Questa poesia di Cristiano Comelli me l’ha segnalata un amico, Giorgio, in un commento su You Tube, ho pensato di condividerla con voi nel blog perchè è molto bella.
Questo è il link:
https://www.poesieracconti.it/poesie/opera-93752#commenti
Questa è la poesia:
A voi camionisti
Recitiamo su strade ribollenti,
il copione di fatica e solitudine,
di un lavoro che ci tiene compagnia,
ogni chilometro
un tozzo di pane da assaporare,
pensiero di figli e mogli,
e il fardello in fondo anche dolce,
di un carico da trasportare,
tra le labbra di confini
che spesso profumano di lontananza.
Il nostro volante,
è un tenero amico fedele,
che mentre ci accompagna
nella missione di una nuova
ardua guida,
supplica sonno e stanchezza
di non avvolgerci nel loro mantello traditore;
qual vuoi possa essere la differenza,
se i nostri cassoni gravidi
di un vuoto mai davvero vuoto,
custodiscano barre d’acciaio,
scatole di pomodori,
automobili fiammanti
uscite da carezze di fabbriche laboriose,
noi a nostro modo,
la felicità siamo chiamati a trasportare,
ciò che felicità può regalare,
e che siamo stati chiamati a caricare.
Quando l’oscurità si fa bella,
per dare il cambio al chiarore
un’autogrill ci attende sorridente,
per esserci complice amorevole,
del riposo meritato e incombente;
nei nostri occhi regnano,
lo scintillio quasi mistico di una galleria,
e le profondità ancestrali dei viadotti;
siamo fieri, orgogliosi camionisti,
ma non ci chiamate soli,
indifferenti o tristi,
conosciamo e persino talora amiamo,
il rumore avvolgente,
di sveglie che sbuffano,
per ricordarci il sacro dovere del lavoro;
ci troverete sicuri e concentrati,
sulla pelle di mille autostrade,
scorgerete nell’angolo più recondito
delle nostre pupille in fondo bambine,
le lacrime che ci ricordano,
la maledizione di non poter vedere,
i nostri pargoli crescere giorno per giorno,
ci sorprenderete là,
dove doganieri severi
controllano le nostre identità,
ci vedrete a domare la rabbia,
per una maledetta gomma bucata,
e una consegna per questo ritardata.
E se in noi vi imbatterete,
tra le spire di un traffico bestiale,
vi prego,
non guardateci male,
siamo semplici, onesti lavoratori,
e anche noi abbiamo in sogno e nel cuore,
il nostro mondo di colori.
Coincidenze
Voi sapete cosa sono le coincidenze. Quell’accadere di fatti così straordinario da sembrare programmato da una mente invisibile. Alcuni credono che tutto capiti per caso, altri lo chiamano destino.
Vi racconterò qualcosa che mi è capitato e lascerò che siate a voi a trarre le conclusioni.
C’è una strada che scende verso la città e che io percorro tutti i giorni per andare a lavorare. Tempo fa, si poteva ancora vedere tra i grandi palazzi di vetro e cemento, come se fosse stata dimenticata dal tempo e dagli uomini, una graziosa villetta dai muri rosa pallido. Attorno si stendeva un giardino in verità piuttosto trascurato e, in un angolo, proprio vicino alla strada, si ergeva un grande pino verde scuro. Un albero molto alto con una forma perfetta, da abete natalizio.
Penso che quel pino sia stato in gioventù proprio un albero di natale: mi piace immaginare che tanto tempo fa, nei primi giorni di gennaio, un papà che viveva in quella villetta, si sia recato in giardino e abbia piantato quell’albero, dandogli – dopo le festa e le decorazioni – una nuova vita.
In quel lontano giorno, la città sembrava ancora lontana e la strada forse era stretta e tranquilla. Attorno c’erano campi, cascine e altre villette con i balconi stretti, i tetti a punta e i cancelli di ferro battuto.
Poi, come è normale, il tempo è passato, i padroni sono morti o partiti, forse hanno lasciato la casa in eredità a figli che abitavano lontano e che l’hanno venduta. Tutto questo lo immagino, ma c’è qualcosa che so per certo: la città, come l’albero, è cresciuta, le stradine sono diventate strade asfaltate a più corsie, le villette hanno lasciato il posto ad alti palazzi con uffici, centri commerciali e appartamenti.
Così io passavo ogni giorno in automobile e vedevo quella villetta dall’aria abbandonata, le persiane chiuse e le erbacce che invadevano il giardino. Tutto attorno, come giganti, si ergevano i nuovi palazzi e il sole faceva ormai fatica ad arrivare fino alle aiuole incolte. Però sull’angolo del giardino c’era sempre, maestoso e fiero, il grande pino verde scuro.
Un giorno infine è successo l’inevitabile: ruspe, scavatrici e gru hanno attaccato la villetta, mentre tutt’attorno gli operai ergevano una palizzata di legno. La villa è ben presto sparita e, nelle settimane che seguirono, vidi che era stato scavato un grande buco.
Per diversi mesi, passando ho visto sorgere i muri, arrivare le betoniere con il cemento, i camion con le finestre, gli elettricisti, i pittori e tutti gli altri artigiani che servono a costruire un palazzo.
Il pino però sopravviveva. Avevano costruito la baracca di cantiere – dove gli operai vanno a mezzogiorno a mangiare e l’architetto stende i suoi piani – proprio a ridosso del tronco e per farlo avevano tagliato tutti i rami bassi, così ora l’albero non aveva più una bella forma. Però c’era!
Il cantiere finì e il palazzo si popolò di famiglie. Alla mattina vedevo dei bambini aspettare l’autobus sul marciapiede sotto i rami del grande pino.
Nessuno dei suoi vecchi abitanti avrebbe riconosciuto il giardino o il posto: invece del cancello di ferro c’erano le grandi porte dei garage, invece del giardino una specie di piazzola di cemento con un’altalena e un fazzoletto di prato. Ma l’albero era sempre lì!
Tutto finì un giorno di gennaio, proprio l’anno scorso.
Aveva nevicato un poco e poi era arrivato un grande freddo. La strada che scendeva in città era gelata e lucida come una lastra di vetro.
I bambini del palazzo si erano radunati attorno all’altalena e giocavano ridendo con la neve gelata.
Un grosso camion giunse in cima alla strada e iniziò a scendere. L’autista si accorse subito di quello che stava accadendo e iniziò a suonare a distesa il clacson. Le ruote slittavano sul ghiaccio e lui non poteva ormai più né sterzare, né frenare. Come un incubo al rallentatore il pesante veicolo scendeva di traverso tra gli sguardi impauriti dei passanti. Salì sul marciapiede, sobbalzò e continuò lungo la discesa.
I bambini sentirono quel suono freddo come una sirena e si voltarono: impietriti guardarono senza potersi muovere il camion scendere verso di loro. Videro distintamente la faccia terrorizzata dell’autista che si preparava all’urto.
Ci fu un grande crack, boom, crash… e poi il silenzio.
Alcuni passanti accorsero mentre altra gente si sporgeva da finestre e balconi.
L’autista scese illeso dal camion, pallido come un lenzuolo, i bambini iniziarono a piangere per la paura mentre i genitori accorsi li abbracciavano. Tra di loro rimase il camion, avvolto come uno straccio attorno al grande pino. L’albero era inclinato, con metà delle radici che uscivano dalla terra e il tronco spaccato. Tutto intorno c’era un tappeto di ramoscelli, pigne e aghi.
l’albero ora non c`è più. Hanno dovuto tagliarlo e forse c’è anche più sole sull’altalena. Io passo la mattina e penso al destino. Sì, penso a tutti quelli che avrebbero potuto abbatterlo, com’era logico, nei tanti anni della sua esistenza. E che non l’hanno fatto. Chissà perché.
Forse perché, in quel giorno di gennaio, doveva essere lì, tra il camion e i bambini, tra l’autista e i rimorsi, tra i genitori e il lutto.
Il giorno dopo alcuni passanti, spostando con il piede qualche pigna rimasta, dicevano:
“Pensa che fortuna!
“Sì, e che coincidenza: l’unico albero lungo tutta la strada.
Questo è un racconto che ho trovato in rete, è un semplice e con un lieto fine, tranne per l'albero… il camion, non è diventato il "mostro" grazie alla presenza dell'abete…
Buona Strada a Tutte/i!!!
Autotrenista che passione |
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Stella Di Napoli Gennaro
December 29, 2010
Auguri
Un altro anno se ne va
nell'indifferenza
di chi ha avuto tutto
senza esserne mai sazio.
Dei politici
Venditori di illusioni
e di false promesse.
Ladri di sogni e
assassini di possibilità.
Un altro anno se ne va
pieno di tutto o pieno di niente.
Ma c'è ancora chi spera
e crede che tutto sia possibile.
A questi e a tutti quanti.
Auguro un 2011
Pieno di strepitosi traguardi
Stella di Napoli vi saluta
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Ciao Lady
ci sono alcuni nostri colleghi che sanno esprimere la loro Passione con parole semplici e significative, senza denigrare chi non prova le stesse senzazioni, senza la pretesa d'insegnare niente a nessuno, solo condividere pensieri e speranze e Gennaro è uno di questi, pubblico le sue parole, con il suo permesso e gli faccio i miei complimenti per le sue parole e il gruppo che ha creato su Facebook : AUTOTRENISTA CHE PASSIONE.
Buona Strada Sempre!!
gisy
Ciao Lady
questa poesia l'ho "rubata" ad un'amica, mia e di questo blog; credo che in essa siano racchiuse tante sensazioni che conosciamo, la riporto volentieri…
Lentamente muore
Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno
gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente
chi evita una passione,
chi preferisce il nero sul bianco
e i puntini sulle "i" piuttosto che
un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso ,
quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro
chi non rischia la certezza per l'incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli
sensati.
Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna
o della pioggia incessante.
Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento
di una splendida felicità
Martha Medeiros
Dove un camion trova
la sua geografia degli odori,
una strada entra
nella favola dei ricordi
a registrare
i conti al netto
della fedeltà
che se al ferro vai,
vai a farti male.
Ma dove, ad occhi aperti ad occhi chiusi ai sogni ..
ti porta un camion?
Lamberto Sabatini
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