In questo video la storia di Silvia, mamma e donna camionista per passione, presentata dal suo titolare che vede nelle donne al volante una buona opportunità per migliorare l’immagine dell’autotrasporto.
E’ bello quando si gira per il web trovare notizie sulle pioniere del volante (di un camion!), e soprattutto è bello che non ci si dimentichi di loro, questo video è di pochi giorni fa ed è dedicato a Teresina Bruno, la prima donna camionista italiana. Abbiamo già scritto di lei altre volte, ma è sempre bello ricordarla!
E’ suo figlio Mauro che nel video racconta la vita della mamma, al volante di un camion nell’immediato dopoguerra, e dei problemi che ha dovuto affrontare all’epoca.
Il video si conclude con la panchina che le è stata dedicata nel “Sentiero delle donne ” a Settimo Torinese.
Simona Piersanti: «Sul camion festeggio di nuovo i 18 anni»
Classe 1984, marchigiana, autista e, scesa dal camion, mamma a tempo pieno. Simona Piersanti quest’anno festeggia un compleanno molto speciale, i suoi 18 anni in cabina, inseguendo la sua più grande passione: guidare
La voce è allegra, l’entusiasmo lo stesso di quando ha iniziato, la passione, neanche a dirlo, non se ne è mai andata. Simona Piersanti, 39 anni, originaria di Serra de Conti – un piccolissimo paese in provincia di Ancora, nelle Marche – è in cabina da quando di anni ne aveva appena venti e quest’anno festeggia un compleanno molto speciale: 18 anni come autista.
Figlia di un camionista, inizia a viaggiare fin da piccolissima, quando il padre la portava con sé nei suoi lunghi viaggi. Con lui macina chilometri su chilometri e più il tempo passa più capisce che quella sarà anche la sua strada. Il papà – oggi anche collega – è il suo primo sostenitore, ma la mette in guardia sulle difficoltà del mestiere. Così Simona inizialmente tentenna: «Subito dopo il diploma- racconta – provai a darmi una possibilità in altro campo. Iniziai a lavorare come impiegata in un’azienda di import-export, ma la vita sedentaria da ufficio non faceva per me che sono sempre stata uno spirito libero. Ho resistito un anno, poi ho capito che dovevo inseguire la mia passione più grande: guidare».
Così trova lavoro in una cantina vinicola dove le affidano il furgone per le consegne, ma lei è abituata a mezzi molto più grandi. L’occasione arriva grazie a un altro grande amore, quello per l’uomo che oggi è suo marito. «Aveva un’azienda di trasporti – l’Autotrasporti Simonetti Antonio di Serra de Conti – e così, compiuti 20 anni, ho deciso di fare sul serio. Ho preso le patenti e ho chiesto di lavorare per la sua azienda, per la quale ancora oggi sono dipendente». Simona torna a viaggiare, questa volta a bordo di una motrice con la quale trasporta “un po’ di tutto”, come dice lei, attraversando in lungo e in largo le Marche, la Toscana, l’Umbria e l’Emilia-Romagna, e riscoprendo la libertà che le dà stare al posto di guida.
…il resto dell’articolo lo trovate cliccando su questo link
Il colpo di fulmine per questo lavoro scoppiò nel lontano 1984. Due anni dopo, nell’86, presi le patenti e l’anno successivo iniziai a lavorare per la ditta di autotrasporto della famiglia del mio ragazzo.
Perché hai scelto «Iron duck» come soprannome?
All’epoca avevo un braccialetto regalatomi da mio papà con la scritta «Anatra metallica» sulla chiusura. Mi è sempre piaciuto, oltre a essere un ricordo prezioso, così lo scelsi come nominativo.
Con quel nome hai aperto anche un canale Youtube. Come è nata l’idea di fare dei video?
È in iniziato tutto con ChiodoVideo, il capostipite dei camionisti YouTuber italiani. Guardavo i suoi video e mi piacevano molto, così nel 2009, su suo suggerimento, mi sono lanciata anche io. Iniziai con dei video fotografici, tra cui Dreamer on the road, perché in fondo è quello che sono, una sognatrice a cui piace trasmettere emozioni e la propria passione.
Come scegli i temi di cui parlare?
La scelta è del tutto casuale, quando faccio un viaggio parlo di quello che capita. Per le musiche, invece, cerco sempre di scegliere qualcosa che mi trasmetta delle emozioni.
Cosa vedi cambiato dagli anni ’80 ad oggi?
Il modo di fare trasporto è cambiato radicalmente negli anni. Per esempio, una volta si dormiva qualche ora quando si era stanchi e si viaggiava quando si era riposati. Oggi esistono più limiti, ma si viaggia sempre con la fretta, un occhio alla strada e uno al tachigrafo per controllare le ore di guida. Non c’è più tempo per la solidarietà o per parlare al baracchino. Di conseguenza sono cambiati molto anche i rapporti umani.
Meglio il passato o il presente?
A volte mi ritrovo a pensare di essere un po’ nostalgica, il mondo deve andare avanti lo so, però il progresso troppo spesso aggiunge tecnologia e toglie umanità.
Come descriveresti la tua vita oggi?
Particolare. Questo mestiere deve piacere, per una donna forse ancora di più. Ci vuole spirito di adattamento che non mi è mai mancato. Non mi è mai servito restare a casa molto tempo, volevo stare sul mio camion. Oggi non faccio più viaggi lunghi, ma va bene così, ho già fatto le mie esperienze.
Il tuo ricordo più bello in tanti anni di questo lavoro?
Anni fa presi parte a un’intervista “7 donne su 7 camion”. Dopo la pubblicazione un giorno mi suonò il telefono. Era la Renault Trucks. Inizialmente pensai addirittura che si trattasse di uno scherzo. Invece avevano apprezzato la mia intervista e mi invitarono nella loro sede in Francia a visitare lo stabilimento. Per un’appassionata come me è stato un sogno che si è realizzato.
Ti aspetti che in futuro ci saranno più donne?
I numeri dicono che le donne al volante di un camion stanno aumentando ma non mi capita spesso di vedere volti nuovi. Ancora oggi ci sono tante difficoltà e porte sbattute in faccia, ci sono stereotipi che vanno superati, anche per avvicinare i giovani, non solo le donne. Dovremmo forse prendere spunto dall’estero e fare in modo che si arrivi all’età per guidare già con un po’ di esperienza pregressa, per esempio grazie ad un tirocinio.
Il tuo motto?
La passione aiuta a vivere meglio, e fare di una passione il proprio lavoro aiuta a tenersi giovane.
Oggi è il compleanno di Elda, una delle prime “ragazze” del nostro gruppo, sempre solare e appassionata del suo lavoro. E per farle gli auguri pubblichiamo l’articolo che le ha dedicato “Uomini e Trasporti” in occasione dell’8 marzo, a firma di Elisa Bianchi.
25 anni a bordo del suo camion e ancora molti altri davanti a sé, perché come dice lei «per farmi scendere dovete tagliarmi le gambe». Elda Guarise, 60 anni il prossimo 13 marzo, è una delle prime dieci Ambassador di Volvo Trucks. Un marchio che per lei è come “la squadra del cuore”. Il campionato è quello dell’autotrasporto, diventato – per sfida – la sua più grande passione
Cosa si prova a essere un punto di riferimento per tante giovani autiste? «Proprio l’altro giorno mi hanno soprannominata “una storica del settore”, ho risposto che è meglio dire che sono vecchia. È questa la verità». Ride Elda, una risata contagiosa che si concede a fine turno quando la raggiungiamo per telefono. Ha terminato le ore ed è nel posteggio di un ristorante, un posto di fiducia, dove aspetta «di mettere le gambe sotto al tavolo». Elda Guarise, 60 anni il prossimo 13 marzo, è una veterana, in cabina da 25 anni. «E non intendo smettere di lavorare – precisa – devono tagliarmi le gambe per farmi scendere dal camion». Ed è proprio da quella cabina che ci racconta la sua storia, con la sua grinta invidiabile e il suo inconfondibile accento padovano.
I motori sono sempre stati la sua passione, fin da quando da appena poco più che bambina iniziò a lavorare come carrellista in un magazzino di frutta e verdura vicino casa, a Rossano Veneto. «Erano altri tempi, oggi sarebbe impensabile per una ragazzina di appena quattordici anni, ma allora la mia famiglia ne aveva bisogno e così durante le vacanze mi davo da fare. Ricordo questi camion enormi che arrivavano dall’estero per portare via la frutta, li ho sempre guardati con grande fascino».
Poi Elda cresce e arriva anche l’amore per Giovanni che presto diventa suo compagno di vita e di lavoro. «Quando ci siamo sposati mio marito ha deciso di riprendere in mano l’attività di suo padre che aveva un’azienda di autotrasporto e così abbiamo comprato casa e camion. Dopo la nascita dei nostri bambini mi propose di iniziare a dargli una mano sul lavoro, ma a dire il vero non si aspettava che avrei colto al volo la sfida. Mi sono iscritta subito a scuola guida, registravo tutte le lezioni e le riascoltavo con le cuffiette il giorno dopo, mentre badavo alla casa e ai figli. Una volta ottenute le patenti sono salita in cabina e non sono più scesa». Elda non dimentica di sottolineare una volta di più che non ha proprio intenzione di smettere. «Cosa devo dire, dovrei trovare qualcuno che mi sostituisca ma non è facile in questo momento trovare altri autisti. Abbiamo cinque camion da mandare avanti». Ogni tentativo di farle cambiare idea è stato vano: «Mia figlia più grande ha provato a convincermi a farmi fare almeno viaggi più brevi, ma non c’è riuscita nemmeno lei». Elda, infatti, ama i viaggi lunghi e la vita in cabina. «Rientro a casa un paio di volte alla settimana, ma per lo più dormo fuori. Ho un Volvo centinato con cui attraverso il Nord Italia e la Svizzera». Quando Elda parla del suo camion si entusiasma. Non a caso è una delle prime dieci Ambassador della casa svedese. «Sono orgogliosa di far parte di questa grande famiglia. È un po’ come tifare per la squadra del cuore». Il suo entusiasmo è contagioso e si capisce quanto ami la sua vita da camionista, nonostante non neghi le difficoltà del caso. «O hai la passione o questo lavoro non ce la fai a farlo, richiede sacrificio. Io è dalle 3 di questa mattina che sono in piedi. Sì sono stanca, però in fondo sto bene, mi sono abituata. Questa è la mia vita e mi piace».
Non può essere però tutto oro quello che luccica, così le chiediamo se ci sia anche qualche aspetto negativo, qualcosa che le piacerebbe cambiasse. «Mancano i servizi per gli autisti e soprattutto per le donne e, quando ci sono, spesso sono sporchi. Poi per carità, bisogna ammettere che a volte la colpa è anche nostra e parlo al plurale perché voglio mettere dentro tutti, senza puntare il dito conto nessuno. Le persone maleducate purtroppo ci sono, sporcano, lasciano l’immondizia per terra. Il risultato è che ne paghiamo tutti le conseguenze».
Poi ci racconta di un brutto incidente avvenuto qualche anno fa. «Di quegli istanti ricordo tutto: il panico nella frazione di un secondo durante la quale ho dovuto decidere come comportarmi, se spostarmi sulla corsia accanto rischiando di prendere qualcuno o se andare a sbattere io, il rumore delle lamiere che si accartocciano, lo shock successivo. Quando sono scesa il camion era distrutto, io per fortuna non mi ero fatta un graffio». Però la ferita era rimasta dentro. «La notte rivivevo quei momenti, non dormivo, ero terrorizzata all’idea di tornare in cabina. Se non fosse stato per mio marito avrei smesso. È stato lui che ancora una volta, come sempre, mi ha incoraggiata a riprendere in mano il volante. Il giorno in cui sono tornata a guidare, appena una settimana dopo l’incidente, ho pianto». Se Giovanni è il suo primo sostenitore, lo stesso vale per i tre figli, Marta, Ermes e Mattia, anche loro oggi impegnati nell’azienda di famiglia, la Jolli Trans di Cittadella. «Devo tutto a loro e soprattutto a mia figlia, che è stata per i suoi fratelli più piccoli una seconda mamma quando io non c’ero». Assenza che però non è mai stata davvero tale. «Gli lasciavo la casa piena di post-it con indicazioni e istruzioni su cosa fare e come farlo. Diciamo che li controllavo a distanza. Lo faccio ancora oggi, ma uso i messaggi». Ride, e poi aggiunge «Una mamma non si ferma mai: quando torno a casa sistemo, pulisco, cucino, organizzo per quando sarò via. E adesso sono anche nonna di quattro nipoti che cerco di godermi nel weekend. In fondo non conta la quantità di tempo che si trascorre insieme, ma la qualità. Lo dimostra quanto siamo uniti nella nostra famiglia, anche sul lavoro». E chissà se un giorno i nipotini seguiranno le orme dei nonni. «I bimbi sanno che lavoro facciamo, vedono il camion posteggiato in cortile e ci giocano». Come si dice, se son rose fioriranno.
C’è un’ultima curiosità che però ci vogliamo togliere. Elda – le chiediamo – ma ti hanno mai fatto pesare di essere una donna? «Ma sì, qualche battuta stupida è capitata e capita ancora. Anche l’altro giorno mi hanno detto che le donne non dovrebbero fare certi lavori. Ho risposto che sono punti di vista. Non ci faccio neanche più caso, tengo conto solo delle cose belle». Lo dice con il suo modo: leggero, ma mai superficiale. Sembra proprio un consiglio da mamma, o meglio, da “veterana”.
La salutiamo e la lasciamo godersi il suo riposo e la sua cena. Ci dice ancora una volta che lei sta bene, ha tutto nella sua cabina che da ormai venticinque anni è la sua seconda casa viaggiante «e quello che manca è nella borsa, come quella di Mary Poppins». E proprio come la tata più famosa del mondo, Elda non manca mai di strappare un sorriso a chiunque o un consiglio per le nuove, giovavi leve che in lei vedono un esempio.
«Una mamma non si ferma mai: quando torno a casa sistemo, pulisco, cucino, organizzo per quando sarò via. E adesso sono anche nonna di quattro nipoti che cerco di godermi nel weekend. In fondo non conta la quantità di tempo che si trascorre insieme, ma la qualità. Lo dimostra quanto siamo uniti nella nostra famiglia, anche sul lavoro»
Jasmine Pojana: «Sono la figlia orgogliosa di un camionista e seguirò la sua strada»
Jasmine vive a Fontaniva, in provincia di Padova, e da che ha memoria è sempre stata in cabina. Prima con il papà camionista e poi, una volta raggiunta l’età delle patenti, alla guida del suo “gigantesco bestione”. Oggi è una delle più giovani aspiranti al premio Sabo Rosa 2023
Di anni ne ha solo 25, ma l’esperienza in cabina è ultraventennale. Come è possibile? Quando si cresce a bordo di un “gigantesco bestione”, come li definiva lei da piccola, è facile finire per innamorarsene e non voler mai più scendere. Lei è Jasmine Pojana, classe 1997 e orgogliosamente autista di camion come suo papà. Una “figlia d’arte” che ha fatto dell’autotrasporto il suo sogno e il suo futuro.
Quanti anni avevi la prima volta che sei salita su un camion?
La prima volta che sono salita in cabina con papà avevo appena tre anni. In pratica, in cabina ci sono cresciuta, perché appena ne avevo occasione viaggiavo con lui, sia sulle tratte nazionali che internazionali. Il ricordo più bello che conservo è di quando mi faceva sedere al posto di guida, mi sentivo importante. È così che è nato il mio desiderio di poter guidare veramente quei bestioni e non ho mai esitato a farlo. Appena ho potuto, a 21 anni, ho preso le patenti e ho iniziato a lavorare con papà.
Com’è lavorare con un genitore?
Non è sempre facile, bisogna far conciliare visioni diverse, per esempio nella gestione dell’azienda, e a volte lo scontro generazionale è inevitabile. L’importante però è sempre trovare un punto di incontro e riconoscere che una volta posso sbagliare io perché ho meno esperienza e una volta può sbagliare lui ad avere una visione meno moderna. In ogni modo, la sua presenza al mio fianco in cabina, soprattutto quando ero agli inizi, è stata fondamentale.
Quando hai iniziato a viaggiare da sola?
Una volta presa la CQC ho capito che era arrivato il momento che iniziassi a muovermi da sola, per capire davvero il lavoro e iniziare a cavarmela anche senza lui accanto che potesse consigliarmi o aiutarmi. E così ho preso il mio trattore con rimorchio telonato e ogni mattina partivo da Fontaniva, dove vivo, in direzione Venezia o Milano.
Perché parli al passato?
Dopo un brutto incidente nel febbraio del 2021 ho vissuto un momento difficile. Fortunatamente mi sono ripresa nel giro di poco e sono rimontata sul camion. Anche se l’incidente ha avuto un forte impatto su di me, ho pensato che ripartire subito fosse la cosa migliore da fare. Invece, qualche mese dopo, mi sono resa conto che avevo bisogno di una pausa e questa consapevolezza è coincisa con un’offerta di lavoro da parte di un’altra azienda di trasporto, che mi avrebbe però portata a lavorare in ufficio. Ho deciso di accettare e per circa un anno sono scesa dal camion. Ognuno ha i suoi limiti, mi sono detta, e io ho scelto di rispettare i miei.
Cosa ti ha spinto a ritornare?
Semplicemente mi mancava il camion. Ho sempre amato il mio lavoro, per quanto sia faticoso, e mi sono voluta rimettere in gioco, dimostrando a me stessa che anche io potevo fare quello che ha sempre fatto mio padre che, tra l’altro, in quel momento aveva bisogno di me. Oggi penso di aver trovato il giusto compromesso: viaggio con ritmi meno sostenuti e faccio tratte più brevi, in zona, e contemporaneamente do una mano in azienda a gestire la parte amministrativa.
Cosa ami di più del tuo lavoro?
Quando apro la porta del camion e salgo in cabina davanti a me si apre un altro mondo, mi sento una persona che ha realizzato un sogno, un obiettivo che mi ero posta. Mi ritrovo spesso a pensare al mio percorso e mi dico «Guarda dove sei arrivata!», nonostante i mille sacrifici e le insicurezze. Ma più di tutto amo la libertà di sentirmi una persona realizzata.
Cosa ti piace di meno invece?
Non ho ancora molta esperienza, ma per quel che ho visto e sperimentato, penso che dovrebbero esserci più strutture in grado di dare alle autiste più servizi, come un luogo sicuro in cui riposare la notte o servizi igienici adeguati. Devo poi ammettere che in strada si vede tanta maleducazione e inciviltà. Quando succede un incidente è facile dare la colpa ai camionisti solo perché guidiamo i mezzi più grandi, ma gli automobilisti spesso non si rendono conto che per noi è più difficile evitare determinate situazioni. Vorrei ci fosse più rispetto per il nostro lavoro.
Qual è per te la cosa più importante in cabina?
Due cose: un sedile comodo, che mi permetta di guidare per tante ore con una buona postura, e spazio a sufficienza, per potermi riposare adeguatamente e per poter portare con me tutto il necessario per un viaggio.
Ilenia è autista di autobus in Sardegna, in questo articolo racconta la sua storia e le discriminazioni che ha dovuto subire (già frequentando la scuola guida) per conquistarsi un posto dietro al volante!
“A scuola guida mi dissero che noi donne siamo adatte solo ai fornelli. Oggi guido gli autobus” L’intervista
Ilenia Olia racconta come si lavora in un ambiente chiuso e costruito per gli uomini e lancia un messaggio di speranza per le donne
Di: Ilaria Cardia
Se si dovesse pensare ad uno degli ambienti prettamente maschili, costruiti da uomini per gli uomini, trai i primi balzerebbe subito alla mente il mondo dei motori. Ilenia Olia, giovane 28enne di Simaxis, ha deciso di entrarne a far parte e sfida tutti i giorni, da anni, i pregiudizi legati al suo lavoro e alle sue capacità in quanto donna. Per colpa del detto “Donne al volante, pericolo costante” ha stretto i denti molte volte e oggi, per la Festa delle Donne, ci racconta cosa ha dovuto sopportare e come non si debba mai dar ragione a quegli uomini che dicono “Questo non è un lavoro per donne”.
Con la sua determinazione, è arrivata ad essere una delle trenta candidate in tutta Italia, unica in Sardegna, per la quattordicesima edizione del Sabo Rosa riconoscimento che, in occasione della Festa della Donna, viene conferito alla “Camionista dell’Anno” dall’azienda Roberto Nuti Group.
Ilenia cosa fai nella vita?
“Da circa cinque anni ho deciso di cambiare lavoro e diventare autista di autobus”
Da quanto tempo svolgi questa professione?
“La mia prima esperienza lavorativa risale al 2018 a Terralba, successivamente feci un’esperienza di un anno e mezzo in una grossa azienda di Cagliari, la CTM (servizio pubblico urbano) e nel 2021 ritornai a Terralba nell’azienda in cui lavoro tutt’ora, Fata srl. Mi occupo principalmente di servizi scolastici con tragitto Terralba-Oristano e servizi di linea con tragitto Terralba-Marrubiu-Uras-Arcidano-Sant’Anna”
Perché proprio questo lavoro?
“Per andare a scuola o a lavoro utilizzavo l’autobus e, in quegli anni, iniziai a notare le prime donne autiste. Non ho mai pensato che fosse strano vedere una donna al volante, anzi, ero solita sedermi nei primi posti e osservarle alla guida. Mi sono state senza dubbio di ispirazione. Iniziai la mia carriera da parrucchiera, ma dopo cinque anni, cominciai a sentirmi un po’ insoddisfatta.
Un giorno mi confrontai con i miei genitori e mio padre mi disse: ‘Che lavoro vorresti fare se non la parrucchiera?’ fu in quel momento che ripensai a quella donna che mi portava a casa dopo la scuola, fu automatico rispondere: ‘E se mi prendessi anche io le patenti per guidare gli autobus? Papà mi pagheresti la patente? Ho notato diverse ragazze che lavorano all’Arts, perché non farlo?’ Mio padre sbarrò gli occhi e mi disse ‘Assolutamente no!’. Il conseguimento delle patenti è abbastanza oneroso, all’epoca si aggirava intorno ai 3 mila e 500 euro; con sacrifici e sostegno morale da parte del mio fidanzato Fabio, riuscii ad arrivare al mio obiettivo.”
Quante patenti hai?
“All’età di 23 anni mi iscrissi in autoscuola per il conseguimento delle patenti D e CQC persone. Non avendo ancora l’età giusta per il conseguimento della CQC, ho dovuto fare più ore di lezione rispetto agli altri, ma a me non è mai pesato. Le materie erano un po’ complicate soprattutto lo studio delle parti meccaniche del motore, ma alla fine nonostante tutto passai con successo tutti e tre gli esami scritti.”
Come andò, invece, per la parte pratica?
“Mi capitò un istruttore che non era assolutamente a favore del sesso femminile alla guida. Mentre mi insegnava a guidare mi diceva in continuazione ‘Le donne sono fatte per lavorare come segretarie e stare ai fornelli, l’uomo è fatto per stare alla guida!’. Oppure ‘Non crederti figa perché tanto all’Arst non entrerai mai come autista, al massimo come segretaria, stai solo buttando soldi’ e tante altre frasi poco carine. Fui costretta a tapparmi le orecchie e ignorare i suggerimenti dell’istruttore, questo mi condusse a passare con successo l’esame di guida”
È stato difficile trovare impiego?
“Non è stato semplice. Portai il curriculum in tre aziende nell’oristanese e alla CTM di Cagliari; due delle aziende dell’oristanese mi scartarono a priori (non si preoccuparono di verificare le mie capacità). La loro proposta di lavoro fu o assistente negli scuolabus o niente. Ricordo che il titolare di un’azienda, per farmi ricredere sulla difficoltà di questo lavoro e convincermi nel ripensarci, mi disse: ‘Abbiamo diversi autisti con quindici anni di esperienza che hanno difficoltà nel fare certe manovre, figuriamoci tu! Voi donne avrete più difficoltà rispetto a loro, quindi è meglio di no!’. Accettai la porta in faccia e andai via. Il secondo fu più diretto ‘Non ci fidiamo tanto’. Arrivai nella terza azienda super scoraggiata e con il pensiero fisso di quello che mi avrebbe risposto mio padre a tutto questo ‘Te l’avevo detto io’. Invece no, la terza azienda mi accolse con piacere e mi propose subito di iniziare, feci un paio di mesi di sostituzione e poi arrivò anche un’altra chiamata. La CTM mi chiamò per lavorare da loro sempre come tappa buchi, decisi di fare quest’ esperienza anche se mi sarebbe costato 200 chilometri al giorno e le sveglie alle quattro del mattino. Lavorai a Cagliari per un anno e mezzo, poi però scoppiò la pandemia. Fu così che decisi di ricercare lavoro nella zona di Oristano”
Hai assistito ad altre discriminazioni nei tuoi confronti in quanto donna?
“Si tantissime dalle ‘Non sei in grado’ alle ‘Ma dove vuoi andare?’, oppure ‘Ah è lei l’autista? Aspetto il prossimo autobus, grazie!’ Sono stata anche sottoposta ad interrogatori da parte dei genitori dei bambini: ‘Da quanto tempo guidi?’ o anche ‘Hai mai guidato?’ E allora devo esporre il mio curriculum per farli stare tranquilli.
Poi c’è la tipica e famosissima frase: Donne al volante pericolo costante, ovviamente falsa!”
Com’è il tuo rapporto con i colleghi?
“Il mio rapporto con i colleghi è stato ed è molto buono solo con certi, ovvero con coloro che hanno una mentalità aperta e non pensano e non agiscono come dei maschilisti e sessisti. Purtroppo, con questo lavoro si incontrano persone che ti giudicano e ti scoraggiano, come ad esempio i colleghi che davanti agli utenti ti spiegano quello che tu già sai o che ti sottovalutano: ‘Se non sei in grado faccio io’ dicono, magari solo perché sei in ritardo e ti chiedono se hai avuto un incidente. Tu sei in grado di svolgere il tuo lavoro autonomamente, non hai nessun problema con il bus, non hai mai avuto incidenti ma sei semplicemente in ritardo, e invece il suo intento è di far credere agli altri il contrario di quello che davvero sta avvenendo o è avvenuto.”
Ilenia qual è il tuo sogno o il tuo prossimo obiettivo?
“Investire gli ultimi guadagni per prendere le ultime patenti. Conseguendo le patenti di categoria A-DE-CE- e iniziando un corso vorrei diventare istruttore di guida e insegnare agli altri ciò che a me piace fare. Vorrei insegnare principalmente alle ragazze la guida di un autobus, far credere loro che tutto si può fare e che non dobbiamo fermarci davanti ai pregiudizi o a qualcuno che ci dice: ‘Non farlo’.”
Cosa è importante che capisca una donna che legge la tua storia?
“Alle mie donne coraggiose e no, vorrei dire di non permettete mai a nessuno di farvi sentire sbagliate e fuori luogo, né in amore, né al lavoro e tantomeno nella vita di tutti i giorni.
La prima parola d’ordine è amarsi! Sempre e in qualsiasi momento della vostra vita, anche nel momento peggiore dove sembra che tutto stia crollando, abbiate fiducia in voi stesse, anche se ci saranno giorni bui. State tranquille… Dureranno poco perché siamo donne, e noi siamo sempre illuminate dal sole. La seconda parola d’ordine? Rispetto! Non dovete nascondervi, ma dovete sempre farvi rispettare da tutti e sempre senza sentirvi in colpa di esservi fatte valere. La terza parola d’ordine? Libertà! Sentitevi libere di essere ciò che volete! Un bacio a tutte le donne di questo mondo, buona Festa della Donna a tutte noi.”
Abbiamo riportato qui nel nostro blog tutte le storie delle trenta partecipanti al quattordicesimo concorso per il “Sabo Rosa” . Manca ormai poco all’assegnazione del Premio offerto ogni anno dalla Roberto Nuti Group, in occasione della Festa della Donna, e che viene conferito a una lavoratrice del mondo dei trasporti. Il “premio” consiste in un esemplare unico dell’ammortizzatore Sabo tinto di rosa e in un pranzo in onore della vincitrice. Come sapete hanno diritto a ricevere il SABO Rosa: autiste di camion, bus, autoscale; meccaniche, dirigenti di aziende di trasporto, dipendenti o lavoratrici autonome in ogni settore della filiera: dalla produzione alla ricambistica, passando per la logistica.
Quest’anno sono veramente tante le partecipanti, sperando che sia un segno che la presenza femminile nel mondo dell’autotrasporto – sia di merci che di persone – sta aumentando, facciamo a tutte l’augurio di essere la vincitrice.
Anche se, per noi, sono già tutte vincitrici: per la passione che mettono nel proprio mestiere e per la grinta e la determinazione a superare tutti gli ostacoli e i pregiudizi che purtroppo ancora ci sono, anche se grazie a una presenza sempre maggiore di donne al volante le cose stanno pian piano migliorando. Auguri a tutte le colleghe e buona strada sempre!
Roberta è un’altra figlia d’arte, viaggiava in pullman con suo papà già da piccola e per lei è stato naturale intraprendere la stessa carriera. Sono stati i suoi colleghi a suggerirle di partecipare al Sabo Rosa 2023.
Attività: autista di autobus Residenza: Campobasso
Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
Fin da piccola ho sentito il richiamo dei camion. Mio padre è autista e quando mi portava con lui sui pullman, anche nei lunghi viaggi all’estero, ero felicissima. Quindi è stato naturale, per me, seguire le sue orme. Oggi trasporto passeggeri lungo la tratta che corre da San Salvo, in provincia di Chieti, a Roma Tiburtina e Fiumicino, per la ditta di trasporti abruzzese Dicarlobus.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Alcuni colleghi e amici mi hanno inviato il link, suggerendomi di partecipare perché sono una delle pochissime autiste della mia età in Abruzzo e Molise. Mi prendono come esempio, sperando che altre ragazze seguano la mia strada.
Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?
I lati positivi sono diversi, perché guidare mi piace molto. La tratta che faccio è sempre la stessa, quindi non ho occasione di vedere posti nuovi, ma quando la ditta mi assegna un noleggio posso visitare luoghi diversi e interessanti. Il lato negativo sono le ore che passo fuori. La giornata lungo la linea San Salvo – Roma dura in totale 12 o 13 ore, fra il viaggio vero e proprio e il tempo che si passa fermi a Fiumicino, nell’attesa di ripartire. È un lavoro impegnativo che, sempre più spesso, ultimamente è reso difficile per colpa di alcuni passeggeri che fanno perdere la pazienza per la loro arroganza.
Elena ha cominciato tardi a guidare gli autobus ed ora sta prendendo anche le patenti per i camion, partecipa al concorso per il Sabo Rosa 2023 perchè si è resa conto che sono ancora poche le donne alla guida dei mezzi pesanti.
Attività: autista di autobus Residenza: Mezzolombardo (TN)
Quando e come è nata la tua passione per i camion? Quando hai capito che quello dei camion sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
Ho intrapreso tardi la carriera di autista di autobus, a 53 anni, però non ho intenzione di fermarmi qui. Dopo la patente D, per il trasporto di persone, nel dicembre 2022 ho conseguito la patente C per i camion, e ho in programma di dare l’esame per la E, per il traino di rimorchi. Guidare gli autobus mi appassiona anche se, devo ammetterlo, è molto stressante, perché il contatto con il pubblico a volte è difficile.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Ho deciso di candidarmi al Sabo Rosa perché mi sono resa conto che le donne alla guida di mezzi pesanti sono in netta minoranza. D’altronde è un lavoro che impegna fisicamente e ci vuole tanta passione per scegliere questo mestiere, oltre ad un considerevole impegno economico per sostenere gli esami e mantenere patenti e certificazioni.
Cosa non ti piace e cosa ti piace di questo lavoro?
Guidare mi entusiasma molto. Se devo trovare un difetto al mio lavoro è che spesso si sta fuori casa anche 16 o 18 ore consecutive, ovviamente non tutte alla guida, ma comunque lontano dai propri affetti.
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