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Una pagina dal diario di…

Ciao a tutti  blog-lettori,

 

torno con un DIARIO DI BORDO, non l’ho scritto io (non ho mai fatto il militare!!) ma un carissimo amico (mio e del blog) con una grandissima passione per i camion che mi ha raccontato via mail di quando ragazzo nel periodo della naja ha preso parte a una missione di PACE in Albania, lui non guidava i camion, ma un giorno….

 

“Nel mio periodo di servizio militare obbligatorio (svolto in diverse caserme tra l’autunno del ’91 e l’autunno del ’92) mi capitava spesso di infilarmi nelle rimesse per guardare da vicino i camion dell’esercito. Ebbi persino modo di ottenere i manuali d’officina dei mezzi in dotazione (autobus Fiat «370» compreso) e ricordo bene anche le pagine dedicate al cambio Fuller a 13 marce del libretto di istruzioni presente nel cruscotto del «190.33 Turbostar» allestito ad autocisterna.

002 rEra il 1992 quando ebbi modo di passare i mesi estivi di naja in Albania, nell’accampamento della città di Durazzo. Si trattava di una missione di pace, denominata Pellicano proprio come l’uccello che porta da mangiare ai suoi piccoli riempiendosi il grande becco. E in realtà buona parte della presenza dell’esercito italiano in Albania tra il ’91 e il ’93 consisteva proprio nella distribuzione di derrate alimentari (zucchero, grano, farina) alla popolazione. Più in là vennero assegnati anche libri e strumenti medici. 014 r

Ogni mattina decine di automezzi targati EI partivano diretti a vari depositi e rientravano generalmente alla sera dopo aver scaricato tonnellate di roba. Mi piaceva molto assistere a quel via-vai di autocarri che si muovevano ordinatamente. Tuttavia io ero assegnato ad incarichi da ufficio, quindi niente camion. Una volta però mi feci un po’ di coraggio, e considerando che non c’era molto da lavorare al computer, chiesi al maresciallo se mi accordava il permesso di uscire in colonna. Lui acconsentì e mi disse che il giorno dopo sarei andato insieme ad un gruppo che avrebbe pernottato fuori e sarebbe tornato l’indomani.

013 FraRicordo ancora la contentezza di sedere sul sedile destro di quell’Astra «BM 201», accanto ad un autista sardo molto gentile. Il nostro mezzo era il secondo di una colonna di nove camion carichi di sacchi di farina, e vederli dal retrovisore era uno spettacolo. A chiudere il serpentone provvedeva un esperto maresciallo alla guida di uno sbuffante Iveco «330» con gru retrocabina e rimorchio carrellone. Serviva come mezzo di soccorso nel caso qualche camion si guastasse o finisse fuori strada.012 rr

Partimmo alle nove del mattino e la meta da raggiungere distava circa 200 chilometri, ma la strada era interamente in terra battuta. In più c’erano lunghissimi tratti che si inerpicavano per le montagne, su sedi stradali strette e prive di paracarri. Insomma, in più d’un momento, soprattutto quando si incrociava un mezzo che procedeva in direzione opposta, sembrava di essere in quei film in cui basta un nonnulla per finire nel precipizio!007 r

La gente salutava festosa al nostro passaggio intrecciando le dita in un simbolo che inneggiava alla libertà, e a me sembrava di vedere le immagini dei documentari in cui gli Italiani esultano all’ingresso degli Americani alla fine della seconda guerra mondiale. Non so con esattezza com’è la situazione attuale, ma allora c’era tanta povertà. Pensate che le donne ci chiedevano spesso le bottiglie di plastica vuote. Tagliandole in basso ricavavano economicamente un bicchiere. Il lavoro gravava in buona parte su donne e bambini; gli uomini passavano più che altro la giornata a bighellonare. Però erano affettuosi nei nostri confronti e ci offrivano meloni, patate e zucchine appena raccolti. 009 r

I giovani albanesi tentavano di tutto per passare in Italia. Rai e Fininvest si ricevevano bene nei bar che avevano un televisore e per questo erano convinti che il nostro Paese fosse la nazione del bengodi, dove i soldi piovono dal cielo. In particolare erano illusi dagli alti ingaggi dei calciatori (pensavano che bastasse tenere un pallone fra i piedi per diventare ricchissimi) e dai quiz di Mike Bongiorno che regalava milioni e milioni a chi dava semplicemente la risposta esatta ad una domanda! 

Quando i mezzi dell’Esercito impossibili da riparare in loco venivano rimandati in Italia imbarcandoli al porto di Durazzo, si doveva procedere ad attenti controlli perché c’erano ragazzi che si nascondevano in ogni angolo sotto il camion pur di imbarcarsi clandestinamente nella nave per Trieste.010 r

Durante il viaggio rimasi meravigliato dalle tante botteghe per la riparazione di pneumatici. Del resto non c’era molto da meravigliarsene: con le strade di ghiaia e terra battuta le gomme avevano vita tutt’altro che facile.

A pranzo ci fermammo in una pineta, consumando le razioni preconfezionate in dotazione all’esercito. C’era una bella atmosfera composta da fatica e solidarietà. Poi di nuovo in cabina, con la colonna sonora del motore, la coreografia di un paesaggio dall’orografia suggestiva e il contorno di inenarrabili scossoni e sussulti in cabina.

Giungemmo al magazzino di scarico che erano da poco passate le otto.

  015 r

Feci un rapido conto: praticamente avevamo impiegato più di dieci ore per arrivare a destinazione, una media di circa 20 chilometri orari!…

Ma come fu bello!

 

Francesco “

 

E bello è stato anche leggere di una missione pacifica per aiutare chi ne aveva bisogno mista a un grande amore per i camion!! Io ringrazio Francesco (si il “nostro” Francesco, proprio lui!!) per aver voluto condividere con noi questa esperienza di vita, grazie veramente di cuore e…buona strada!!!!

 

Moni

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4 Comments

  1. graspa190 ha detto:

    Il racconto e l’esperienza di Francesco hanno molto in comune con ciò che mi ha riguardato nel periodo del militare e nel passato recente. Più o meno abbiamo fatto la naja nello stesso periodo, nel mio caso estate ’92- estate ’93, avevo incarico carburantista e quindi passavo il tempo tra l’ufficio, deposito carburanti e i mezzi militari compresi gli elicotteri. L’unico rammarico è quella di non aver potuto conseguire la patente per i camion. Mi ricordo bene la missione perchè alcuni sottoufficiali del mio reparto vi hanno partecipato. Per arrivare ai giorni nostri, reduce da un viaggio umanitario in Bosnia, mi ritrovo immedesimato nel racconto di Francesco. Cambia il soggetto a distanza di anni ma la trama rimane uguale. Grazie a Francesco e Buona strada.

  2. ironduckmoni ha detto:

    Ciao Fra…lo sto facendo a puntate questo post…non mi sta connesso e non so perchè….

    Un saluto a tutti e buona strada sempre!!!

    Moni.

  3. Misteriosa ha detto:

    Immagino l’emozione che hai provato nel partecipare a questa spedizione soprattutto x la tua passione x i camion. Molti ragazzi facevano di tutto x evitare la naja ma è un percorso che ti fa crescere, l’avrei fatto anch’io.

  4. gisytruck ha detto:

    Ciao Francesco

    la tua esperienza ci porta indietro nel tempo… un periodo difficile, soo molti aspetti, proprio come ora… Presenza costante i camion ora come allora, utilizzati per tutti gli spostamenti di persone e merci…

    Buona Strada!!!

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