Antonella & la Sirenetta su TGR Calabria
Una video intervista ad Antonella a bordo della sua bellissima Sirenetta su TGR Calabria.
Buona strada sempre Antonella!!!
Una video intervista ad Antonella a bordo della sua bellissima Sirenetta su TGR Calabria.
Buona strada sempre Antonella!!!
Se non è stato facile per le donne farsi accettare come camioniste forse lo è stato ancora meno come conducenti di un autobus. Questa è la storia di Giulia, la prima donna in Italia a conseguire la patente per i mezzi pubblici.
Questi sono i link e i testi di due articoli del 2019 che raccontano la sua storia:
“Donna al volante, pericolo costante“. Se persino in un vecchio adagio popolare viene da sempre messa in discussione la bravura delle donne alla guida, è facile immaginarsi le difficoltà che ha dovuto incontrare Giulia Solomita per potersi mettere al volante addirittura di un autobus, seppur di proprietà dell’azienda di trasporti Camera, sua e di suo marito. Anche perché prima nessuna donna lo aveva mai fatto prima. E’ stata, infatti, l’allora 25enne potentina la prima persona italiana di sesso femminile ad ottenere la patente “D pubblica”, quella necessaria appunto per guidare gli autobus.
Un’esigenza più che una passione per la signora Giulia, che oggi (2019) di anni ne ha 83 e che dell’azienda non ne ha più voluto sapere nulla dalla morte del marito, passandone le redini a un nipote. Come raccontato in un’intervista – concessa al portale www.melandronews.it – infatti le cose sono andate così: “Ci stavamo ampliando e ci serviva il secondo autista. Così ho detto a mio marito: ci provo io. Mi sono messa subito a studiare, andavo a Potenza all’autoscuola. Andavo di pomeriggio, a giorni alterni. Ma non è stato semplice. A me necessitava la patente, altrimenti avremmo dovuto spendere i soldi per un’altra assunzione“.
Il problema è che nonostante il suo impegno e la sua serietà, nessuno voleva neanche solo esaminarla, una responsabilità allora considerata troppo grande: “Ricordo molto bene l’ingegnere che avrebbe dovuto esaminarmi, tanto bravo, ma anche lui mi diceva che non se la sentiva di assumersi quella responsabilità. Così ogni volta mi rimandava alla volta dopo, quaranta giorni dopo. Ogni volta vedevo i candidati uomini che superavano la prova e io che dovevo tornare la volta dopo. Non mi sono stancata, anzi forse ho preso io per sfinimento l’ingegnere. Ricordo che vennero anche altri dirigenti della Motorizzazione, per farmi sostenere l’esame“.
Un esame davvero durissimo, per giunta. La signora Giulia, infatti, dovette prima smontare un motore e poi guidare davanti ad una scuola durante l’orario di uscita degli alunni. Alla fine, però, le fecero persino i complimenti. Era il 1961. Nello stesso anno anche il primo viaggio, a Roma o forse Napoli. Questo non lo ricorda bene. Ancora impresso nella mente, invece, quanto accadde anni dopo: “Un giorno ho notato che quell’ingegnere mi guardava. Un po’ mi sono spaventata, ma poi ho capito che mi seguiva per vedere quel che facevo alla guida del bus, per capire se aveva fatto bene a darmi la patente. Ma questo succedeva sempre anche durante i controlli delle forze dell’ordine: se dovevano fermare qualcuno, capitava sempre a me“.
Alla fine, però, l’unica che l’ha fermata davvero è stata proprio lei stessa: “La patente a chi guida gli autobus si toglie a 68 anni di età, ma devo essere sincera, io sono andata alla motorizzazione e l’ho consegnata un po’ di tempo prima, perché avevo capito che non avevo più le energie per stare al volante. Però continuo a guidare l’automobile“.
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Le cronache dell’epoca raccontano che lei pianse quando superò l’esame. Giulia Solomita Camera, di Satriano di Lucania è stata la prima donna in Italia a ottenere una patente di guida della Categoria “D pubblica”, quella che serve per poter condurre gli autobus.
Quel pianto era di gioia, ma anche liberatorio, perché – come racconta lei stessa- non fu un percorso facile. Discusse animatamente con l’ingegnere della Motorizzazione civile che doveva esaminarla quando le disse: “La patente D a una donna può assegnarla solo un folle”. Invece, da quel giorno Giulia – che aveva 25 anni – su un autobus ci è salita fino a quasi settant’anni. E oggi, che ne ha 83, continua a guidare la sua utilitaria.
Signora Giulia, lei è stata la prima donna a ottenere una patente che permette di guidare gli autobus nel nostro Paese.
Parliamo di secoli fa…
Com’è nata in lei la voglia di guidare un bus?
Con mio marito avevamo una ditta di autolinee, l’azienda Camera. Ci stavamo ampliando e ci serviva il secondo autista. Così ho detto a mio marito: ci provo io. Mi sono messa subito a studiare, andavo a Potenza all’autoscuola. Andavo di pomeriggio, a giorni alterni. Ma non è stata semplice. A me necessitava la patente, altrimenti avremmo dovuto spendere i soldi per un’altra assunzioni.
Perché non è stato semplice?
Essendo la prima donna che chiedeva di fare l’esame, nessuno si voleva prendere la responsabilità di esaminarmi. Ricordo molto bene l’ingegnere che avrebbe dovuto esaminarmi, tanto bravo, ma anche lui mi diceva che non se la sentiva di assumersi quella responsabilità. Così ogni volta mi rimandava alla volta dopo, quaranta giorni dopo. Ogni volta vedevo i candidati uomini che superavano la prova e io che dovevo tornare la volta dopo. Non mi sono stancata, anzi forse ho preso io per sfinimento l’ingegnere. Ricordo che vennero anche altri dirigenti della Motorizzazione, per farmi sostenere l’esame.
E il giorno dell’esame com’è andata?
Mi fecero un bel po’ di domande poi mi misero un motore davanti e mi chiesero di smontarlo. Lo feci. Ma non bastò, perché quella era solo la teoria. C’era la pratica….
E alla guida com’è andata?
Alla guida dell’autobus mi portarono verso viale Mazzini, dove c’era all’epoca il palazzo dell’Inam, la “mutua”, a Potenza. Mi portarono davanti a una scuola, proprio nel momento in cui uscivano i bambini per vedere come mi sarei comportata Alla fine si sono complimentati. Ma dopo tanti anni che facevo la linea, un giorno ho notato che quell’ingegnere, mi guardava. Un po’ mi sono spaventata ma poi ho capito che mi seguiva per vedere quel che facevo alla guida del bus, per capire se aveva fatto bene a darmi la patente. Ma questo succedeva sempre anche durante i controlli delle forze dell’ordine: se dovevano fermare qualcuno, capitava sempre a me.
Quand’è accaduto tutto questo?
Era il 1961, ero appena diventata mamma di mio figlio.
Ricorda il primo viaggio che ha fatto?
A Roma, mi sembra. O forse Napoli. Facevano le gite portavamo la gente nei luoghi turistici, ad esempio a Pompei.
Si è mai trovata in difficoltà?
No, ho guidato notte e giorno, col bel tempo e con la neve, ma non ho avuto mai problemi. Sono stata baciata anche dalla fortuna, in tanti anni di servizio non ho mai avuto una bucatura.
Da quanto tempo non guida più l’autobus?
La patente a chi guida gli autobus si toglie a 68 anni di età, ma devo essere sincera, io sono andata alla motorizzazione e l’ho consegnata un po’ di tempo prima, perché avevo capito che non avevo più le energie per stare al volante. Però continuo a guidare l’automobile.
Ora si occupa dell’azienda?
No, se ne occupa mio nipote. Da quando mio marito non c’è più, ho deciso di non occuparmi più dell’azienda.
Si intitola Gardel – la mia vita sulla strada” questo piccolo libro di Francesca Ivol, lo sto leggendo ed è molto poetico, lo è come solo i racconti di un camionista che ha vissuto la strada con passione possono essere. E’ tutto li il segreto, amare quello che si fa e ricordarsi soprattutto le cose belle relegando i brutti ricordi in un angolo. La stada fa vivere una vita che altrimenti ci sarebbe preclusa, ma sta a chi la vive capirla.
Io leggo tutti i libri di camionisti che riesco a trovare, anche questa è una passione!
Se vi interessa questo è il link dell’editore:
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/387759/gardel-6/
E questa la presentazione “ufficiale”:
Gardel è un camionista argentino, figlio e nipote di camionisti, nato sul camion e cresciuto tra i motori. Ha una passione: scrivere le straordinarie avventure che vive sulla strada. Leggendo il suo diario ci perderemo in un mondo meraviglioso, sogneremo davanti ai paesaggi unici dell’Argentina degli anni Settanta, fuggiremo dagli alieni, cercheremo punte di frecce indiane sulle montagne, vedremo balene, pinguini e fantasmi, guideremo per migliaia di chilometri ridendo, piangendo e amando con lui ed il suo camion.
I video che non vorremmo mai vedere…. le notizie che non vorremmo mai leggere…
http://gazetaderosario.com.br/acidente-entre-caminhoes-tira-a-vida-de-caminhoneira-da-fronteira/
Purtroppo però succede, succede un incidente e qualcuno ci lascia, questo è un video brasiliano in omaggio a una collega, Carla Geovana, morta a soli 37 anni pochi giorni fa in un incidente alla guida del suo camion. Guidare un camion era stato il suo sogno e lei aveva combattuto e alla fine era riuscita a realizzarlo… Un sogno breve purtroppo.
Buona strada a Carla Geovana qualunque essa sia adesso, e a tutti i colleghi al volante sulle strade del mondo.
Questa storia inizia un paio di anni fa, quando Dorica è stata la prima donna assunta presso la ditta di trasporti SMET, si parlava di quote rosa, chissà se è rimasta l’unica o ha altre colleghe?
In ogni caso: buona strada Dorica!
Questo è il link dell’articolo:
E l’articolo:
Dorica Corea e
Domenico De Rosa
Salerno, 19 dicembre 2018 – “Si tratta di un primo importante passo verso l’inserimento nel nostro organico di un numero sempre maggiore di quote rosa. Vogliamo essere un esempio per tutto il settore dei trasporti, anche per quanto riguarda le pari opportunità: oggi le donne devono avere libero accesso a una professione che da sempre è considerata
appannaggio esclusivo degli uomini”.
Così Domenico De Rosa – Amministratore Delegato del Gruppo SMET, leader a livello europeo nel settore della logistica integrata – ha commentato l’ingresso in azienda di Dorica Corea, la prima donna autista che, assunta lunedì 17 dicembre, dopo una prova guida a Torino verrà impiegata a Pisa.
Dorica Corea, nata in Romania 47 anni fa, ha un figlio ed è nonna di due bambini. Ha conseguito le patenti C ed E nel 2007 presso la Scuola Europea di Empoli e, dopo una decennale esperienza di guida, ha scelto di entrare nell’organico del Gruppo SMET, pioniere in Italia non solo del trasporto sostenibile ma anche delle pari opportunità.
Ha alle spalle un lungo percorso di lavoro: prima di dedicarsi a questa professione ha infatti lavorato per molti anni presso diverse carrozzerie e pompe di benzina. “Essere donna autista, soprattutto agli inizi del percorso professionale, può non essere semplice – ha dichiarato Dorica – Non solo per gli orari che mal si conciliano con le esigenze della famiglia, ma anche perché ci sono moltissime cose da imparare: occorre conoscere la segnaletica, saper pianificare il viaggio, saper realizzare piccole manutenzioni, saper coordinare le operazioni di carico e scarico e valutare l’eventuale presenza di danni alla merce”. Ed ha aggiunto: “Non mi sono mai scoraggiata, perché ritengo che le donne abbiano la possibilità e le capacità per affermarsi anche in questo settore. E perché ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada colleghi uomini sempre solidali e disponibili. I loro consigli sono stati molto utili”.
Poi continua in quest’altro articolo:
http://www.camionefurgonimag.com/dorica-corea-camionista-per-passione/
Tutto da leggere:
Nata in Romania 47 anni fa, Dorica è migrata in Italia nel 2000 a causa della sfavorevole congiuntura economica del suo paese di quegli anni.
“La mia passione, sin da bambina, è stata sempre il camion. Sia mio padre che mio fratello maggiore facevano i camionisti ed io ero felice di andare a pulire le cabine dei loro mezzi pur di salirci – ricorda Dorica – Vedere mio padre alla guida dei camion mi trasmetteva tanta passione. Sapevo che il mio destino era quello.”
Tuttavia per guidare il camon occorrevano le patenti che, già all’epoca, avevano il loro costo. Così dapprima Dorica, pur di stare vicino a quel mondo e pagarsi i corsi di guida, si mise a lavorare presso una carrozzeria: “Mi occupavo del lavaggio, della lucidatura e della verniciatura di vari veicoli, oltre che del montaggio e smontaggio di pezzi.”
Poi dopo la carrozzeria è stata la volta di un distributore di gasolio. Finalmente nel 2007, dopo tanti sacrifici, Dorica è riuscita a prendere le tanto agognate patenti: “Appena conseguita la patente ‘E’, ho iniziato a lavorare con piccole ditte. Ma il mio desiderio era quello di entrare in una grande Compagnia di trasporti per poter avere una sicurezza economica da garantire alla mia famiglia – già perché Dorica non solo è mamma, ma anche nonna – In quegli anni ho guidato camion di tutti i tipi e marche, però il mio preferito è lo Stralis Iveco.”
“Mi ritengo molto fortunata come camionista. Da quando ho iniziato questa attività non ho mai avuto noie particolari tranne lo scoppio di uno penumatico nel 2010 – ricorda Dorica – tuttavia, grazie al mio carattere ho gestito il tutto con lucidità e naturalezza, tanto da poter definire quell’esperienza ‘normale amministrazione’. Da sempre riesco a gestire tutto ciò che mi accade con calma e lucidità. Poi so di molte colleghe che hanno avuto difficoltà nel farsi accettare in questo mondo prettamente maschile. Per mia fortuna devo dire che il rapporto con i miei colleghi maschi è stato sempre cordiale e ricco di collaborazione.”
Anche i rapporti familiari per una camionista non sono facili da gestire: “Ora vivo con un compagno. Anche se con difficoltà, lui ha accettato il mio lavoro. Ha capito che è la mia vita, la mia passione e che io non sarei la stessa senza la guida del camion. Fa parte di me. Diverso il discorso dei nipotini. Sarebbe difficile ora come ora gestire dei bimbi piccoli. Ora vivono in Romania con i miei familiari. Riesco a vederli un paio di volte all’anno. In quell’occasione recuperiamo tutto il tempo perduto ed è come se non ci fossimo mai lasciati!”
L’assunzione alla SMET per Dorica, oggi a 47 anni, è stato il coronamento di una vita di sacrifici: “Oggi sono molto soddisfatta del lavoro che faccio. Sono alla guida di uno splendido Iveco Stralis alimentato a gasolio. Corro per l’Italia in lungo e largo. Mi piace molto effettuare viaggi dalla Toscana per il Piemonte. Adoro i paesaggi tra queste due regioni. Il lavoro intermodale, oggi, ha sicuramente diminuito i chilometri che si effettuano quotidianamente. Io oggi ne faccio un numero giusto. Spesso capita di dover dormira in cabina, ma fa parte del lavoro. Gli unici momenti ‘noiosi’ sono le lunghe attese per il carico e lo scarico dai clienti. Insomma non cambierei il mio lavoro per tutto l’oro del mondo. Io penso che ogni individuo sia padrone del proprio destino seguendo la propria vocazione.”
Un altro articolo, un’altra storia di un’altra collega, Federica, che nelle pagine del ” Tiburno” si racconta…
Questo è il link:
https://www.tiburno.tv/2020/09/07/camionista-e-mamma-federica-racconta-le-sue-scelte/
E questa è una parte dell’articolo:
Donne al volante pericolo costante? Fesserie! Parola di Federica Aristotile Jurovschi: vive a Villa Adriana, con il suo piccolino Samuel di un anno e il marito, ha sempre avuto il pallino della guida e di lavoro fa la camionista. Orario: dalle 3 alle 8.30 di mattina, per fare arrivare il pesce dai mercati generali in tutta Roma, un’attività di grande concentrazione e responsabilità Dorme poco ma non è mai stata così contenta e piena di voglia di fare. Racconta la sua scelta di vita con il sorriso sulle labbra e alla donne che “pensano” di non sapere nulla di motori, consiglia di informarsi e scoprire tutto il mondo interessante che sta dietro la loro autovettura, imparando a controllare i livelli di acqua e olio, cambiare una ruota quando serve, diventare autonome. Con i colleghi, tutti maschi, problemi non ne ha ma ci tiene a rimarcare che “Se vuoi fare un lavoro da uomo, devi farlo meglio”.
L’intervista completa su Tiburno in edicola l’8 settembre, nelle pagine dedicate ai motori.
Un’altra bella storia di una nostra collega, tratta sempre da “Uomini e trasporti” nella sezione “Anche io volevo il camion“, a firma di Gabriele Bolognini, la storia di Jennifer da Olginate.
Questo è il link:
https://www.uominietrasporti.it/jennifer-altilia-il-camion-e-mio-e-lo-gestisco-io/
E questo è l’articolo:
Dinamica e amante del ballo, Jennifer Altilia si trova ancora ragazza a vendere cocktail dietro a un bancone di un locale notturno. Poi, dopo che la mamma le consigliò di «lasciar perdere» e, piuttosto, di «andare a guidare il camion dell’azienda di famiglia», arriva a fare l’autista non per passione, ma per dimostrare agli scettici uomini di famiglia che ce l’avrebbe fatta. Quando però iniziò a personalizzare il veicolo con lucine e colori si rese conto che il mestiere le era entrato nel sangue
Jennifer Altilia a fare la camionista non ci pensava proprio. Nata 36 anni fa a Olginate, in provincia di Lecco, a 16 anni era una peperina che saltava da una discoteca all’altra. Un ragazzo le è dovuto star dietro un anno prima di riuscire a conoscerla. Insomma, era una girandola: ogni settimana un locale diverso. La musica, le luci stroboscopiche, i balli scatenati erano la sua vita. Alla fine, quel ragazzo caparbio la conquistò: divenne (e lo è ancora) suo marito. Ma Jennifer non per questo abbandonò la discoteca, tanto che il suo primo lavoro, di lì a poco, divenne quello di barman (o meglio barlady). Di che tipo? Acrobatica, ovviamente: «Mi divertivo un sacco… ci lanciavamo le bottiglie facendole roteare e poi giù con Martini, Cuba libre, Margarita e tanto altro per i nostri clienti estasiati. Ogni tanto qualche bottiglia finiva a terra – ricorda Jennifer ridendo – ma erano veramente poche. Ero brava a fare quel lavoro e mi piaceva tanto…».
Poi arrivò il giorno in cui la mamma la prese da parte con un piglio convinto: «Mi disse che quella vita non poteva durare a lungo, che era preoccupata perché la notte facevo sempre tardi, che era ora di mettere la testa a posto. E tutti i torti non li aveva. Avevo 21 anni e forse era arrivato il tempo di cominciare a guardare avanti. Poi, quasi per scherzo, mi disse: perché non ti prendi le patenti da camion e prendi il posto di tuo zio che si è stancato di fare il camionista per noi?».
Chiarimento necessario. Il papà di Jennifer, Gerardo, è titolare della Fimal, azienda di zincatura e trattamenti galvanici per metalli con sede a Bosisio Parini (LC), che attualmente gestisce con il figlio Paolo. Per ritirare e consegnare la merce lavorata, la Fimal ha sempre avuto un camion. Quello a cui faceva riferimento la mamma di Jennifer: «La proposta semiseria di mia madre mi lasciò di stucco. Non ci pensavo proprio a mettermi alla guida di uno di quei bestioni che per strada mi terrorizzavano! Però raccolsi la sfida e andai a parlare con mio padre e mio fratello proponendomi come camionista. All’inizio mi risero in faccia, dicendo che non era un lavoro adatto a una ragazza, che non ce l’avrei mai fatta e “piripì, piripà”. Ma siccome io sono tignosa e in questo modo mi hanno scatenato l’orgoglio: “Volete vedere che in due mesi prendo le patenti per il camion e mi metto alla guida di quel coso lì fuori?”».
La domanda di Jennifer suonava un po’ come una scommessa, ma gli uomini della sua famiglia la lasciarono fare non perché la vincesse, ma in quanto convinti che tempo qualche giorno avrebbe mollato. Invece, lei – testarda e caparbia – andò avanti nel proposito: «In due mesi presi effettivamente le patenti e le andai a sventolare sotto il naso di mio padre. A quel punto mi diede il camion, una motrice DAF due assi, dicendomi: guarda che al primo incidente o alla prima mancata consegna te ne torni a casa!»
Jennifer non tornò a casa. Anzi, durante il suo primo anno di lavoro ricevette così tanti apprezzamenti positivi da clienti soddisfatti per la sua precisione e puntualità che papà si convinse persino a comprarle un nuovo camion. «Andammo insieme in concessionaria a sceglierlo, una motrice a tre assi: un Iveco Stralis da 410 CV. Mi piaceva tantissimo e iniziai a personalizzarlo con lucine e lucette varie. In quel momento mi resi conto che il mestiere di camionista, così come la passione per i camion, mi erano entrati nel sangue».
Così gli anni sono passati e anche la famiglia di Jennifer è aumentata di numero con l’arrivo di due bambini, Stella e Alexander, che ora hanno rispettivamente 8 e 5 anni. «Sono due tesori. Abbiamo la fortuna di abitare vicino ai miei. Così, quando io e mio marito siamo al lavoro si dividono tra la scuola e i nonni. Oggi anche mio marito lavora nella stessa azienda: Fa il capo operaio e segue tutte le varie lavorazioni. Prima era un imbianchino, ma la ditta per cui lavorava ha conosciuto momenti difficili a causa della mancanza di lavoro successiva al Covid. Così l’ho convinto a entrare in azienda da noi».
Ma quella familiare non è stata l’unica crescita. Dopo qualche anno di onorato servizio, è arrivato il momento di cambiare il camion: «Fortunatamente il lavoro è aumentato e il tre assi non bastava più. Così abbiamo deciso di prendere un camion più grande: sempre una motrice, ma 4 assi. Avrei voluto uno Scania, però non lo avevano pronto in quella configurazione, avrei dovuto aspettare un anno. Poi dietro consiglio di un cliente, poco più di due anni fa, mi recai a Zingonia dalla Volvo Trucks. Loro da poco avevano in listino il 4 assi. È stato amore a prima vista. Uno splendido FH500 con I-Shift e sospensioni pneumatiche su tutti gli assi. L’ho preso con tutti gli optional possibili. Riguardo la sicurezza, manca solo il sistema di frenata d’emergenza in quanto nella speciale configurazione a 4 assi non è applicabile. In compenso, ho un retarder da paura! Anche a pieno carico in discesa è in grado di rallentare il camion senza stressare i freni in tutta sicurezza».
Una volta arrivato in filiale a Zingonia, il Volvo FH di Jennifer, senza toccare neanche la strada, è stato portato con il carrellone da un carrozziere di Varese per essere personalizzato: «Il colore di origine era già bello, un grigio scuro metallizzato, tuttavia volevo qualcosa di unico. Così studiammo la tonalità con il carrozziere e venne fuori questo grigio canna di fucile molto particolare che, a seconda della luce, cambia tonalità. A volte sembra marrone, altre azzurro. Poi un giovane artista, Lorenzo Dell’Acqua, che aerografa oggetti sin dall’età di 8 anni, è riuscito a capire cosa mi passasse per la testa disegnando sulle fiancate le immagini di Joker e della sua fidanzata, Harley Quinn. Questi personaggi un po’ folli rappresentano me e mio fratello che proprio normali non siamo – spiega ridendo». In più, oltre alle aerografie Jennifer ha montato un kit in acciaio della Acitoinox sul frontale: «Ora è perfetto. All’interno non manca nulla: frigobar, fornetto a micronde, macchina del caffè, televisione. Insomma, una seconda casa».
Seconda casa che Jennifer si gode solo in viaggio perché la sera torna sempre alla prima: «Non riuscirei mai a stare lontana dai piccoli la notte. Per fortuna i nostri clienti sono quasi tutti in Lombardia. Generalmente percorro circa 400 km al giorno tra Varese, Sondrio, Valsassina, Brianza e Milano».
Una seconda casa in cui inizialmente si è creato qualche grattacapo:«Non riuscivamo a capire perché il quarto asse tendeva a bloccarsi. Poi sempre in Volvo sono riusciti a capire che era un problema di allineamento e, ancora in garanzia, me lo hanno risolto. Da allora non ho avuto più alcun problema. Finora ho percorso circa 100.000 km e fatto due tagliandi. Devo fare i complimenti al personale d’officina di Zingonia, specie a Claudio Selmi dell’accoglienza e al capo officina Dario Notario, per la grande pazienza e professionalità».
Quando Jennifer esprime complimenti sorride e sgrana i suoi due grandi occhi marroni. Immagino però che disponga di un campionario di espressioni anche molto diverso con cui gestire situazioni difficili. Perché comunque, in tanti anni di circostanze scomode ne ha vissute. E spesso erano rese tali proprio dal fatto di essere una donna. Come si fa a sopravvivere in questi casi?: «Facile – risponde convinta – basta farsi rispettare. E a questo scopo da tre anni mi sono avvicinata allo Street Fighting, che non è un’arte marziale né uno sport da combattimento, vista l’assenza di regole. Diciamo che l’obiettivo di questo esercizio fisico è quello di uscire incolumi da un’aggressione tramite tre regole fondamentali: cercare di evitare qualsiasi scontro; se necessario colpire e fuggire; usare qualsiasi oggetto ci si trova per le mani come arma».
Difficile resistere alla tentazione di sapere se e come ha attuato questi principi. «Proprio di recente mentre facevo manovra per entrare da un cliente, mi taglia la strada un furgone fregandomi il posto per lo scarico. A bordo c’erano due ragazzotti che iniziano a fare commenti pesanti su di me. Allora, vista la mala parata ho detto al magazziniere che sarei passata più tardi. Senonché dopo poco mi accorgo che i tipi mi seguivano urlando dal finestrino e facendo gestacci molto espliciti. Dopo più in là c’era un semaforo rosso. A quel punto mi decido: afferro uno sfollagente e scendo dal camion…».
E com’è finita? «Beh, fortunatamente, la mia espressione è stata sufficiente a convincerli a lasciar perdere e a farli dileguare».
Ho trovato questo articolo del mese scorso che racconta la bella storia di Lorena e dei suoi gatti! Ho conosciuto tante altre colleghe che amano i gatti, ne ho cinque anche io, credo che li amiamo perchè abbiamo in comune lo spirito d’indipendenza e per il senso di libertà che ci ispirano.
Questo è il link dell’articolo di Lario News:
https://www.larionews.com/bellano/bellano-lory-la-camionista-con-una-colonia-felina-a-casa
E questo è il testo:
4 Agosto 2020 | Bellano
BELLANO – Nell’immaginario comune la professione dell’autotrasportatore, colui che lavora alla guida di un camion, è quasi sempre una figura maschile, anche se ultimamente è in aumento il numero di camioniste donna.
A tal proposito vogliamo farvi conoscere una donna che ha sicuramente anticipato i tempi, scegliendo come sua professione quella di autista di mezzi pesanti, Lorena Della Giovanna.
Classe 1972, residente a Bellano, nella piccola frazione di Pennaso, da 18 anni è alla guida di un camion.
“Sono sempre stata affascinata dal mondo dei camion, è un lavoro che non costringe a stare in un luogo chiuso, sono sempre all’aria aperta, estate e inverno – racconta Lory, come tutti la chiamano – sono stata “accettata” subito dai miei colleghi uomini, non ho trovato difficoltà a riguardo. Esco di casa alle 5,30 del mattino e rientro alle 19, rispettando le 9 ore di guida giornaliere con le dovute pause; attualmente collaboro con una ditta di Malgrate. Durante l’inverno mi occupo dello sgombero neve sulle strade quindi le mie ore di permanenza in casa sono ancora meno… A parte il debito di sonno, visto il giro di spargimento sale antighiaccio di notte, non ho particolari problemi”.
“Quando rientro a casa – aggiunge Lorena – ad attendermi trovo 5 gatti più una colonia felina di dieci elementi nel cortile della mia abitazione, mici che ho provveduto a fare sterilizzare. Inoltre ho adottato due conigli che adoro e che sarebbero finiti in padella se non avessi preso con me”.
I. B.
BUONA STRADA SEMPRE LORY!
Alessandra l’ho conosciuta giusto un anno fa al raduno del Coast to Coast a Giussano. Allora mi raccontò che stava finendo di fare le patenti superiori e il CQC per poter finalmente iniziare una nuova vita. Era entusiasta del suo progetto ed io ero contenta di sapere che presto avrei avuto una nuova collega!
Stamattina invece mi ha telefonato dicendomi che l’aveva chiamata un amico comune che ci aveva incrociato tutte e due sulla stessa strada, io ero un paio di km davanti a lei! Cosi appena ho trovato una stazione di servizio col posto per fermarsi l’ho aspettata e abbiamo fatto una breve sosta, giusto il tempo di due fotografie e quattro chiacchiere!
Che bello vederla sorridente davanti al suo MAN (l’ha chiamato “Leo”!) , che bello sapere che almeno a qualcuna è data la possibilità di realizzare il sogno di fare la camionista. L’emancipazione, rispetto a 20/30 anni fa c’è stata, ma non ancora del tutto, tante ragazze si sentono ancora dire che questo non è un lavoro da donne e non vengono nemmeno prese in considerazione quando fanno una domanda d’assunzione.
Comunque Ale, dopo aver lavorato per anni al chiuso tra quattro mura, ora è entusiasta del suo nuovo mestiere, te ne accorgi parlandoci insieme, si sente finalmente realizzata, ogni giorno è una nuova esperienza, una nuova sfida, è l’occasione di conoscere gente diversa, strade nuove, orizzonti nuovi… il suo sorriso dice tutto: sono sicura che non tornerebbe mai a fare la vita di prima!
Vi ricordate di Marianna, la nostra collega premiata col Sabo Rosa nel 2014 come camionista dell’anno?
Ho trovato questo articolo di qualche settimana fa in cui racconta la sua storia, i suoi sogni e le sue soddisfazioni alla guida di un camion.
Questo è il link Di Verona Sette News (pag 14):
https://www.adige.tv/pdf/4970xweb10072020.pdf
E questo è l’articolo, buona strada sempre Marianna!
MARIANNA DAL DEGAN: CAPARBIETÀ E INTRAPRENDENZAALLA GUIDA DI UN BISONTE DELLA STRADA
Da sempre è ritenuto un luogo comune il credere che “certi mestieri siano solo al maschile”, perché li possono svolgere esclusivamente uomini forzuti, abituati ai sacrifici e con un alto spirito di adattabilità. E, ancor di più, questa congettura trova una sua certezza assoluta in alcuni lavori come quello del camionista, almeno fino quando non ci si ritrova ad essere affiancanti da un bisonte
della strada, con alla guida una simpatica e sorridente Marianna Dal Degan, ragazza determinata e testarda, concentratissima a svolgere il suo “mestiere da maschio” con un’infallibile professionalità.
Ma proviamo a conoscerla meglio Marianna, chiedendole di presentarsi ai lettori.
«Sono nata a Soave ed abito a Colognola ai Colli. La mia infanzia è stata molto difficile, portandomi a crescere in fretta. Molte delle sofferenze patite e poi superate sono, col tempo, diventate virtù che oggi mi rendono fiera di me stessa e dei valori che ho saputo costruire, nonostante tutto.
Le difficoltà familiari mi hanno portata a prendere una strada diversa da quella che sognavo da bambina, cominciando a lavorare molto presto, e nonostante tutto ho continuato a studiare
facendo scuole serali, per conseguire il diploma di operatrice agroindustriale.
Poi, un giorno sono andata in un’azienda di trasporti per lavare i loro mezzi e il titolare, notando il mio impegno e la mia tenacia, decise di assumermi. Il continuo contatto con quei veicoli grandissimi mi ha affascinato, facendo crescere in me la curiosità e il desiderio di prendere le patenti C ed E, mettermi alla loro guida e ritrovarmi, tutt’oggi, ancora a guidarli.»
Cosa vuole dire per lei l’essere alla guida di un TIR?
«Autista di un TIR non è solo guidare, ma avere assoluto rispetto ed amore per il proprio automezzo, curandolo e d assicurandogli le giuste attenzioni, oltre che rispettare strada, limiti e codici.»
E a rafforzare questo principio assoluto, sappiamo che ha ricevuto un premio importante, giusto?
«Vero –conferma con orgoglio Marianna- Nel 2014 è arrivata una grande soddisfazione per me: sono stata eletta “camionista dell’anno” dall’azienda Nuti Spa, specializzata nella produzione di ammortizzatori. Il riconoscimento è stato motivato dal fatto che, nonostante svolga un lavoro prettamente maschile, ho saputo mantenere la mia femminilità.»
Complimenti. Ma torniamo alla sua crescita professionale: ci racconti di oggi.
«Dopo una lunga carriera da autista dipendente, 3 anni fa ho dato vita alla mia azienda di trasporti con il desiderio di dare forza ad un mio principio nel quale credo fortemente: “se stiamo sempre fermi non possiamo crescere”. Sono consapevole dei rischi e le difficoltà di questa scelta, perché richiede sacrifici doppi: oltre che da autista anche da amministratore della società, ma ci credo, e credo in me stessa.»
Il lavoro del camionista è stato da sempre definito “maschile”: come lo vive una donna?
«Quando ho iniziato ero una delle poche donne in questo settore, poi col tempo si è sempre più arricchito di volti femminili ed oggi siamo tante. Certamente questo, che è per tutti un “lavoro
maschio”, mi ha permesso di attingere da quella stessa considerazione discriminante e sessista la determinazione e la forza d’animo per non arrendermi mai, forse anche perché amo le sfide.»
Ci racconta delle difficoltà e le soddisfazioni del suo mestiere?
«Lavorando nell’edilizia le difficoltà maggiori sono quelle di ritrovarsi in posti strettissimi nei quali un bilico ha difficoltà a muoversi e fare manovre, ma si trova sempre una soluzione pur di accontentare il cliente, che si trasforma in soddisfazione per te stessa e la tua azienda.»
Quanto ha inciso la pandemia nel mondo dei trasporti privati?
«È stata una prova molto dura da sostenere, e ancora lo è. Purtroppo, noi trasportatori non potevamo fermarci perché avrebbe significato non poter rifornire più i cittadini delle primarie necessità di cui si ha bisogno per il sostentamento quotidiano. Noi siamo una categoria poco tutelata da sempre; si consideri che durante la fase di chiusura totale, autisti come me, che dormono fuori di notte, non avendo possibilità di ristorazione e rifocillamento hanno dovuto sostenere prove davvero difficilissime di adattamento, figurarsi per una donna e le sue necessità igieniche, ancora più impellenti degli uomini, in certi casi. Con rammarico devo ribadire che è stata gestita male l’emergenza, oltre a considerare che sarebbe stato opportuno e più rispettoso riservare qualche ringraziamento
in più anche agli autisti, che non saranno eroi come medici ed infermieri, ma in questi mesi di blocco
totale, hanno permesso di trovare sempre i supermercati pieni di ogni genere alimentare e non.»
Ha proprio ragione Marianna. Sono davvero tanti i mestieri, come quello del trasportatore,
che sembrano appartenere ad una categoria di lavoro meno considerata, nonostante siano stati
fondamentali nel tenere unita l’Italia e permetterci di non essere privati di nulla, è ciò nonostante, non
ci sono medaglie o applausi per ringraziarli.
Giochiamo per un istante e si immagini Ministro dei Trasporti, cosa farebbe per migliorare la categoria?
«La prima cosa che farei sarebbe quella di istituire una tariffa unica di trasporto, che debelli la concorrenza sleale e sottocosto, che crea solo povertà e aumenta il fattore rischio per noi autisti,
sottoposti a massacranti turni di lavoro. Inoltre, stabilirei incentivi per i giovani che vogliono avvicinarsi a questo mondo, abbassando anche i costi delle patenti superiori. Ed, infine, darei più voce agli imprenditori per comprendere problematiche comuni e soluzioni da adottare per l’interesse
della categoria e non solo di pochi singoli.»
Ha le idee ben chiare Marianna, alla quale le chiediamo di svelarci un suo sogno.
«L’ho già realizzato il mio più grande sogno: avere una ditta di trasporti tutta mia, con la speranza di proseguire a lungo questa attività per me e tutti i miei autisti.»
Termina il nostro incontro con Marianna Dal Degan, ragazza intraprendente e determinata, che senza muscoli, ma tanta ostinatezza e impegno è alla guida di un’azienda di successo, che dirige in maniera esemplare, mettendo in pratica il suo migliore motto: «L’unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai.»
Gianfranco Iovino
14 VERONA SETTE CULTURA 10 LUGLIO 2020
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