Il canale di Silvia

 

Vi ricordate della collega Silvia di cui abbiamo postato alcuni articoli qui nel blog?

Silvia ha anche un canale You Tube:

https://www.youtube.com/@silvymar1664/videos

in cui pubblica brevi video della sua vita da camionista, racconta di carichi, di incontri, di cose che le capitano viaggiando.

 

Ve ne linko uno e auguro una buona strada sempre a Silvia, sperando di incontrarla prima o poi on the road!

 

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Una pioniera francese

 

Ho trovato questi due articoli che parlano di Denise Fraiture, classe 1021, una delle prime donne camioniste francesi, il primo articolo è stato scritto in occasione dei suoi 100 anni,

https://actu.fr/normandie/gournay-en-bray_76312/gournay-en-bray-denise-une-des-premieres-femmes-a-posseder-son-permis-poids-lourd-fete-ses-100-ans_46452788.html

e il secondo in occasione dei suoi 101 anni!

https://actu.fr/normandie/gournay-en-bray_76312/denise-fraiture-fete-ses-101-ans-a-gournay-en-bray_55188984.html

In attesa di leggerne un altro anche quest’anno, per il momento vi metto il testo che racconta un pò della sua storia di donna e di camionista:

 

Denise a été une des 1re femme à posséder le permis poids lourd, elle fête ses 101 ans à Gournay-en-Bray

Les années passent et semblent ne pas avoir d’effet sur Denise Fraiture. Celle qui a été une des 1re femmes à posséder le permis poids lourd fête ses 101 ans à Gournay-en-Bray.

Denise a fêté ses 101ans à la maison de retraite de Gournay-en-Bray.
Denise a fêté ses 101 ans à la maison de retraite de Gournay-en-Bray. (©eclaireur-La dépêche)

Les années passent et semblent ne pas avoir d’effet sur Denise Fraiture. Elle vient de fêter ses 101 ans à la maison de retraite de Gournay-en-Bray entourée de sa famille.

« Elle rajeunit de jour en jour » estime la nièce de Denise Fraiture, Michèle Coutant, lors de la cérémonie organisée en l’honneur de la centenaire.

 Ici, l’ensemble du personnel est aux petits soins pour les résidents.

Famille de Denise

Un moment que Mario Ménielle, président des relations avec les familles, n’aurait manqué pour rien au monde. Tout comme le directeur de l’hôpital, Olivier Delahais, lequel a offert un bouquet de fleurs et partagé une part de gâteau avec Denise avant de discuter longuement avec l’héroïne du jour.

Si pour l’occasion, le champagne était de circonstance, Denis Fraiture a eu le droit à un verre de porto, son pêché mignon.

Denise est née le 5 novembre 1921 à Bosc-Hyons. Ils tiendront pendant de nombreuses années le restaurant Les négociants à Gournay-en-Bray. Aujourd’hui, le lieu est devenu un restaurant asiatique.

À lire aussi

Une des premières femme à posséder le permis poids lourd

Denise s’est mariée avec Paul, un négociant en bestiaux. Elle a travaillé à ses côtés. Notre centenaire a été l’une des rares femmes de son époque à posséder le permis poids lourd.

Femme de caractère, elle transportait les bêtes jusqu’au marché de Paris à La Villette. Un travail rude et de nuit mais qui ne lui faisait pas peur.

Lors de ses 100 ans, elle expliquait :

 Au marché, il n’y avait pratiquement que des hommes. Ils m’aidaient pour descendre les bêtes. Et lors de la vente, je ne me laissais pas faire. Je défendais nos intérêts.

Très élégante, lors de la petite cérémonie en son honneur, Denise s’est mise sur son 31 entourée de ses nièces et neveux qu’elle considère comme ses enfants. « Sa maison était l’endroit où tout le monde se retrouvait. Recevoir et préparer à manger a toujours été sa raison de vivre ».

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La storia di Giulia

 

Non sempre essere figlie d’arte aiuta ad entrare nel mondo dell’autotrasporto a tempo pieno: è il caso di Giulia, che ci racconta la sua storia in questa intervista di “Camion e furgoni mag” a firma di Gabriele Bolognini.

Questo è il link dell’articolo:

https://www.camionefurgonimag.com/giulia-camionista-di-giovedi/

E questa è la sua storia:

 

Giulia, camionista di giovedì

29 luglio 2023

Ragioniera per professione, camionista per vocazione, Giulia prima o poi lascerà la scrivania per mettersi definitivamente alla guida del camion

Giulia Zambolin, 34 anni, di Albiano di Ivrea, durante la settimana lavora presso uno studio di commercialisti, tranne il giovedì che dedica al camion. Discendente da una stirpe di camionisti, Giulia ha il camion nel DNA: “L’impresa a conduzione familiare, fondata da mio nonno nel 1947 è passata successivamente nelle mani dei figli, Franco mio padre e Luigi (68 anni) mio zio. Da sempre si sono occupati di trasporto bovini. Io ho una sorella e mio zio una figlia, maschi non ne sono arrivati, e tra tre femmine io sono l’unica che ereditato la passione per i camion – racconta Giulia – da piccolina, finita la scuola salivo sul camion con papà da giugno a ottobre. Scendevo solo durante la settimana di mare che trascorrevamo tutti insieme. Papà però voleva che studiassi. Non le andava per niente l’idea di farmi fare il suo lavoro da grande. Così mi portavo sul camion, libri e quaderni per i compiti estivi ma non scendevo mai dalla cabina. A 14 anni iniziai a fare le manovre con l’autotreno sul piazzale del mercato di Montichiari. Mi divertivo come una matta.”

Raggiunta la maggiore età, Giulia, oltre a diplomarsi come ragioniera, prende subito tutte le patenti da camion, trovando contemporaneamente lavoro presso uno studio di commercialisti.

“Quando occorreva, davo una mano a papà e allo zio, accompagnandoli, magari nei viaggi in Francia per caricare il bestiame, per sostituirli alla guida quando finivano il tempo. Ogni viaggio era un’avventura diversa. Anni prima di prendere le patenti – ricorda Giulia – in uno di quei viaggi in Francia, mentre tornavamo con il camion carico, in una stradina di montagna, piena di curve e tornanti, un furgoncino ci colpì in piena curva. Un urto frontale terribile dalla parte di papà. Io ricordo che mi misi a piangere disperata. Papà per un momento rimase in uno stato catatonico. Per fortuna non si fece male nessuno.”

“Per questo e per tanti altri motivi papà non ha mai gradito che io facessi la camionista, tuttavia, ho continuato a dare loro una mano almeno un giorno alla settimana. Si andava nella Francia sud-occidentale per caricare le mucche Limousine, che prendono il nome dalla regione dove vengono allevate. È una razza non particolarmente grande che in Italia viene utilizzata come vitello da ristallo, per l’ingrasso e il macello, sia come allevamento, per ottenere femmine fattrici. In pratica negli anni il lavoro è rimasto sempre lo stesso – spiega Giulia – Il trasporto bestiame è un mestiere molto particolare. Devi stare molto attento perché se c’è qualche bestia nervosa può creare problemi e innervosire le altre facendo oscillare il camion o il rimorchio. Dopo averle consegnate bisogna pulire e disinfettare bene camion e rimorchio. In genere i cassoni sono divisi in due piani. Su ogni cassone entrano circa 18 mucche per piano, quindi alle volte viaggi con 60 – 70 capi.”  

 

“Durante i primi anni di guida me ne sono capitate di cotte e di crude. Una volta zio Luigi era appena tornato dalla Francia che venne chiamato subito da un cliente. Non potendo guidare subito per rispettare i turni di riposo mi affidò la guida del camion. Era inverno e mentre ci arrampicavamo sul Monte Bianco ci prese una tempesta di neve. Ero spaventatissima. Ma zio mi incoraggiò dicendomi di rimanere tranquilla e procedere lentamente. Così mentre lui riprese a dormire io mi sono ritrovata a viaggiare in mezzo alla neve alla guida del suo amato Volvo F12. Me la cavai egregiamente. Mentre un’altra volta – ricorda Giulia – eravamo in viaggio con lo Scania 144L 530 di papà. Il camion carico. Forammo una gomma del rimorchio. Fortuna che papà è un omone forzuto grande e grosso. Con calma riuscì a sostituire la ruota con la scorta. Pochi chilometri dopo forammo una gomma della motrice. Ho pensato che se mi fosse capitato quando ero sola, sarebbe stato un vero guaio con il camion carico. Finalmente dopo aver sostituito anche la seconda ruota riprendemmo il viaggio verso casa.”

A sinistra il papà di Giulia, Franco, a destra lo zio Luigi

Ora il papà di Giulia è in pensione da una decina d’anni. Lo Zio Luigi, che che sta per compiere 68 anni, subirà per legge il declassamento della patente e potrà guidare solo la sua motrice DAF: “Alla fine dell’anno zio andrà in pensione e vuole chiudere l’attività. Un vero dolore per me che intendevo portarla fino ai 100 anni – spiega Giulia – Così io continuo a collaborare con dei loro amici che fanno lo stesso lavoro, la Autotrasporti Bollero. Generalmente il giovedì, quando i loro autisti arrivano a Torino con le ore di guida esaurite, io gli do il cambio per consegnare i capi in Piemonte, Lombardia o Veneto. Tutti camion Scania, Volvo o IVECO.”  

Circa 13 anni fa Giulia ha conosciuto il suo attuale marito, Francesco, che lavora in uno dei tanti macelli dove lei va a scaricare il bestiame: “Eh già, io sto tanto attenta a non farle soffrire in viaggio povere bestioline che lui me le macella appena arrivano – scherza Giulia – Lo scorso anno ci siamo sposati ma da sei anni abbiamo la nostra meravigliosa bambina, Marta. Lei è il motivo principale per il quale ho scelto di non fare la camionista a tempo pieno. Starò con la mia bimba almeno finché non arriva alle medie. Appena sarò autosufficiente, penso di iniziare a tempo pieno l’attività di camionista. Magari con un camion tutto mio e magari cambiando settore. Chissà, staremo a vedere. Comunque, il mio futuro lavorativo è sul camion di sicuro!”


 

Buona strada sempre Giulia!

 

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La storia di Agnese

 

Agnese è una conducente di autobus con una sorella che faceva la camionista, leggendo questo articolo che “Ancona Today” le ha dedicato per la meritata pensione, mi è tornato alla memoria un incontro di tanti anni fa con sua sorella, sull’A 14, chissà se anche lei è già in pensione? Non ho più avuto occasione di trovarla… piccola divagazione,  la protagonista del post è Agnese a cui auguriamo lo stesso buona strada, con qualunque mezzo la percorra!

Questo è il link dell’articolo:

https://www.anconatoday.it/attualita/prima-donna-tranviera-ancona-pensione.html

Questo è il testo:

La prima donna tranviera di Ancona va in pensione: «La mia è una passione, guidare mi emoziona»

Agnese Lazzari ha effettuato la prima corsa della linea 3 nel 1991. Ci ha raccontato la sua storia

Agnese Lazzari alla guida dell’autobus

ANCONA- Fu una novità assoluta per Ancona: una donna alla guida di un autobus. Agnese Lazzari è stata la prima tranviera del capoluogo e dopo 32 anni di servizio alla Conerobus (prima si chiamava Atma) il 30 giugno 2023 è andata in pensione. «La mia prima corsa risale al 1° luglio 1991, la 3, quella che porta a Posatora. Avevo 25 anni- ricorda commossa la signora Agnese-. Quando ho iniziato l’azienda si chiamava Atma. Ho guidato filobus e autobus di linea urbana ed extraurbana, ho fatto l’ascensorista al Passetto e l’agente di polizia amministrativa, ovvero il controllore». Come mai la scelta, considerata insolita 30 anni fa, di guidare un autobus? «Mia sorella guidava il camion, mia madre il trattore in campagna. Io a 4 anni volevo guidare il trattore. La mia è una vera e propria passione, qualcosa che mi emoziona e ne ho avuto la conferma quando ho guidato l’autobus per l’ultima volta. Non penso di essere stata coraggiosa per aver fatto un lavoro insolito per una donna, per me è stato un piacere. Di coraggio ce ne vuole per stare in mezzo al traffico e alla gente, quello sì, perché può capitare di tutto».

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Agnese Lazzari sull’autobus

Come è stato lavorare come unica donna tranviera in mezzo a tanti autisti uomini? «Sono stata l’unica donna nel comune di Ancona per 5-6 anni, oggi le autiste in azienda sono una quindicina su circa 300 autisti nella provincia di Ancona. Io sono stata ben accolta dai colleghi, mi hanno aiutato in questo lavoro. Gli anconetani sono stati molto gentili con me e curiosi di questa novità. Fortunatamente nei miei 32 anni di servizio non ho mai avuto problemi a bordo». Come sono cambiati i mezzi in questi 30 anni? «Ad esempio, quando ho iniziato il mezzo era meno elettronico, oggi invece c’è un computerino di bordo». Si parla molto di mobilità sostenibile, alla luce della sua esperienza, consiglia di lasciare l’auto a casa e di utilizzare invece il trasporto pubblico locale? «Per spostarsi consiglio di integrare bicicletta, autobus e treno senza utilizzare la macchina».

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Agnese Lazzari

Guidato l’autobus per l’ultima volta, il pensiero della signora Agnese Lazzari va a tutte le persone che ha incontrato negli anni sugli autobus e nei capolinea, nonché ai suoi colleghi. «Vorrei salutare il quartiere di Posatora. Io sono di Arcevia, ma da anni vivo a Montemarciano. Quando sono arrivata ad Ancona ero spaesata, invece a Posatora ho trovato degli arceviesi e mi sono sentita a casa. Ringrazio Ancona che mi ha adottata, i grottaroli che prendevano l’ascensore, le persone che ho conosciuto durante il mio lavoro, i colleghi di allora e di adesso».

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La storia di Iuliana

 

Un altro articolo dedicato alle donne camioniste, questa volta è la storia di Iuliana in un’intervista su “il Resto del Carlino – Forli”

Questo è il link dell’articolo:

https://www.ilrestodelcarlino.it/forli/cronaca/donne-camioniste-stereotipi-b5907e89

 

E questo il testo:

 

Donne camioniste, la storia di Iuliana: “Stereotipi da sradicare”

Ha aperto nel 2021 un’azienda di autotrasporti con il marito e ora è componente del consiglio trasporti di Confartigianato Forlì. “Esigo lo stesso rispetto di un uomo”

L’autotrasportatrice Iuliana Maria Caliman

L’autotrasportatrice Iuliana Maria Calimani

 

Forlì, 9 agosto 2023 – La parte più difficile del suo lavoro, dice, è far capire ai clienti che gli autotrasportatori non sono facchini, dunque non sono tenuti, da contratto, a sollevare o spostare carichi gravosi: “è uno dei tanti stereotipi maschilisti ancora da sradicare”, sorride Iuliana Maria Caliman, titolare, assieme al marito Florin, di una ditta di autotrasporti a Forlì e nominata (unica donna) tra i componenti del Consiglio trasporti di Confartigianato Forlì. “Quando lavoro, esigo lo stesso rispetto che si usa nei confronti di un collega uomo, ma non perdo mai la pazienza. Siamo donne, una delle nostre qualità è la gentilezza. Unita sempre alla fermezza”.

Caliman, da quanto tempo si occupa di autotrasporti?

“Mio marito e io siamo in Romagna da più di 10 anni e abbiamo aperto la società nel 2021, in piena pandemia. Siamo in possesso della licenza per il trasporto merci fino a 40 tonnellate: lui guida un autocarro con rimorchio, io un furgone a temperatura controllata, trasporto principalmente alimenti freschi per conto di alberghi, ristoranti e attività commerciali”.

Come mai ha scelto questa professione ‘da uomo’?

“Il settore dei trasporti mi ha sempre appassionata: le sfide mi entusiasmano, cerco di dare il massimo in tutto quello che faccio. Prima di cominciare ho seguito diversi corsi di formazione, eppure, quando ho iniziato a muovermi col furgone, ho capito che avevo ancora, letteralmente, tanta strada da fare. In questo lavoro si impara qualcosa ogni giorno”.

Lei è madre di due figlie di 16 e 20 anni. Parla mai con loro del suo lavoro?

“È stato proprio quando le ragazze sono cresciute che ho deciso di riprendere in mano la mia vita e i progetti professionali messi nel cassetto anni prima. La più grande è venuta a fare le consegne con me qualche volta, la piccola mi aiuta ogni tanto con le fatture. Ma le lascio libere di scegliere cosa vorranno fare da adulte”.

“In estate lavoro tutto il giorno, con un’ora di pausa pranzo; in inverno cerco di concentrare le consegne nella mattinata. Mi muovo lungo tutta la Riviera, da Jesolo fino alle Marche”.

Muoversi tutti i giorni nel traffico sarà stressante.

“I fattori di stress, in realtà, sono tanti: oltre al traffico, occorre mantenere il livello di attenzione sempre alto, per evitare di sbagliare le consegne o commettere errori nei documenti di trasporto. L’estate è davvero impegnativa: l’anno scorso ero distrutta”.

Troppe consegne?

“Troppo caldo. Quando abbiamo avviato l’attività non avevo abbastanza budget per permettermi un furgone nuovo e mi sono dovuta accontentare di uno usato, sprovvisto di aria condizionata. È stata dura. Ora le cose vanno meglio, sono in attesa del nuovo mezzo”.

“Vorremmo far crescere l’attività e assumere dei giovani che ci diano una mano”.

Proprio il settore degli autotrasporti lamenta il problema della mancanza di manodopera.

“Credo che oggi i giovani non abbiano bisogno solo di un lavoro per ricevere uno stipendio, ma di essere motivati. È importante che credano in sé stessi e guardino con più fiducia al proprio avvenire”.


 

 

Buona strada sempre Iuliana!

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La storia di Lola

 

 

Dal sito di “Camion e furgoni magazine”,  Gabriele Bolognini intervista la collega Lola Marta Bertazzo!

 

Il link dell’articolo:

https://www.camionefurgonimag.com/lola-marta-bertazzo-e-il-camion/

La sua storia:

“Lola” Marta Bertazzo e il camion

18 luglio 2023

Dall’informatica al fuoristrada per poi arrivare alla guida dei camion e nel futuro? Magari una cyber-trucker

Marta, Lola per gli amici, ha 41 anni, ma ne dimostra 20. Brillante, spigliata, ha pure una bella penna con la quale descrive brevi attimi della propria vita da camionista in modo incisivo e sarcastico sui social. Ma soprattutto quello che traspare dai suoi post è una grande passione per tutto quello che fa. Insomma, ci ha incuriosito e l’abbiamo intervistata.

Come nasce questa passione per i camion?

“In realtà non lo so nemmeno io. O meglio, prima di fare questo mestiere ho lavorato nel settore del web digitale insieme ad altri due amici soci per quasi quindici anni. Sono stati anni stupendi, abbiamo creato siti internet, applicazioni e tanto altro ancora ma ad un certo punto quel lavoro non mi dava più soddisfazione. Non riuscivo più ad esprimere la mia creatività. Stava diventando una routine. Così ho deciso di mollare. Proprio in quel periodo stava nascendo in me una gran passione per le auto fuoristrada. Mi affascinava quel mondo di appassionati che ama intervenire personalmente nelle modifiche al mezzo. Partecipare ai raduni. La sfida di percorrere strade impossibili immersi nel fango. Diciamo che l’appetito vien mangiando… volevo spingermi oltre. I camion sarebbero stati la mia prossima meta.”

Dal fuoristrada al camion

“Sta di fatto che nel mese di settembre 2019 mi sono iscritta all’autoscuola per prendere la patente C che ho acquisito a gennaio 2020. Il mese successivo è esplosa la pandemia che ha bloccato tutti i corsi e le sessioni d’esame. Siccome quando inizio un percorso, lo devo portare fino in fondo, ho iniziato a studiare da casa come una forsennata e, appena si è allentata la morsa delle chiusure, ad agosto sono riuscita a dare gli esami del CQC e ad ottobre ho concluso il mio percorso con l’ottenimento della CE. A quel punto dovevo cercare lavoro. In vita mia non ho mai chiesto raccomandazioni, però la passione e la voglia di guidare i camion era tanta che andai a trovare mio cugino, che è socio fondatore della Cooperativa Lusia Service partner di Translusia, importante consorzio di autotrasportatori del nord Italia, per chiedergli se mi potevano assumere. Detto, fatto: il 20 febbraio 2021 ho sottoscritto il primo contratto di quattro mesi e sono stata catapultata direttamente sul “bilico.” 

“Da allora non sono più scesa! Ho lavorato come frigorista e da qualche mese ho voluto imparare la vasca. Oggi mi sembra incredibile di trovarmi qui a raccontare questa storia e, soprattutto, di fare questo lavoro che amo, con tutti i suoi pro e i suoi contro.” 

Sentire il tuo racconto ed il tuo entusiasmo fa riflettere: come mai, secondo te, i giovani non vengono attratti da questo mestiere?

“I vecchi camionisti direbbero per mancanza di passione. Vero, ma le “vecchie guardie” vivono e vedono la realtà secondo la propria prospettiva, com’è giusto che sia. Il che però non costituisce automaticamente una corretta lettura degli scenari attuali. C’è un inevitabile cambiamento in atto. Bisognerebbe spiegare questo alle nuove generazioni di autisti. I nuovi camion sono ricchi di tecnologia. E il trasporto intermodale, spesso citato nei manuali di Scuola Guida, sta diventando realtà, permettendo soluzioni di viaggi più sostenibili. Tutto questo porterà la figura dell’autista come la conosciamo, a sparire, sostituita da una figura più tecnica e sostenuta alla guida dalla tecnologia, in grado quindi di “guidare” un mezzo pesante limitando la fatica fisica delle ore di guida quotidiane.”


“Mi piace anche pensare che la naturale evoluzione di questo mestiere sarà un autista che molto probabilmente non dovrà nemmeno più preoccuparsi di parcheggiare il rimorchio in ribalta perché, una volta programmata l’azione, mezzo e ribalta dialogheranno tra loro realizzando la manovra perfetta. 
Questi tecno-autisti saranno insomma un po’ come piloti di droni: prepareranno i veicoli e le tratte da un tablet, monitorando seduti sul sedile di guida o a distanza su una poltrona d’ufficio. Sono quasi certa che una professione così “pulita” e comoda, attirerà l’attenzione delle nuove generazioni, più a loro agio con tutto ciò che è virtuale rispetto a ciò che è reale. Quindi, per riprendere la riflessione – continua Lola – il cerchio si chiuderà, secondo gli scenari futuri e non secondo non più attuabili, romantiche concezioni di riqualificazione di un mestiere che sta naturalmente evolvendo. Una volta per far il camionista servivano unicamente la passione per la guida, per i viaggi, per il voler essere autonomi e liberi dalla routine. Insomma, credo che molto probabilmente un giorno la professione diventerà più tecnica… ma onestamente sono contenta di poter vivere questo momento davanti a un volante big size anzichè un monitor!”


Con il decreto Milleproroghe il governo concede un voucher dal valore di 2500 euro per ogni individuo di età compresa tra i 18 e i 35 anni, che intende prendere le patenti C1, C, C1E, CE, D1, D, D1E, DE e CQC. Pensi che sia utile questa iniziativa per attirare i giovani al mestiere di camionista?

“Riguardo all’agevolazione sui corsi per l’ottenimento delle patenti, penso che oggi nessuno acquisterebbe qualcosa che non sia stata pubblicizzata nel modo più accattivante possibile. Intendo dire che i giovani non conoscono quasi nulla di questa professione e quello che sanno, lo hanno imparato da superati cliché cinematografici o folkloristici. I voucher hanno un’anima prettamente commerciale e pertanto acquistano valore se quello a cui servono viene dato valore. E in Italia il mestiere dell’autista di mezzi pesanti non è valorizzato dalle Istituzioni, è sempre più sconosciuto, invisibile, maltrattato. Una professione priva di un valore riconosciuto sia in termini di economia che di status del lavoratore.”


 

Buona strada sempre Lola!

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Un raduno per il fine settimana!

 

Un collega della Val Brembana  mi ha contattato per invitarci al raduno di San Giovanni Bianco (BG) sabato 12 e domenica 13 agosto, per chi non è al mare o in montagna, un’occasione per fare festa!

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Grazie perché – Solidarietà

 

 

Nuovo video di “ringraziamento” di Laura Broglio al mondo dell’autotrasporto, questa volta ci parla di solidarietà.

Questo è il racconto della sua esperienza, tutto da ascoltare!

Ciao Laura, buona strada sempre!

 

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Lo stile di vita di Silvia!

 

 

Dal Blog “Anche io volevo il camion” di “Uomini e Trasporti”, l’intervista di Elisa Bianchi alla collega Silvia Martellotta.

Il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/silvia-martellotta-fare-lautista-non-e-solo-un-lavoro-e-uno-stile-di-vita/

E il testo:

Silvia Martellotta: «Fare l’autista non è solo un lavoro, è uno stile di vita»

Silvia Martellotta ha 52 anni e quattro anni fa, nel 2019, ha deciso di cambiare la sua vita per diventare autista. Una scelta fatta un po’ per necessità, un po’ per vocazione, «ma la passione non basta» tiene a precisare, «per fare questo mestiere bisogna essere disposti a fare molti sacrifici». Lo sa bene Silvia, che è anche mamma di due ragazzi…

Sono le cinque di un pomeriggio di luglio quando Silvia risponde al telefono. La fatica nella sua voce lascia intuire che non si trovi alla guida. «Sto caricando il camion – conferma – tra poco parto». L’ennesimo viaggio che la porterà lontana da casa, in provincia di Livorno, per l’intera settimana. Partenza il lunedì e rientro il venerdì in serata, talvolta il sabato mattina. Silvia Martellotta, 52 anni e “ufficialmente autista” dal 2019 trasporta principalmente ferro, tubi e lamiere dalla Toscana al nord Italia. Questa vita l’ha scelta un po’ per necessità e un po’ per vocazione, ma tiene subito a chiarire che non vuole che passi il messaggio che basta un po’ di passione per fare questo mestiere ma «servono i sacrifici perché fare l’autista non è solo un lavoro, è uno stile di vita». E allora lo chiariamo subito, a scanso di equivoci.

La grinta Silvia l’ha presa tutta dalla mamma, una pioniera dei van camperizzati – oggi ormai un trend – e una delle poche donne a guidare, all’epoca, un mezzo del genere. «Dopo il divorzio da mio padre – ricorda Silvia – per trascorrere dei momenti insieme a me e i miei fratelli ci caricava tutti sul suo van che usava anche per la sua attività come floricoltrice e ci portava in vacanza». È così che nasce la passione di Silvia per i viaggi; quella per la guida, invece, arriva più tardi. «Avevo 23 anni e lavoravo nel campo ippico. La patente del camion serviva per il trasporto dei cavalli perché settimanalmente c’erano trasferte da fare per le gare e così la presi. Certo non posso dire che ero un’autista come lo sono oggi, guidavo quando ce ne era bisogno».

La carriera di Silvia era avviata, in tasca aveva tutti i brevetti professionali, da quello per l’allenamento dei cavalli a quello per il salto a ostali, ma è quando cambia la gestione dell’ippodromo per cui lavora che Silvia capisce che è il momento di cambiare vita. «Decisi di rinnovare le patenti che già avevo conseguito e prendere la E». Le sorprese, però, non sono finite. «Rimasi incinta della mia seconda figlia per cui per alcuni anni dovetti mettere in pausa il mio progetto per dedicarmi a lavori più saltuari, ma che mi permettevano di starle vicina».

La maternità di un’autista, per Silvia come per molte altre donne, è ancora un tasto dolente.
«Quando rimasi incinta la prima volta lavoravo ancora nel campo ippico e grazie all’aiuto del mio team non fu affatto un problema. Mio figlio Davide, che oggi ha 27 anni, salì per la prima volta sul camion insieme a me quando aveva appena una settimana. Fu una trasferta breve, ma un’esperienza bellissima». Le cose vanno diversamente con la nascita della seconda figlia, Vittoria, che oggi ha 18 anni. «Se non hai un aiuto esterno o non ti puoi permettere una baby-sitter non c’è modo di farcela. Così ho messo in pausa l’idea di lavorare a tempo pieno come autista e per diversi anni mi sono arrangiata facendo qualche lavoretto, tra cui anche qualche viaggio ma solo trasferte giornaliere». Nel 2019 la figlia è ormai adolescente e Silvia decide che è arrivato il momento di riprendere quell’idea messa da parte per troppo tempo. «Decisi di cambiare radicalmente la mia vita e iniziare a fare la linea, ma devo ammettere che fu un trauma tanto per me quanto per lei. L’abbiamo vissuta male entrambe, io per l’apprensione, lei per la distanza. Più di una volta le ho detto che se la situazione fosse diventata troppo difficile avrei valutato di cambiare lavoro per lei perché se deve essere deleterio per i figli il gioco non vale la candela». Una crisi familiare superata grazie «alla forza di volontà, soprattutto da parte sua. Io cercai solo di farle capire che con questo nuovo lavoro potevamo stare meglio a livello economico, permetterci cose che prima non si potevano fare. È stato un sacrificio giornaliero da parte di entrambe. Da parte mia ho cercato di supportarla il più possibile nelle sue passioni, ma non basta, essere presenti è un’altra cosa. Fortunatamente sia Vittoria che Davide in mia assenza hanno potuto contare sulla presenza del loro papà, Enzo, sempre attento e premuroso».

L’unica soluzione al problema, per Silvia, «è una revisione dell’articolo 54 del Codice della strada che impedisce di portare altre persone al di fuori dei dipendenti sui mezzi».
«Certo – precisa – andrebbe fatto con cognizione di causa e senso di responsabilità, in sicurezza insomma, ma in questo modo si darebbe la possibilità a genitori e figli di passare del tempo insieme. Tra l’altro non dimentichiamo che un tempo molti arrivavano a fare questo mestiere proprio perché da piccoli avevano viaggiato con i genitori. Io stessa da ragazzina ho viaggiato sul camion di qualche amico di famiglia e furono esperienze che mi aprirono gli occhi su questo mestiere». In altre parole, una soluzione che strizza l’occhio anche al problema della carenza di giovani autisti. «La realtà è diversa dai simulatori a cui oggi siamo abituati, un po’ di esperienza sul campo penso sia solo positiva, così come si fa già all’estero».
Il tema della responsabilità però è spinoso. «Devo ammettere che se il prezzo da pagare per una violazione della norma fosse stato un verbale a mio nome mio e a mie spese, io avrei rischiato; ma siccome il rischio è per l’azienda diventa impossibile trovare un punto di incontro».

Quello della lontananza dalla famiglia cui gli autisti sono spesso costretti non è però l’unico problema da scontare: un altro tasto dolente è quello dei servizi.
«Spesso ci ritroviamo al carico o allo scarico in piazzali gelidi d’inverno e roventi d’estate, senza un posto in cui poter socializzare o riposare perché il più delle volte occorre aspettare davanti al tabellone l’avviso per poter entrare. Tutto questo genera solo ulteriore stress e stanchezza, ma quando si riparte e si va in strada non possiamo permetterci di non essere al 100%. Basterebbe poco, basterebbe che le aziende creassero un piccolo spazio sociale, così lo definirei, all’aperto o al chiuso, in cui gli autisti possano passare le ore di attesa in serenità, bere una bibita, chiacchierare o fare attività fisica, riposarsi insomma. Per non parlare delle aree di sosta dove ci accalchiamo senza servizi adeguati. È un tema di cui si parla molto, ma nonostante questo il problema sussiste. La soluzione l’ho trovata da sola: ho messo sul camion un piccolo gabinetto, di quelli che si usano anche sui camper, da usare in caso di emergenza. La verità è che lo uso regolarmente, perché spesso non ci sono soluzioni alternative o adeguate».

Non manca però anche il rovescio della medaglia.
«Dal momento che c’è carenza di autisti ho trovato subito lavoro, anche se resta il problema dello scarso affiancamento iniziale. Tutto quello che ho imparato lo devo ai miei colleghi che con molta pazienza e gentilezza mi hanno insegnato quello che c’è da sapere. Ho avuto la fortuna di incontrare solo persone che hanno compreso le mie difficoltà e mi hanno aiutata, a loro sono e sarò sempre infinitamente grata. Questo lavoro ti mette ogni giorno di fronte a imprevisti che sono difficili da gestire, ti costringe a prendere consapevolezza dei tuoi limiti e delle tue paure e a cambiare anche le tue abitudini più elementari; ma proprio perché permette di crescere, evolversi e imparare tanto che spesso dà anche grandi soddisfazioni».

Ci resta solo un’ultima curiosità, così chiediamo a Silvia che cosa sia rimasto di quella sua passione per gli animali che per tanto tempo l’ha portata a lavorare con i cavalli. «Non è mai sparita – ci rivela – tanto che più volte per strada mi sono trovata a soccorrere degli animali in difficoltà. Ho salvato due corvi e una tortorella. Quest’ultima l’ho portata con me in piazzale e una volta guarita è rimasta lì, a farci compagnia».


 

 

Buona strada sempre Silvia!

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La storia di Julieta

 

Su Oggi Treviso (per gli abbonati) c’è la storia della collega Julieta, questo è il link dell’articolo:

https://www.oggitreviso.it/storia-di-julieta-camionista-donna-au12-312704

 

Buona strada Julieta!

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