nella nostra famiglia, anche sul lavoro»
Silvia è una delle colleghe che ha partecipato al concorso del Sabo Rosa, in questo articolo è intervistata da Gabriele Bolognini per il sito “Camion & Furgoni Mag” in occasione della Festa della Donna.
E questo è l’articolo che racconta la sua bella storia di bambina che viaggiava col papà e poi ha intrapreso il suo stesso mestiere:
Come celebrare al meglio la “Festa delle Donne” se non raccontando la storia della grande passione di Silvia per il camion?
Silvia ha 49 ed è nata a Conegliano Veneto, fa la camionista da 15 anche se avrebbe voluto iniziare questo lavoro da molto tempo prima.
“La vita a volte ti porta su altre strade – racconta Silvia – da ragazzina scalpitavo, volevo rendermi indipendente, così sono partita per la Germania a fare le stagioni. Ho lavorato nelle gelaterie, nei ristoranti, nelle gastronomie e pure in fabbrica. Intanto covavo dentro la passione per il camion e mettevo da parte i soldi per prendere le patenti. Una grande passione ereditata da mio papà camionista. Sin da piccolina, finita la scuola, mi portava in viaggio con lui sul suo Scania 142.”
“Io ero felicissima. Facevamo l’estero. Ricordo i giorni passati assieme a lui in dogana per andare in Inghilterra quando si incontrava con gli altri colleghi. Era sempre una festa. Poi, purtroppo, i miei si sono separati quando io avevo 10 anni e così sono finiti i viaggi in camion. Papà in quel periodo – erano gli anni ’70 – aveva tentato di mettersi in proprio ma purtroppo le cose non andarono bene, così andò a lavorare per una grande impresa di costruzioni, la Federici, in Africa. Io avevo uno splendido rapporto con lui. Ci scrivevamo sempre. Poi a 14 anni mi fece il biglietto aereo e lo raggiunsi in Algeria. Stavano costruendo il porto di Algeri. Siamo stati qualche giorno insieme poi tornai a casa da mia madre. Dopo quella breve vacanza, una volta diventata maggiorenne, lo andai a trovare molte altre volte. Almeno una volta l’anno mi comprava il biglietto e lo raggiungevo ovunque; Congo, Nigeria, Malawi.”
Patenti e camion
Dopo 10 anni passati in Germania, Silvia decide di tornare in Italia per realizzare il suo sogno di sempre: “Appena tornai a Treviso mi sono iscritta all’autoscuola ed ho preso le patenti. Poi mio fratello mi presentò un suo amico camionista – ricorda Silvia – Ci innamorammo ed iniziammo a lavorare insieme per la stessa ditta. Al tempo facevamo molto estero. Io guidavo uno Scania, proprio come mio papà, e lui un Volvo. Furono anni stupendi. Giravamo tutta Europa: Francia, Germania, Inghilterra…”
Col passare degli anni la famiglia è cresciuta e: “Abbiamo avuto due bambine e ci siamo spostati a Paterno in Basilicata, sua terra d’origine. Per stare vicina alle mie figlie, finché erano piccoline, sono scesa dal camion per fare la mamma. Poi quando sono diventate un po’ più grandi ho ripreso a viaggiare, ma solo sul nazionale con la cisterna.”
Oggi Silvia lavora ora per la Patertrans, società del Gruppo Paterlegno che si occupa di commercio di imballaggi in legno, prevalentemente pallet, nuovi e usati e di servizi per due importanti gestori internazionali di parchi pallet a noleggio. Guida un DAF XF 530 Euro 6 che le è stato assegnato nuovo tre anni fa.
“Patertrans è la seconda società del gruppo che gestisce logistica e trasporti – spiega Silvia – carichiamo pallet usati presso le aziende e li consegniamo alla Paterlegno dove li rimettono in ordine per essere rivenduti. Ritiriamo anche rifiuti in legno che vengono riciclati per la produzione di nuovi pallet. Dopo anni di cisterna, dove non conosci ne sabato, ne domenica, Natale o Pasqua, finalmente sono passata alla centina. Lavoro cinque giorni a settimana ed i weekend li posso trascorrere con le mie ragazze, Dharma, che adesso ha 18 anni e Zoe che ne ha 16. Il titolare della ditta, molto carinamente, mi ha fatto scrivere i loro nomi in rosa su un angolo esterno del frontale del camion. Quando mi hanno consegnato il DAF nuovo mi sono emozionata alla vista dei nomi delle mie bambine.”
Ogni giorno una nuova avventura
“Generalmente lavoro 5 giorni a settimana, il deposito è a soli 17 chilometri da casa mia. Lavoriamo in tutta Italia, da nord a sud, da est a ovest. Si può dire che in ogni viaggio conosco posti nuovi del nostro Paese – racconta Silvia – Capita anche di andare dagli stessi clienti. Quando devo trovare qualche località che non conosco controllo sempre la cartina geografica prima di consultare il navigatore di bordo. Poi cerco di visualizzare la località in modalità satellite per individuare i punti critici, se ce ne sono. A volte capita che dei clienti ti diano un indirizzo per il prelevamento del carico senza rendersi conto che arrivi con il bilico. Una volta mi è capitato vicino Livorno, a Cecina. Mi fecero arrampicare su una stradina di collina in mezzo a un bosco, stretta e sterrata. Avevo i rami che mi entravano in cabina. Una volta arrivata in quello che loro chiamavano piazzale, ho dovuto fare mille manovre per girare il camion in uno spazio estremamente ristretto e senza protezioni sul bordo. Una piccola distrazione e sarei finita sulla scarpata. Ma fa parte del gioco. L’importante è cercare sempre di prevenire determinate situazioni.”
Un camion confortevole come una casa
“Per cinque giorni alla settimana il DAF diventa la mia seconda casa – racconta Silvia – Gli interni dell’XF sono molto curati e c’è un impianto clima da sosta eccezionale. La temperatura si regola anche da un pannellino situato nella parete posteriore della cabina appena sopra il lettino. Quest’ultimo è molto comodo e poi, per me, che sono piccolina, è quasi una piazza e mezzo. Ci sono tanti spazi per stivare i bagagli e tante prese USB per la ricarica del telefono. Poi c’è un bel frigo capiente sotto la cuccetta dove metto le provviste per il pranzo: tutte cose che mi posto da casa. Però la sera per cena vado al ristorante. Anche se non si direbbe vedendomi, sono una gran mangiona e non riesco a rinunciare a un bel piatto di pasta. Quindi, se posso, mi fermo in locali che già conosco, altrimenti in autostrada cerco sempre aree di ristoro Sarni. La loro cucina mi piace molto.”
Lassù qualcuno mi guarda
Il papà di Silvia ora non c’è più: “È venuto a mancare nel 2011 in Congo. Sono sicura che sarebbe molto orgoglioso di me e della mia carriera da camionista. E sono sicura che da lassù mi guarda sempre!”
Jasmine Pojana: «Sono la figlia orgogliosa di un camionista e seguirò la sua strada»
Jasmine vive a Fontaniva, in provincia di Padova, e da che ha memoria è sempre stata in cabina. Prima con il papà camionista e poi, una volta raggiunta l’età delle patenti, alla guida del suo “gigantesco bestione”. Oggi è una delle più giovani aspiranti al premio Sabo Rosa 2023
Di anni ne ha solo 25, ma l’esperienza in cabina è ultraventennale. Come è possibile? Quando si cresce a bordo di un “gigantesco bestione”, come li definiva lei da piccola, è facile finire per innamorarsene e non voler mai più scendere. Lei è Jasmine Pojana, classe 1997 e orgogliosamente autista di camion come suo papà. Una “figlia d’arte” che ha fatto dell’autotrasporto il suo sogno e il suo futuro.
Quanti anni avevi la prima volta che sei salita su un camion?
La prima volta che sono salita in cabina con papà avevo appena tre anni. In pratica, in cabina ci sono cresciuta, perché appena ne avevo occasione viaggiavo con lui, sia sulle tratte nazionali che internazionali. Il ricordo più bello che conservo è di quando mi faceva sedere al posto di guida, mi sentivo importante. È così che è nato il mio desiderio di poter guidare veramente quei bestioni e non ho mai esitato a farlo. Appena ho potuto, a 21 anni, ho preso le patenti e ho iniziato a lavorare con papà.
Com’è lavorare con un genitore?
Non è sempre facile, bisogna far conciliare visioni diverse, per esempio nella gestione dell’azienda, e a volte lo scontro generazionale è inevitabile. L’importante però è sempre trovare un punto di incontro e riconoscere che una volta posso sbagliare io perché ho meno esperienza e una volta può sbagliare lui ad avere una visione meno moderna. In ogni modo, la sua presenza al mio fianco in cabina, soprattutto quando ero agli inizi, è stata fondamentale.
Quando hai iniziato a viaggiare da sola?
Una volta presa la CQC ho capito che era arrivato il momento che iniziassi a muovermi da sola, per capire davvero il lavoro e iniziare a cavarmela anche senza lui accanto che potesse consigliarmi o aiutarmi. E così ho preso il mio trattore con rimorchio telonato e ogni mattina partivo da Fontaniva, dove vivo, in direzione Venezia o Milano.
Perché parli al passato?
Dopo un brutto incidente nel febbraio del 2021 ho vissuto un momento difficile. Fortunatamente mi sono ripresa nel giro di poco e sono rimontata sul camion. Anche se l’incidente ha avuto un forte impatto su di me, ho pensato che ripartire subito fosse la cosa migliore da fare. Invece, qualche mese dopo, mi sono resa conto che avevo bisogno di una pausa e questa consapevolezza è coincisa con un’offerta di lavoro da parte di un’altra azienda di trasporto, che mi avrebbe però portata a lavorare in ufficio. Ho deciso di accettare e per circa un anno sono scesa dal camion. Ognuno ha i suoi limiti, mi sono detta, e io ho scelto di rispettare i miei.
Cosa ti ha spinto a ritornare?
Semplicemente mi mancava il camion. Ho sempre amato il mio lavoro, per quanto sia faticoso, e mi sono voluta rimettere in gioco, dimostrando a me stessa che anche io potevo fare quello che ha sempre fatto mio padre che, tra l’altro, in quel momento aveva bisogno di me. Oggi penso di aver trovato il giusto compromesso: viaggio con ritmi meno sostenuti e faccio tratte più brevi, in zona, e contemporaneamente do una mano in azienda a gestire la parte amministrativa.
Cosa ami di più del tuo lavoro?
Quando apro la porta del camion e salgo in cabina davanti a me si apre un altro mondo, mi sento una persona che ha realizzato un sogno, un obiettivo che mi ero posta. Mi ritrovo spesso a pensare al mio percorso e mi dico «Guarda dove sei arrivata!», nonostante i mille sacrifici e le insicurezze. Ma più di tutto amo la libertà di sentirmi una persona realizzata.
Cosa ti piace di meno invece?
Non ho ancora molta esperienza, ma per quel che ho visto e sperimentato, penso che dovrebbero esserci più strutture in grado di dare alle autiste più servizi, come un luogo sicuro in cui riposare la notte o servizi igienici adeguati. Devo poi ammettere che in strada si vede tanta maleducazione e inciviltà. Quando succede un incidente è facile dare la colpa ai camionisti solo perché guidiamo i mezzi più grandi, ma gli automobilisti spesso non si rendono conto che per noi è più difficile evitare determinate situazioni. Vorrei ci fosse più rispetto per il nostro lavoro.
Qual è per te la cosa più importante in cabina?
Due cose: un sedile comodo, che mi permetta di guidare per tante ore con una buona postura, e spazio a sufficienza, per potermi riposare adeguatamente e per poter portare con me tutto il necessario per un viaggio.
Abbiamo riportato qui nel nostro blog tutte le storie delle trenta partecipanti al quattordicesimo concorso per il “Sabo Rosa” . Manca ormai poco all’assegnazione del Premio offerto ogni anno dalla Roberto Nuti Group, in occasione della Festa della Donna, e che viene conferito a una lavoratrice del mondo dei trasporti. Il “premio” consiste in un esemplare unico dell’ammortizzatore Sabo tinto di rosa e in un pranzo in onore della vincitrice. Come sapete hanno diritto a ricevere il SABO Rosa: autiste di camion, bus, autoscale; meccaniche, dirigenti di aziende di trasporto, dipendenti o lavoratrici autonome in ogni settore della filiera: dalla produzione alla ricambistica, passando per la logistica.
Quest’anno sono veramente tante le partecipanti, sperando che sia un segno che la presenza femminile nel mondo dell’autotrasporto – sia di merci che di persone – sta aumentando, facciamo a tutte l’augurio di essere la vincitrice.
Anche se, per noi, sono già tutte vincitrici: per la passione che mettono nel proprio mestiere e per la grinta e la determinazione a superare tutti gli ostacoli e i pregiudizi che purtroppo ancora ci sono, anche se grazie a una presenza sempre maggiore di donne al volante le cose stanno pian piano migliorando. Auguri a tutte le colleghe e buona strada sempre!
Attività: Autista di camion e autobus Residenza: Nizza Monferrato (AT)
Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
L’ho capito a 18 anni, quando mi sono fidanzata con mio marito, che ha un’azienda di autotrasporto. Così ho cominciato a viaggiare assieme a lui, oltre i confini nazionali. Da sempre ho la passione per i motori e la meccanica, compravo motorini, motociclette, l’apecar, ma da quel momento l’idea di prendere la patente di guida per i camion ha guadagnato una ragione in più.
Oggi sono conducente di autobus, per la Bus Company di Cuneo, e sono l’unica donna in città che guida un autosnodato, sia nelle tratte urbane sia in quelle extraurbane.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Ho visto il post su Facebook e mi sono incuriosita. Ho deciso di iscrivermi perché è una bella iniziativa dedicata alle donne autista.
Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?
Ogni lavoro ha i suoi pro e contro. Guidando l’autobus mi piace l’idea di essere in giacca e cravatta e di avere orari certi, cosa che ad esempio non capita quando si guidano i camion. È anche vero che si hanno molte responsabilità, trasportando persone, e ci sono tempi che non è sempre facile rispettare perché si guida nel traffico cittadino. Però è un lavoro che mi gratifica e piace molto.
Un altro bel articolo che racconta la storia di Gloria, la nostra amica e collega in concorso per il Sabo Rosa 2023, i suoi sogni, la sua passione per i camion, con tante belle fotografie, lo trovate sul Corriere di Romagna.
Una 26enne di Cesena in corsa per il titolo di camionista dell’anno – Gallery
Perito informatico, specialista nella cura e ricostruzione delle unghie e… In corsa per diventare la camionista dell’anno.
Passioni completamente diverse quelle che caratterizzano la cesenate 26enne Gloria Benazzi.
«Passioni che sono nate in ordine inverso rispetto a come si sono sviluppate nella mia vita – racconta al telefono da Conegliano, città dove ora vive col fidanzato – Il mio cuore batte prevalentemente per i camion e per guidarli. Anche perché in mezzo ai Tir sono cresciuta fin da piccola nell’azienda che era gestita da mio padre».
Attualmente la 26enne romagnola è in lizza tra le trenta autotrasportatrici italiane che si giocheranno il “Sabo Rosa”: ovvero il titolo di camionista dell’anno.
Un destino quasi inevitabile finire in questo concorso per lei, donna e amante di un lavoro e di veicoli che storicamente sono più legati al genere maschile.
«In provincia c’è chi ricorderà la Benazzi Trasporti. Era la ditta di mio padre, una ditta che ora non c’è più. Ma è il luogo che fin da piccola mi ha fatto crescere in mezzo ai camion. Inevitabile che mi innamorassi di questo lavoro. I camion e la Romagna, anche se la vita poi mi ha portato per ora altrove, fanno parte costantemente del mio essere. Conosco bene Fabio Vignali (dell’omonima ditta di Bertinoro, ndr) e ci ho già portato “in visita” il mio ragazzo. Fa anche lui l’autotrasportatore e sa già che il nostro futuro sarà all’insegna dei camion in Romagna».
E dire che il cammino di Gloria sembrava essersi avviato in maniera molto diversa. Anche se ancora in un ambiente prevalentemente maschile. «Ho fatto l’Iti al Pascal. Indirizzo informatico. Chiaramente ero l’unica femmina in classe. Una scuola che mi è piaciuta anche se, nel cassetto dei rimpianti, c’è il non aver fatto l’indirizzo elettronico. Magari con i camion mi sarebbe stato più utile rispetto all’informatica. Comunque non sono del tutto a secco di certe tematiche. Se c’è da mettere mano a fili e collegamenti riesco abbastanza bene; e quando serve mi metto all’opera».
Basta guardare le decine di foto sui social network di Gloria Benazzi per notare anche mani davvero molto curate: qui emerge la sua ulteriore passione.
«Ho preso la patente del camion quasi subito, a 21 anni. La ditta di mio padre non c’era più e mi ero trasferita a Bologna dove, con una collega, ho aperto ed abbiamo condiviso un centro estetico. La mia specialità sono i trattamenti alle unghie. Il centro estetico è stato aperto per sei anni. Poi mi si è presentata un’occasione che non potevo rifiutare».
Gloria è risalita in cabina. «In Olanda mi è stato offerto di stare costantemente alla guida dei camion. Per una azienda che si occupa di trasporto fiori e carne. Un’esperienza bellissima che mi ha fatto notare anche quanto sia impegnativa la vita sul camion e le problematiche che si devono affrontare quotidianamente in viaggio».
Gloria è proprietaria anche di uno Scania 143 d’epoca, che coccola come tutti i collezionisti fanno con il loro oggetto più prezioso. «Adesso vivo a Conegliano con il mio fidanzato. Ho riaperto un centro estetico con l’idea di affidarlo comunque ad una dipendente. Perché contemporaneamente faccio il jolly per aziende di autotrasporti che a chiamata mi fanno fare viaggi. Quando c’è bisogno. Ma comunque la mia intenzione è tornare in Romagna. E, come il mio ragazzo, fare costantemente la vita in cabina».
Attività: autista di furgoni Residenza: Pietra Ligure (SV)
Quando hai capito che quello dei camion sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
Fin da quando ero bambina la guida mi è sempre piaciuta. Se devo trovare un responsabile di questa passione, è certamente mio nonno, che mi faceva sedere accanto a lui mentre guidava e mi faceva “dare una mano” quando c’era da fare qualche lavoro al motore. Così ora guido un furgone per le consegne della spesa a domicilio per alcuni supermercati del territorio. Io vivo a Pietra Ligure e la mia zona va da Finale Ligure a Ventimiglia. A volte mi capita di viaggiare da Imperia a Finale anche tre o quattro volte al giorno. Ma è un lavoro che mi piace molto. Nel tempo libero mi dedico al volontariato, guidando un’ambulanza e un’automedica per le emergenze.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Ho visto il post sfogliando Facebook e penso sia un’iniziativa molto bella per l’universo femminile. Fino a pochi anni fa non si parlava delle donne autista. Invece è importante che questa parte del mondo del lavoro emerga perché le donne al volante sono molto brave, attente e precise. Per esempio, quando quattro anni fa sono stata assunta dalla ditta per cui lavoro, ero l’unica donna in servizio. Tanto che all’inizio ci furono scommesse su quanto avrei resistito: quelli più ottimisti mi davano un paio di mesi. Ad oggi ho visto passare tantissimi uomini che hanno rinunciato al lavoro perché troppo pesante e faticoso, mentre io continuo senza problemi. Anche per i capi è stata una sorpresa ma dopo di me hanno iniziato ad assumere altre ragazze.
Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?
Il lato positivo è che non si sta chiusi in un posto e anche se si percorre la stessa strada, si notano sempre cose nuove e si incontrano tantissime persone. I lati negativi non sono tanti e per lo più sono irrilevanti. È chiaro, si lavora in mezzo al traffico e agli imprevisti, ma credo che i problemi nella vita siano altri.
Camionista dell’anno: tre donne trevigiane in corsa per il titolo
Una guida tir, due autobus, macinano migliaia di chilometri l’anno
Sono 30 le lavoratrici nella filiera dei trasporti che si sono candidate alla 14esima edizione del Sabo Rosa. Si tratta del riconoscimento che, in occasione della Festa della Donna, viene conferito alla “Camionista dell’Anno” durante la cerimonia, che si svolgerà martedì 7 marzo
Promotore dell’iniziativa, il Roberto Nuti Group, importante realtà industriale internazionale fondata nel 1962 a Bologna, leader nei ricambi e nei componenti nel settore del veicolo commerciale, ferroviario e agricolo. La “Camionista dell’Anno” riceverà un esemplare unico dell’ammortizzatore Sabo con la livrea rosa.
Sette le venete e tre le autiste trevigiane in corsa per il titolo.
GLORIA BENAZZI
Attività: autista di camion. Residenza: Provincia di Treviso
gloria benazzzi
“Fin da piccola il mio papà mi portava con sé in camion e nella sua azienda di trasporti. Più il tempo passava, più aumentavano i chilometri che facevo con lui, più io mi sentivo nel mio mondo, nella mia isola felice. Quei tre scalini mi portano sempre nella mia isola di pace. Dopo il diploma ho lavorato in ufficio, nella gestione logistica dei viaggi, fino all’età in cui ho potuto prendere le patenti superiori. All’inizio dello scorso anno ho deciso, assieme al mio compagno, di affidarmi a un’impresa che fa trasporti all’estero: abbiamo viaggiato quasi un anno in Germania e Olanda, portando fiori e carne appesa. Un’esperienza che da un lato mi ha permesso di guidare per tantissimi chilometri, ma dall’altro mi ha sconfortato, perché eravamo sempre in giro e spesso ci trovavamo in situazioni di vero disagio. Così ora faccio trasporti giornalieri per aziende del mio territorio. E non rinuncio al sogno di aprire un’azienda di trasporti mia, anche se in tanti mi dicono che oggi non conviene.”
ADRIANA CAVERZAN
Attività: autista di autobus. Residenza: Treviso
adriana caverzan
“Quando ero in quinta elementare la maestra ci chiedeva cosa avremmo voluto fare da grandi. Io rispondevo sempre che il mio sogno era di diventare conducente di autobus. E così è stato. Ho sempre avuto una grande passione per i viaggi in pullman e in corriera, tanto che prima dei 21 anni avevo già seguito i corsi di teoria e, non appena ho avuto l’età giusta per fare anche l’esame di guida, ho preso la patente D. Oggi sono conducente di linea urbana a Treviso, per l’azienda Mobilità di Marca, e quando occorre, faccio anche qualche corsa extraurbana.”
LIDIANA RIZZANTE
Attività: Autista di autobus. Residenza: Preganziol (TV)
lidiana rizzante
“Gli autobus mi sono piaciuti fin da bambina. Il mio papà era un autista e, in famiglia, sia io sia mio fratello abbiamo seguito le sue orme. È un lavoro che amo molto, anche se negli ultimi tempi è cambiato rispetto al periodo in cui guidava mio padre, quando l’autista era una figura che si rispettava. Guidare mi piace e lo faccio sempre col sorriso, salutando tutte le persone che salgono a bordos. Bisogna essere positivi e gentili. Io però dico sempre: “Al mattino indossa un sorriso, va sempre di moda”. Da ottobre 2022 sono autista della linea MOM (Mobilità di Marca) urbana ed extraurbana di Treviso, a volte verso i comuni limitrofi e altre guidoi fino a Venezia. È un lavoro molto vario, posso dire che non ci si annoia mai.”
Il premio
Il Sabo Rosa è stato istituito nel 2010 e, finora, è stato consegnato a una campionessa di cronoscalata (nonché autista del camion che ospita la vettura da corsa), una vigile del fuoco autista di autoscale, una conducente di pullman, alla titolare di un’officina meccanica e a otto camioniste: due bolognesi, una livornese, una modenese, una lombarda, una altoatesina e tre provenienti dal Veneto. Chi sarà la prossima a festeggiare l’8 marzo con il prestigioso “esemplare unico” riservato all’autista dell’anno?
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...un gruppo di amiche/colleghe camioniste che hanno deciso di viaggiare anche in rete! ...e di trovarsi in questo "Truckstop" x condividere la propria passione x il camion!
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