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MASCHILISMO E DONNE CAMIONISTE – parte 2

 

Il maschilismo nell’autotrasporto non era solo quello dei colleghi sulle strade, naturalmente. Cominciava già prima di salire su un camion, era quello il problema più grande. Riuscire ad avere un posto di lavoro al volante non era semplice. E forse no lo è ancora adesso in alcuni casi. Nei primi anni in cui viaggiavo la maggior parte delle colleghe che ebbi l’occasione di conoscere ci erano riuscite perché venivano da una famiglia di autotrasportatori, oppure perché viaggiavano col compagno o avevano cominciato con lui. C’era anche qualche padroncina che si era fatta da sola, qualche autista dipendente, ma erano veramente poche.

Mi ricordo di una mia amica che mise un annuncio sul giornale per cercare lavoro e venne contattata da una ditta di trasporti (quelli del quotidiano non avevano scritto che era una lei, pensando ad un errore nel testo), e quando rispose al telefono, sentendo la voce di una donna le fu chiesto se era per suo marito, quando lei rispose che l’interessata era lei, le dissero che loro cercavano un uomo, perché non era un lavoro adatto a una donna… Quante ragazze si sono sentite rispondere cosi cercando un lavoro da autista? Tante…  Per contro, alcune sono state assunte per scommessa, perché pensavano che avrebbero gettato la spugna dopo poche settimane, e invece viaggiano ancora adesso!

Uno dei motivi per cui le donne faticavano a trovare lavoro su un camion era dovuto alla possibilità che avessero figli nel breve periodo. Lo so, mi direte che questa cosa vale per molti altri lavori, ed è vero, ma sostituire un autista non è semplice per niente e comunque, finito il periodo della maternità, se non avevi qualcuno che si poteva prendere cura del tuo bimbo i problemi diventavano insormontabili. La storia è sempre la stessa: sai l’orario di partenza, ma mai quello di arrivo, la strada è il luogo dell’imprevisto per eccellenza! Purtroppo in Italia non ti puoi più portare i bambini sul camion come si faceva una volta (ho letto un’intervista di una collega degli anni ’70 che  portava con se i figli piccolissimi e li allattava in cabina!). 

Cosi ho visto tante colleghe scendere dal camion per poter crescere i propri bambini, aspettare che fossero abbastanza grandi e poi riprendere la strada. E comunque anche chi ha avuto qualcuno a casa (vedi nonne, tate, ecc..) che le sostituiva durante le lunghe trasferte, ha sofferto per questa cosa, avere un figlio e non vederlo crescere è dura già per un uomo, per una mamma lo è ancora di più, ma a volte era una scelta obbligata da necessità economiche. Altre hanno tenuto il loro sogno nel cassetto per anni, aspettando appunto che i figli crescessero e sono salite sul camion a 40 o 50 anni, riuscendo cosi a sentirsi finalmente realizzate. Altre invece hanno fatto la scelta opposta: hanno rinunciato ad avere figli, qualcuna anche ad avere un marito e hanno proseguito per il loro cammino. Non è il sogno di tutte quello di avere una famiglia, c’è chi preferisce una sua realizzazione personale ed è felice della propria scelta. E anche qui ricompare il maschilismo, e se prima te lo dicevano a voce ora te lo comunicano via “social”, dichiarando che decidere di non avere figli è una scelta “agghiacciante” per una donna, o che se l’hai fatta non hai costruito niente nella vita e sei solo una donna SOLA. Certi uomini a volte si permettono di esprimere giudizi senza nemmeno conoscere le persone, semplicemente perché non rientri nei loro standard di vita, quelli che loro reputano gli unici giusti per tutti.

Uomini e donne non sono uguali e quando si parla di parità non vuol dire azzerare le differenze che ci contraddistinguono, ma raggiungere la parità dei diritti, e quella è  una strada ancora lunga da percorrere.

Ma il discorso non finisce qui… ne parlerò ancora in un prossimo post, buona strada a tutti!

 

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