Un libro che sto leggendo e che vi voglio segnalare e consigliare, perchè parla anche di noi poichè il nostro è considerato ancora un lavoro prevalentemente maschile (anche se, vista la carenza di nuovi autisti, si stanno accorgendo che forse c’è bisogno anche di donne che guidano i camion!). Naturalmente non è un romanzo, si tratta di un saggio basato su ricerche condotte nel corso degli anni, e che hanno visto anche il nostro gruppo di Lady Truck in parte protagonista. E’ una lettura interessante, fa capire tante cose della nostra società, del perchè di tanti atteggiamenti, cose che viviamo tutti i giorni e che ormai fanno parte del nostro modo di relazionarci, ma che hanno radici profonde e a volte molto difficili da estirpare. Cose che magari abbiamo sempre notato e accettato come naturali, ma che forse cosi “naturali” non sono. Una lettura che aiuta ad aprire gli occhi su come noi donne veniamo veramente considerate nella società.
Cosa significa per una donna attraversare i confini entrando in professioni che la società percepisce maschili per definizione?
«Questa tendenza a raccontare il mondo da un punto di vista maschile non significa non occuparsi delle donne (o per lo meno non più), quanto piuttosto settorializzare le analisi dei sotto-universi femminili, trattare tutto ciò che riguarda le donne come una dimensione a sé stante.»
«Grazie a saggi come Donna Faber l’attenzione, ormai alta da tempo, sul fenomeno si porta a ogni livello: il linguaggio è lo spazio privilegiato, ma ci sono il lavoro, le aspettative, la libertà di contraddirsi, di reagire e di ribellarsi.» – Alessandro Tacchino per Maremosso
Maestra, sarta, cassiera, segretaria sono femminili professionali che esistono da sempre, eppure si fa molta fatica a nominare al femminile quelle professioniste che lavorano in campi a prevalenza maschile: meccaniche, minatrici, camioniste, direttrici d’orchestra sembrano non esistere, a conferma dell’idea che ci siano lavori da uomini e lavori da donne. Rosa e azzurro, dall’infanzia all’età adulta, dalla scuola alla pensione. In un mondo del lavoro ancora fortemente sessuato, cosa significa per le donne decostruire stereotipi e violare i confini di professioni percepite come maschili? Quali violenze subiscono e quali pratiche di resistenza agiscono? Obiettivo del libro è rispondere a queste domande alla luce dei risultati di una ricerca qualitativa socio-fotografica, condotta in Italia nell’ultimo decennio intervistando e fotografando donne in lavori da uomini. Sullo sfondo, un’Italia in tensione tra nuovi femminismi e crociate anti-gender dai risvolti politici reazionari.
Per altre info questo è il link della pagina web di Donna Faber:
Ogni notte, verso le 3, da dieci anni Franca Meroni esce di casa nella sua azienda di Inzago (ai confini orientali della provincia di Milano), carica il camion di verdure, si mette al volante e guida un tre assi di quasi 11 metri fino all’Ortomercato di Milano.
“All’inizio mi hanno guardata un po’ così, poi si sono abituati, anche perché non sono una che si fa mettere i piedi in testa” racconta la “Lady truck” delle insalate. Lei – spiega la Coldiretti regionale in occasione della Festa della Donna – è una delle oltre 10 mila imprenditrici titolari di aziende agricole in Lombardia. Insieme al fratello, dopo aver raccolto il testimone dai genitori, conduce un’azienda di 24 ettari con più di 200 serre. “La prima volta che ho guidato il camion dieci anni fa è stata un po’ una sfida come me stessa – spiega – era un due assi di circa 7 metri. Mio fratello mi ha chiesto: te la senti di andare fino all’Ortomercato? Ho risposto che ci provavo. All’inizio ero un po’ impacciata, adesso vado e torno e faccio tutte le manovre senza problemi. All’Ortomercato si sono abituati a vedermi”.
Anche se ogni tanto qualcuno rimane sorpreso, come i poliziotti che una volta in tangenziale a Milano alle 3 del mattino hanno fermato il camion pieno di verdura e dopo aver scoperto la donna al volante, hanno chiesto: “Ma signora, dove sta andando?”. Al lavoro, come tutti giorni . “Poi torno in azienda e seguo anche la contabilità e il resto delle cose insieme a mio fratello. Certo a certi orari non ti abitui mai, ma il lavoro mi piace. Credo che una donna, se vuole, possa arrivare dappertutto”. Anche al volante di un bestione da 24 tonnellate.
In Lombardia – spiega la Coldiretti regionale su dati Camera di Commercio di Milano – la provincia che ha la maggior incidenza femminile in agricoltura è Sondrio, dove quasi 4 aziende su 10 sono guidate da donne, contro una media regionale del 22%. Per quanto riguarda gli altri territori, sopra il 20% di quote rosa in agricoltura troviamo: Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Milano, Pavia e Varese. La provincia che invece ha il numero assoluto più alto di imprese agricole in mano femminile è Brescia con 2.201 realtà, a seguire Pavia con 1.564, Mantova con 1.526 e Bergamo con 1.205. “Uomo o donna non fa differenza – spiega Beatrice Lampugnani, 30 anni, di Orsenigo (Como), che è laureata in architettura del paesaggio e lavora tra piante e fiori con il padre e il fratello – io mi pongo sempre come una che in questo settore ci è cresciuta e con gli altri giardinieri non ho mai avuto problemi. L’importante è che si veda che sei una persona professionale. Forse in passato c’era qualche differenza fra uomini e donne sui lavori da svolgere, ma adesso non più. Le donne possono fare tutto. Anzi, forse sono gli uomini che non fanno tutto quello che fanno le donne”.
“Le donne sono cresciute – afferma Wilma Pirola, che ha un’azienda di mucche da latte, è leader delle imprenditrici della Coldiretti regionale e Presidente della Federazione Coldiretti di Pavia – prima si occupavano di tenere in ordine i conti e le fatture, adesso entrano sempre di più nell’attività operativa quotidiana di gestione dell’azienda e nelle scelte di pianificazione e investimento. E non stiamo parlando solo di settori legati ai servizi di turismo e ristorazione, ma anche in quelli più tradizionali come gli allevamenti da latte o la viticoltura”.
Anche questa inchiesta riguarda le donne che fanno lavori da uomini, ma ci spostiamo in Toscana e facciamo un salto indietro negli anni, era il 2012 e su “Il Tirreno” c’era questo articolo:
Quattro storie, quattro vite particolari: il sesso debole mette i “muscoli” e raggiunge l’obiettivo. La sociologa: «Un fenomeno tutto da studiare»
di Maria Lardara 08 Marzo 2012
PRATO. A Prato c’è un’altra metà del cielo che ha i muscoli. Donne che fanno mestieri da dure, in barba a fatica e sudore. Donne che non fanno mai parlare di sé, perché magari non sono celebrità o non reggono il timone di aziende importanti del distretto.
La loro quotidianità è costellata di chiavi inglesi, bulloni, motori, fili elettrici e attrezzi di ogni tipo. Non necessariamente hanno un fisico forte, ma non per questo si sentono “meno” rispetto ai colleghi uomini. Alcune single, altre mamme e mogli. Trentenni e quarantenni.
Nell’era della crisi che sovverte modelli sociali, la declinazione al femminile dei mestieri tradizionali va a farsi benedire. Queste signore e signorine non sognavano certo di fare da grande la principessa o la modella: nel sangue di alcune di loro scorre la passione per la strada. «Perché lavorando assapori il gusto di scoprire posti nuovi», racconta Mara Ciasullo, l’unica autotrasportatrice associata a Confartigianato che manda avanti un gigante da 35 quintali. «Su 180 aziende di autotrasporto iscritte abbiamo una decina di aziende intestate a donne. Solo una guida però il mezzo», precisa Giovanni Corradi, responsabile della federazione autotrasporti di Confartigianato Prato. Mosche bianche, dunque, che la crisi del tessile ha contribuito a far emergere.
Come nel caso di Antonella Biagi di Vernio, boscaiola e allevatrice di mucche di razza Calvana, che nel 2008 diede l’addio al lavoro nello sciarpificio per tornare nell’azienda agricola di famiglia.
Figura insolita è quella della necrofora con un passato di orditrice: dopo la maternità, Lucia Petrullo ha dovuto reinventarsi ed è finita a indossare un camice e scarponi anti-infortunio per stare nei cimiteri. Alle prese con loculi da murare e, quando capita, salme da esumare.
Per necessità o per scelta, le donne iniziano a rubare così la scena agli uomini che, da che mondo e mondo, hanno sempre monopolizzato i mestieri di fatica. “On the road”, da mattina a sera, c’è anche Danila Siani, residente a Prato da sei anni e da otto autista della fiorentina Ataf. Gli autosnodati, i bus da 18 metri, sono la sua passione. «Perché quando sei lì sopra comandi solo tu», sottolinea Danila.
Evviva la parità dei sessi, insomma. Secondo Alessandra Pescarolo, ricercatrice Irpet (l’istituto di programmazione economica della Toscana) e studiosa di sociologia sul lavoro femminile (ha approfondito anche le dinamiche dell’impresa familiare pratese), dietro la figura del camionista in gonnella o della boscaiola che ripulisce i fossi e maneggia motoseghe potrebbe nascondersi un fenomeno sociale interessante.
«La materia è tutta da approfondire. Contrariamente a quanto si possa credere, la crisi colpisce anche l’occupazione maschile: le donne si fanno spazio e trovano la molla per accettare lavori che non tutti gli uomini accettano oppure appannaggio degli immigrati. Se poi si tratta di donne con basso livello di scolarizzazione, a cadere sarebbe il cliché secondo cui solo quelle con maggiori tassi d’istruzione hanno più facilità a reinserirsi nel mondo del lavoro. La loro capacità di insediarsi in segmenti del lavoro tipicamente maschili potrebbe essere anche riflesso di un contesto, quello pratese, caratterizzato storicamente da una forte motivazione al lavoro».
Alcune donne con una marcia in più hanno anche stoffa di imprenditrici.
Perché tra la camionista in proprio e la camionista da dipendente c’è una bella differenza. Intanto le donne in sella a imprese “rosa” sono in crescita a Prato. Dati statistici alla mano pubblicati sul sito della Camera di commercio, le imprenditrici nel 2011 toccavano quota 13.186, ovvero il 30% sull’universo delle aziende iscritte, contro i 30.909 imprenditori. Solo in cinque anni (2006-2011) la percentuale delle capitane d’impresa è cresciuta dal 28% al 30%.
E’ “rosa” il 10% delle imprese iscritte nel 2011 nel settore delle costruzioni e il 15% figura nel comparto delle costruzioni anche se molto spesso si tratta di realtà solo intestate a donne.
E’ di qualche hanno fa questa inchiesta del “Corriere della sera” sulle donne che fanno lavori ancora troppo spesso considerati per lo più maschili…tra di loro c’è anche una collega!
Dal volante del camion alle cime
degli alberi: la forza delle donne
In Lombardia sono sempre più le ragazze che fanno mestieri una volta considerati «maschili» e ne sono orgogliose. Tre storie esemplari: Monica, Rossella, Giovanna
Nella foto, da sinistra: Rossella Nigro, fabbro; Giovanna Ciraci, giardiniere; Monica Fontana, furgonista (Fotogramma)
Guidare camion, riparare guasti meccanici, risuolare scarpe non è più solo roba da maschi. In Italia sono sempre di più le «lei» che fanno il lavoro di «lui»: 3 mila camioniste, 480 elettriciste, 2700 «fabbre», 1230 meccaniche, 480 idrauliche e 370 calzolaie, secondo uno studio di Camera di Commercio di Monza e Brianza. La Lombardia è la regione con le percentuali più alte di donne impegnate in mestieri tradizionalmente maschili, e in Brianza lavorano tante «fabbre» (9,8%) e tappezziere (10,7%). Mestieri della tradizione che la crisi ha fatto riscoprire.
La versione femminile del fabbro si chiama Rossella Nigro, 46 anni, unica donna a capo della Carpenteria Metallica Cini di Limbiate, fondata dal padre Domenico nel 1987. Tuta da lavoro e guanti di protezione maneggia con disinvoltura i seghetti a nastro per il taglio dell’acciaio al carbonio, così come i termini tecnici delle parti delle piattaforme petrolifere che da Limbiate partono per la Russia e la Malesia. «Il mio destino era quello di segretaria — racconta — ho iniziato a 14 anni a battere a macchina preventivi e fatture per mio padre». Ma dopo gli studi di ragioneria e l’ingresso in azienda si è occupata di tutto: dalla progettazione tecnica insieme ai clienti, dalla produzione fino alla messa in opera. Quando incontra i clienti la prima impressione è di sorpresa: «All’inizio c’erano pregiudizi. Quando ingegneri e progettisti capiscono che sai bene di che cosa stai parlando e riesci anche a dare il consiglio giusto, sento una grande stima». Presidente di Donne Impresa di Confartigianato, Rossella crede che anche in un lavoro «maschile» come il suo le donne possano avere una marcia in più. «Siamo precise e organizzate — dice — e questo snellisce tutte le procedure. Sappiamo come gestire la produzione, facciamo pratica ogni giorno gestendo famiglia e lavoro». Lei ha due figli adolescenti e poco tempo libero. Il vero lusso? «Una camminata all’aria aperta e una seduta dal parrucchiere mi rimettono in forma».
Acrobazie sui rami
Non rinuncia alla femminilità nemmeno Giovanna Ciraci, «giardiniere acrobata» nei parchi più belli della Brianza. La sua specialità è il tree-climbing, ovvero l’arrampicata tra i rami in sicurezza che consente di effettuare la potatura dall’interno della pianta, verificare da vicino la stabilità e la salute di ogni esemplare. Una laurea in biologia, 41 anni, ha lasciato la Puglia per approdare alla scuola d’agraria del parco di Monza. È qui che ha imparato la progettazione del verde e come utilizzare la motosega «volando» con corda e moschettoni da un ramo all’altro. Ai nuovi clienti di solito si presenta in coppia con il compagno con cui ha fondato l’azienda Naturainmente a Renate: «Tutti pensano sempre che io lo stia accompagnando. Quando mi vedono prendere in mano la sega elettrica prima mi guardano storto, poi ammirati». Se dovesse identificarsi con una pianta sceglierebbe la Davidia Involucrata: «È più nota come l’albero dei fazzoletti e non è molto diffusa. Io trovo che sia bellissima, delicata, avvolgente, un po’ come sono io». Del suo lavoro ama la parte creativa, quella forse in cui può esprimere al meglio la sua femminilità: «Mi piace scegliere le essenze e i materiali e vedere nascere un nuovo progetto verde e poi arrampicarmi tra i rami mi permette di scoprire bellissimi nidi».
Chilometri d’asfalto
Sono chilometri di asfalto quelli che segnano le giornate di Monica Fontana, 31 anni, «furgonista» nell’azienda di trasporti di famiglia a Concorezzo. La sua giornata inizia presto: alle sei è già al volante del «Master» bianco, più di cento chilometri al giorno, spesso bloccata nel traffico, in compagnia della radio. La cabina di guida è ordinata, nessuna «personalizzazione» con foto e amuleti come fanno i colleghi uomini. «Noi donne siamo più serie — dice ridendo —anche più pignole e attente agli imballaggi. Ci prendiamo davvero cura della merce che trasportiamo». L’arrivo in un magazzino è sempre il momento di maggiori imbarazzi: «Ci sono uomini che si sbracciano per aiutarmi a fare manovra — racconta — altri che vogliono intervenire per sganciare il telone o agganciare il carico al muletto». A volte il tono è gentile, ma spesso le è capitato di sentirsi dire: «Ci penso io» con l’invito a farsi da parte. «In quei momenti provo fastidio», dice. Monica è una donna che ama cavarsela da sola. L’ha capito bene il suo compagno Andrea, che ripete: «Ogni tanto mi fai fare l’uomo?».
“A casa non si torna” è il titolo di un documentario che racconta “Storie di donne che svolgono lavori maschili” realizzato da Lara Rongoni e Giangiacomo De Stefano.
Non è nuovissimo, anzi è del 2012, ne avevo trovato notizia nel web, poi ho scoperto che si poteva ordinare il DVD su ibs.it…
Tra le protagoniste c’è anche una camionista, Simonetta, guida un camion della nettezza urbana a Bologna Le camioniste ci sono sempre quando si parla di lavori maschili fatti dalle donne. Anche se siamo sempre di più, restiamo sempre una categoria guardata con curiosità. Comunque tutte le storie raccontate sono interessanti, lavori un pò diversi, forse più pesanti, ma svolti con entusiasmo, probabilmente è quella la carta vincente. C’è Latifa, spazzina, c’è Maria, capocantiere, c’è Licia, archeologa, c’è Michela tecnico elettricista e c’è Reina, attrice. E c’è anche la grande Franca Rame!!!
Non ho ancora scritto che mi è piaciuto… certo che si, io scrivo solo recensioni positive, ormai lo sapete!!!
P.S: guardando il documentario mi sono resa conto di essere un pò tonta (ma lo sapevo già!!) : io pensavo che il titolo fosse riferito al fatto che le donne che fanno lavori maschili hanno orari un pò diversi da quelli classici e che tornassero poco a casa…. ehm… no, “A casa non si torna” ha un altro significato, quello che le donne non vogliono tornare ad essere relegate al ruolo di casalinghe chiuse in casa, ma vogliono potersi realizzare nel mondo del lavoro!!!
Mi sarebbe davvero piaciuto andarci, ma per la serie “Non si può fare tutto quello che si vuole nella vita ” ho dovuto rinunciare…
Un po’ perché l’ho scoperto tardi… un po’ perché… proprio non potevo, però è una cosa che mi interessa (anche direttamente 🙂 ) cosi ne scrivo qui, riportando questo articolo, preso da:
mostra fotografica, il sessismo nel mondo del lavoro
L’esposizione, che si terrà dall’8 al 24 novembre presso lo Spazio 42R (cortile maggiore di Palazzo Ducale), patrocinata dal Comune di Genova, è frutto del lavoro tra il Laboratorio di Sociologia Visuale dell’Università di Genova e l’Associazione Culturale 36° Fotogramma, in collaborazione con AG About Gender.
Mauro Gaggero
28 scatti fotografici sotto il titolo: “Donna Faber. Lavori maschili, sessismo e altri stereotipi”, per indagare sul sessismo nel mondo del lavoro e le difficoltà incontrate dalle donne nei lavori che la società continua a rappresentare come maschili, ritratti ambientati di donne impiegate in lavori “da uomini” (camionista, minatora, direttore d’orchestra, fabbra e molti altri), riprese nel loro contesto lavorativo, e una serie di interviste realizzate nel contesto lavorativo, di cui vengono proposti in mostra alcuni estratti, recitati sulle immagini.Un vero e proprio reportage, nato da un progetto di sociologia visuale coordinato dalla prof.ssa Emanuela Abbatecola e realizzato con l’ausilio del 36° Fotogramma, Un’Associazione Culturale nata a Genova nel 1974, su iniziativa di un gruppo di fotoamatori genovesi guidati da Roberto Malatesta, Carlo Peritore e Lorenzo Ferrando.
Il Circolo che ha realizzato diverse mostre e progetti, con particolare valenza sociale, in particolare per il capoluogo Ligure. Recentemente alcuni soci hanno partecipato a degli workshop con Ivo Saglietti, ed è oggi riconosciuto dalla FIAF, oltre ad essere insignito del titolo Benemerito della Fotografia Italiana. Onorificenza che viene concessa a chi ha dimostrato nel tempo di aver operato a favore della fotografia in ambito organizzativo, culturale e tecnico, con particolare attenzione alla collettività nazionale e della Federazione.
Immagini, quelle che compongono l’allestimento realizzato per Donna Faber, che portano conoscenza ma anche qualità negli scatti.
Un percorso durato molto tempo e che verrà spiegato l’8 novembre, in occasione della giornata inaugurale divisa in due parti e due spazi diversi: alle 17.00 presso la sala del Camino si terrà la conferenza di presentazione del progetto, coordinato da Emanuela Abbatecola (Università di Genova – Laboratorio Sociologia Visuale) , alla presenza dell’assessore alla legalità e diritti del Comune di Genova Elena Fiorini. Prevista la partecipazione anche di: Luisa Stagi (Università di Genova – Laboratorio Sociologia Visuale) e Federico Montaldo (Associazione 36° Fotogramma), verranno inoltre letti, dall’attrice Jone Garrisi, alcuni brani tratti dalle interviste alle protagoniste.
A seguire, ore 18.30 circa, presso lo Spazio 42R Cortile Maggiore di Palazzo Ducale, il pubblico potrà ammirare le opere realizzate dai fotografi del 36° Fotogramma, che oltre ai grandi formati si è occupato anche di realizzare un pannello con fotografie di piccolo formato per spiegare e far vedere il progetto nel suo complesso.
L’esposizione resterà aperta fino al 24 Novembre 2013, con i seguenti orari:
Lunedì: 15-19
Martedì-Venerdi: 10/13 -15/19
Sabato-Domenica: 10/19
Ingresso gratuito
Il progetto, patrocinato dal Comune di Genova, è organizzato dal Laboratorio di Sociologia Visuale e dall’Associazione 36°Fotogramma, in collaborazione con AG About Gender (laboratorio di ricerca dell’Università); Sponsor tecnico DPS Online
Questo è il link del sito della mostra, dove si possono trovare notizie più approfondite:
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