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La storia di Beatriz

 

Un’altra nuova collega, Beatriz,  ci racconta la sua storia in questa intervista di Elisa Bianchi dal blog di Uomini e Trasporti – Anche io volevo il camion.

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/beatriz-alvez-la-mia-nuova-vita-felice-alla-guida-di-un-camion/

Questo il testo:

Beatriz Alvez: «La mia nuova vita (felice) alla guida di un camion»

Ha 52 anni, è argentina ed è «una forza della natura», o almeno così si sente dire di lei in giro. In effetti, la storia di Beatriz Alvez, autista da poco più di un anno, è tutt’altro che scontata: nella sua famiglia nessuno è autista e anzi, nemmeno lei ha mai pensato di trovare posto in cabina. E allora cosa ci fa un’ex odontoiatra di Buenos Aires alla guida di una motrice?

Ci sono interviste che non hanno bisogno di frasi a effetto introduttive. Questa a Beatriz Alvez è una di quelle, perché la sua storia è un susseguirsi di colpi di scena che forse più che un’introduzione servirebbe una premessa: per leggerla non bisogna aver paura di saltare nel vuoto.
Beatriz Alvez nasce cinquantadue anni fa da una famiglia di militari, nella campagna argentina. Dopo l’infanzia si trasferisce a Buenos Aires dove si laurea in odontoiatria e conosce l’amore. Si sposa e diventa mamma di due bambini, un maschio e una femmina, che cresce mentre avvia la sua carriera in uno studio dentistico. 11.147 chilometri più in là, esattamente la distanza che divide l’Italia da Buenos Aires, l’attende però la sua nuova vita. Ecco il primo salto nel vuoto.
Undici anni fa l’ormai ex marito di Beatriz decide di trasferirsi in Italia con i figli: l’Argentina sta passando un periodo buio, il pericolo è dietro l’angolo e Beatriz decide di seguire la sua famiglia. Si traferisce a Frosinone, in campagna, dove ritrova le abitudini dell’infanzia e inizia una nuova vita. «Non è stato facile all’inizio, lo ammetto. La mia laurea argentina in Italia non vale, quindi ho dovuto reinventarmi». E Beatriz ci riesce benissimo: trova lavoro come divulgatrice scientifica per una grande azienda e inizia così a viaggiare in tutto il mondo per lavoro. «Ho fatto questa vita per sette anni, poi mi sono resa conto che ero stanca. Quando il mio contratto è scaduto, ho deciso di non rinnovare, di prendermi del tempo per me. Di mezzo c’è stato il covid e poi ho iniziato a viaggiare per piacere, da sola, prendevo la mia macchina e partivo. Avevo voglia di guidare». Ed è qui che qualcosa scatta. La scintilla si accende e in una come Beatriz è difficile spegnerla: «Vedevo spesso i camion posteggiati nelle piazzole di sosta, mi incuriosiva guardali, finché a un certo punto mi sono detta: perché non guidare per lavoro?». Dalla nascita dell’idea alla sua esecuzione il passo è breve. Beatriz prende le patenti e in poco tempo si ritrova a cercare lavoro come autotrasportatrice.

Ma qui il dubbio sorge: forse era già un sogno custodito nel cassetto?

Assolutamente no, mai mi sarei immaginata di fare l’autista, nella mia famiglia nessuno ha fatto questo mestiere prima e sicuramente nessuno si aspettava che io a 52 anni prendessi questa strada. Ma nella mia vita mi è sempre stato detto quello che dovevo fare, per una volta volevo decidere per me stessa, seguire quello che mi faceva stare bene e quello che mi faceva stare bene in quel momento era guidare.

Per iniziare, però, serve trovare un lavoro.

Caricai il mio curriculum su internet ma fu un errore perché iniziai a ricevere diverse chiamate che possiamo definire delle prese in giro. Un giorno mi suonò il telefono, era un uomo e mi chiedeva se davvero stessi cercando lavoro come autista. Alla mia risposta affermativa mi disse che era meglio se andavo a lavare i piatti. Appesi, non vale la pena arrabbiarsi.  Molte ditte a cui mi rivolsi però mi dissero che non potevano assumermi perché non avevano donne con cui farmi fare l’affiancamento e con un collega uomo sarebbero sicuramente sorti problemi. Ci sono ancora tante barriere da abbattere, evidentemente. Però alla fine ce l’ho fatta, ho trovato il lavoro che volevo alla guida di una motrice frigo.

A distanza di poco più di un anno la scintilla c’è ancora?

Rifarei questa scelta anche prima, non so perché ho perso tanto tempo. Dicono tutti che quella dell’autista è una vitaccia, per carità è vero non è facile. Si lavora tante ore, la maggior parte delle quali passate in solitudine e se c’è qualche problema te lo devi risolvere da solo, ma in fondo anche nel mio primo lavoro era così. Se hai un paziente sul lettino hai comunque delle responsabilità, hai dei problemi da risolvere. Sul camion ne hai di più e soprattutto devi pensare che sulla strada non sei solo, ci sono macchine, pedoni e ciclisti.

Un problema di cui si sente parlare spesso ultimamente…

Sì, ma viene mostrato solo un lato. La colpa, alla fine, ricade sempre sull’autista ma ci si dimentica di guardare cosa sta dietro al problema. Spesso si lavora in condizioni difficili, le regole non vengono rispettate oppure chi si occupa di pianificare i trasporti non conosce le reali caratteristiche di un determinato territorio e il risultato è che ti trovi a dover scegliere tra il meno peggio. Così non va bene, non funziona, serve più controllo perché quello che vediamo è solo la punta dell’iceberg.

A risentirne, alla fine, è l’immagine del settore.

Ci sono molti stereotipi rispetto alla figura dell’autista, di conseguenza spesso si pensa di poterne approfittare. Ma l’intelligenza non è data dai titoli di studio, ho conosciuto persone che sanno fare benissimo il proprio lavoro alla guida di un camion pur non avendo studiato. Questo settore, che non è sicuramente facile, è fatto da persone competenti e dobbiamo essere orgogliosi di questo, noi autisti in primis. Eppure, le aziende che la pensano così sono ancora poche. Faccio un esempio: qualche tempo fa ho ripreso a mandare il mio curriculum perché volevo cambiare, ma alla fine su consiglio di mio figlio ho dovuto togliere la mia esperienza come odontoiatra e divulgatrice scientifica. A quanto pare ero “troppo qualificata” e penso sia un peccato perché è una cosa di cui io vado orgogliosa.

Alla fine, il lavoro l’hai trovato?

Sì, ho iniziato da pochi giorni. Guido il bilico e faccio trasporti in ADR. L’affiancamento lo sto facendo con una ragazza, l’unica altra donna oltre a me in azienda.

Perché ci sono ancora così poche donne secondo te?

I tabù ci sono ancora non possiamo negarlo, eppure è provatissimo che noi donne possiamo fare questo mestiere. Dobbiamo entrare nel settore perché possiamo essere un valore aggiunto, possiamo cambiarne l’immagine. E poi non se ne può più dello stereotipo che una donna autista non sia femminile. Io oggi mi sento femminile tanto quanto lo ero da odontoiatra e non perderò questa caratteristica facendo questo lavoro.

Però sicuramente è richiesto uno sforzo fisico.

Sì, ma il camion non lo devo portare in spalla. La prima volta che sono salita in cabina pensai che fosse un mezzo davvero imponente, eppure potevo controllarlo con le mie mani. Se devo essere sincera, mi sono sentita come un Transformers, quelli dei film. Certo non nego che all’inizio anche io ero preoccupata per il peso dei carichi e degli scarichi, ma ho capito che basta un po’ di pratica e manualità ed è fatta. Sicuramente è richiesto uno sforzo, ma non sovraumano, altrimenti non sarei qui oggi a parlarne. E pensare che io non avevo mai guidato neanche un suv, ho sempre avuto macchine piuttosto piccole.

Qual è il ricordo più bello che hai collezionato in questo primo anno come autista?

Qualche mese fa andai a scaricare a Roma. Stavo facendo manovra quando vidi una donna nel piazzale che guardava incuriosita in cabina. Quando entrai in magazzino mi ricevettero tutti con un applauso: era stata lei a dire ai ragazzi che c’era una donna a fare manovra con il camion e che meritavo un applauso. Questi momenti sono emozionanti, una cosa del genere non mi era mai successa nella mia precedente professione.

Hai già in programma altri cambiamenti per il futuro?

Io sono fatta così, quando mi annoio devo cambiare. Ho pensato di fare l’estero, era una delle opzioni sul tavolo quando ho scelto di lasciare la precedente ditta per cui lavoravo, ma ho già viaggiato tanto in vita mia e la sera mi piace tornare a casa, ai miei spazi. Sono nonna adesso e vorrei godermi anche la mia nipotina, le mie amicizie, la mia casa, il mio orto, le mie passioni. Sicuramente voglio fare questo lavoro finché potrò e nel frattempo studiare per continuare a crescere. Sto seguendo un corso per diventare gestore dei trasporti, ma prima di tutto occorre imparare le basi, imparare il mestiere.

Un’ultima domanda: dove trovi tutta questa determinazione?

Credo nella forza di noi donne.
Come dicevo sono nonna adesso, non voglio che mia nipote si senta fuori posto nel mondo o che pensi che non possa fare qualcosa solo perché donna.
Deve poter scegliere di fare quello che le piace.
Mi dico sempre che se un essere umano fa qualcosa lo può fare anche un altro, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna.

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