donne camioniste

Grazie perché – Solidarietà

 

 

Nuovo video di “ringraziamento” di Laura Broglio al mondo dell’autotrasporto, questa volta ci parla di solidarietà.

Questo è il racconto della sua esperienza, tutto da ascoltare!

Ciao Laura, buona strada sempre!

 

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Lo stile di vita di Silvia!

 

 

Dal Blog “Anche io volevo il camion” di “Uomini e Trasporti”, l’intervista di Elisa Bianchi alla collega Silvia Martellotta.

Il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/silvia-martellotta-fare-lautista-non-e-solo-un-lavoro-e-uno-stile-di-vita/

E il testo:

Silvia Martellotta: «Fare l’autista non è solo un lavoro, è uno stile di vita»

Silvia Martellotta ha 52 anni e quattro anni fa, nel 2019, ha deciso di cambiare la sua vita per diventare autista. Una scelta fatta un po’ per necessità, un po’ per vocazione, «ma la passione non basta» tiene a precisare, «per fare questo mestiere bisogna essere disposti a fare molti sacrifici». Lo sa bene Silvia, che è anche mamma di due ragazzi…

Sono le cinque di un pomeriggio di luglio quando Silvia risponde al telefono. La fatica nella sua voce lascia intuire che non si trovi alla guida. «Sto caricando il camion – conferma – tra poco parto». L’ennesimo viaggio che la porterà lontana da casa, in provincia di Livorno, per l’intera settimana. Partenza il lunedì e rientro il venerdì in serata, talvolta il sabato mattina. Silvia Martellotta, 52 anni e “ufficialmente autista” dal 2019 trasporta principalmente ferro, tubi e lamiere dalla Toscana al nord Italia. Questa vita l’ha scelta un po’ per necessità e un po’ per vocazione, ma tiene subito a chiarire che non vuole che passi il messaggio che basta un po’ di passione per fare questo mestiere ma «servono i sacrifici perché fare l’autista non è solo un lavoro, è uno stile di vita». E allora lo chiariamo subito, a scanso di equivoci.

La grinta Silvia l’ha presa tutta dalla mamma, una pioniera dei van camperizzati – oggi ormai un trend – e una delle poche donne a guidare, all’epoca, un mezzo del genere. «Dopo il divorzio da mio padre – ricorda Silvia – per trascorrere dei momenti insieme a me e i miei fratelli ci caricava tutti sul suo van che usava anche per la sua attività come floricoltrice e ci portava in vacanza». È così che nasce la passione di Silvia per i viaggi; quella per la guida, invece, arriva più tardi. «Avevo 23 anni e lavoravo nel campo ippico. La patente del camion serviva per il trasporto dei cavalli perché settimanalmente c’erano trasferte da fare per le gare e così la presi. Certo non posso dire che ero un’autista come lo sono oggi, guidavo quando ce ne era bisogno».

La carriera di Silvia era avviata, in tasca aveva tutti i brevetti professionali, da quello per l’allenamento dei cavalli a quello per il salto a ostali, ma è quando cambia la gestione dell’ippodromo per cui lavora che Silvia capisce che è il momento di cambiare vita. «Decisi di rinnovare le patenti che già avevo conseguito e prendere la E». Le sorprese, però, non sono finite. «Rimasi incinta della mia seconda figlia per cui per alcuni anni dovetti mettere in pausa il mio progetto per dedicarmi a lavori più saltuari, ma che mi permettevano di starle vicina».

La maternità di un’autista, per Silvia come per molte altre donne, è ancora un tasto dolente.
«Quando rimasi incinta la prima volta lavoravo ancora nel campo ippico e grazie all’aiuto del mio team non fu affatto un problema. Mio figlio Davide, che oggi ha 27 anni, salì per la prima volta sul camion insieme a me quando aveva appena una settimana. Fu una trasferta breve, ma un’esperienza bellissima». Le cose vanno diversamente con la nascita della seconda figlia, Vittoria, che oggi ha 18 anni. «Se non hai un aiuto esterno o non ti puoi permettere una baby-sitter non c’è modo di farcela. Così ho messo in pausa l’idea di lavorare a tempo pieno come autista e per diversi anni mi sono arrangiata facendo qualche lavoretto, tra cui anche qualche viaggio ma solo trasferte giornaliere». Nel 2019 la figlia è ormai adolescente e Silvia decide che è arrivato il momento di riprendere quell’idea messa da parte per troppo tempo. «Decisi di cambiare radicalmente la mia vita e iniziare a fare la linea, ma devo ammettere che fu un trauma tanto per me quanto per lei. L’abbiamo vissuta male entrambe, io per l’apprensione, lei per la distanza. Più di una volta le ho detto che se la situazione fosse diventata troppo difficile avrei valutato di cambiare lavoro per lei perché se deve essere deleterio per i figli il gioco non vale la candela». Una crisi familiare superata grazie «alla forza di volontà, soprattutto da parte sua. Io cercai solo di farle capire che con questo nuovo lavoro potevamo stare meglio a livello economico, permetterci cose che prima non si potevano fare. È stato un sacrificio giornaliero da parte di entrambe. Da parte mia ho cercato di supportarla il più possibile nelle sue passioni, ma non basta, essere presenti è un’altra cosa. Fortunatamente sia Vittoria che Davide in mia assenza hanno potuto contare sulla presenza del loro papà, Enzo, sempre attento e premuroso».

L’unica soluzione al problema, per Silvia, «è una revisione dell’articolo 54 del Codice della strada che impedisce di portare altre persone al di fuori dei dipendenti sui mezzi».
«Certo – precisa – andrebbe fatto con cognizione di causa e senso di responsabilità, in sicurezza insomma, ma in questo modo si darebbe la possibilità a genitori e figli di passare del tempo insieme. Tra l’altro non dimentichiamo che un tempo molti arrivavano a fare questo mestiere proprio perché da piccoli avevano viaggiato con i genitori. Io stessa da ragazzina ho viaggiato sul camion di qualche amico di famiglia e furono esperienze che mi aprirono gli occhi su questo mestiere». In altre parole, una soluzione che strizza l’occhio anche al problema della carenza di giovani autisti. «La realtà è diversa dai simulatori a cui oggi siamo abituati, un po’ di esperienza sul campo penso sia solo positiva, così come si fa già all’estero».
Il tema della responsabilità però è spinoso. «Devo ammettere che se il prezzo da pagare per una violazione della norma fosse stato un verbale a mio nome mio e a mie spese, io avrei rischiato; ma siccome il rischio è per l’azienda diventa impossibile trovare un punto di incontro».

Quello della lontananza dalla famiglia cui gli autisti sono spesso costretti non è però l’unico problema da scontare: un altro tasto dolente è quello dei servizi.
«Spesso ci ritroviamo al carico o allo scarico in piazzali gelidi d’inverno e roventi d’estate, senza un posto in cui poter socializzare o riposare perché il più delle volte occorre aspettare davanti al tabellone l’avviso per poter entrare. Tutto questo genera solo ulteriore stress e stanchezza, ma quando si riparte e si va in strada non possiamo permetterci di non essere al 100%. Basterebbe poco, basterebbe che le aziende creassero un piccolo spazio sociale, così lo definirei, all’aperto o al chiuso, in cui gli autisti possano passare le ore di attesa in serenità, bere una bibita, chiacchierare o fare attività fisica, riposarsi insomma. Per non parlare delle aree di sosta dove ci accalchiamo senza servizi adeguati. È un tema di cui si parla molto, ma nonostante questo il problema sussiste. La soluzione l’ho trovata da sola: ho messo sul camion un piccolo gabinetto, di quelli che si usano anche sui camper, da usare in caso di emergenza. La verità è che lo uso regolarmente, perché spesso non ci sono soluzioni alternative o adeguate».

Non manca però anche il rovescio della medaglia.
«Dal momento che c’è carenza di autisti ho trovato subito lavoro, anche se resta il problema dello scarso affiancamento iniziale. Tutto quello che ho imparato lo devo ai miei colleghi che con molta pazienza e gentilezza mi hanno insegnato quello che c’è da sapere. Ho avuto la fortuna di incontrare solo persone che hanno compreso le mie difficoltà e mi hanno aiutata, a loro sono e sarò sempre infinitamente grata. Questo lavoro ti mette ogni giorno di fronte a imprevisti che sono difficili da gestire, ti costringe a prendere consapevolezza dei tuoi limiti e delle tue paure e a cambiare anche le tue abitudini più elementari; ma proprio perché permette di crescere, evolversi e imparare tanto che spesso dà anche grandi soddisfazioni».

Ci resta solo un’ultima curiosità, così chiediamo a Silvia che cosa sia rimasto di quella sua passione per gli animali che per tanto tempo l’ha portata a lavorare con i cavalli. «Non è mai sparita – ci rivela – tanto che più volte per strada mi sono trovata a soccorrere degli animali in difficoltà. Ho salvato due corvi e una tortorella. Quest’ultima l’ho portata con me in piazzale e una volta guarita è rimasta lì, a farci compagnia».


 

 

Buona strada sempre Silvia!

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La storia di Julieta

 

Su Oggi Treviso (per gli abbonati) c’è la storia della collega Julieta, questo è il link dell’articolo:

https://www.oggitreviso.it/storia-di-julieta-camionista-donna-au12-312704

 

Buona strada Julieta!

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Camioniste dal mondo

 

Oggi vi presento il canale You Tube di una ragazza indiana, Fouzia,  che fa la camionista in Dubai!

Naturalmente non capisco una parola quando parla, tranne quando dice qualche parola in inglese, come nella descrizione del suo canale.

Questo è il link:

https://www.youtube.com/@FZ_vlogger/about

 

E un paio di video di lei alla guida:

 

 

 

Buona strada sempre!

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Grazie perchè…

 

Un nuovo video di Laura Broglio, dal canale You Tube di “Uomini e trasporti”

La presentazione del video da YT:

Oggi, insieme a Laura Broglio, cominciamo un nuovo viaggio alla scoperta delle esperienze per cui essere grati all’autotrasporto. Un viaggio diverso, dal taglio introspettivo, lontano da narrazioni che spesso dipingono chi guida un camion come brutto, sporco e cattivo. Il primo “grazie” di questa nuova serie è dedicato a un episodio particolare vissuto da Laura, che le ha fatto provare la meraviglia di avere un ruolo sociale. E di sentirsi utile. .

 

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La storia di Beatriz

 

Un’altra nuova collega, Beatriz,  ci racconta la sua storia in questa intervista di Elisa Bianchi dal blog di Uomini e Trasporti – Anche io volevo il camion.

Questo è il link:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/beatriz-alvez-la-mia-nuova-vita-felice-alla-guida-di-un-camion/

Questo il testo:

Beatriz Alvez: «La mia nuova vita (felice) alla guida di un camion»

Ha 52 anni, è argentina ed è «una forza della natura», o almeno così si sente dire di lei in giro. In effetti, la storia di Beatriz Alvez, autista da poco più di un anno, è tutt’altro che scontata: nella sua famiglia nessuno è autista e anzi, nemmeno lei ha mai pensato di trovare posto in cabina. E allora cosa ci fa un’ex odontoiatra di Buenos Aires alla guida di una motrice?

Ci sono interviste che non hanno bisogno di frasi a effetto introduttive. Questa a Beatriz Alvez è una di quelle, perché la sua storia è un susseguirsi di colpi di scena che forse più che un’introduzione servirebbe una premessa: per leggerla non bisogna aver paura di saltare nel vuoto.
Beatriz Alvez nasce cinquantadue anni fa da una famiglia di militari, nella campagna argentina. Dopo l’infanzia si trasferisce a Buenos Aires dove si laurea in odontoiatria e conosce l’amore. Si sposa e diventa mamma di due bambini, un maschio e una femmina, che cresce mentre avvia la sua carriera in uno studio dentistico. 11.147 chilometri più in là, esattamente la distanza che divide l’Italia da Buenos Aires, l’attende però la sua nuova vita. Ecco il primo salto nel vuoto.
Undici anni fa l’ormai ex marito di Beatriz decide di trasferirsi in Italia con i figli: l’Argentina sta passando un periodo buio, il pericolo è dietro l’angolo e Beatriz decide di seguire la sua famiglia. Si traferisce a Frosinone, in campagna, dove ritrova le abitudini dell’infanzia e inizia una nuova vita. «Non è stato facile all’inizio, lo ammetto. La mia laurea argentina in Italia non vale, quindi ho dovuto reinventarmi». E Beatriz ci riesce benissimo: trova lavoro come divulgatrice scientifica per una grande azienda e inizia così a viaggiare in tutto il mondo per lavoro. «Ho fatto questa vita per sette anni, poi mi sono resa conto che ero stanca. Quando il mio contratto è scaduto, ho deciso di non rinnovare, di prendermi del tempo per me. Di mezzo c’è stato il covid e poi ho iniziato a viaggiare per piacere, da sola, prendevo la mia macchina e partivo. Avevo voglia di guidare». Ed è qui che qualcosa scatta. La scintilla si accende e in una come Beatriz è difficile spegnerla: «Vedevo spesso i camion posteggiati nelle piazzole di sosta, mi incuriosiva guardali, finché a un certo punto mi sono detta: perché non guidare per lavoro?». Dalla nascita dell’idea alla sua esecuzione il passo è breve. Beatriz prende le patenti e in poco tempo si ritrova a cercare lavoro come autotrasportatrice.

Ma qui il dubbio sorge: forse era già un sogno custodito nel cassetto?

Assolutamente no, mai mi sarei immaginata di fare l’autista, nella mia famiglia nessuno ha fatto questo mestiere prima e sicuramente nessuno si aspettava che io a 52 anni prendessi questa strada. Ma nella mia vita mi è sempre stato detto quello che dovevo fare, per una volta volevo decidere per me stessa, seguire quello che mi faceva stare bene e quello che mi faceva stare bene in quel momento era guidare.

Per iniziare, però, serve trovare un lavoro.

Caricai il mio curriculum su internet ma fu un errore perché iniziai a ricevere diverse chiamate che possiamo definire delle prese in giro. Un giorno mi suonò il telefono, era un uomo e mi chiedeva se davvero stessi cercando lavoro come autista. Alla mia risposta affermativa mi disse che era meglio se andavo a lavare i piatti. Appesi, non vale la pena arrabbiarsi.  Molte ditte a cui mi rivolsi però mi dissero che non potevano assumermi perché non avevano donne con cui farmi fare l’affiancamento e con un collega uomo sarebbero sicuramente sorti problemi. Ci sono ancora tante barriere da abbattere, evidentemente. Però alla fine ce l’ho fatta, ho trovato il lavoro che volevo alla guida di una motrice frigo.

A distanza di poco più di un anno la scintilla c’è ancora?

Rifarei questa scelta anche prima, non so perché ho perso tanto tempo. Dicono tutti che quella dell’autista è una vitaccia, per carità è vero non è facile. Si lavora tante ore, la maggior parte delle quali passate in solitudine e se c’è qualche problema te lo devi risolvere da solo, ma in fondo anche nel mio primo lavoro era così. Se hai un paziente sul lettino hai comunque delle responsabilità, hai dei problemi da risolvere. Sul camion ne hai di più e soprattutto devi pensare che sulla strada non sei solo, ci sono macchine, pedoni e ciclisti.

Un problema di cui si sente parlare spesso ultimamente…

Sì, ma viene mostrato solo un lato. La colpa, alla fine, ricade sempre sull’autista ma ci si dimentica di guardare cosa sta dietro al problema. Spesso si lavora in condizioni difficili, le regole non vengono rispettate oppure chi si occupa di pianificare i trasporti non conosce le reali caratteristiche di un determinato territorio e il risultato è che ti trovi a dover scegliere tra il meno peggio. Così non va bene, non funziona, serve più controllo perché quello che vediamo è solo la punta dell’iceberg.

A risentirne, alla fine, è l’immagine del settore.

Ci sono molti stereotipi rispetto alla figura dell’autista, di conseguenza spesso si pensa di poterne approfittare. Ma l’intelligenza non è data dai titoli di studio, ho conosciuto persone che sanno fare benissimo il proprio lavoro alla guida di un camion pur non avendo studiato. Questo settore, che non è sicuramente facile, è fatto da persone competenti e dobbiamo essere orgogliosi di questo, noi autisti in primis. Eppure, le aziende che la pensano così sono ancora poche. Faccio un esempio: qualche tempo fa ho ripreso a mandare il mio curriculum perché volevo cambiare, ma alla fine su consiglio di mio figlio ho dovuto togliere la mia esperienza come odontoiatra e divulgatrice scientifica. A quanto pare ero “troppo qualificata” e penso sia un peccato perché è una cosa di cui io vado orgogliosa.

Alla fine, il lavoro l’hai trovato?

Sì, ho iniziato da pochi giorni. Guido il bilico e faccio trasporti in ADR. L’affiancamento lo sto facendo con una ragazza, l’unica altra donna oltre a me in azienda.

Perché ci sono ancora così poche donne secondo te?

I tabù ci sono ancora non possiamo negarlo, eppure è provatissimo che noi donne possiamo fare questo mestiere. Dobbiamo entrare nel settore perché possiamo essere un valore aggiunto, possiamo cambiarne l’immagine. E poi non se ne può più dello stereotipo che una donna autista non sia femminile. Io oggi mi sento femminile tanto quanto lo ero da odontoiatra e non perderò questa caratteristica facendo questo lavoro.

Però sicuramente è richiesto uno sforzo fisico.

Sì, ma il camion non lo devo portare in spalla. La prima volta che sono salita in cabina pensai che fosse un mezzo davvero imponente, eppure potevo controllarlo con le mie mani. Se devo essere sincera, mi sono sentita come un Transformers, quelli dei film. Certo non nego che all’inizio anche io ero preoccupata per il peso dei carichi e degli scarichi, ma ho capito che basta un po’ di pratica e manualità ed è fatta. Sicuramente è richiesto uno sforzo, ma non sovraumano, altrimenti non sarei qui oggi a parlarne. E pensare che io non avevo mai guidato neanche un suv, ho sempre avuto macchine piuttosto piccole.

Qual è il ricordo più bello che hai collezionato in questo primo anno come autista?

Qualche mese fa andai a scaricare a Roma. Stavo facendo manovra quando vidi una donna nel piazzale che guardava incuriosita in cabina. Quando entrai in magazzino mi ricevettero tutti con un applauso: era stata lei a dire ai ragazzi che c’era una donna a fare manovra con il camion e che meritavo un applauso. Questi momenti sono emozionanti, una cosa del genere non mi era mai successa nella mia precedente professione.

Hai già in programma altri cambiamenti per il futuro?

Io sono fatta così, quando mi annoio devo cambiare. Ho pensato di fare l’estero, era una delle opzioni sul tavolo quando ho scelto di lasciare la precedente ditta per cui lavoravo, ma ho già viaggiato tanto in vita mia e la sera mi piace tornare a casa, ai miei spazi. Sono nonna adesso e vorrei godermi anche la mia nipotina, le mie amicizie, la mia casa, il mio orto, le mie passioni. Sicuramente voglio fare questo lavoro finché potrò e nel frattempo studiare per continuare a crescere. Sto seguendo un corso per diventare gestore dei trasporti, ma prima di tutto occorre imparare le basi, imparare il mestiere.

Un’ultima domanda: dove trovi tutta questa determinazione?

Credo nella forza di noi donne.
Come dicevo sono nonna adesso, non voglio che mia nipote si senta fuori posto nel mondo o che pensi che non possa fare qualcosa solo perché donna.
Deve poter scegliere di fare quello che le piace.
Mi dico sempre che se un essere umano fa qualcosa lo può fare anche un altro, indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna.

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Joanna Wilson lady trucker

 

Decisamente un’altra epoca!

 

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La storia di Valentina

 

 

Ho appena trovato questo articolo (è di oggi!) che racconta la storia di Valentina, camionista da pochi mesi e felice della sua scelta!

E’ pubblicato su “Maremma oggi”  e lo potete leggere a questo link:

https://www.maremmaoggi.net/ciao-sono-valentina-e-di-lavoro-faccio-la-camionista/

Siamo sempre di più a dare un tocco rosa a questo mestiere!

Buona strada Valentina!

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Un tributo a Teresina…

 

Oggi, tornando dal Raduno di Susa, abbiamo pensato di fermarci  a Settimo Torinese per rendere omaggio alla memoria di Teresina Bruno, la prima donna camionista italiana.

Vi ricordate che qualche tempo fa ho pubblicato il link dell’articolo in cui si parlava della panchina che le era stata dedicata nel “Sentiero delle donne”?

https://primasettimo.it/attualita/una-panchina-per-teresina-in-via-modigliani-il-tributo-alla-staffetta-partigiana-settimese/

Ci siamo fermati li, in via Modigliani, e abbiamo scattato qualche foto rivolgendole un pensiero…

Mi ha sempre affascinato la sua storia, immaginarla alla guida del suo camion nel dopoguerra, in un epoca in cui le donne difficilmente guidavano le automobili, cosa che allora era riservata quasi esclusivamente agli uomini.

Pensare che lei fu praticamente obbligata da suo papà a prendere la patente superiore, quando ancora ai nostri giorni tanti papà camionisti impediscono (o almeno ci provano!) alle proprie figlie di seguire le loro orme!

Mi sono seduta su quella panchina e ho immaginato di poter scambiare due parole con lei, di poterle chiedere tante cose della sua vita da ragazza camionista… di poterle dire grazie per avere aperto la porta a tutte noi che dopo di lei abbiamo avuto la voglia e la forza di salire su un camion e di affrontare la strada. 

 

 

Non è facile ancora oggi entrare in questo settore sempre troppo maschile, è vero che le cose stanno pian piano cambiando, ma la strada è ancora lunga e la si costruisce con la tenacia di tutte quelle donne che non rinunciano a realizzare il proprio sogno nonostante tutti gli ostacoli che devono affrontare.

Un ultima cosa, un appello a chi si siede, magari alla sera, su quella panchina e sulle altre li intorno: è vero che il cestino dei rifiuti era pieno, ma perchè sporcare tutto, perchè buttare carte e cartoni per terra? E’ brutto farlo già normalmente, ma è ancora più brutto pensando a cosa Teresina ha rappresentato per Settimo Torinese, è una mancanza di rispetto alla sua memoria, anche se quello non è il luogo in cui riposa…

Grazie, buona strada sempre!

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Al lavoro con LAURA BROGLIO….

 

Ecco gli altri episodi della nuova serie “Al lavoro con Laura Broglio“, dal canale You Tube K 44 risponde, dedicati alle attese nel mondo dell’autotrasporto e alle soluzioni per ridurle.

Buona visione e buona strada sempre!

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