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La storia di Marzia!

 

Marzia è una delle “colonne” del nostro gruppo di Lady Truck, in questo articolo di Elisa Bianchi (che consideriamo una cara amica!) su Uomini e Trasporti, ripercorre la sua vita da camionista e la sua storia di passione per il nostro mestiere!

Il link dell’articolo.

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/marzia-guareschi-lautotrasporto-mi-ha-cambiata-in-meglio-ma-non-e-un-mestiere-facile/

 

Il testo:

Marzia Guareschi, «L’autotrasporto mi ha cambiata in meglio, ma non è un mestiere facile»

Marzia Guareschi ha 59 anni e vive a Salsomaggiore Terme, in provincia di Parma. Nella sua vita ha fatto di tutto: dalla rilegatrice in tipografia fino alla commessa in pescheria, ed è anche mamma e nonna. Ma è in cabina che la sua vita ha trovato la piega giusta. Dal 2003, quando ha preso le patenti, è il “jolly” dell’azienda di trasporto di famiglia, che si occupa di trasporto mangimi. Ha anche contribuito a fondare il Lady Truck Driver Team “Buona Strada” e non si è mai risparmiata per far sentire la sua voce, e quella di tutte le donne, nel settore

Uno spirito libero ma dall’animo timido. Questa era Marzia Guareschi fino a qualche anno fa, prima di prendere la decisione che le ha cambiato la vita e anche il carattere: quella di salire in cabina. Lo spirito libero infatti è rimasto, ma la timidezza ha lasciato spazio alla voglia di condividere la passione per l’autotrasporto che la accompagna fin da bambina. Non è “figlia d’arte”, ma in qualche modo il mondo del trasporto è sempre stato il fil rouge della sua vita. Il papà, infatti, era un casaro e più volte al giorno usciva con il camion per la raccolta del latte fresco, da lavorare per produrre il Parmigiano Reggiano. Marzia lo accompagnava volentieri, sedendosi accanto a lui e sognando il giorno in cui avrebbe guidato lei quel camion. Compiuti i 18 anni è il papà stesso a invitare Marzia a prendere le patenti per il camion, ma «all’epoca quasi nessuna donna faceva questo mestiere e io temevo il confronto con gli uomini, avevo paura che mi avrebbero derisa» ci racconta. Il sogno lascia così spazio alla realtà. L’anno dopo Marzia si sposa e poco dopo diventa mamma di Alessandro e Stefania. C’è però un dettaglio non indifferente: il marito, Enzo, è un camionista. «Appena avevo modo lo seguivo nei suoi viaggi e fu proprio in una di quelle occasioni che mi diede la possibilità di provare a mettermi al volante. Questione di pochi metri in un posteggio, ma lì capii che dovevo lasciare da parte la mia timidezza e provarci, anche perché in azienda c’era bisogno di una mano».
Marzia ed Enzo, infatti, gestiscono da oltre trent’anni la loro azienda di autotrasporto a Fidenza. La flotta è composta, oltre che dal marito, da due autisti e da Marzia, il “Jolly”, così si definisce. Il lavoro è tanto e una patente in più fa comodo. «Era il 2003 e all’epoca avevo 37 anni. Mi sono detta: la passione c’è, il lavoro mi piace, i figli ormai sono grandi, perché non provarci? Nel giro di un anno e mezzo ho conseguito tutte le patenti, ADR compresa. Fu proprio a scuola guida che misi da parte la mia timidezza per lasciare spazio a una Marzia nuova, il cui tratto caratteristico è la parlantina».

La tua famiglia come accolse la tua decisione?

Ricordo ancora il momento in cui dissi a mia mamma che stavo prendendo le patenti. Era malata, eravamo in macchina e la stavo accompagnando a un controllo. Scosse la testa, ma non perché fosse contrariata. Se lo aspettava. Purtroppo, è mancata appena un paio di giorni dopo. Non ha fatto in tempo a vedermi raggiungere questo traguardo, ma sono contenta di aver fatto in tempo a dirglielo. I miei figli, invece, che all’epoca erano già abbastanza grandi, avevano 16 e 15 anni, l’hanno presa molto bene, e tutt’oggi sono orgogliosi di me. Mio figlio, anzi, ha seguito le nostre orme. Ha le patenti e da quest’anno ci dà una mano in azienda. E poi c’è mio nipote, Mirko, il figlio di Alessandro, che oggi ha 11 anni ma già dice di voler fare il camionista. Quando mi vede in cabina urla sempre orgoglioso “quella è mia nonna!”.

Di che tipo di trasporto vi occupate?

Il nostro è un lavoro abbastanza duro. Traportiamo mangime a sacchi. Negli anni però ci siamo occupati anche di altre tipologie di logistiche, per esempio la scorsa estate abbiamo fatto il trasporto di cocomeri. Viaggio spesso in coppia con mio marito, così da essere più efficienti sulle tratte lunghe dandoci il cambio. Quando si lavora a stretto contatto con gli animali è così: mangiano sempre e siamo noi a portare il mangime, non ci possiamo fermare.

Tu cosa guidi oggi?

Io non ho un camion mio, sono un po’ la “tappabuchi” in azienda, per cui mi è capitato anche di guidare mezzi diversi. Per un periodo ho guidato principalmente la motrice, un altro l’autotreno ma ho portato anche il bilico. Non è facile doversi adattare ogni volta e non nascondo che mi sono capitati anche episodi spiacevoli.

Per esempio?

Guidavo da poco l’autotreno e dovevo fare manovra per andare in pesa, ma non ci riuscivo. Un ragazzo dell’azienda si mise a ridere. Lo lasciai fare, ma una volta conclusa la manovra gli dissi che nessuno nasce imparato, io stavo imparando a portare un mezzo nuovo e mi ci voleva il mio tempo, se pensava di essere più bravo poteva fare lui. Naturalmente non era nemmeno in grado di guidare un mezzo pesante. Fortunatamente non sono tutti così.
Ricordo un’altra situazione simile in cui dovevo portare il bilico in rampa. Mi scusai perché sapevo di essere lenta, mi risposero di non preoccuparmi, perché dei tre autisti che mi avevano preceduta ero l’unica a essere riuscita ad arrivare fino in rampa.

A 18 anni fu proprio il timore che si potessero verificare queste situazioni a dissuaderti dal prendere le patenti. Cosa è cambiato?

Sono cambiata io, prima di tutto, ed è cambiato anche il settore. Oggi conosco personalmente aziende che preferiscono donne autiste rispetto agli uomini, perché più precise, più rispettose. Quando si dice che una donna fa questo mestiere solo per passione è vero, e questo fa la differenza.

Le donne nel settore oggi non mancano e anzi tu ne conosci parecchie. Sei infatti tra le fondatrici del Lady Truck Driver Team “Buona Strada”. Come è iniziata questa avventura?

Erano i primi anni 2000, avevo appena preso le patenti e decisi di andare a un raduno a Montichiari. Lì conobbi Nora Pizzati, la prima donna autista, oltre che le altre fondatrici del gruppo, Monica e Gisella, e in seguito arrivò anche Milena su mio invito. Fu in quell’occasione che nacque l’idea di fondare il Lady Truck Driver Team e oggi, a distanza di quasi vent’anni, sono orgogliosa di vedere quanto sia cresciuto, soprattutto grazie al contribuito delle altre ragazze che passano molto più tempo di me in strada.

Il Lady Truck però non è l’unica esperienza nella quale ti sei lanciata in questi anni. Nel 2018 hai partecipato (e vinto) anche a Camionisti in Trattoria. Come è andata?

È stata una bella esperienza, una giornata incredibile. Fu la redazione del programma a contattarmi. Anzi per la precisione fu la mia amica e collega Gisella a dirmi di rispondere alle loro telefonate perché io stavo lavorando e non avevo fatto caso alle chiamate. Non so per quale motivo scelsero proprio me, forse per via di altre esperienze televisive in passato.

Avevi già preso parte ad altri programmi?

Per un periodo, diversi anni fa, girò su una televisione locale uno spot girato qui nella mia azienda dedicato alle donne camioniste. In quell’occasione devo essere sincera mi sono sentita un po’ un “fenomeno da baraccone”, perché era tutto molto costruito, anche se in fondo mi faceva piacere perché serviva a dimostrare, in un momento in cui eravamo ancora poche, che anche le donne possono fare questo mestiere. Nello spot dovevo salire sul camion in jeans e scarponi e solo quando il camion partiva si rivelava che al volante c’era una donna. Insomma, un’immagine molto stereotipata di noi donne autiste. Io, per esempio, ci tengo a essere sempre ordinata. Se scendo dal camion per prendere un caffè non vedo perché non possa cambiarmi le scarpe e mettermi anche un tacco. La scarpa infortunistica la uso solo per il carico e lo scarico.

Un’immagine stereotipata che non fa bene alle donne e non fa bene al settore…

Vero, ma il problema principale, secondo me, oggi sono i costi esorbitanti, quasi inaccessibili, delle patenti. Andare a scuola guida in Italia è quasi come andare in gioielleria, mentre ci sono Paesi dell’Est in cui le patenti costano poche centinaia di euro. I problemi di questo settore sono iniziati lontano nel tempo, anche se le conseguenze si avvertono oggi, come per esempio la carenza di autisti. Bisognerebbe fare qualcosa per avvicinare i giovani al mestiere.

Nel concreto, cosa?

I bonus patenti, per esempio, possono essere un incentivo, però devono essere erogati per davvero. Nel 2017 era stato aperto un bando al quale mio figlio si è iscritto classificandosi tra coloro che avrebbero dovuto ricevere il bonus. Nel frattempo, lui ha conseguito le patenti, ma i soldi non sono mai arrivati perché il budget stanziato non era sufficiente per far fronte a tutte le richieste. Personalmente ci sono rimasta male, anche se per fortuna abbiamo comunque potuto coprire il costo, ma chi invece contava su quei soldi? Non può funzionare così. Poi c’è un altro fattore a mio avviso da tenere in considerazione. Oggi c’è una cultura del lavoro completamente diversa. Io a 15 anni lavoravo già, facevo la rilegatrice in tipografia. Poi ho lavorato in pescheria e in ortofrutta, e infine in una ditta dove si confezionavano oggetti per la casa. Insomma, c’era un approccio al lavoro diverso, oggi invece i ragazzi studiano fino a 30 anni e a quell’età chi ha voglia poi di mettersi a fare un lavoro duro come questo?

Per invogliare i giovani forse servirebbe anche risolvere alcune problematiche importanti nel settore…

È vero, oggi è difficile andare avanti. I costi delle assicurazioni, non solo quelli delle patenti, sono esorbitanti, così come quelli dei pezzi di ricambio e dei pedaggi autostradali. Il prezzo al chilometro è basato sul gasolio, aumenta il costo del gasolio e ti danno un centesimo in più, poi quando il prezzo scende ti tolgono anche quel poco che ti avevano dato. Per non parlare delle aree di servizio inadeguate. Eppure, tutto tace. Personalmente ho cercato di coinvolgere anche il trasporto con le proteste degli agricoltori dei mesi scorsi che si sono tenute qui in zona. Ho pensato che l’unione potesse fare la forza, anche perché questi settori sono collegati e nel mio caso, che trasporto mangime, questo è evidente. Ma forse manca davvero la volontà di cambiare le cose.

E il tuo futuro, invece, come lo vedi?

Non so quando andrò in pensione e non ci voglio pensare. Mi hanno proposto di fare l’istruttrice a scuola guida, ma non credo che faccia per me. Io ho bisogno di stare in giro, ho bisogno della libertà che questo mestiere mi trasmette.

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news from Australia

Un bel record e soddisfazione per Natalizia, calabrese di nascita e australiana di adozione! con sorpresa ricevo alcune foto dove mi fa sapere che da un Kenworth B-double è passata al Road Train!

Ecco i post dove ho parlato di lei: Morris e Natalizia Natalizia from Australia

Ci sentiamo al telefono, sta per iniziare il suo turno di lavoro, e se in Italia erano quasi le 16 in Australia era quasi mezzanotte. La tipologia di lavoro è rimasta la stessa, scambio rimorchi da un posto all’altro, con la novità che il fatto di trainare un ulteriore rimorchio comporta anche un’ora in più di impegno. Per cui dalle 5 ore di andata continue e 5 ore di ritorno con la pausa di un’ora centrale, stavolta ne deve fare 6 di andata e 6 di ritorno.. cosa impensabile da noi! certo, altre velocità, altre strade, ma pur sempre si deve guidare, di notte e nessun cambio alla guida! sono convinta che gli autisti del Down Under hanno una marcia in più in tutti i sensi! Great Job Natalizia!!

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Guidare, una passione…

 

Una video intervista alla collega Simona, guidare è la sua passione!!!

https://etvmarche.it/07/03/2024/simona-piersanti-una-vita-sul-camion-guidare-la-mia-passione-video/

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La storia di Martina!

 

Una nuova intervista di Elisa Bianchi, sempre dal blog di Uomini e trasporti “Anche io volevo il camion”. Ringrazio Elisa di dare voce a tante nostre colleghe e di farci conoscere le loro storie, è un modo per confrontare le nostre esperienze di vita sul camion, sapere che non siamo poi cosi poche a girare per le strade d’Italia e non solo!

Questa volta ci racconta la storia di Martina, una giovane collega con una grande passione: guidare i camion!

Martina la conosco di persona e la considero un’amica, una giovane amica a cui auguro tanta buona strada per il suo futuro on the road!

Questo è il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/martina-caramellino-ho-25-anni-e-voglio-guidare-il-camion-se-non-adesso-quando/

 

E questa la sua storia:

Martina Caramellino: «Ho 25 anni e voglio guidare il camion. Se non adesso, quando?»

Non è una “figlia d’arte”, ha studiato grafica e comunicazione e nessuno, almeno all’inizio, appoggiava la sua scelta di guidare un camion. Eppure, la sua grinta ha avuto la meglio e oggi Martina Caramellino, venticinquenne originaria di Trino, è un’autista

«Sono riuscita a trovare lavoro a forza di provare e non mollare. Non è stato facile, la maggior parte delle persone con cui ho fatto un colloquio non si fidavano». Martina Caramellino ha 25 anni, è originaria di Trino, in provincia di Vercelli, e dallo scorso maggio ha realizzato il desiderio di guidare un camion. Desiderio nato in modo naturale, istintivo, senza che Martina avesse mai davvero avuto esperienza con il mondo dell’autotrasporto. Non un familiare autista, solo qualche conoscenza, ma nessuno ha mai davvero creduto che Martina facesse sul serio. Oggi guida un camion frigo e tutti si sono dovuti ricredere. Non è stato facile però, e lei non lo nasconde. Anzi, è la prima cosa che ci racconta. «Sono alta poco più di un metro e cinquanta, quando arrivavo ai colloqui mi chiedevano se arrivassi almeno ai pedali, oppure se fossi italiana. Una volta addirittura mi hanno chiesto se fossi lì per portare il curriculum di mio marito. Mi sono scontrata con tanta diffidenza prima di trovare un’azienda che volesse darmi fiducia». Alla domanda su quanti cv abbia dovuto mandare, la si sente sorridere timida dall’altro capo del telefono. «Tanti» è la risposta.

Alla fine, però, il lavoro è arrivato.

Mi ha chiamata una ditta della zona per guidare il camion frigo. Il contratto poi è scaduto e ho iniziato a lavorare per altre aziende, prima sempre con il frigo, poi da inizio gennaio con la nuova azienda ho cambiato anche tipo di lavoro. Oggi, infatti, guido una cisterna per il trasporto di liquidi alimentari.

Facciamo un passo indietro. Perché l’idea di guidare un camion?

Uno dei ricordi più belli che ho della mia infanzia è di quando andavo in giro con mio nonno. Era un fabbro e aveva un furgoncino Daily. Per me era come se fosse un camion, lo vedevo enorme. Credo sia nata così la mia passione per la guida.

Una passione che è diventata anche uno sport: il rally.

Nella zona in cui abito si tiene tutti gli anni una corsa di rally. Mi piaceva guardare quelle macchine colorate che andavano veloci. Volevo provare anche io, così ho preso il brevetto. Ho corso per un paio d’anni e gara dopo gara sono arrivate anche le soddisfazioni. Insieme al ragazzo con cui correvo ci siamo classificati primi di classe al rally di Alba.

Anche nel rally ci si scontra in qualche modo con degli stereotipi di genere, come ti è successo con l’autotrasporto?

È sicuramente un ambiente diverso, ma in cui nessuno mi ha mai fatto pesare il fatto di essere una donna. Penso che comunque dipenda sempre dell’intelligenza e dalla mentalità delle singole persone.

Le persone intorno a te come hanno preso la tua decisione?

Mia mamma all’inizio non voleva, oggi invece capita spesso che mi difenda quando qualcuno giudica la mia scelta. Molte persone non capiscono, mi chiedono come faccia «a portare quel coso». Rispondo che basta schiacciare l’acceleratore, mica lo devo trainare.

Poi Martina si lascia andare a una confidenza…

Non hai idea di quanti pianti mi sono fatta da sola per via di alcuni episodi spiacevoli. Ricordo per esempio che durante il mio affiancamento iniziale stavo guidando e avevo il finestrino abbassato. Un ragazzo poco più grande di me mi ha urlato «voi donne state rovinando il mondo». Quando hai tante buone intenzioni e poi senti dire certe cose ferisce, soprattutto se quelle parole arrivano magari da dei padri di famiglia. Voglio dire, se distruggessero i sogni ai loro figli come si sentirebbero?

 

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Rita, passione e tenacia.

 

 

Nei podcast di K44 ho ascoltato questa intervista con Rita, una collega di “lungo corso”, come l’anno definita. Mi è venuto in mente che ho avuto il piacere di incontrarla, qualche anno fa,  un paio di volte in un’azienda della bergamasca dove andavo a consegnare. Di lei mi colpi il fatto che nonostante fosse più grande di me non aveva nessuna intenzione di scendere dal suo camion! Ed è un piacere sapere che viaggia ancora! Buona strada sempre Rita!

Questo è il link per ascoltare l’intervista:

https://www.spreaker.com/episode/storie-su-ruote-rita-zamarco-passione-e-tenacia-da-autotrasportatrice–58609845?utm_medium=app&utm_source=widget&utm_campaign=episode-title

E questo il testo che accompagna il podcast:

Rita Zamarco è un’autotrasportatrice di lungo corso, ma soprattutto appassionata del suo lavoro e del suo Daily. Trasporta principalmente bulloni, cassoni, pallet e scatole. Ogni anno percorre mediamente 110-120 mila chilometri e da quando ha iniziato a lavorare ha percorso più di 4 milioni di chilometri. In realtà, Rita non ha sempre fatto questa professione. C’è stato un momento, però, in cui si è convinta che quella del trasporto merci fosse la sua strada. Una decisione facilitata in parte dal fatto di avere in famiglia qualcuno che potesse fungere da formatore. Ma sentiamo direttamente dalla sua voce come sono andate le cose. Sentiamo, cioè, una nuova «storia su ruote» che andiamo a inserire all’interno del nostro podcast di K44 – La voce del trasporto.

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La storia di Marcela!

 

Dal blog  “Anche io volevo il camion” dal sito web di Uomini e trasporti, questa volta Elisa Bianchi ha raccolto la bella storia della nostra collega e amica Marcela!

Questo è il ink dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/marcela-tauscher-impariamo-a-perdere-qualche-ora-in-cambio-di-piu-umanita-solo-cosi-possiamo-ritrovare-il-bello-di-questo-mestiere/

E questa la prima parte della sua intervista!

Grande Marcela, buona strada sempre!!!

Marcela Tauscher: «Impariamo a perdere qualche ora in cambio di più umanità. Solo così possiamo ritrovare il bello di questo mestiere»

Marcela Tauscher è in cabina dal 2014, ma per trovare il coraggio di cambiare vita le ci sono voluti dieci anni (le patenti le conservava nel cassetto dal 2004) e un trasferimento dalla Romania in Italia. Oggi sostiene le giovani autiste offrendo loro consigli e informazioni utili perché, sostiene, «non basta avvicinare le donne al settore, ma l’obiettivo è fare in modo che queste ragazze rimangano»

«Non amo i cambiamenti, ma quando li faccio sono radicali». E in effetti, di cambiamenti nella sua vita Marcela Tauscher ne ha fatti pochi ma importanti. Nel 2006 arriva in Italia dalla Romania dove è nata e cresciuta. La sua famiglia, di origine tedesca, si era spostata nell’Europa dell’Est per fuggire dalla Guerra. Nei primi anni Duemila una zia di Marcela decide di venire in Italia e lei, qualche tempo dopo, la segue. Arriva a Mantova che non parla una sola parola di italiano. Se la sentiste parlare oggi, stentereste quasi a credere che non sia madrelingua. «È merito dei molti amici che ho conosciuto in Italia e a cui devo moltissimo» ci racconta. È proprio grazie agli amici che Marcela, dopo una prima e brevissima esperienza come badante per un’anziana signora, trova lavoro in una fabbrica di confezionamento di calze e intimo. Ci resta per sette anni, poi, ancora una volta, il supporto e la motivazione degli amici la spingono a prendere la decisione che prima di allora non aveva mai avuto il coraggio di prendere: cambiare di nuovo vita e salire in cabina. È il 2014 quando Marcela trova il primo lavoro come autista e da allora non è mai più scesa dal camion. «Ho il gasolio nel sangue – racconta ridendo – avevo bisogno solo della giusta dose di coraggio». In effetti, Marcela conserva le patenti nel cassetto già da dieci anni. «Le presi in Romania nel 2004 – ci spiega – ma poi sono rimaste lì, perché mi è sempre mancato il supporto di qualcuno che mi spronasse a provarci davvero».

Quando la raggiungiamo per telefono Marcela è in viaggio. Si trova a Napoli, direzione Rotterdam, ma è partita il giorno prima da Genova. Il programma della settimana è fitto: arrivo programmato nei Paesi Bassi per il venerdì sera, scarico il lunedì mattina della settimana successiva e poi rientro. Le settimane di Marcela scorrono in cabina, il tempo per rientrare a casa è pochissimo, ma non le pesa affatto. «Con il mio precedente lavoro – ci spiega – rientravo a casa tutte le sere, ma avevo sempre qualcosa da fare. Oggi invece ho più tempo a disposizione per me stessa perché quando ho un riposo lungo in camion posso davvero rilassarmi».

Il precedente lavoro di cui Marcela ci parla era anche il primo come autista. Le chiediamo quindi se per lei sia stato facile entrare nel mondo dell’autotrasporto. «Il primo lavoro è arrivato grazie alle conoscenze di un caro amico. Ho iniziato con il furgone, poi la motrice e la biga. Trasportavo colli di intimo negli outlet, ma nel 2020 con il Covid il lavoro è inevitabilmente calato e ho dovuto trovare un’alternativa. Così sono entrata in Autamarocchi, per la quale trasporto container».

Oggi Marcela ha (quasi) 42 anni e il “supporto psicologico”, come lo definisce lei, che le è mancato agli inizi della sua carriera come autista cerca di offrirlo alle giovani ragazze che, come lei dieci anni fa, sono alle prime armi e hanno bisogno di un po’ di aiuto. «Ultimamente si vedono tante nuove ragazze giovani, soprattutto straniere. Così ho creato insieme ad altre colleghe un gruppo Whatsapp per noi “containeiriste”, per aiutarci a vicenda. Ci scambiamo qualche informazione utile, qualche consiglio, così le nuove leve sanno che possono contare sul supporto di noi più anziane, perché non bisogna dimenticare che non basta avvicinare le donne al settore, ma l’obiettivo è fare in modo che queste ragazze rimangano. Il mio contributo è semplicemente quello di aiutarle a vedere il bello di questo mestiere».

E quale è per te il bello di questo mestiere?

«La cosa che mi piace di più è la possibilità di conoscere sempre persone nuove, di creare nuove amicizie. Trovo molto interessante l’aspetto più psicologico di questo mestiere, se così lo possiamo definire, anche se oggi è sempre più difficile trovare persone che abbiano ancora voglia di ridere e scherzare».

A cosa è dovuta questa mancanza di entusiasmo, secondo te?

«Sento molti colleghi lamentarsi, molti sono stanchi, ma ognuno ha le proprie ragioni e non trovo utile giudicare le altre persone perché ognuno fa percorsi di vita e professionale differenti. Io faccio questo lavoro con passione e sono felice così».

Però alcune difficoltà sono oggettive.

«Sì, ma il modo in cui si affrontano i problemi dipende dal carattere di ciascuno. La mia filosofia di vita è di trovare sempre un modo per adattarmi, altrimenti si rischia di passare la vita a stare male. Per esempio, quando sono arrivata in Italia mi sono adattata alla cultura italiana e oggi infatti sono diciotto anni che mi sono qui e mi trovo benissimo».

Ma esiste un modo per trasmettere di nuovo la passione per questo mestiere?

«Ci vorrebbero più esempi, per esempio ex autisti, oggi più anziani, che possano far crescere i giovani. Insomma, qualcuno che possa trasmettere questa passione. A me, per esempio, piace molto ascoltare i racconti dei veterani, del grande Zingaro, Vittorio Spinelli, per dirne uno».

Di veterane ce ne sono diverse anche nel Lady truck Driver Team “Buona strada”, di cui fai parte. Come sei entrata in contatto con questa realtà?

«Ho conosciuto le ragazze del gruppo molto prima di salire in cabina, quando ancora lavoravo in fabbrica. Allora già indagavo su come fosse la vita da camionista donna, così seguivo quello che facevano, i loro viaggi. Poi le ho incontrate di persona e da quel momento per me sono diventate di famiglia».

 


 

Il resto dell’intervista lo potete leggere sulla pagina di Uomini e trasporti.

Buona strada!

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La storia di Samantha

 

 

Tra le candidate al Sabo Rosa 2024 c’è anche la collega Samantha, questa è la sua storia presa dal link ufficiale del concorso:

https://www.sabo.it/samantha-sartoni-2/

 

Questa è la sua intervista:

Samantha Sartoni

Attività: autista di camion
Residenza: Castrocaro Terme (FC)

Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?

Il primo contatto con il mondo dei camion l’ho avuto frequentando un ragazzo che lavorava come rottamatore. Ogni tanto mi capitava di viaggiare con lui e mi sono appassionata ai mezzi pesanti. Così, nel 2019, ho deciso di prendere le patenti e di iniziare a fare il lavoro di camionista. Oggi guido un camion per un’azienda che trasporta uova, ed è un lavoro in cui bisogna stare attenti a dosare il gas, soprattutto nelle rotonde, altrimenti si fanno delle gran frittate.

La mia famiglia, che non è composta da camionisti, ha appoggiato questa mia decisione, anche se ormai credo si siano adeguati al fatto che quando mi metto in testa una cosa la faccio, come quando presi la patente della moto. A dir la verità, in quel momento, mia mamma era un po’ meno contenta. D’altro canto noi romagnoli i motori li abbiamo nel sangue.

Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?

Il Sabo Rosa l’ho scoperto l’anno scorso guardando una notizia su un giornale online. Avendo perso l’occasione di partecipare, perché era scaduto il termine per l’iscrizione, mi sono segnata il fatto di iscrivermi quest’anno.

Mi piace l’idea del Sabo Rosa, perché rivaluta l’idea delle donne in un lavoro che da sempre è considerato solo per i maschi. È un’iniziativa molto bella.

Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?

Credo occorra rivalutare il fatto che le donne non sono da meno degli uomini, in  nessun tipo di lavoro. L’unica cosa che può allontanare una donna da questo mestiere è se se la senta oppure no. Quindi faccio un appello a tutte coloro che magari non fanno le camioniste, o le autiste, perché credono che sia un lavoro “che non si può fare”. Se te la senti, provaci. Ci vuole un po’ di polso e la convinzione di riuscire.

Per il resto quando gli uomini mi vedono scendere da un camion mi guardano con rispetto. E già questo è un bel risultato.

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Vita da camionista – Intervista alla zia Lory, camionista.

 

Questa volta girando e rigirando nel web ho trovato quest’audio “intervista alla zia Lory”, sul sito https://www.pugnodisale.com/

La collega Lory racconta la sua vita da camionista (a sua nipote?) iniziata negli anni ’90 e durata per 23 anni. Ricordi, aneddoti, racconti di una vita on the road….tra problemi, discriminazioni e anche soddisfazioni!

La potete ascoltare a questo link:

https://www.pugnodisale.com/vita-da-camionista/

Questa è la presentazione dell’intervista:

“Per me ha sempre incarnato l’ideale della donna forte e volitiva, immaginatevela non tanto alta, dal fisico asciutto ma muscoloso, una donna brillante che sa tener banco con mille aneddoti avventurosi, felice di ciò che fa anche se quelle scelte, più di una volta, l’hanno messa di fronte a giudizi aspri e implacabili.

Una donna bellissima e sorridente questo era in quegli anni. Gli anni 90′ e 2000, l’hanno vista attraversare quasi tutti i paesi europei a bordo del suo camion. Lei, donna camionista in Italia, una delle prime che guardarono a quel mestiere con la voglia di riscatto, un modo per misurarsi con i propri limiti ma a modo proprio, liberamente.

Sceglie viaggiare per tutta Europa, stando quindi fuori casa una settimana intera, a volte due, per 21 anni: Inghilterra, Irlanda, Germania, Danimarca, Olanda, Spagna, Francia, Belgio in anni in cui ci si muoveva con le cartine, arrangiandosi con l’inglese e un’infarinatura delle altre lingue.

“Eravamo due in Italia quando ho iniziato, l’ho presa come una sfida”

“Eravamo due in Italia quando ho iniziato – e con orgoglio racconta di un lavoro non così strano o difficile secondo lei, forse più uno stile di vita – l’ho presa come una sfida”. Si sa “un camionista è solo!”. Sola quindi ha dovuto ideare tutte le sue strategie di sopravvivenza: “Non mi fermavo mai a dormire nel luogo dove mi fermavo a mangiare e quando mi fermavo per riposare non scendevo dal camion per non attirare l’attenzione, mettevo una cinghia con un cricchetto da una portiera all’altra per sentirmi più sicura”.

Nella cabina o appena fuori si svolgeva tutta la vita, si organizzava la spesa, si faceva da mangiare ci si dedicava all’igiene, con ritmi completamente liberi. “Una volta ho portato mio figlio con me, andavo a scaricare vicino casa quella volta. Mi dice di aver fame e poi si mette a riposare in brandina, io gli cucino un buon minestrone, ma quando si sveglia è inorridito ‘mamma sono le 8 del mattino, avevo fame di latte e biscotti’ Ma per me era normale mangiare un minestrone a quell’ora, io mangiavo quando avevo fame”.

Ha vissuto lo stigma dell’essere donna in un mondo di uomini, nell’ambiente i suoi successi erano spiegati da favoritismi dati in cambio di favori sessuali, “perché se mi fermavo in piazzale non stavo dormendo come tutti ma mi davo alla pazza gioia secondo alcuni”. Il giudizio degli altri però poco importava, i suoi datori di lavoro hanno sempre creduto in lei così come le decine di amici e colleghi che hanno costituito la sua comunità.

Ha vissuto lo stigma dell’essere donna in un mondo di uomini, nell’ambiente i suoi successi erano spiegati da favoritismi dati in cambio di favori sessuali.

Una comunità che aveva un mezzo di comunicazione a dir poco mitico e iconico, il baracchino di vitale importanza per ricevere informazioni legate al traffico, per chiacchierare lungo la strada, per incontrarsi e sentirsi meno soli. Tutti hanno incontrato nella vita camionisti che con magie riuscivano a scaricare oggetti di marca a prezzi stracciati: racconta dei sigilli che se scaldati nell’acqua calda si aprivano e dei mille modi in cui ci si riappropriava del lusso negato: con un suo collega si pasteggiava sempre champagne.

Il camion non era un luogo di lavoro ma era il luogo di vita, il luogo dove si cucinava, dove si dormiva dove si leggeva e si sognava, lei all’occorrenza sganciava il rimorchio e andava a fare la spesa, girava per la città, si occupava della sua igiene e di quella del camion “nessuno è mai salito con le scarpe sul mio camion”. Oggi mi accoglie mostrandomi le sue foto i suoi occhi brillano si vede che la vita che ha scelto è quella che l’ha fatta felice e a volte la nostalgia verso quei tempi rende il racconto un po’ amaro; è difficile tornare alla vita fatta di orari e scadenze. Mi da l’idea che voglia raccontarmi ancora tante cose, mi accenna della volta in cui ha portato sua sorella, degli anni, gli ultimi, passati a lavorare con suo marito, di quella volta che ha lanciato la sua fede nuziale dal finestrino.”

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Un articolo di qualche anno fa… ma è sempre attuale!

 

Sono sempre alla ricerca di qualsiasi cosa che parli di noi, cosi ho trovato questo articolo non più recente – è del 2019 – è la storia della collega Paola, che per trovare lavoro al volante di un camion è dovuta andare all’estero… forse adesso qualcosa è cambiato, ma ci sono ancora donne che purtroppo vengono guardate con diffidenza quando si propongono alle aziende come autiste…

Questo è il link:

https://salto.bz/en/article/25102019/io-una-camionista-bordo-del-diavolo

E questa la prima parte dell’articolo :

“Io, una camionista a bordo del Diavolo”

Paola Cestari, autotrasportatrice trentina impiegata in Austria, sui pregiudizi quotidiani, la fiducia dei colleghi maschi da conquistare e il giro di vite al Brennero.

Paola Cestari

Foto: Paola Cestari

“È come un richiamo, a un certo punto devo accendere il motore e andare”. Lei si chiama Paola Cestari, 37 anni, è di Trento, e dal 2016 fa la camionista. Dopo aver cominciato a lavorare nel settore dell’autotrasporto in Italia la “zingara”, soprannominata così dai suoi cari, è approdata in Germania, “avevo il pallino dell’estero”; ha imparato il tedesco e oggi lavora per una ditta austriaca girando a bordo del suo “Gangal” (“diavolo” in dialetto tirolese, il nome del suo autoarticolato), un “bestione” di 16 metri e mezzo che tre settimane fa ha messo in bella mostra in occasione del suo primo raduno di camionisti. Paola viaggia soprattutto di notte, toccando città come Brema, Modena, Milano, Venezia, e nella sua ancora breve carriera, ha trasportato di tutto, dal legno al marmo. Una vita dura, fatta di orari estenuanti, chilometri da macinare ogni giorno, merci da consegnare in orario e, sgradito “bonus” riservato alla compagine femminile, stereotipi da abbattere a spallate.

Insomma, un mestiere che forse più di altri richiede una massiccia dose di passione. “Da quando ho memoria volevo fare l’autotrasportatrice, è un sogno che avevo fin da bambina, mia madre sperava che cambiassi idea ma non è successo”, racconta Paola. La strada per tagliare l’agognato traguardo non ha concesso scorciatoie. “All’inizio mi è mancato il coraggio, non avevo alle spalle una famiglia proprietaria di un’azienda di trasporti, mio padre lavorava all’Enel, mia madre faceva la casalinga, e io sono, come dire, la ‘prima del mio nome’, ad aver intrapreso questa avventura”, dice con misurato orgoglio, spalancando un sorriso.

Orgoglio e pregiudizio

A 16 anni Paola si inventa benzinaia, poi arriva la parentesi del panificio a Trento, “ma mi mancava l’aria a stare chiusa in un negozio”; nel 2013 Paola prende le patenti C e CE, valide per la guida di camion e veicoli adibiti al trasporto merci, e inizia “dal basso”, con i furgoni, girando in lungo e in largo il Trentino-Alto Adige. “Il mio ex marito faceva l’autista ma non ha mai voluto che diventassi camionista”, confessa Paola, “in più da parte dei datori di lavoro all’inizio la diffidenza era tanta, a Trento per esempio una ditta mi ha liquidato dicendo che non avevo abbastanza esperienza, ‘ma se fossi stata un uomo lo avreste preso senza troppe storie, ho obiettato, purtroppo l’attività dell’autotrasporto viene ancora generalmente percepita come non adatta alle donne”. Le differenze geografiche in questo senso esistono, sottolinea la camionista, “ho notato che in Austria e Germania c’è profondo rispetto verso le donne che fanno questo mestiere, in Italia invece ti guardano ancora con un certo sospetto”.

Le torna in mente un episodio: “Una volta mi trovavo in Italia, vicino a Venezia, ed ero in procinto di scaricare la merce. Un magazziniere, non sapendo che fossi italiana dato che ho la targa austriaca, dà di gomito al collega e indicandomi con il mento a punta gli dice: ‘Vediamo quanto ci mette a mettere il Tir sulla rampa’. Avevo il finestrino abbassato e il commento non mi era sfuggito. Faccio le mie due manovre, scendo dal mezzo e gli chiedo: ‘Ci ho messo il tempo giusto?’, lasciandolo di stucco”.
Sulla litania della retorica stucchevole di cui si nutre il pregiudizio si sovrappone però la melodia del controcanto, che risuona nell’ironia di un cartello recante un annuncio di lavoro (come testimonia la foto sottostante), che Paola ci mostra divertita, o nell’umanità dei colleghi incontrati in viaggio. “Un giorno un autista turco, vedendo il mio camion sulla rampa, mi ha scambiato per la segretaria del magazzino, e quando ha scoperto che guidavo io il mezzo si è inginocchiato davanti a me, tra riverenze e complimenti”, ricorda Paola. “Un’altra volta, in Germania, un autista sloveno mi ha salvato, erano le 3 di notte e mi ha aiutato trainando il mio camion che si era impantanato”.

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(…) continua…

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La storia di Simona

 

Un’altra storia di un’altra collega, Simona, dal bolg “Anche io volevo il camion” dal sito di Uomini e Trasporti”. Elisa Bianchi questa volta raccoglie la storia di Simona, 43 anni che , dopo aver perso il suo lavoro ai tempi del covid, ha deciso di buttarsi e  di mettere a frutto le patenti conseguite anni prima…

Questo è il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/simona-ionita-dal-negozio-al-camion-ho-stravolto-la-mia-vita-dopo-il-covid/

Questa è la prima parte del testo:

Simona Ionita, dal negozio al camion: «Ho stravolto la mia vita dopo il Covid»

Simona Ionita ha 43 anni, è rumena ma vive in Italia da ormai vent’anni. Dopo una vita in negozio, il Covid l’ha costretta a prendere una decisione: rimanere in cassa integrazione, o correre il rischio di inseguire i propri sogni e mettere a frutto quelle patenti prese tanti anni prima. Neanche a dirlo, Simona ha trovato finalmente il coraggio di rischiare

La resilienza è quella capacità di resistere e far fronte anche a situazioni avverse che ci mettono alla prova e ci costringono a trarre da un momento di difficoltà un’opportunità. Se questa è la definizione del termine, un esempio concreto è la storia di Simona Ionita. 43 anni e originaria della Romania, Simona vive a Mestre ormai da vent’anni. Arriva nel 2004 con l’intenzione di non fermarsi per troppo tempo. Poi come sempre, la vita ci si mette di mezzo e stravolge i piani.
«L’idea – ci racconta dalla cabina del suo camion – era quella di raggiungere mio fratello che già abitava in Italia, lavorare per qualche anno qui così da potermi permettere una macchina e poi fare rientro a casa. Alla fine, non me ne sono più andata e l’Italia è diventata la mia seconda casa». Simona oggi è un’autista, ma per i suoi primi diciassette anni in Italia ha fatto tutt’altro. Lavorava come commessa in un negozio di scarpe e accessori vicino a Venezia. A stravolgere i piani e offrirle l’occasione di realizzare i suoi sogni è stato il Covid. Da una situazione di difficoltà ecco la sua opportunità: cambiare vita e mettere finalmente a frutto quelle patenti conquistate parecchi anni prima.

Simona, come è iniziata esattamente la tua avventura in cabina?

Nel 2020, a causa del Covid e dei lockdown, il negozio per il quale lavoravo ha avuto molte difficoltà e mi sono ritrovata in cassa integrazione. A quel punto mi sono detta «ho le patenti, ci provo».

Perché avevi le patenti del camion se non avevi mai fatto questo lavoro prima d’ora?

Appena arrivata in Italia ho iniziato a lavorare per un negozio di ortofrutta. Il proprietario era anziano e aveva bisogno di qualcuno che gli potesse dare una mano anche con il camion, così mi pagò la patente C. Una volta fatta quella, ho voluto prendere anche le altre patenti perché ho sempre amato guidare, fin da piccola quando sedevo accanto a mio padre che guidava i trattori nei campi. Una volta conseguite le patenti, però, non me la sono sentita di affrontare un cambiamento così grande.

Per motivi legati alla professione di autista o per altro?

È stata la paura del cambiamento a bloccarmi. Ho impiegato qualche anno a conseguire tutte le patenti e nel frattempo avevo iniziato a lavorare in un altro negozio nel quale mi trovavo molto bene, avevo un buon rapporto con i colleghi e mi dispiaceva andarmene. Così ho lasciato perdere l’idea di fare l’autista.

Il Covid però ha stravolto i tuoi piani…

Il negozio lavorava principalmente con una clientela straniera e quando i turisti sono venuti meno ci hanno messo in cassa integrazione. A quel punto non avevo più scuse, avevo un piano B ed era arrivato il momento di metterlo in pratica.

Hai trovato facilmente lavoro come autista?

Non esattamente, molte aziende erano diffidenti. Ero una donna e senza esperienza, ci ho messo un po’ a trovare chi mi volesse dare fiducia, ma alla fine ce l’ho fatta.

A distanza di tre anni, rifaresti la tua scelta?

Certo che sì! Anzi, potessi tornare indietro la farei prima. Mi piace davvero questo mestiere. Ho la possibilità di viaggiare, di vedere posti nuovi e incontrare sempre persone diverse. È quello che avevo sempre sognato, mi era solo mancato il coraggio.

È stato un cambio di vita radicale, immagino non sia stato facile.

Quando c’è passione si può far tutto. Tanti mi chiedono il perché di questa scelta, la risposta è semplicemente che questa vita, questo mestiere, mi piacciono. È ovvio che se una persona desidera uscire di casa la mattina, fare orari di lavoro standard e rientrare la sera questo lavoro non è adatto. È una questione di scelte, e io ho scelto questo per me, consapevole di quale sarebbe stata la mia nuova vita. Oggi sento che il mio posto è al volante, scherzando dico sempre che non sono in grado di stare sul lato del passeggero, neanche quando sono in macchina. A questa vita, anche se non è facile, ci si abitua, tanto che quando non sono in cabina ne sento la mancanza.

Oggi che cosa trasporti e che tratte fai?

Guido un bilico DAF 530 e trasporto un po’ di tutto: pellet, biscotti, rotoli di ferro, bicchieri di plastica, solo per fare qualche esempio. Viaggio soprattutto all’estero, tra Austria, Repubblica Ceca, Francia e Germania, ma mi capita di fare anche viaggi fino al Sud Italia. Parto il lunedì e rientro il venerdì. In questo momento sto rientrando dalla Repubblica Ceca.

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Il resto dell’articolo nella pagina di Uomini e trasporti.

Buona strada sempre a Simona!!!

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