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La dura vita di ‘Lady Truck’

 

Questa volta girando e rigirando nel web ho ritrovato questa video intervista fatta alla nostra portavoce, la Gisy!

E’ datata 25 gennaio 2008! Sono passati ormai 16 anni da allora e tante cose sono cambiate nelle nostre vite, i camion, i tragitti, ecc,  però è bello riascoltare le sue parole, risentire la sua storia che poi è quella delle donne camioniste, siamo in poche oggi come allora, e anche se per fortuna ci sono tante nuove colleghe, la percentuale rispetto agli uomini è ancora bassa.

Quando il giornalista le chiede cosa significa avere il camion nel cuore, lei risponde cosi:

“Avere passione per i camion significa essere pazienti, tolleranti, cocciute, perseveranti, un sacco di qualità che se non le hai, se non hai quest’alchimia non resisti, è un mestiere molto pesante, molto impegnativo, imprevedibile, devi avere quel pizzico di dote in più che ti permette di cavartela in qualsiasi evento ti possa succedere.”

Penso che sia cosi per tutte noi!

Questo è il link dove si può vedere il video:

https://video.repubblica.it/cronaca/la-dura-vita-di-lady-truck/16571/17662

(Ai tempi l’intervista era più lunga, ma gli altri video non ci sono più, peccato.)

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MASCHILISMO E DONNE CAMIONISTE – parte 2

 

Il maschilismo nell’autotrasporto non era solo quello dei colleghi sulle strade, naturalmente. Cominciava già prima di salire su un camion, era quello il problema più grande. Riuscire ad avere un posto di lavoro al volante non era semplice. E forse no lo è ancora adesso in alcuni casi. Nei primi anni in cui viaggiavo la maggior parte delle colleghe che ebbi l’occasione di conoscere ci erano riuscite perché venivano da una famiglia di autotrasportatori, oppure perché viaggiavano col compagno o avevano cominciato con lui. C’era anche qualche padroncina che si era fatta da sola, qualche autista dipendente, ma erano veramente poche.

Mi ricordo di una mia amica che mise un annuncio sul giornale per cercare lavoro e venne contattata da una ditta di trasporti (quelli del quotidiano non avevano scritto che era una lei, pensando ad un errore nel testo), e quando rispose al telefono, sentendo la voce di una donna le fu chiesto se era per suo marito, quando lei rispose che l’interessata era lei, le dissero che loro cercavano un uomo, perché non era un lavoro adatto a una donna… Quante ragazze si sono sentite rispondere cosi cercando un lavoro da autista? Tante…  Per contro, alcune sono state assunte per scommessa, perché pensavano che avrebbero gettato la spugna dopo poche settimane, e invece viaggiano ancora adesso!

Uno dei motivi per cui le donne faticavano a trovare lavoro su un camion era dovuto alla possibilità che avessero figli nel breve periodo. Lo so, mi direte che questa cosa vale per molti altri lavori, ed è vero, ma sostituire un autista non è semplice per niente e comunque, finito il periodo della maternità, se non avevi qualcuno che si poteva prendere cura del tuo bimbo i problemi diventavano insormontabili. La storia è sempre la stessa: sai l’orario di partenza, ma mai quello di arrivo, la strada è il luogo dell’imprevisto per eccellenza! Purtroppo in Italia non ti puoi più portare i bambini sul camion come si faceva una volta (ho letto un’intervista di una collega degli anni ’70 che  portava con se i figli piccolissimi e li allattava in cabina!). 

Cosi ho visto tante colleghe scendere dal camion per poter crescere i propri bambini, aspettare che fossero abbastanza grandi e poi riprendere la strada. E comunque anche chi ha avuto qualcuno a casa (vedi nonne, tate, ecc..) che le sostituiva durante le lunghe trasferte, ha sofferto per questa cosa, avere un figlio e non vederlo crescere è dura già per un uomo, per una mamma lo è ancora di più, ma a volte era una scelta obbligata da necessità economiche. Altre hanno tenuto il loro sogno nel cassetto per anni, aspettando appunto che i figli crescessero e sono salite sul camion a 40 o 50 anni, riuscendo cosi a sentirsi finalmente realizzate. Altre invece hanno fatto la scelta opposta: hanno rinunciato ad avere figli, qualcuna anche ad avere un marito e hanno proseguito per il loro cammino. Non è il sogno di tutte quello di avere una famiglia, c’è chi preferisce una sua realizzazione personale ed è felice della propria scelta. E anche qui ricompare il maschilismo, e se prima te lo dicevano a voce ora te lo comunicano via “social”, dichiarando che decidere di non avere figli è una scelta “agghiacciante” per una donna, o che se l’hai fatta non hai costruito niente nella vita e sei solo una donna SOLA. Certi uomini a volte si permettono di esprimere giudizi senza nemmeno conoscere le persone, semplicemente perché non rientri nei loro standard di vita, quelli che loro reputano gli unici giusti per tutti.

Uomini e donne non sono uguali e quando si parla di parità non vuol dire azzerare le differenze che ci contraddistinguono, ma raggiungere la parità dei diritti, e quella è  una strada ancora lunga da percorrere.

Ma il discorso non finisce qui… ne parlerò ancora in un prossimo post, buona strada a tutti!

 

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MASCHILISMO E DONNE CAMIONISTE – parte 1

 

Siamo nel 2023 e cosa è cambiato?

Io ho cominciato  a fare la camionista a metà degli anni ’80…

Allora una delle frasi fatte dei colleghi era: “Se buchi una gomma come fai?”, oggi non te lo dicono quasi più perché anche loro chiamano l’assistenza. Oppure ti dicevano che il posto di una donna era a casa a fare figli e lavare piatti…. E aspettare buone buone in silenzio il marito, aggiungerei io. Poi si stupivano che tante mogli si stancavano di quella situazione, si trovavano un altro e li piantavano in asso. “Ma io non le ho mai fatto mancare nulla” si giustificavano, non pensando che magari la mancanza, quella vera, era quella fisica, quella di avere un marito accanto non solo il fine settimana, che poi era stanco e non aveva voglia di uscire e voleva essere lasciato tranquillo, ecc, ecc. Quante ne ho sentite raccontare di storie cosi.

La donna doveva essere al loro servizio, stare a casa e non avere grilli per la testa come quello di guidare un camion, un lavoro da “poco di buono”…ma le cose stavano già pian piano cambiando.

E qui c’erano quelli che ti dicevano “Avete voluto la parità? Ora arrangiatevi!” se solo ti vedevano un attimo in difficoltà per un qualsiasi motivo. Una manovra sbagliata a una donna non poteva essere perdonata, era la prova che quello non era il mestiere adatto a lei. Io ho imparato subito a non chiedere aiuto ai “colleghi”. Ai magazzinieri invece si, perché per la maggior parte delle volte li ho trovati più gentili.  Strano, vero?

Non mi è mai interessato se lo fanno in quanto io sia donna e loro vogliano essere galanti, io sono gentile con loro e loro solitamente lo sono con me. Funziona quasi sempre cosi: un po’ di gentilezza, molta educazione, un sorriso, cercare di capire chi ci sta di fronte e si lavora tutti meglio.

Nei primi anni mi è capitato diverse volte di essere insultata, anche pesantemente, senza alcun motivo, per baracchino. Lo facevano più spesso quando erano in gruppo: uno mi notava al volante passando, lo diceva ai suoi colleghi e partivano in quarta con battutacce per lo più a sfondo sessuale…

Poi tanti si stupivano se viaggiavo con la tendina tirata per non farmi vedere, sono stata insultata anche per questo. Capisco che ai tempi il baracchino fosse una valvola di sfogo per rompere la monotonia di lunghe ore al volante, ma non era forse meglio usarlo per chiacchierare tranquillamente?

E infatti era quello che cercavo di fare io, parlare, ascoltare, imparare. Sinceramente ho anche conosciuto tante bravissime persone. Ma erano quelli che si facevano notare poco, un po’ timidi forse, un po’ più riservati. Ho ricordi di alcuni anziani, quando io ero giovanissima, che erano dei veri gentiluomini.

Ma ho anche ricordi di alcuni che per CB, erano gentili, magari ti avevano pure difeso da uno dei maleducati di turno, poi ti fermavi a bere il caffè e cercavano di allungare le mani…

Sono passati gli anni, ora il baracchino è solo un fruscio di sottofondo per i nostalgici come me che si ostinano a tenerlo comunque acceso nella speranza di incrociare qualche vecchio amico e scambiare due parole.

Sono passati gli anni, ma il maschilismo nell’autotrasporto non è scomparso nonostante siano aumentate – ma non so di quanto – le donne che guidano i camion, ha solo cambiato metodo di manifestarsi, il mondo è andato avanti, oggi ci sono i social e li è facile incappare ancora in mentalità retrograde.

Ma di questo ve ne parlerò un’altra volta.

Buona strada a tutti

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CAMIONISTE DI IERI: IN FRANCIA

 

Vi ricordate del libro di LilyaneFantastique”  di cui vi ho parlato un po’ di tempo fa?

Lei è stata una delle prime camioniste francesi, ma non la prima in assoluto…

In un capitolo del suo libro “38 Tonnes de souvenirs en vrac”  racconta un episodio che le capitò nel mese di luglio del 1957 a Parigi. All’epoca aveva 20 anni, era arrivata in città a bordo del camion Renault del suo amico Bernard, avevano scaricato  a Les Halles, il mercato della frutta. Poi lei era rimasta a Parigi, ospite della sua amica Sylvette per un paio di giorni. E mentre l’amica era al lavoro, Lilyane girava per  La Bastille, il quartiere dove abitava Sylvette, armata della sua macchina fotografica, pronta ad immortalare ogni camion che incrociava per aggiungere nuove immagini alla sua collezione di foto.

E’ durante quel suo girovagare per le vie parigine che incontra la “sua” prima donna camionista

Dietro il grande parabrezza di un Berliet vede una donna piccola, bionda, al volante di un camion con rimorchio sul quale è scritto a grandi lettere “BERGER”.

Riesce a scattarle una foto. Una foto che lei conserverà per tutta la vita come una reliquia, un’icona preziosa come un gioiello.

Quella piccola donna camionista diviene il suo idolo. Il suo pensiero fu:”Se lei fa questo mestiere, allora potrò farlo anch’io!”

L’aver visto una donna camionista la fa sentire meno un’eccezione, significa che ci sono altre donne come lei, donne che hanno sognato di fare le camioniste e ci sono riuscite!

 

Ma chi era quella piccola donna al volante di quel grande camion?

Si chiamava  Yvette Pottier e guidava un Berliet musone, un camion molto diffuso in Francia in quegli anni.

A Lilyane capitò ancora di incontrarla nel corso degli anni, quando finalmente anche lei si trovava al volante di un “poids lourd”. La salutava con un colpo di fari al quale Yvette rispondeva sempre, finché un giorno si fermò per abbracciarla, le raccontò che  lei non voleva essere notata sulla strada, che per lei era normale guidare un camion e che ognuno doveva fare la sua strada.

Di Yvette ho trovato tempo fa questo vecchio articolo che purtroppo parla della sua scomparsa in un incidente stradale. Un incidente provocato da una Mercedes che viaggiando troppo velocemente urtò un camion che poi si scontrò con quello di Yvette uccidendola sul colpo.

Era il 9 marzo del 1987, aveva 62 anni, guidava i camion dal 1943 e non aveva mai fatto un incidente nella sua carriera di autista. Trasportava esclusivamente per Berger, delle bottiglie, 20 tonnellate e 3000 km minimo alla settimana. Aveva una grande passione per la “route” e tutti quelli che l’avevano conosciuta avevano di lei il ricordo di una “Grand Dame”!

Perché vi parlo di loro? Perché mi è sempre piaciuto leggere le storie delle altre donne camioniste. Scoprire che in questo mondo dell’autotrasporto ancora troppo maschilista, ogni tanto c’è una donna al volante di un camion.

E se ancora oggi quando ci vedono alla guida un po’ di stupore lo suscitiamo, posso solo vagamente immaginare come potesse essere la vita di una camionista  in quegli anni. Soprattutto in relazione ai mezzi di allora.

Avete mai visto qualche film sui camionisti degli anni ’50?  In realtà non ce ne sono molti, di italiano c’è “Esterina” del 1959, dove i protagonisti, tra cui Carla Gravina, Domenico Modugno e Geoffrey Horne, viaggiano su un vecchio Fiat 634, in Francia ce ne sono un paio che vedono Jean Gabin nelle vesti di un “routier”: “Gas-oil” del 1955 e “Des gens sans importance” (Appuntamento al km 424) del 1956. Non è dei film che vi voglio parlare, ma dei camion che viaggiavano sulle strade in quegli anni.

 

 

Quando ho iniziato io negli anni ’80 i camion erano già abbastanza moderni e servoassistiti, ma all’epoca in cui cominciò Yvette non era cosi, la comodità dell’autista non veniva ancora presa in considerazione, e pensare a una donna da sola al volante di un autotreno in quel periodo mi suscita un sentimento di grande ammirazione. E’ grazie a donne come lei – che non finirò mai di ringraziare – se anche noi anni dopo abbiamo potuto salire quei gradini, sederci in cabina e partire.

Se ancora oggi, 21 anni dopo il 2000, mi capita di sentirmi dire “Sei la prima camionista che vedo”, mentre in realtà (il condizionale è d’obbligo) dovremmo essere circa 2000 qui in Italia, cosa si saranno sentite dire le pioniere degli anni ’50? A quante battute legate al pregiudizio sulle donne al volante avranno dovuto ribattere dovendo in più dimostrare la propria bravura? Quello che molti uomini non capivano allora  – e forse neanche oggi – è che le donne che  scelgono di fare questo mestiere, al 90% lo fanno spinte dalla passione e non per pura necessità, per loro è inconcepibile pensare che una donna possa desiderare di fare questa “vitaccia” sui camion, e invece è proprio cosi. Lo si legge nelle pagine del libro di Lilyane, lo si legge nelle varie interviste ad altre camioniste pubblicate nel corso degli anni, lo si sente dire da quasi tutte le colleghe che si ha la fortuna di incontrare.

Bonne route a tutte le dame del volante!

 

 

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Attirare l’attenzione…

 

Primavera del 1986, finalmente il foglio rosa della patente C. Parto col mio moroso per un viaggio da Varese a Napoli. Naturalmente in autostrada non potevo guidare, non ancora, cosi il ritorno, da Napoli verso Roma l’abbiamo fatto quasi tutto sulle statali. E li mi ha ceduto il posto di guida, per la prima volta avevo il volante tra le mani e potevo guidare veramente e non solo per qualche centinaio di metri come avevo fatto fino ad allora, di notte, in una zona industriale… per provare, per fare l’occhio sulle misure e pratica col cambio.

Cosi ho messo le marce e via, allora il limite di velocità sulle “piccoline” era di 60 km/h per i camion. Potevo andare tranquilla, ero felice! Il mio sogno si stava realizzando! Sulla Pontina lui si è addormentato sul sedile del passeggero, era stanco e le mie chiacchiere non erano riuscite a tenerlo sveglio. E se si fidava a dormire, evidentemente stavo guidando bene!

Ad un certo punto mi sorpassò un collega con un Fiat 180 NC, guida a destra. Fu una scena troppo divertente per me, perché mi guardò di sfuggita, poi si doveva essere chiesto se avesse visto bene perché si rigirò di scatto e picchiò la faccia contro il finestrino…

Allora non avevo idea di quante potessero essere le donne camioniste in Italia, non mi ponevo il problema di essere una rarità, io volevo guidare il camion e questo era tutto.

Scoprii ben presto che una ragazza al volante di un camion attirava l’attenzione, e non sempre era una cosa piacevole. Ma questa è un’altra storia.

Sono passati già 35 anni da allora e, facendo due conti, altrettanti più o meno ne erano passati da quando le prime donne camioniste cominciarono a viaggiare sulle strade d’Italia appena dopo la II Guerra Mondiale. Non ero certo una pioniera come loro, ma ero ancora una rarità…

Trentacinque più trentacinque fa settanta anni, e sono anche di più… eppure anche al giorno d’oggi ancora attiriamo l’attenzione. Ancora mi capita di andare in qualche azienda e sentirmi dire: “Sei la prima camionista che viene qui!”, “Che bello, una donna camionista, ma quante siete?”, ecc. Recentemente un signore mi ha chiesto – e non so se scherzava – “Ma le donne possono guidare i camion?

Certo, capita solo in posti relativamente piccoli, nelle grandi logistiche ormai sono abituati a veder arrivare qualche donna al volante di un camion, anche se diverse volte, quando vado a registrarmi e ho pochi bancali mi chiedono se sono con un furgone…

Sarà vero che il numero delle donne camioniste è aumentato negli anni, ma siamo ferme ancora al 2% (secondo le statistiche) degli autisti. Poca cosa…purtroppo.

Non so se sia dovuto ai pregiudizi che da sempre hanno ostacolato l’ingresso delle donne nel mondo dell’autotrasporto o a un mancato interesse da parte delle donne di svolgere questa attività però siamo ancora veramente una minoranza…che attira l’attenzione!

Buona strada a tutti!

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Nora, la nostra indimenticabile madrina!

 

Questo video è un omaggio a Nora, al suo coraggio e alla sua intraprendenza.

Nel 2004, in occasione del secondo raduno “Guida in rosa” a Montichiari, Nora, una delle prime camioniste italiane, venne a fare da madrina al gruppo delle Lady Truck. L’evento venne trasmesso in TV, su Rai Uno, all’interno del programma “La vita in diretta”.

Un immenso ringraziamento a te Nora che col tuo coraggio hai aperto la strada a tutte le camioniste che dopo di te hanno intrapreso questo mestiere! Sarai sempre nei nostri cuori!

Buona visione e buona strada sempre!

 

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Chi si ricorda? Chi si riconosce?

Un pò di nostalgia degli anni passati ogni tanto ci vuole…negli anni ’90 c’era un rivista intitolata “Viaggiando in autostrada”, qualcuna di voi se la ricorda?

Questa è la copertina del numero di luglio/agosto 1990, giusto ventinove anni fa!!! All’interno della rivista un articolo intitolato “Un Tir e tanti merletti” dedicato alle donne camioniste, che allora anche più di oggi destavano molta curiosità!

Alcune di loro ho avuto l’occasione di incontrarle o di scambiare qualche parola al baracchino, altre non le ho mai viste, l’Italia è grande e non sempre ci si può incrociare.

Una cosa che non mi era piaciuta dell’articolo era l’abbinamento delle donne camioniste col traffico di droga sui camion, che pare all’epoca fosse molto diffuso…. si vede che non avevano altre domande da fargli !

Io invece vorrei fare una domanda  alle lettrici di questo blog: vi riconoscete? Siete una delle “signore del volante” di quegli anni? Se ci siete battete un colpo, no meglio, lasciate un commento!

A tutte l’augurio di una buona strada sempre, ciao colleghe!

 

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Un racconto di Gisytruck!!

La nostra Gisy mi ha chiesto di pubblicarle questo suo scritto, lo faccio più che volentieri!!!

 

Ciao Lady

sono ancora qui, come in una recente canzone del Vasco nazionale… eh già!!!

Son passati mesi difficili e che si son portati via tante cose e persone importanti per tante di noi, le gioie sempre meno e prevale la demotivazione… ma non siamo abituate a mollare, non siamo abituate a perderci e ci prendiamo per mano in silenzio e si riprende il percorso, guidate dal fatto che basta sapere di avere un posto riservato nel cuore di qualcuno…  avere la consapevolezza che in un’altra regione c’è chi aspetta di leggere ciò che pensi o vuoi raccontare… Guardando delle immagini sulla pagina FB del gruppo mi è venuta un’idea.. magari anche solo una favola: una storia da raccontare, come il titolo di una canzone dei Nomadi…

Partenza a notte inoltrata dal piazzale, un 110 NC blu e un 180 NC verde scuro attrezzati per il trasporto foraggio, diretti in bassa pianura, dove è in corso la “campagna della Paglia”, sono gli anni ’80 ed economicamente sostiene migliaia di persone… si va! Decine di km interrotte solo da una veloce ,ma sostanziosa colazione nell’unico bar aperto e ben fornito per quell’ora, due ragazzi e una monella, sereni, felici di condividere un lavoro faticoso ma in proprio,  una vita davanti e la speranza di realizzare i sogni…nel quotidiano tante levatacce all’alba per riuscire a far più viaggi possibili, prima che arrivino i temporali a rovinare il prodotto, perchè non li affidino ad altri… perchè più riesci a fare e più incasserai…

La necessità di sapersi organizzare per perdere il meno tempo possibile per caricare, legare, pesare e andare a scaricare nelle aziende agricole nella zona pedemontana e poi ripetere il tutto fino a che non sopraggiunge il buio… rientro e raccogliere le poche forze rimaste per lavarsi ,mangiare e ritemprarsi,poche ore di sonno e nuova levataccia… così per tutto il periodo, circa un mese…

La monella non ha ancora la patente, il periodo è quello delle vacanze scolastiche che trascorre al volante dei camion durante il carico in movimento, non era ancora arrivato il momento delle rotoballe caricate dai trattori; mettendo a dura prova la frizione dei mezzi, la pazienza e l’equilibrio dei ragazzi che sistemavano le balle di paglia sul cassone per diversi piani…

primo carico ultimato, finalmente fermi, prepara le corde e i pali perchè possano far presto a fissare il carico per il viaggio; si riposa un attimo, bevendo, mangiando un frutto, sciacquata al viso prima di prendere il volante dell’altro camion e ricominciare da capo a seguire il percorso delle balle stese nelle tornature dalle presse… e così per un’altra volta, un’altra ancora… fino all’ultimo viaggio dove salirà anche lei per il ritorno… durante quelle lunghe ore passate sotto il sole cocente, in cabine asfissianti, in quella pianura che toglie il fiato per la mancanza di un filo d’aria non avrebbe mai immaginato di arrivare a percorrere migliaia di km al volante in un futuro… allora era felice di essere utile e d’imparare a lavorare il sincronia con gli altri e che aveva la responsabilità della sicurezza di essi, una manovra errata e poteva investire l’operatore che metteva la balla sul braccio meccanico, una brusca partenza e avrebbe potuto far cadere quello che era sul cassone… qualche sgridata l’ha pure presa ma è servita a migliorarsi…, il caldo e la stanchezza a volte rendevano insofferenti un po’ tutti ma poi uno scherzo, una battuta o un sorriso riportavano tutto sulla BUONA Strada!!!

 

 

 

 

001 Fiat OM 110

Un vecchio Fiat 110Nc…non quello del racconto, ma stesso modello anche se centinato.

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“The Winner Take it All”

Chi è figlio di camionista può capire e trovarsi nelle parole di questo racconto autobiografico… 
Un ringraziamento a Edo Van Axel per il consenso alla pubblicazione nel blog…

 

“Sono quasi le nove di una calda serata estiva.
Le stelle, da quello che vedo dal parabrezza, sono alte e brillanti, come diamanti buttati sopra un manto di velluto nero.
Chiudo il diario di mio papà, che porto sempre con me, compagnia e spunto per i momenti meno buoni di questo mestiere.
Resto per qualche minuto ad osservare la copertina ormai logora di pelle, le pagine ingiallite dal tempo, eppure cosi indelibili al ricordo.
Purtroppo non gli ho mai perdonato del tutto la sua assenza durante quel Natale, ci speravo, ci credevo, eppure non arrivò.
Attesi invano davanti alla finestra che dava sulla strada tutta la vigilia, ma nulla.
Mi ricordo che gli comprai, o meglio, mia mamma comprò, una giacca a vento per lui, era bella, di colore scuro, con tante tasche per metterci quello che gli serviva.
Lo rividi che era quasi finito Gennaio.
Non mi parlò mai dei suoi viaggi, almeno, fino a quando non ebbi quattordici, quindici anni, sino ad allora sapevo solo che guidava un camion, ma il dove e il come no.
Forse non gli interessava parlarne, o forse, a suo modo, voleva mettermi in guardia dalle insidie di questo mestiere, tenermi fuori insomma, sperando per me in un futuro migliore.
Invece no. Ero quasi sul punto di dar retta a lui, di credere alla canzone dello “studiare e farmi una posizione”.
Eppure non ci riuscii.
Il sera prima di iniziare la mia esperienza di autista, andai da lui per un caffè e mi diede una busta di carta gialla con dentro questo diario, dicendomi “ Adesso sei grande abbastanza per capire cosa vuol dire fare il camionista. Ricordati solo una cosa: giusti o sbagliati che siano, sulla strada incontrerai sempre uomini veri.”

Mi accendo una sigaretta, mentre controllo nuovamente il foglio di viaggio che mi hanno appena consegnato. Due scarichi ed un ritiro in Olanda. Poi si ritorna a scaricare a Reggio Emilia e Ravenna.
Certo, nulla a che vedere con i viaggi di cui ho appena letto per l’ennesima volta la storia.
Ma a modo mio sono fiero di ciò che faccio, a metà strada tra lo zingaro e l’ordinario, saltello da un posto all’altro dell’Europa con il peso e la consapevolezza di fare un lavoro che ho io stesso scelto, adottato quasi.
Mio padre mi ha lasciato in eredità una strada, un semplice strato di catrame con delle strisce bianche sopra.
Pur avendo vissuto poco con lui, pur non avendo mai fatto le cose comuni che padri e figli farebbero, mi sento come in debito con lui, e ripago i sacrifici che ha fatto per me con la stessa moneta, facendoli a mia volta.
La nebbia è sempre la stessa, la fatica pure, anche se con camion diversi e sicuramente migliori, e so che non approverebbe le mie personalizzazioni a base di cromature e scarichi verticali!
Mi piace ricordarlo cosi, burbero, ma con un cuore grande, quando arrivava a casa stanco morto, io scendevo di corsa e gli andavo incontro, ricordo il motore ancora caldo, l’odore, quell’odore di olio, nafta, gomme che ti rimane addosso come una seconda pelle, mentre mi arrampicavo in cabina e mi mettevo al volante.
Quanti anni sono passati, e alla fine poco o nulla è cambiato in me.
Ieri mi ha chiamato il milanese,l’Ernest, è invecchiato anche lui, ma quando glielo ricordo scherzosamente lui, sbuffando il fumo della sigaretta, mi fa “ Ricordati che per essere vecchio devi prima essere stato giovane, te capì?!”. Adesso è dietro una scrivania, da anni oramai, ma ogni volta che parliamo mi sembra di rivederlo sul suo Scania, pronto a domare le piste desertiche.
Parliamo tanto, ricordando le sue imprese e quelle del mio vecchio, e quando gli dico che ho dovuto cambiare una gomma scoppiata mi risponde “ Fiulet, il routier dell’impossibile ahaahaha”!
Il Gianni e suo papà invece sono ancora in pista. Gianni l’ho incontrato una sera in Francia, a Macon, carico di legna, e abbiamo cenato assieme. Anche lui tiene botta, anche lui rimpiange quei tempi la, e tutte le volte che gli parlo di papà, beh, mi fissa con i suoi occhi chiari e mi dice “ Sei la sua fotocopia”.
Michelle non lo ferma nessuno invece. Sempre uguale, imponente, simpatico, brusco.
Ah, ovviamente porta sempre le zoccole ai piedi.
Gli altri uomini di questa storia purtroppo non ci sono più, tutti scomparsi, solo il loro ricordo nelle nostre voci, adesso stanno facendo l’ultimo viaggio, il più lungo ed impegnativo.
Quante vite spezzate, di loro ho purtroppo un vago ricordo, qualche fotografia sbiadita, e una tabella metallica circolare con disegnato sopra un cammello, che mi hanno regalato quando papà se n’è andato, e da allora la porto sul camion con me, anche se è fuori luogo, va bene, ma è come se fossero tutti li assieme, come se dicessi “ tranquilli ragazzi, che non vi dimenticheremo”.

Va bene, dai, è ora di andare, che per i ricordi c’è sempre tempo.
Metto in moto, gli otto cilindri cantano al minimo per me.
Esco piano dal piazzale dove ho appena caricato, sollevando piccole nuvole di polvere al mio passaggio.
Questa notte è per me.
Tra me e me penso” Vecio, dammi un occhio tu se puoi, va ben?” , mentre fisso la volta stellata.
“Anche se distanti, siamo sempre sotto lo stesso cielo”, mi disse una volta.
E adesso ti credo, sai?
Riparto, le luci che illuminano la strada, e per tetto lo stesso cielo che mio padre, quasi quarant’anni fa, vide nella sua notte raminga, mentre alla radio le note di “ The winner take it all” degli Abba tentano di illuminare una notte cosi scura.”

Edo Van Axel  (dedicato a mio padre Carlo)

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“Le vecchie statali”…una storia d’altri tempi!

Ciao a tutti/e,
quella che vi posto oggi è una storia di tanti anni fa, non l’ho scritta io ma un amico di Youtube, Vincenzo, figlio di camionisti, e grande appassionato a sua volta, anche se poi ha seguito un’altra strada. Gli ho chiesto se potevo pubblicarla perché io penso sempre con rispetto a quegli uomini (e anche alle donne, anche se allora erano pochissime!) che hanno fatto la storia dell’autotrasporto e dell’Italia, senza di loro, senza la loro fatica oggi non saremmo qui. E siccome mi emoziono a leggere i loro ricordi di un’epoca cosi diversa dalla nostra, e sono convinta che non debbano andare perduti, ho pensato di condividere questo bellissimo racconto. Un grazie di cuore a Vincenzo e alla sua famiglia!!!

Una vecchia casa cantoniera su una vecchia strada statale…

“LE VECCHIE STATALI”

…ah, le vecchie statali, panorami della nostra bella Italia, paesi che si attraversano, campanili e piazze, salite famose e discese pericolose, curve, tornanti, cunette o dossi, ponti, fiumi, parapetti, passaggi a livello, pietre miliari, fontane, aree servizio, bar e trattorie, case cantoniere, e km e km che non si arriva mai, quante storie e quanti ricordi di camionisti su queste strade!

Quanti camion passavano sull’Adriatica, lunghe erano le colonne, magari dietro un 690 stracarico o in attesa del semaforo con le belle turiste che in estate attraversavano sulle strisce, e sulle lunghe salite di valichi appenninici, Roccaraso, Forca Caruso, Sella di Corno, Macerone con quella ridotta che ogni tanto grattava, e nelle lente discese con l’inconfondibile rumore del freno motore e sempre attenti a non bruciare i freni.

Ha qualcosa da raccontare anche quel cantoniere, lui era lì, quella mattina un po’ piovigginosa, a fare i suoi lavori sulla statale SS 17 dell’Appennino Abruzzese, era intorno al km 154 in fondo ad una discesa, aveva fatto appena in tempo a notare una deliziosa maestrina alla guida di una 500 (e sì, non erano molte le donne che guidavano nel 1960) che, attirato da sinistri rumori di frenate disperate, di assali e balestre che sobbalzavano, si voltò dall’altra parte e non fece in tempo ad ammirare il nuovissimo e luccicante Esatau B, che dovette pensare subito a correre da qualche parte che non gli venisse addosso, e giù sotto il fosso sperando di aver scelto la parte giusta, e parte giusta fu, lui da un lato e l’Esatau dall’altra, un miracolo per tutti, anche per i due camionisti che non si fecero nulla!

Ne fecero di strada i nostri due camionisti, erano partiti a mezzanotte, percorrendo tutta la litoranea della SS16 Adriatica fino a Termoli, poi dentro nell’entroterra molisano fino a Campobasso, consegna del carico, e sarebbero dovuti rientrare per mezzogiorno passando sulla SS17 per Roccaraso e la SS5 Tiburtina Valeria fino al paese vicino Pescara dove c’è la cementeria, ma così non fu.

Quel giorno il nostro Esatau B nuovo fiammante con il rimorchio Bartoletti era un pò malridotto e quando i Carabineri si portarono sul posto per redigere il verbale scrissero grosso modo così:

” in seguito all’incidente la motrice dell’autotreno era in posizione giù nel fossato sotto la spalletta del ponte in provincia dell’Aquila ed il rimorchio parzialmente ancora in sede sulla strada in provincia di Campobasso” ….sì, era proprio il confine di provincia!

Tratto da una storia vera

– sulla statale SS17 non passano più camion ma motociclisti e ‪ciclisti, ora c’è una superstrada
– il confine di provincia oggi è tra Isernia e L’Aquila (ma ancora per poco)
– sulla SS16 Adriatica passano pochi camion, adesso c’è l’A14
– L’Esatau B venne riparato e lo abbiamo avuto ancora per tanti
anni (era così bello che, mio padre racconta, la gente lo
fermava per strada credendolo un autobus)
– uno dei due camionisti, allora molto giovane, oggi possiede
insieme con i figli una importante azienda di autotrasporti
– del cantoniere non si sa nulla
– della maestrina nemmeno, ma mi sarebbe tanto piaciuto
conoscerla…perché da bambino ero bellissimo e
non avrebbe potuto resistermi!

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Aggiungo qualche foto di un Esatau B restaurato al racconto…

 

Un vecchio Lancia Esatau B restaurato…

 

L’Esatau B a una manifestazione di mezzi storici

Buona strada sempre a tutti!!!!

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