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Al lavoro con Laura

 

Una nuova serie di video in compagnia della nostra collega Laura Broglio!

Questa volta è a bordo del Ford F-Max e ci racconta com’era la vita del camionista un pò di anni fa parlando con un veterano del mestiere, Loris Zanardi, autista in pensione.

Buona visione!

 

 

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Un racconto da un altro blog

 

Non è nuovo questo racconto, l’avevo letto tanto tempo fa e salvato nei preferiti col proposito di citarlo qui… ma poi me ne ero dimenticata, capita, ho sempre mille pensieri per la testa…

Ma stasera, non so come, l’ho ritrovato… l’ho riletto, mi è piaciuto ancora e cosi ve lo propongo, il blog si chiama ” Asphelo Blog” , naturalmente mando un augurio di buona strada all’autore del racconto e un grazie per averlo scritto!

Il link del post è questo:

https://aspheloblog.blogspot.com/2014/07/la-bibliotecaria-ed-il-camionista.html

Questo è il racconto:

La bibliotecaria ed il camionista

Ha mangiato con un collega, al ristorante dell’autogrill, ha scambiato le ultime battute prima di salutarlo ma ora deve dormire. Domattina si parte prestissimo e il viaggio non è neppure a metà. Sale nella cabina del suo Scania parcheggiato un po’ lontano dagli edifici, chiude le porte con la doppia sicura che si è fatta installare e si prepara per la notte. Quando spegne la luce sono già le ventitré, è tardi ma non troppo. Mezz’ora dopo avverte un malessere strano, più simile ad un incubo che ad un problema fisico, sporge la testa fuori dalla tenda e nota un’ombra attorno al camion accanto al suo. Guarda con più attenzione. Le ombre sono due. Una di queste, montata su uno pneumatico, sembra voler tagliare il telone del rimorchio mentre l’altra resta a terra, nel classico atteggiamento del palo. Non ha nessuna incertezza quando sistema meglio la tuta con la quale di solito dorme, rimette le scarpe e prende un piccolo e robusto badile appoggiato dietro il suo sedile di guida. Scende senza far rumore dalla sua motrice dalla parte opposta ai due, facendo attenzione a non far accendere nessuna luce, si muove silenziosamente e sfrutta i coni d’ombra dei mezzi parcheggiati per avvicinarsi. Con un colpo preciso, di piatto, sulle parti basse, mette fuori gioco il palo, e con un secondo fendente sulle ginocchia neutralizza pure il secondo, che non fa in tempo a fuggire. Poi urla e fa arrivare in pochi minuti gli altri camionisti che a questo punto bloccano i due malviventi. Qualcuno chiama la polizia, quelli probabilmente non sono soli, ma ci penseranno gli uomini in divisa a cercare di individuare gli eventuali complici.

E’ bello il lavoro in biblioteca, ama da sempre i libri, ha letto autori classici e moderni, italiani e di ogni paese del mondo, alcuni anche in lingua originale perché capisce senza difficoltà l’inglese e lo spagnolo. Il suo posto di lavoro non è fisso ma è rinnovato praticamente ad ogni scadenza, dopo un intervallo di qualche settimana. La sua presenza poco a poco è diventata necessaria grazie alla preparazione ed alle indiscusse capacità informatiche. In pochi mesi ha riorganizzato interi settori della struttura in modo più efficiente di chi vi lavorava stabilmente da anni ed ora sono questi ad avere bisogno delle sue indicazioni per capire meglio come muoversi. Non ha mai seguito le mode dei coetanei, e paga tutto questo con un isolamento personale quasi totale ed una mancanza di amicizie che sopporta con fatica ed alla quale non sa abituarsi. In rete trova un surrogato della vita che gli altri sembrano vivere sul serio, e per il momento si accontenta.

Ama guidare i camion da sempre, lo faceva suo padre, e prima di lui suo nonno. Sa sistemare quasi al millimetro bestioni da oltre 40 tonnellate a pieno carico meglio di tutti gli altri e con esperienza ben maggiore alla sua. L’odore del gasolio è il suo profumo preferito ed è felice quando riesce a sistemare con le sue mani un motore che fa storie. Ma sente la solitudine. Crede di provare attrazione per il suo stesso sesso, e vorrebbe aver letto un po’ di più, ma ricorda quando si faceva cacciare dalla classe o prendeva in giro i compagni secchioni. Ora si pente, ma è troppo tardi per ricominciare a studiare, o per iniziare a leggere. Prende a navigare in rete per puro caso, quando per il compleanno riceve in regalo uno smartphone; ci perde un po’ di tempo, si crea un account e sceglie, senza fantasia, il nick “Camionista87”.

Nell’intervallo tra i due turni mangia in fretta qualcosa in una mensa vicina poi torna nella sala dove ci sono i computer e, senza abusare della sua posizione, naviga liberamente come è previsto che possa fare qualsiasi altro utente, usando una password personale ottenuta iscrivendosi ai servizi della sua biblioteca.

Da mesi gira a vuoto, cerca di allacciare un minimo di contatti virtuali con sconosciuti e parlare dei suoi interessi, ma ben pochi sembrano interessati a dialogare con “Libri e Sogni”. Molti si scontrano sulla politica, con polemiche ed accuse reciproche. Altri parlano di sesso, di culi, tette e cazzi, e mettono immagini pornografiche che all’inizio incuriosiscono, poi annoiano. Altri parlano solo di sé stessi, e non ascoltano nessuno. Il bestiario della rete inizia a deluderlo quando per caso scopre “Camionista87”. Il camionista sembra interessato ai libri, è curioso delle letture che gli dice di aver fatto, e racconta pure dei suoi viaggi, in modo interessante, aprendogli un mondo sconosciuto.

La bibliotecaria è in gamba, pensa, ben diversa da quegli idioti secchioni che prendevo in giro a scuola e che non sopportavo. Vede con occhi diversi autori che gli insegnanti non erano riusciti a rendere interessanti. E ogni sera, prima di dormire, prende l’abitudine di stare con lei per un po’ e scambiare due parole virtuali. Dopo più di due mesi scopre che è di Verona, di un paese vicino e dire la verità, ma per ora questo particolare non sembra molto importante.

Quel camionista è meno rozzo di quanto pensa di essere, riflette, è sensibile ed attento, e le osservazioni che fa su quello che gli dico sono sempre intelligenti, e mi fanno scoprire meglio quello che ho appena letto. Forse potrei pure incontrarlo, se passa da Verona, in uno dei suoi viaggi. In fondo cosa mi costa?
Intanto ha preso l’abitudine di entrare in rete anche da casa sua, la sera, prima di dormire.

Meno di un mese dopo, in un parcheggio del Quadrante Europa, si incontrano per la prima volta “Camionista87” e “Libri e Sogni”. Nessuno dei due ha avuto il coraggio di descriversi, si sono fidati solo delle parole scritte che hanno scambiato per quasi quattro mesi, e sono quasi certi che da quell’incontro più che consolidare un’amicizia non potranno ottenere. Lo stupore è reciproco e sarebbe assolutamente da immortalare nell’istante preciso nel quale “Camionista87” scopre, nel punto e nell’ora fissata per il rendez-vous, un ragazzo magro ed alto, dallo sguardo curioso e dall’espressione decisamente molto dolce mentre “Libri e Sogni”, a sua volta, vede una ragazza, con una tuta da lavoro un po’ macchiata di grasso, ma con un viso che illumina tutto il piazzale ed un corpo che non riesce ad associare a quello di un/una camionista. La bibliotecaria si chiama Antonio, il camionista è Anna.

Silvano C.©

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“The Trucker” Hannah Lee

 

 Non sono un’amante degli ebook, sono all’antica, i libri mi piace averli tra le mani, sentire il fruscio delle pagine, l’odore della carta… ma non sempre si può.

Alcuni romanzi si trovano solo in formato ebook e ci si deve accontentare se si vuole leggerli.

Cosi è stato per questo breve romanzo con protagonista Linda, una ex camionista. 

La scrittrice si chiama Hannah Lee, di più non so.

L’ho preso su ibs.it, ma si trova anche in altre librerie on line.

Questo è il link:

https://www.ibs.it/the-trucker-ebook-hannah-lee/e/9788827859537 

E questa è una breve presentazione:

 Il Natale è prossimo. Due donne stanno attraversando un periodo di
profondo disagio, per motivi differenti. Una vive il fallimento della
vita lavorativa e, dopo alcune vicissitudini, la drammatica discesa
nella condizione di senza tetto, l’altra ha appena perso il marito, dopo
una vita matrimoniale non sempre idilliaca. Entrambe sono determinate a
non soccombere e a tornare ad una vita migliore. La speranza le
sostiene. 

Buona lettura… e buona strada sempre!

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Che lavoro fai?…La camionista!

 

Un altro racconto trovato su un altro blog, “50enni.blog“, un altro racconto con protagonista una camionista!

Il blog lo trovate a questo link, fateci un giro:

http://50enni.blog/che-lavoro-fai-la-camionista/

Come sapete,  tutto quello che trovo che riguarda il nostro meraviglioso mondo mi piace condividerlo nel nostro blog, quindi buona lettura:

“CHE LAVORO FAI?…LA CAMIONISTA!

L’ho rivista dopo trent’anni , sempre carina e sorridente, così come la ricordavo. E’ la mia amica Daniela, compagna di serate spensierate ..un’altra vita fa, quando i weekend erano un turbinio di discoteche e feste!

Ci sediamo a bere un caffè e a raccontarci un po’ -cosa fai nella vita?-le chiedo, –la camionista!- mi risponde.

Wow, mi coglie di sorpresa. Non è certo un’occupazione tipicamente femminile! Le chiedo di spiegarmi le ragioni di tale scelta.

Già il padre guidava un camion per una società di trasporti e fin da bambina covava il desiderio di poter guidare un simile, enorme mezzo su 4 ruote. Sogno che ha congelato per un lungo periodo poichè la sua vita ha preso una strada più tranquilla. Ha sposato il fidanzato di sempre, si è impiegata in un ufficio legale, un tran tran classico.

Forse, però, un fuochino covava in un angolo della sua mente e quando, per motivi legati ad un tradimento, il matrimonio è naufragato, Dany ha sentito l’esigenza di una svolta radicale della sua –grigia esistenza-( parole sue). Si è iscritta ad una scuola guida per ottenere la patente C, poi grazie a vecchie amicizie di lavoro del padre, ha trovato impiego come camionista di tratte nazionali.

Sicura e capace, transita l’Italia da nord a sud, giorno e notte. -Ma non hai paura? io avrei il terrore di essere assalita!- Mi spiega che si è conquistata nel tempo la stima dei colleghi, che sono come un grande network per cui si aiutano e sostengono a vicenda. Lei è una bella donna, di fascino discreto ma femminile, ed è riuscita ad imporsi per le sue capacità piuttosto che per il bell’aspetto.

Ah, sento una punta d’orgoglio femminile crescere: in un mondo tipicamente maschile una di noi, una “ragazza” over anta…spacca!

La saluto con calore complimentandomi per il suo coraggio nel seguire le sue passioni!

Salgo sulla mia auto per tornare a casa e….non mi è mai sembrata così…piccola! ”

 

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Laura, la camionista

 

Questo racconto l’ho trovato in un altro blog, ma visto che è la storia di un incontro con una camionista mi piace condividerlo anche qui.

Il Blog “Rita Lopez” lo trovate a questo link, ci sono tanti bei racconti, vale la pena farci un giro e leggerne qualcuno!

https://lopezrita.wordpress.com/tag/camionista/

E questa è la storia dell’incotro tra la scrittrice e la camionista!

 

Laura, la camionista

Non mi piace andare dal parrucchiere.

Ci vado quando proprio non posso più farne a meno.

Ma quest’ultima volta non è stato noioso.

Questa volta ho conosciuto Laura, la camionista.

Siamo sedute una accanto all’altra e già penso alla scelta amletica che mi si pone ogni volta.  A):  prendere uno dei giornali disponibili e girare noiosamente le pagine patinate, stracolme di fotografie di soubrette prosperose e attrici al mare, colte impietosamente nell’atto di chinarsi a raccogliere l’asciugamano, così da mostrare al mondo sadico e ipercritico delle donne comuni i fianchi coperti di cellulite. B):  conversare del più e del meno col mio parrucchiere, il quale ti parla stando in piedi, dietro di te, e tu lo vedi dallo specchio che hai di fronte, solo che i suoi occhi non guardano te. No. Sono perennemente puntanti su se stesso. E a me dà un fastidio!

Questa volta il parrucchiere è impegnato a chiacchierare con la mia vicina e così non mi resta che agguantare uno degli interessantissimi giornali di cui sopra.

“E allora, Laurè, adesso che fai le pulizie, non è meglio di quando facevi la camionista?”,  le sta chiedendo lui.

Fa la domanda a lei, ma nello specchio guarda se stesso.

“Ma manco pè niente!” risponde Laura, con i bigodini sulla testa.

“Me rompo le palle che nun poi capì. Sempre ‘e stesse cose, sempre a’ stessa vita! E vai a casa de quella e je pulisci i vetri, e vai a casa de quell’artra e je spazzi pè tera e poi cori dalla vecchia e je sporveri ‘e bomboniere….No, quanno facevo ‘a camionista me piaceva de più”.

Poso il giornale sulle ginocchia e guardo Laura.

Avrà una sessantina d’anni, portati benissimo.

Ha un fisico asciutto, due spalli grandi, e dai jeans aderenti si indovinano un paio di gambe muscolose. Prive di cellulite.

Le chiedo timidamente: “Lei…”.

“Tu” mi dice, perentoria.

“Tu…facevi la camionista?”.

“Eccerto” mi risponde con orgoglio, “ho fatto ‘a camionista pè più de trent’anni”.

Le sorrido.

“ ‘O sai?” continua, “negli anni 70, in Italia, c’erano tre camioniste donne. Mbè: una ero io. Dovevi vedè che era, pe ‘na donna, fà sto lavoro a quei tempi!”.

Ma come hai cominciato? Le domando.

“Mì padre faceva er camionista. A 14 anni gli ho detto: a pà, io non vojo più annà a scola.

“A no?” Me fa lui! “e allora viè co me”.

E così sò salita sur camion a 14 anni e sò scesa quanno ne avevo 50. Ho iniziato cor 12 13 e poi cor 19 19. Tutti l’ho portati”.

Non la mollo un attimo, Laura.

La tempesto di domande, voglio sapere dei suoi viaggi, dei suoi sacrifici, di come riusciva a gestire il suo lavoro, quel lavoro, in un mondo dominato dai maschi.

E Laura mi racconta, non si ferma un attimo.

Parla senza pudore, senza nascondermi niente, come sanno fare alcune donne tra di loro, anche se è la prima volta che si vedono.

E raggiunge gradi di confidenza e di intimità sorprendenti, aprendoti il cuore,  quando racconta delle notti d’inverno, a dormire sul camion, nell’area di parcheggio degli autogrill. E degli approcci fastidiosi ed  insistenti di alcuni suoi colleghi, delle loro battute cattive e gratuite. Dei tradimenti continui di un marito balordo. Dell’amarezza  di veder crescere un’unica figlia, affidata per tutta la settimana alle cure di una suocera acida.

“E quella, mi socera, me fa: “Aò! È ora che fai n’artro fijo”.

Sì, pè dattelo a te! Je faccio io!”.

Le diventano lucidi gli occhi.

“Nun me la so goduta pè niente… Ma mò c’ho dù nipotine e guai a chi me ‘e tocca”.

Mi mostra le foto delle bimbe sul suo cellulare.

Le mostra anche al parrucchiere: “Sono bellissime, Lauré” le fa lui, sorridendo a se stesso nello specchio, e poi aggiunge:

“Ecco, abbiamo finito”.

Laura si alza.

“Anvedi che capello, aò! Come sto?”, mi chiede.

“Sei bellissima!” le rispondo. E lo penso davvero.

Laura paga e se ne va.

Il parrucchiere adesso si rivolge a me, anzi a se stesso.

Guardandosi intensamente negli occhi, mi chiede:

“Che facciamo? Tagliamo?”.

 

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La “Regina rosa”

 

La “Regina rosa” non è una camionista, è… la mortadella!

Cosa c’enta con noi?

Ho trovato un sito “Libri su misura” in cui si parla di un ebook…

Questo ebook contiene tutti i racconti finalisti del concorso letterario dedicato alla mortadella proposto all’interno della manifestazione Mortadella Please di Zola Predosa.

Il primo racconto, quello che apre la raccolta, ha come protagonista una camionista!

Questo è il link del sito, se qualcuna è interessata all’acquisto dell’ebook:

https://www.librisumisura.it/index.php/entra-in-libreria/item/c-era-una-volta-e-c-e-una-regina-rosa

E questo è il racconto:

 

L’AUTOSTRADA… IN FUGA!

Simona Aiuti

L’autostrada è un mondo magico è misterioso, fatto di sacrifici, grandi avventure, sogni da coltivare e un pizzico di poesia, che prende vita di notte, quando ogni colore si diluisce nel buio tra le luci dei fari, o dei mezzi di soccorso che sfrecciano spezzando il silenzio. Si scivola via tutti sul nastro nero d’asfalto, sentendosi più leggeri, là dove a volte è possibile vivere emozioni e sogni incredibili e qualche disillusione. In molti credono che ogni autista sia chiuso nella sua solitudine, ma non è affatto così. Esiste una grande solidarietà tra noi e guai a lasciare un amico in difficoltà sul nastro nero.

Io sono qui, sulla mia bestia, con un carico di mortadelle, sul mio treno di gomme a macinare chilometri in attesa di un autogrill, che sembra lontanissimo quando la stanchezza si fa sentire dopo tante ore al volante, e darei il mio braccio destro per un caffè e qualche frittella calda.

Quando il freddo si fa più pungente e magari nevica che Dio la manda, o la nebbia è come un mare di latte freddo e infido, fanno male gli occhi, la vista si sforza, ma non si può abbassare la guardia, perché bisogna portare a casa la pelle.

Ho viaggiato molto in giro per l’Europa io, e ho trovato paesaggi diversi, pessimi caffè, e lontano dall’Italia non si mangia nemmeno tanto bene, ma il cuore e la fratellanza di noi camionisti è sempre grande ovunque, non cambia mai.

Sono una donna in fuga io, con il mutuo troppo grande da pagare, un ex marito più attaccato alla bottiglia che alla famiglia, i bambini che mi mancano da morire, e questo mestiere che amo, ma che mi porta sempre lontano, tanto lontano e in fuga, appunto.

Mio nonno era camionista durante la guerra, facendola sotto il naso ai tedeschi con scaltrezza, aiutando i partigiani nascondendoli dentro un intercapedine del mezzo, e ci sapeva fare davvero il nonno Gino!

Mio padre ha speso tutta la vita su questo camion, consumando le strade in un’epoca dura, e io ho imparato a conoscerlo solo quando ha iniziato a portarmi con lui. Portava la mortadella in Francia, che combinazione! Ricordo i primi viaggi con il batticuore e le prime donne camioniste viste oltralpe, e l’odore meraviglioso che spandevamo!

La mamma non voleva che partissi con il babbo, non voleva che prendessi quella strada, ma il nastro d’asfalto nero è stato il destino prima dei miei tre fratelli più grandi e poi anche il mio, ma non lo rimpiango.

Sono sempre stata la “pulce” in famiglia, la più piccola, eppure il babbo è sempre stato molto fiero di me, poiché non mi sono mai risparmiata sul lavoro. Ho imparato presto a guidare i mezzi pesanti, quando non arrivavo nemmeno ai pedali, ma credo d’aver prima appreso a guidare e a domare questi bestioni su gomma che ad aver a che fare con la gente. Lavoro più dei miei fratelli maschi, e se loro fanno un viaggio, io ne faccio due e la fatica non mi ha mai spaventata. Tuttavia io non sono un’eccezione: di donne come me è pieno l’ambiente e gli uomini ci rispettano.

È dura, è vero, ma non cambierei questa vita con un’altra, non lo farei davvero!

Questa è la mia vita, e viaggiando ho conosciuto Lilly, la mia migliore amica: gestisce un pub, ha un’enorme testa di ricci rossi perennemente scompigliati, dei vestiti a fiori appariscenti e una grassa risata contagiosa che mette allegria a tutti; sarà una deformazione la mia, ma Lilly sembra sul serio una grande mortadella!

Io dentro il camion di mio padre ho dato il primo bacio a un suo lavorante, un ragazzino come me di cui ero cotta. Dentro il camion ho quasi partorito il mio secondo figlio, e mancava poco che arrivassi in ospedale con il mezzo pesante da sola, invece mi ci portò il “Bestia”, un caro amico che captò la mia disperata richiesta d’aiuto, perché mio marito era già latitante!

Dicono che dove ci fermiamo noi camionisti si mangi molto bene, e accidenti se è vero! Non dimenticherò mai quella volta dalle parti di Brescia, quando festeggiammo il matrimonio di “Gianni l’orso” nel locale della Rosa, mangiando e bevendo fino all’alba con frittelle al miele, marmellate ai lamponi fatte dalla padrona e vino novello: a momenti ci portò via l’ambulanza. Si stava così bene che non saremmo mai andati via, e forse nessuno aveva il coraggio d’alzarsi per primo, perché sentivamo che stava cambiando qualcosa. Un amico ci stava lasciando per sposarsi, cambiare lavoro, e il nostro cuore si stava spezzando. È dura la vita sul camion, e alcuni cambiano lavoro, scegliendo un mestiere con meno rischi, ma che consenta di stare più a casa con la famiglia, ma poi nell’anima resta sempre la nostalgia.

È gente sana e generosa quella dell’autostrada, fatta di camionisti, pendolari, svincoli e paesi facili da raggiungere; basta poco e ci si aiuta tutti, specie nelle difficoltà, come quando nevica.

Nel ‘93 mio fratello Bruno si ritrovò bloccato con un guasto al motore, senza niente da mangiare e rischiava grosso, perché aveva un carico deteriorabile, ma io smossi mari e monti con il babbo, e i colleghi non esitarono. Con un piccolo aiuto non solo lo salvammo dal congelamento, ma aiutammo anche una mamma che era rimasta nella neve e non poteva dare la poppata al bambino, e noi eravamo là sulla strada come sempre, e come sempre un po’ in fuga; inutile dire che mangiarono tutti le nostre mortadelle!

Ci sono pure le prostitute sulla strada, però quelli che le sfruttano stanno al caldo, mentre quelle donne rischiano la pelle, si gelano d’inverno e per lo più sono povere disgraziate con dei figli da crescere, un sacco di guai e la loro autostrada non finisce mai.

Dodici anni fa su questo nastro d’asfalto ho conosciuto il mio ex marito.

Ricordo che era pressappoco la prima volta che ero scesa dal camion perché volevo essere e comportarmi da donna per entrare in una discoteca con Lilly. Mi hanno guardata dall’alto in basso, e piuttosto male perché avevo gli scarponi, e lui, quel bel tipo, faceva lo splendido con tutte: avrei dovuto capirlo subito che genere era!

Avevo poca esperienza con gli uomini, e lui riuscì facilmente a conquistare il mio cuore semplice con i suoi modi da latin lover. La testa mi girò così tanto che mi ritrovai completamente imbambolata e con le fette di salame sugli occhi. I miei mi dissero da subito che quel ragazzo dai modi da bullo non faceva per me, ma naturalmente non li ascoltai e, innamorata com’ero, ignorai che non era affidabile, che aveva poca voglia di lavorare e che non aveva la vocazione da marito e tanto meno quella da padre.

Fu una doccia gelata a farmi svegliare da quell’ubriacatura d’amore. Nonostante alcune avvisaglie a cui mi ostinavo a non dare peso, dopo tre anni di matrimonio mio marito mi lasciò il cane, il mutuo da pagare, i bambini che tanto aveva voluto ma a cui non aveva mai cambiato un pannolino, alcuni debiti che aveva fatto a mio nome, alcune multe da pagare, la vergogna per delle risse in cui si era prima ubriacato e poi fatto arrestare.

Tutto questo per via di una bionda ossigenata in tubino leopardato e zeppa trampolata dai “facili costumi”!

Forse i soldi pagati per l’avvocato per separarmi sono stati tra i meglio spesi nella mia vita e non li rimpiango.

Il mio ex marito non si fa mai vedere, non cerca i figli nonostante io abbia tentato di fare da tramite e da ponte tra lui e i bimbi, non è mai servito a nulla. Solo Dio sa la fatica che ho fatto e che continuo a fare per crescerli con serenità senza mai fargli mancare nulla; forse ci sto riuscendo, ma non lo sto facendo da sola, bensì con l’aiuto della mia famiglia che non è mai mancato.

I primi tempi della separazione sono stati duri perché non ero consapevole di potercela fare. È passato tanto tempo da allora, ma i miei figli restano e resta pure questo mestiere che è sempre più difficile, specie se incontri di notte qualche giovane automobilista impasticcato e ubriaco, eppure è la mia vita. Ce la faccio da sola, e sono sempre le mortadelle a farmi sbarcare il lunario, e siano benedette!

La gente non si rende conto dei pericoli che ci sono sul nastro d’asfalto. C’è un sacco di gente che non conosce o meglio ignora il Codice della strada, che beve una birra dopo l’altra come se fosse acqua fresca, mettendo consapevolmente in pericolo gente che lavora e che ha a casa una famiglia e dei figli ad aspettare. Ci sono genitori incoscienti che mettono nelle mani di figli neopatentati automobili potenti e mi domando con quale criterio lo facciano. Le persone che non vivono la realtà là fuori non hanno idea di quanta droga ci sia. Si tratta di acidi, pasticche, cocaina e mi è capitato più volte d’andare in bagno in un autogrill e vedere ragazzine, che potrebbero essere mie figlie, farsi.

Mi domando perché a tredici o quindici anni si desideri così tanto essere considerate già donne, perché il cuore è ancora bambino e, se ti feriscono, fa ancora più male. Essere madre mi fa provare una stretta al cuore, poi leggo la cronaca locale e vedo che non tutti quei ragazzini che entrano ed escono da locali di notte, poi tornano a casa all’alba da madri come me.

Noi camionisti siamo amici delle forze dell’ordine, cerchiamo di collaborare con loro, e vediamo quanto sia duro anche il loro mestiere, forse anche più del nostro. Con quale cuore un poliziotto dopo la chiamata che non vorrebbe mai ricevere si trova costretto a raccogliere sulla strada un ragazzo che non tornerà a casa, e pupazzetti e oggetti vari che fanno pensare a bambini, da dover riconsegnare ai genitori? Eppure il nastro d’asfalto corre nonostante tutto e ingoia storie, lacrime, passioni e speranze.

Corre e corre il nastro d’asfalto, e con lui mille vite che s’incontrano e a volte non si ritrovano per anni.

La vita sull’autostrada può essere dura, ma può riservare anche delle belle sorprese, direi inaspettate.

Circa due mesi fa, mentre ero ferma a un parcheggio, quasi senza motivo mi sono messa a litigare con un collega, un tipo che davvero mi ha fatto salire il sangue alla testa, poi però ci siamo chiariti e fatti un sacco di risate davanti a una cioccolata calda che ha voluto offrirmi subito dopo al bar.

Qualche volta può servire litigare per un parcheggio.

C’ho messo un po’ a capirlo, forse perché ero in jeans, con i capelli legati e senza trucco, anche perché non ho mai imparato a truccarmi, ma quel collega mi stava proprio corteggiando.

Sarà che non sono abituata a certe cose, anche se mia madre da tempo cerca di spingermi a uscire un po’, dicendo che dovrei pensare a rifarmi una vita, ma io ho già una vita, ed è anche molto piena.

Si chiama Antonio il tale, mi è risultato simpatico e avevo bisogno di farmi due risate, e credo anche d’essere diventata rossa quando m’ha chiesto il numero del cellulare. Il bello è che poi mi ha pure chiamata e mi ha chiesto d’uscire con lui a cena, e io mi sono messa a ridere per telefono. Ho un po’ paura di rimettermi in discussione, ma è vero che ho anche voglia di vivere e di sentirmi oltre che madre e camionista, anche di nuovo donna.

Che imbarazzo se penso che mi ha vista in abiti da lavoro, senza messa in piega, anche perché io non ho mai fatto dei colpi di sole in vita mia, non sono mai andata dall’estetista e non ho idea di come si depilino le sopracciglia, ma almeno mi ha vista così come sono, senza maschere e sovrastrutture. Antonio in dieci minuti mi ha conosciuta con camion, figli, fratelli camionisti e tutto, e sembra che io gli piaccia con tutto il pacchetto formato famiglia.

Sembra un tipo a posto Antonio, ed è gentile, carino ed è un anche un buon collega che sa quanto sia dura questa vita. Lui trasporta latticini, un carico altamente deperibile, e dice d’avere degli sconti sulla merce; non so se sia vero, ma da un po’ a casa mia i fior di latte si sprecano, e io li preferisco alle rose se devo dire la verità.

Poi alla fine sono uscita con lui ed è stata anche una bella serata. Ora ci vediamo ogni tanto, mi chiama spesso, ed è diventato una presenza nella mia vita.

Io che sono sempre stata abituata a cavarmela da sola, io che devo aggiustare il lavandino se si rompe, io che devo pagare le bollette, io che devo fare il lavoro della donna e poi anche quello dell’uomo, per la prima volta ho visto un “tizio” che mi ha detto: “tranquilla me ne occupo io”!

Non credevo alle mie orecchie, giuro che per uno così potrei imparare a fare le torte di mele, e forse lo farò sul serio.

Tuttavia il momento in cui Antonio mi ha conquistata è stato quando è venuto a trovarmi a casa mia una sera. Ero nervosa, non ero sicura che i miei figli fossero pronti per conoscere un “amico della mamma”, però dovevo tentare. Finalmente ha conosciuto i bambini e quando ha visto che il grande, Marco, stava facendo i compiti di matematica con scarso successo, si è messo là a spiegargli le espressioni: un uomo così si merita l’applauso! Non batte ciglio se la merenda è pane e mortadella che per me costa poco, e ragazzi, non è poco!

Antonio mi ha proposto di fare un fine settimana fuori e io ci sto pensando e sto rimuginando molto sulla cosa, perché non m ricordo cosa sia una vacanza o un fine settimana fuori. Preferisco passare più tempo che posso con i miei figli, ma è un secolo che non mi prendo un po’ di tempo per me, davvero tanto tempo, quindi ci penserò.

Non so ancora se ho voglia di mettermi di nuovo in gioco con gli uomini, ho qualche timore, ma la vita continua, i bimbi crescono e io ho tempo di riflettere, di pensare a mia madre che vorrebbe vedermi serena accanto a un uomo che mi ama e che io possa riamare, di riflettere sulle bollette, su Marco che ha bisogno della macchinetta per i denti e il piccolino che forse soffre d’asma e ha bisogno di mare, insomma i pensieri e le questioni da risolvere non mancano mai.

La mamma ha alzato gli occhi al cielo quando gli ho detto che anche Antonio è camionista, ma credo che sia comunque rassegnata, e poi l’importante per lei è vedermi felice e da un po’ forse lo sono o almeno comincio a vedere un pizzico di sereno in fondo al tunnel. Probabilmente sto iniziando a vivere di nuovo come donna, anche se lo sto facendo timidamente e soppesando le mie azioni e le mie emozioni.

Magari potrei prendere un appuntamento dal parrucchiere, e magari farmi la manicure e comprarmi un paio di scarpe con il tacco, chissà!

Già, ho tempo di riflettere quando guido, specie di notte, quando i pensieri si diluiscono, le storie e ogni cosa si fanno più fluide, intense, illuminate solo dai fari e io ascolto la solitudine che ho nel cuore e guido, corro sempre in fuga. Riflettevo che Antonio porta sacchi di farina, e con la farina si fa il pane, io ho la mortadella, quindi, se non è destino, non so cosa sia!

Anno pubblicazione

2019

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“La camionista” un racconto di Giovanna Ferlenghi

 

Sul sito “Il mio libro” ho trovato questo racconto di Giovanna Ferlenghi che vede protagonista una camionista. Visto che oggi ha nevicato è l’occasione giusta per leggerlo. Questo è il link:

https://ilmiolibro.kataweb.it/storiebrevi/397976/la-camionista/

 

La camionista

Racconti di Giovanna Ferlenghi

Da sola, durante uno dei soliti estenuanti viaggi di lavoro alla guida del proprio tir, una donna riflette su come le sono andate le cose nella vita e a come sia stata incapace di cambiarla. Finché una rivelazione traumatica non le ridarà una consapevolezza nuova.

Emilia era stanca, guidava quel bisonte della strada ormai da dieci ore, perciò decise che si sarebbe fermata all’area di servizio successiva. La prima neve cominciava a scendere, fitta e sottile. Ricordò che il servizio meteo aveva annunciato forti precipitazioni a carattere nevoso, ma lei, per la fretta, non ci aveva badato.
Era partita in ritardo sulla tabella di marcia perché a casa aveva avuto non pochi problemi di organizzazione domestica per il periodo della sua assenza. Si occupava anche di quello: degli altri quando non c’era. Respinse con fastidio l’immagine di Luca, suo marito, che invece di mostrarsi collaborativo, prima della sua partenza aveva deciso che non poteva proprio rinunciare alla partita. Subito dopo il pranzo domenicale era uscito per andare allo stadio, manifestando anche così la sua solita strafottenza. Inutile lamentarsi, era fatto così.
Si rifiutava di svolgere qualsiasi compito che riteneva competesse a “una femmina”, eppure: non aveva nulla in contrario che “la femmina” guidasse per interminabili ore un camion dalle proporzioni gigantesche. Purché portasse i soldi a casa. Che poi, tra il mutuo per il minuscolo bilocale in cui vivevano stipati e le continue richieste dei due figli adolescenti pieni di pretese, non erano mai abbastanza. Emilia era consapevole e ormai rassegnata al fatto che i suoi straordinari sarebbero continuati all’infinito.
Stava per infilare la corsia d’uscita per l’area di servizio quando squillò il cellulare. Senza togliere gli occhi dalla strada afferrò l’apparecchio, ebbe appena il tempo di dare un’occhiata allo schermo, che proferì un’imprecazione. Quello che aveva tra le mani era il cellulare di Luca, e ovviamente il messaggio era per lui; a causa di quella partenza affannata lo aveva scambiato con il suo. Già immaginava la rabbia del marito, che per la sua inguaribile distrazione la rimproverava spesso.
Sorrise tra sé, pensando che quegli aggeggi sono considerati la causa più frequente di scoperta dei tradimenti, ma su quel fronte lei non aveva nulla da temere, era tranquilla che da Luca non avrebbe avuto brutte sorprese.
Osservò l’insolito panorama dell’autostrada su cui fioccava ormai abbondante la neve: ciò che scorgeva dal finestrino era un uniforme e omogeneo strato di bianco scintillante. Uno spettacolo degno delle migliori feste natalizie, ma preoccupante per lei che avrebbe dovuto raggiungere all’alba l’ortomercato per effettuare le consegne. E certo il suo datore di lavoro non le avrebbe perdonato una mancata consegna. Al minimo sgarro, soprattutto per lei che era donna, il licenziamento sarebbe stato la regola.
Si ricordò dell’avviso di messaggio, pensando che poteva trattarsi del solito rimprovero di Luca che l’avvertiva dell’errore “imperdonabile”. Tuttavia, lesse ben altro.
Quel “Buongiorno amore, mi manchi già” non era certo riferito a lei, ed era oltretutto corredato da tanto di firma. Una certa Lisa pareva dunque essere nei pensieri e anche nel letto di suo marito. Le sfuggì una risata nervosa. Quell’uomo di mezza età, antiquato, dall’aspetto insignificante, così tirchio da costringerla a fare gli straordinari pur di non contribuire al bilancio familiare, aveva una relazione, e lei non si era mai accorta di nulla. C’era da non crederci, se non avesse avuto tra le mani la prova che tutto era reale.
Non intuiva a che punto fosse la relazione né da quanto tempo durasse, ma in quel momento si rendeva conto di tanti particolari a cui non aveva mai prestato granché attenzione. Le tornarono in mente le resistenze del marito ogni qual volta gli chiedeva di stare di più in casa, i suoi silenzi rancorosi quando domandava che cosa ne facesse dello stipendio, dato che di contribuire all’economia domestica non se ne parlava, di tutte le volte in cui stava lontano da casa per i corsi di aggiornamento fuori sede, e che adesso avevano uno scopo ben preciso: darsi appuntamento in qualche albergo con l’amante, cena inclusa. A sue spese, ovviamente. Mentre lei si dannava in mezzo a quella maledetta neve.
Adesso però tutto questo doveva finire, sarebbe tornata indietro senza troppi scrupoli: al diavolo le consegne, d’ora in poi non avrebbe più sgobbato su quel bisonte della strada agli ordini di un fanatico schiavista che pretendeva la percorrenza di itinerari degni di un approdo lunare. Si sarebbe licenziata, subito. Poi avrebbe messo Luca con le spalle al muro. A quel punto decise, per correttezza, di chiamare il suo “padrone”: che inviasse qualcuno per darle il cambio perché la merce non andasse perduta. Lei si sarebbe concessa una notte di riposo in un motel vicino, e l’indomani avrebbe deciso il da farsi. Tutta la sua vita stava per cambiare, e forse non in peggio. Guardò un’ultima volta la strada tutta bianca, pensando che ormai non riusciva nemmeno più a distinguere la terra dal cielo…
♦♦♦
Si sentì scrollare le spalle, improvvisamente. Con fatica aprì gli occhi, vide il viso del marito chino su di lei che le parlava preoccupato:”Finalmente, ben tornata tra noi. Quando mi hanno avvertito, dalla descrizione dell’incidente pensavo che non ne saresti uscita viva. Tutto per questa maledetta nevicata. Ma, per fortuna, ne sei uscita quasi illesa. Il dottore ha detto che tra non molto potrai tornare a casa”. Emilia gli sorrise debolmente, poi, in pace con sé stessa, richiuse gli occhi, pensando con tristezza che a casa non sarebbe tornata più. Almeno con lui.
 

 

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Raccolta di ricette e racconti!!!

Ciao a tutti/e!!!

Alle Lady Truck in particolare perché questo è un messaggio diretto a loro!!! Ma anche agli amici e alle amiche che vogliono partecipare!

L’anno scorso abbiamo avuto un momento per cosi dire di stallo nelle nostre iniziative. Come alcune ci hanno fatto notare non abbiamo fatto il calendario e nemmeno il ricettario. Ed è proprio del ricettario “Nonsolocamioniste” che vi voglio parlare.
Chi aveva acquistato il numero 4, quello con la copertina azzurra, si ricorderà che insieme alle ricette c’erano anche dei brevi racconti di viaggio scritti dalle Lady.


copertina  ricettario azzurro 4 001

La richiesta che vi facciamo, se avete tempo e voglia, è quella di ricominciare a mandarci qualche ricetta (la raccolta delle ricette era cominciata già quando avevamo concluso il numero 4, ma si è un po’ fermata…),
Ragazze voi siete tante, di ricette ne bastano poche, anche una, a testa e il gioco è fatto!!!
Poi, se avete voglia di cimentarvi con la scrittura, un breve racconto, un aneddoto, un fatto quotidiano, qualsiasi cosa che riguardi il nostro lavoro ed il nostro mondo fatto di camion, di strade, di incontri, è tutto bene accetto!!!

Si dice che l’unione fa la forza, ed è vero, per mandare avanti i nostri progetti ci vuole la partecipazione di tante persone, basta un piccolo contributo da parte di ognuna per riuscire a realizzare qualcosa di buono!!!
Forza ragazze, scriveteci ricette e racconti, noi restiamo in attesa!!!

La mail è sempre la stessa:

buonastradaladytruck@libero.it

GRAZIE in anticipo a tutte le persone che parteciperanno!!!

BUONA STRADA SEMPRE!!!!

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“The Winner Take it All”

Chi è figlio di camionista può capire e trovarsi nelle parole di questo racconto autobiografico… 
Un ringraziamento a Edo Van Axel per il consenso alla pubblicazione nel blog…

 

“Sono quasi le nove di una calda serata estiva.
Le stelle, da quello che vedo dal parabrezza, sono alte e brillanti, come diamanti buttati sopra un manto di velluto nero.
Chiudo il diario di mio papà, che porto sempre con me, compagnia e spunto per i momenti meno buoni di questo mestiere.
Resto per qualche minuto ad osservare la copertina ormai logora di pelle, le pagine ingiallite dal tempo, eppure cosi indelibili al ricordo.
Purtroppo non gli ho mai perdonato del tutto la sua assenza durante quel Natale, ci speravo, ci credevo, eppure non arrivò.
Attesi invano davanti alla finestra che dava sulla strada tutta la vigilia, ma nulla.
Mi ricordo che gli comprai, o meglio, mia mamma comprò, una giacca a vento per lui, era bella, di colore scuro, con tante tasche per metterci quello che gli serviva.
Lo rividi che era quasi finito Gennaio.
Non mi parlò mai dei suoi viaggi, almeno, fino a quando non ebbi quattordici, quindici anni, sino ad allora sapevo solo che guidava un camion, ma il dove e il come no.
Forse non gli interessava parlarne, o forse, a suo modo, voleva mettermi in guardia dalle insidie di questo mestiere, tenermi fuori insomma, sperando per me in un futuro migliore.
Invece no. Ero quasi sul punto di dar retta a lui, di credere alla canzone dello “studiare e farmi una posizione”.
Eppure non ci riuscii.
Il sera prima di iniziare la mia esperienza di autista, andai da lui per un caffè e mi diede una busta di carta gialla con dentro questo diario, dicendomi “ Adesso sei grande abbastanza per capire cosa vuol dire fare il camionista. Ricordati solo una cosa: giusti o sbagliati che siano, sulla strada incontrerai sempre uomini veri.”

Mi accendo una sigaretta, mentre controllo nuovamente il foglio di viaggio che mi hanno appena consegnato. Due scarichi ed un ritiro in Olanda. Poi si ritorna a scaricare a Reggio Emilia e Ravenna.
Certo, nulla a che vedere con i viaggi di cui ho appena letto per l’ennesima volta la storia.
Ma a modo mio sono fiero di ciò che faccio, a metà strada tra lo zingaro e l’ordinario, saltello da un posto all’altro dell’Europa con il peso e la consapevolezza di fare un lavoro che ho io stesso scelto, adottato quasi.
Mio padre mi ha lasciato in eredità una strada, un semplice strato di catrame con delle strisce bianche sopra.
Pur avendo vissuto poco con lui, pur non avendo mai fatto le cose comuni che padri e figli farebbero, mi sento come in debito con lui, e ripago i sacrifici che ha fatto per me con la stessa moneta, facendoli a mia volta.
La nebbia è sempre la stessa, la fatica pure, anche se con camion diversi e sicuramente migliori, e so che non approverebbe le mie personalizzazioni a base di cromature e scarichi verticali!
Mi piace ricordarlo cosi, burbero, ma con un cuore grande, quando arrivava a casa stanco morto, io scendevo di corsa e gli andavo incontro, ricordo il motore ancora caldo, l’odore, quell’odore di olio, nafta, gomme che ti rimane addosso come una seconda pelle, mentre mi arrampicavo in cabina e mi mettevo al volante.
Quanti anni sono passati, e alla fine poco o nulla è cambiato in me.
Ieri mi ha chiamato il milanese,l’Ernest, è invecchiato anche lui, ma quando glielo ricordo scherzosamente lui, sbuffando il fumo della sigaretta, mi fa “ Ricordati che per essere vecchio devi prima essere stato giovane, te capì?!”. Adesso è dietro una scrivania, da anni oramai, ma ogni volta che parliamo mi sembra di rivederlo sul suo Scania, pronto a domare le piste desertiche.
Parliamo tanto, ricordando le sue imprese e quelle del mio vecchio, e quando gli dico che ho dovuto cambiare una gomma scoppiata mi risponde “ Fiulet, il routier dell’impossibile ahaahaha”!
Il Gianni e suo papà invece sono ancora in pista. Gianni l’ho incontrato una sera in Francia, a Macon, carico di legna, e abbiamo cenato assieme. Anche lui tiene botta, anche lui rimpiange quei tempi la, e tutte le volte che gli parlo di papà, beh, mi fissa con i suoi occhi chiari e mi dice “ Sei la sua fotocopia”.
Michelle non lo ferma nessuno invece. Sempre uguale, imponente, simpatico, brusco.
Ah, ovviamente porta sempre le zoccole ai piedi.
Gli altri uomini di questa storia purtroppo non ci sono più, tutti scomparsi, solo il loro ricordo nelle nostre voci, adesso stanno facendo l’ultimo viaggio, il più lungo ed impegnativo.
Quante vite spezzate, di loro ho purtroppo un vago ricordo, qualche fotografia sbiadita, e una tabella metallica circolare con disegnato sopra un cammello, che mi hanno regalato quando papà se n’è andato, e da allora la porto sul camion con me, anche se è fuori luogo, va bene, ma è come se fossero tutti li assieme, come se dicessi “ tranquilli ragazzi, che non vi dimenticheremo”.

Va bene, dai, è ora di andare, che per i ricordi c’è sempre tempo.
Metto in moto, gli otto cilindri cantano al minimo per me.
Esco piano dal piazzale dove ho appena caricato, sollevando piccole nuvole di polvere al mio passaggio.
Questa notte è per me.
Tra me e me penso” Vecio, dammi un occhio tu se puoi, va ben?” , mentre fisso la volta stellata.
“Anche se distanti, siamo sempre sotto lo stesso cielo”, mi disse una volta.
E adesso ti credo, sai?
Riparto, le luci che illuminano la strada, e per tetto lo stesso cielo che mio padre, quasi quarant’anni fa, vide nella sua notte raminga, mentre alla radio le note di “ The winner take it all” degli Abba tentano di illuminare una notte cosi scura.”

Edo Van Axel  (dedicato a mio padre Carlo)

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