Un articolo di qualche anno fa che racconta la storia di una delle prime camioniste francesi: Lilyanedetta “Fantastique“. Una pioniera del mestiere che ha dovuto affrontare l’ostilità di alcuni colleghi dell’epoca, ma che non si è mai arresa ed è riuscita a fare il mestiere che sognava! Una grande donna che vincendo i pregiudizi ha aperto la strada alle colleghe arrivate dopo di lei alla guida di un camion.
Lilyane Slavsky se souvient avec émotion de ses années passées sur les routes de France.
« Fantastique » s’inscrira à l’avant du camion.
Elle n’a jamais renoncé à la jupe et aux talons.
Lorsqu’elle nous ouvre le portail de son jardin, c’est en robe et collier de perles, un âne pendu à ses basques. A « 79 ans, bientôt », Lilyane Slavsky n’a rien perdu de sa superbe, fidèle au mythe « Fantastique », ce surnom hérité de Max Meynier (lire ci-contre) dans les années 70. La Solognote sillonne alors les routes de France au volant de son 35 tonnes.
Une pionnière “ poids lourd ”
Elle est l’une des premières femmes à avoir embrassé la profession de chauffeur routier, hors cadre familial et avec un vrai contrat de travail. Loin de se fondre dans la masse masculine, Lilyane Slavsky affirme sa féminité avec force. La revendique, même, en grimpant sur le marchepied de son semi-remorque en petit tailleur et talons hauts. « De 10 cm, mes talons ordinaires »,précise-t-elle. « J’ai toujours été féminine et je n’ai jamais porté un pantalon de ma vie ».
Comment est-elle devenue Fantastique ? A l’écouter, c’était une évidence. « Déjà toute petite, les camions étaient ma passion, la mécanique, l’odeur de gazole, j’ai toujours aimé ».Fille d’agriculteurs romorantinais, Lilyane Slavsky n’attendra d’ailleurs pas bien longtemps pour conduire son premier camion. En 1957, « j’avais rencontré un chauffeur qui m’emmenait à Paris pour voir une amie. C’est là que j’ai appris à conduire »,retrace-t-elle.
Sa carrière démarre dans un bureau de l’armée de terre, mais dès que l’occasion se présente, elle accompagne son mari, routier évidemment. « C’est moi qui conduisais le camion la nuit, mais ça le patron ne le savait pas », glisse, malicieuse, celle qui passera finalement son permis poids lourd en 1964. Son premier contrat tombe finalement en 1974, chez Onatra à Roissy. Au volant de sa citerne de gaz comprimé, elle approvisionne les centrales nucléaires, abattoirs et hôpitaux du territoire. Pendant ces 10 années, Fantastique se forge un nom, ou plutôt le surnom qui ne la quittera plus jamais. « Personne ne connaissait mon vrai nom », assure d’ailleurs Lilyane Slavsky. « Ma notoriété a commencé à monter ».
“ Les femmes, ça m’emmerde… ”
A elle la liberté, l’indépendance, l’autonomie. Mais aussi les premières déconvenues. Si certains chauffeurs précurseurs lui lancent des « une femme comme toi qui conduit des camions je trouve ça fantastique ! », la misogynie n’est jamais bien loin. « On m’a fait beaucoup de misères à l’intérieur de l’entreprise, mais je n’ai rien dit et ça a fini par passer »,confie-t-elle près de quarante ans plus tard. Les actes ont parfois dépassé les paroles : « On m’a envoyé deux fois au fossé, débranché mes tuyaux de gazole, inversé les flexibles de freins, volé mes batteries », égrène-t-elle, certainement renforcée dans sa volonté inébranlable de s’imposer dans le métier. Lorsqu’elle se présente pour trouver un emploi chez le Breton STG, la réponse est des plus directes. « Les femmes ça m’emmerde, mais je prends le risque »,s’entend-elle dire. Lilyane Slavsky y restera 7 ans. « On était 600 chauffeurs, j’étais la seule femme »,replante-t-elle le contexte de l’époque.
Lorsque son père tombe malade, en 1990, Fantastique décide de tout quitter pour revenir au pays, s’occuper de ses parents en fin de vie. Ses rêves de longs trajets, restent alors bien enfermés, jusqu’à ce que Philippe Janvier, transporteur à Vernou-en-Sologne, ne lui demande de reprendre du service pour assurer des transports saisonniers vers l’Allemagne. Ce qu’elle fera jusqu’à 70 ans. L’heure de couper le moteur, d’oublier l’odeur de gazole, les arrêts en bord de route, les manœuvres périlleuses. En partie, car Lilyane n’a jamais oublié Fantastique : « Toutes les nuits je rêve que je suis en camion, que je suis sur la route ».
Elia per 25 anni svolge un lavoro inusuale per una donna. Per caso e per passione, la sua è la storia di una donna camionista che con coraggio supera brillantemente una grande sfida.
I sogni di Elia
Alta 150 cm con un peso di 46 kg, il suo sogno fin da piccola è sempre stato guidare un camion, essere una donna camionista, almeno una volta nella vita. Nonostante i tanti amici proprietari di un camion, nessuno le dà fiducia e le permette di realizzare il suo desiderio. Tutti deridono alla sua richiesta perchè è donna, inoltre è troppo leggera e troppo fragile per poter gestire l’immenso e pesante, per lei, volante del camion.
Elia, con le sue origini contadine, finisce le scuole dell’obbligo e intanto lavora a domicilio incollando suole di scarpe per mettere da parte i soldi per gli studi. Ma il suo papà non vuole, pensa che non può farcela alle superiori, le “scuole alte”, coontinuando anche a lavorare. Poco prima di compiere 18 anni si iscrive alla scuola guida in un paese vicino ad Arcevia, posto in cui abita da ragazza. Al compimento dei 18 anni supera l’esame di teoria e la guida pratica e ottiene la desiderata patente B per guidare l’auto ed essere indipendente: quello che le fa battere il cuore è guidare, guidare, qualsiasi cosa.
Elia incontra l’amore
Con la maturità inizia un periodo molto bello per Elia: ha la patente ed è innamorata di un ragazzo speciale che, come dice lei “le parla direttamente al cuore”. Lui ha il diploma di liceo classico e conosce il latino, il greco e soprattutto la filosofia. Elia si sente un po’ più istruita ad ascoltarlo parlare di Aristotele, Platone e Socrate. Questo ragazzo diventa il marito di Elia, il padre dei suoi figli ma anche quello che le suggerisce la soluzione per realizzare il suo sogno: prendere la patente C!
Riuscirà Elia a realizzazione il suo sogno?
Sì, Elia è una donna che non molla e si iscrive nuovamente a scuola guida. Pensa che per prendere la patente devono necessariamente farle guidare un camion. Supera un difficile esame teorico e finalmente, eccola, con le gambe tremanti, gli occhi lucidi, le spalle strette per un po’ di paura, sale su un camion e questa volta, per la prima volta, non sul sedile del passeggero ma in cabina di regia: inizia così la sua prima lezione di guida da camionista.
Giorno dopo giorno, lezione dopo lezione, la sua patente di arricchisce della lettera C. Ha superato l’esame con i complimenti dell’esaminatore per aver guidato in modo eccellente un vecchio camion con il doppio cambio non sincronizzato e diventa così una donna camionista.
La passione di Elia diventa un’opportunità di lavoro
Intanto Elia sente il bisogno di cambiare lavoro di operaia calzaturificia. Avrebbe voluto lavorare in campagna con il padre, perchè la natura è un’altra delle sue passione, ma il padre non glielo permette. È una donna e in quel contesto decidono gli uomini. Vive momenti difficili, ansie, paure, incertezza. Cerca altri lavori, colloqui, presentazioni, strette di mano, ma i tempi sono difficili e nulla si concretizza in opportunità di lavorare.
Chiede ad amici, a parenti, a conoscenti, al panettiere e all’edicolante sotto casa. Cerca cerca. Un giorno il marito di Elia viene a sapere che nella sua azienda hanno bisogno di un camionista, sì al maschile, perché nell’immaginario collettivo la figura della donna camionista non esiste, né per passione né per caso.
Elia si divide tra la famiglia e il lavoro di camionista
Ma Elia le ha entrambe e decide di provarci. In una calda e afosa mattina di luglio si presenta al suo nuovo lavoro, il suo primo viaggio per un carico di grano, con in tasca un pezzo di carta rosa, con su la lettera C. Il suo nuovo datore di lavoro alla vista di Elia strabuzza gli occhi, non ci crede. Pensava che fosse un uomo, Elìa. L’accento l’ha tratto in inganno. Ma Elia lo convince, guida il camion al meglio che una persona può fare, è sveglia, simpatica e ha passione per questo lavoro. Diventa “Elia la donna camionista”. Così si licenzia dall’azienda e inizia la carriera di camionista.
Dopo poco nasce il suo primo figlio e 13 mesi dopo la sua seconda bambina. Concilia così il lavoro di camionista con l’essere mamma. Difficile ma ci riesce.
Un regalo insolito di san Valentino
Solitamente per il giorno di San Valentino il marito le regala un mazzo di fiori accompagnato da una poesia. Quell’anno arriva alla sua porta un regalo insolito: un autotreno, cioè un camion con rimorchio. Lei ha 23 anni e il camion è più vecchio di lei di 3 anni, la guida a destra e un enorme volante color avorio. Per guidarlo occorre però la patente E, e quindi la nostra Elia si riscrive per la terza volta a una scuola guida e la prende. Ricorda le parole dell’esaminatore: “che cosa mi tocca fare oggi, dare la patente per il rimorchio a una donna”. Da qui comincia la storia di Elia la camionista “padroncina” del suo camion.
Il lavoro di donna camionista come via di fuga
Per Elia quel lavoro da camionista è anche una via di fuga. Vive con il marito e i figli, vicino a genitori e suoceri. La vita privata della giovane coppia è minacciata dall’invadenza dei genitori intorno. Elia capisce che rischia di litigare col marito e rovinare quella che è una bellissima storia d’amore. Capisce anche che negli anni ‘80 avere un marito che si fida a mandarla in giro in mezzo a camionisti è una gran fortuna ma anche una possibilità di mantenere saldo il loro rapporto di fiducia. Svolge questo lavoro per diversi anni. In un ambiente non proprio facile. Deve imparare a difendersi ma soprattutto a farsi accettare e riconoscere. E questo impara a farlo. In fondo è una donna camionista per caso ma anche per passione, non ha alcuna intenzione di mollare.
La parola camionista declinata al femminile
Adotta una strategia: rimanere concentrata su se stessa, non perdere fiducia in quello che è e che fa e, soprattutto, ricordarsi di essere una donna, oltre che camionista. Elia racconta: “nei primi mesi da autotrenista incontro una camionista che va addirittura all’estero, nella ex Jugoslavia. Io l’ho incontrata a Ravenna e mi ha dato subito dei consigli che per me sono diventati un Vangelo, tra cui uno: ricordati sempre che sei una donna! Vero. Ho rischiato di dimenticarlo. Una volta vedo un’altra camionista piccola come me nel piazzale di carico e d’istinto dico ai miei colleghi: “guardate c’è una donna su quel camion!” Ricordo ancora la gran risata e la risposta: “noi la vediamo tutti i giorni!!”
La “farfalla di Ancona”
Il camion di Elia è indicato come “il camion senza autista”, perchè è così piccina che quando lo guida non la si vede. Nel gergo dei camionisti lei è chiamata la “farfalla di Ancona” perchè è l’animale più leggero dell’aria in contrapposizione al camion che è un mezzo pesante.
La nostra Elia, ricca di passione, riesce così a capovolgere la semantica della parola camionista: può essere declinata al femminile perchè può essere un lavoro svolto da una donna, una donna leggera e comune, ma anche tanto straordinaria.
“Ricordate la storia di Laura Mihaes, quella che aveva come protagonista la giovane camionista romena costretta a licenziarsi per l’assurda rinegoziazione del contratto, con proposta di portare la paga a 7 euro l’ora, e a sopportare il bullismo dei propri colleghi?
Ebbene Laura, con forza di volontà e coraggio, non si è lasciata abbattere e finalmente, grazie alla segnalazione di un collega, ha trovato un nuovo datore di lavoro: «Ora, non solo vengo pagata il giusto – dice Laura – ma lavoro in un ambiente più sereno. Anche se sono l’unica donna autista in azienda e con poca esperienza (Laura, lo ricordiamo, guida il camion da nemmeno un anno – ndr), i nuovi colleghi si sono dimostrati molto gentili e comprensivi».
Ma non è soltanto l’ambiente a convincere Laura, ma anche il tipo di lavoro e il veicolo con cui lo svolge. «Mi hanno affidato un bel camion, un Iveco Stralis XP. Faccio la media linea e trasporto prodotti ortofrutticoli da Roma alla Unilog di Bolognacon un bilico. Lavoro cinque giorni alla settimana e mi capita anche di dormire fuori tre o quattro notti, ma per me questo non rappresenta un problema: l’”hotel Stralis” è abbastanza comodo. Qualche volta partiamo da Roma in tandem con un collega, una persona molto garbata e cordiale. Anche il personale della Unilog è molto gentile con me. Mi aiutano soprattutto con la compilazione delle bolle di consegna, che sono ancora un mio punto debole. Inoltre, non mi devo preoccupare del carico o dello scarico del camion perché se ne occupano sempre loro, sia a Bologna che a Roma. Io, in pratica devo solo guidare».
Insomma, la storia di Laura sembra aver preso una giusta piega. L’augurio è che il mondo a cui si affaccia con tanto entusiasmo la ripaghi in modo soddisfacente per la caparbietà e la passione messe in campo. Auspicio che vale non solo per lei, ma per tutte quelle ragazze che avranno voglia e interesse ad affacciarsi al mondo del trasporto. Che lo possano fare ad armi pari e, magari, contribuendo a rendere questo settore più confacente alle esigenze di tutti. Degli uomini e delle donne. Perché i diritti e la dignità non sono prerogative di genere, ma punti fermi da “caricare” sempre con sé.”
E’ passato tanto tempo da quando ho conosciuto Agata. E’ stato al GP truck di Misano Adriatico nel 2001, allora lei era poco più che una ragazzina, minuta ma con una grinta da vera combattente, voleva realizzare il suo sogno di fare la camionista e ci stava riuscendo. Ai tempi guidava uno Scania motrice, ci siamo incontrate di nuovo un giorno di luglio a Dalmine, questa è una delle foto ricordo più belle che ho.
Da allora sono passati tanti anni e tanti chilometri sotto le ruote dei nostri camion… tante cose sono cambiate, la vita va avanti, ma il camion dal cuore non ce lo toglierà mai nessuno.
Auguri Agata, eri CB “Bimba” quando ti ho conosciuta, poi sei cresciuta, ti sei sposata (col camion!) hai girato tutta l’Europa col bilico, hai avuto tre splendidi bambini e anche tanti riconoscimenti alla tua “carriera” di lady truck driver, da quando ti intervistavano perchè eri la camionista più giovane d’Italia al Sabo Rosa, hai partecipato a tante iniziative del nostro gruppo, sei sempre stata una di noi!
Il mio regalo per te oggi sono queste fotografie – in ordine sparso – degli anni passati, quando ci si trovava ai raduni in compagnia di amici e colleghe, per ricordare i giorni felici e per risvegliare, spero, dei bei ricordi!
Il “Sabo Rosa” edizione 2020, premio istituito dalla Roberto Nuti Group in occasione della ricorrenza dell’8 di marzo, quest’anno è stato assegnato alla collega camionista Stefania Bartolini da Imola a cui vanno tutti i nostri complimenti e l’augurio di buona strada sempre!
Qui il link dell’articolo dal sito ufficiale della Roberto Nuti Group:
Sabo Rosa, la Camionista dell’Anno 2020 è Stefania Bartolini
Si chiama Stefania Bartolini, e vive a Imola in provincia di Bologna, la vincitrice dell’undicesima edizione del premio Sabo Rosa, dedicato, nella ricorrenza dell’Otto Marzo, alle donne che lavorano nella filiera del trasporto pesante: dalla guida alla logistica, passando per le officine e i ricambisti.
A scegliere la vincitrice, sulla base delle candidature pervenute attraverso il Web, e in seguito a una votazione online, è stata una giuria composta dalle dipendenti del nostro Gruppo. Alla consegna del premio, avvenuto nella nostra sede centrale a Castel Guelfo di Bologna, erano presenti le numerose dipendenti, assieme a Elisabetta Nuti, direttore finanziario del Gruppo e presidente della giuria.
“Quest’anno il voto online e la giuria hanno concordato nell’assegnare il Sabo Rosa a Stefania Bartolini per celebrare una carriera che nasce dalla passione e cresce con il riconoscimento di un lavoro ben fatto – ha sottolineato Elisabetta Nuti -. Grazie all’undicesima edizione del Sabo Rosa abbiamo conosciuto una donna tenace ed energica che, fin da giovanissima, ha seguito le parole del padre che sempre le ha consigliato di ascoltare il cuore. Stefania Bartolini è un esempio da seguire in un mondo, quello del trasporto merci, che deve ancora percorrere molta strada verso la parità di genere”.
Stefania Bartolini guida il suo camion nell’azienda di famiglia, che ha aperto assieme al marito, e che si occupa di trasporti per i comparti agricolo e delle ceramiche. Una carriera, quella della “Camionista dell’anno 2020”, iniziata in giovane età e che l’ha vista crescere con forza di volontà e tenacia. “Ho cominciato a guidare i camion a 19 anni – racconta Stefania Bartolini -, quando chiesi di poter provare a trasportare la frutta per il magazzino in cui lavoravo già da un paio d’anni come carrellista. Presa la patente C e salita sul camion non sono più scesa – scherza Bartolini -. Per me è davvero una grande passione. Quando sono al volante del mio camion mi sento bene. È un lavoro che mi fa sentire libera e forte”.
Una passione nata quasi in famiglia, con il padre ruspista e un cugino, Andrea Bartolini, appassionato di moto tanto da diventare campione del mondo di motocross. “Per me, oggi, essere rispettata come camionista, da tutti i colleghi e dalle persone che frequento per lavoro, è un grande traguardo e una grande soddisfazione – spiega Stefania Bartolini -. Abitando in una piccola frazione nella campagna imolese, l’idea che mi piacesse guidare i camion e che volessi intraprendere quella carriera, non era visto di buon grado e molti mi prendevano in giro per questo mio sogno. Mio padre Mario, invece, mi ha sempre detto di fare quello che mi piaceva e di seguire il mio cuore e di non ascoltare le chiacchiere”.
Dopo aver lavorato a lungo nell’azienda ortofrutticola dei Fratelli Cenni, per i quali trasportava la frutta dal mercato di Bologna ai magazzini, caricando e scaricando le casse da sola, Stefania Bartolini decide di prendere la patente E e di acquistare un camion scarrabile (il cui cassone può essere scaricato completamente dalla motrice o dal rimorchio che lo trasporta, ndr) e di mettersi in proprio. “Con mio marito, Fabio Borellini, abbiamo deciso di aprire una nostra impresa – continua la Sabo Rosa 2020 -, e oggi trasporto merci per aziende agricole, ceramiche e manifatturiere, muovendomi fra le provincie di Piacenza e Ravenna. I primi tempi di guida del bilico avevo un po’ paura di essere giudicata, dai colleghi”.
Stefania Bartolini oggi è una donna che ha realizzato il suo sogno in un mondo, quello del trasporto pesante, da sempre appannaggio degli uomini. “Quando arrivavo nelle aziende, per il carico e scarico, temevo di fare qualche errore – racconta Stefania Bartolini -. Invece mi sono sempre trovata bene, sia nelle manovre sia nei rapporti umani, e gli uomini con cui lavoro mi hanno sempre stimata È una questione di come ci si pone nei confronti delle persone – prosegue Bartolini -. Vedere che i colleghi che incrocio per strada hanno stima di me mi fa sentire bene e mi fa crescere ogni giorno di più, facendomi prendere sicurezza. Sul lavoro ho sempre fatto da sola perché la mia scuola di vita è questa. Però sono felice quando i colleghi mi danno una mano, o si offrono di aiutarmi, se mi vedono in difficoltà. So che non lo fanno perché sono una donna ma perché faccio parte di un gruppo e in gruppo ci si dà una mano”.
Questa tenacia e forza di volontà l’hanno portata, oggi, a ricevere l’ambito Sabo Rosa, lo speciale ammortizzatore in edizione limitatissima poiché creato appositamente una volta all’anno, che celebra ogni anno l’impegno delle donne che lavorano nel trasporto pesante. “Per me è una soddisfazione grandissima – commenta Stefania Bartolini -, che viene dal fatto che mi è stato riconosciuto il grande impegno che metto nel lavoro. È una vita che faccio questo mestiere, difficile e bellissimo, e finalmente mi posso togliere qualche sassolino dalle scarpe nei confronti di quelli che mi guardavano con aria di sufficienza o perplessità quando dicevo che avrei fatto la camionista. Per questo ringrazio mio padre, che mi ha sempre sostenuto, e Alessandra Lucaroni, la precedente vincitrice del Sabo Rosa, che mi ha convinta a partecipare, consapevole dell’amore che metto in questo lavoro”.
Chissà perchè non si riesce a superare lo scoglio dei lavori “maschili” e di quelli “femminili”… e chissà perchè le donne che fanno uno dei cosiddetti lavori maschili stupiscono ancora e soprattutto chissà perchè le donne che guidano i camion ci sono sempre quando vengono fatte inchieste su questo argomento!
Ho trovato questo bell’articolo di Beatrice Barbato nel web, è del mese scorso:
Ne pubblico anche l’estratto dedicato alla collega Claudia:
«Non chiamateci maschiacci».
Storie di donne che fanno lavori da uomini
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In nome della libertà
Parte da Ancona alle 23 e arriva a Carpi al mattino, percorrendo circa 700 km ogni giorno. Claudia Trucker, 30 anni e un nome d’arte forte come lei. Guida mezzi pesanti da quando ne aveva 20 ma a detta sua sul camion ci è nata. Ha imparato ad amare questo mestiere grazie alla madre che «ha aperto lo spartitraffico della situazione».
Così l’ho intervistata di notte proprio nel suo ambiente ideale. «Ho deciso di coprire questo turno forse per evadere. La notte ci si nasconde quasi». Ma Claudia è una ragazza che difficilmente passa inosservata. Mora, folti capelli ricci e decine di tatuaggi che la vestono come una seconda pelle.
Attualmente Claudia lavora come corriere espresso per una grande flotta di trasporto merci.
«Una donna per fare la metà di quello che fa un uomo lo deve fare bene il doppio. In questo lavoro vieni osservata continuamente, sai di avere gli occhi puntati su di te e il margine di errore deve essere minimo. È per questo che spesso cerco di mantenere un profilo basso anche a livello comportamentale, di spiccare poco tra gli altri, proprio per evitare di essere messa al centro dell’attenzione più di quanto non lo sia già. Mia madre mi ha sempre detto di fare le cose per bene, a modo e a ritmo mio, per evitare di essere criticata. Perché non giudicheranno quello sbaglio come di consueto, ma come un errore da donna».
Il camionista è sempre stato un mestiere piuttosto diffuso in Italia, ma le donne al
volante sono ancora poche. Sempre meno giovani decidono di intraprendere questa strada, perché se un tempo, oltre alle soddisfazioni personali, portava anche quelle economiche, oggi non è più così. Prendere tutte le patenti necessarie ha un costo che si aggira tra i 4.000 e i 6.000 euro (tra corsi di formazione, esami, abilitazioni e rinnovi). A ciò si aggiunge la concorrenza straniera che offre autisti a un prezzo più basso. Il risultato è che, in questo settore, l’età media è molto alta e lo scetticismo verso camioniste donne è piuttosto diffuso.
«Una volta, per esigenze aziendali, mi è capitato di dover viaggiare con un collega. Durante quel viaggio ha avuto grandi difficoltà nel fare una manovra e, pur di non chiedere aiuto a me, si è rivolto a un altro autista. In quell’occasione, grazie alla mia sensibilità femminile, ho fatto finta di niente, ma ho lasciato che parlassero i fatti per me: poco dopo mi sono trovata a fare quella stessa manovra, ma senza problemi».
Alzi la mano chi non ha mai sentito (o pronunciato) quell’odioso detto sulle donne al volante. È lì, nascosta tra quei pregiudizi, che il vero affrancamento vacilla.
«Spesso mi è stato detto che sembro un uomo, a volte persino che sono meglio di un uomo, come se fossero complimenti, come se dovesse obbligatoriamente essere migliore di una donna. Per non parlare delle allusioni sessuali.
Qualsiasi gesto, sorriso o parola può essere fraintesa. Il segreto è crearsi uno scudo. Preferisco passare per una persona dura, scontrosa, a volte persino antipatica, per evitare di incorrere nella malizia e nella volgarità di molti uomini. Bisogna tirare il freno a mano prima che si possa andare a sbattere contro tutto questo».
Nonostante la sua giovane età, parlando con Claudia, si ha la sensazione di avere a che fare con con una persona che ha vissuto molti più anni di quelli che ha. E fa capire quanto una passione possa essere così forte e pericolosa allo stesso tempo.
«Il mio è un lavoro invadente. Condiziona non solo la giornata, ma anche la vita privata. Limita i rapporti di amicizia e molto spesso ci si ritrova soli, perché non si
viene capiti.
A lungo andare può logorare, soprattutto se penso che la vita è una e l’ho dedicata totalmente a questo. Ma ti aiuta anche ad apprezzare di più il tempo che hai a disposizione. Da poco convivo con il mio compagnoed è bello sapere che, quando torno a casa, ho qualcuno che mi aspetta».
Sempre da Youtube un canale dedicato interamente alle “Trucker Babes“, le camioniste (e non solo) tedesche (e non solo), è una serie TV che viene riportata in spezzoni in questo canale:
Questa sera vi rinnovo l’invito a partecipare al 28° Raduno del Coast to Coast Truck Team a Giussano!
Manca giusto una settimana all’inizio della festa: io ci sarò e spero di incontrare tante lady e tanti amici!
Vi aspetto, anzi vi aspettiamo numerosi per passare tre giorni in compagnia, tra camion, colleghi, amici, musica, chiacchiere, buon cibo e tante sorprese, ciao a presto!!!
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