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Camioniste: di tutto e di più…

 

Camioniste: di tutto e di più…o per meglio dire una piccola rassegna stampa con articoli un pò diversi che parlano di donne camioniste. Si perchè non ci sono solo le storie di ragazze e donne che affrontando ostacoli e pregiudizi sono riuscite a diventare camioniste realizzando cosi il sogno della propria vita, ogni tanto girando nel web si incappa anche in altre cose che riguardano il variegato mondo delle camioniste….

Comincio da un vecchio articolo del 2003, non molto edificante, visto che si tratta di una lite!

 


Questo è il link per leggere l’articolo completo.

https://ricerca.gelocal.it/gazzettadimodena/archivio/gazzettadimodena/2003/10/15/DP1PO_DP104.html 

E visto che sono in argomento, un altro titolo di cronaca:

 


E  un altro, che fece notizia a fine febbraio l’anno scorso, lo riportarono diversi giornali, ne ho contati una dozzina, poi arrivò il Covid e certe piccole notizie non fecero più scalpore…

Cambio argomento, torno ai sogni delle ragazze, anzi di una Miss:

Questo è il link:

https://www.ticinonews.ch/magazine/altro/miss-svizzera-vuole-diventare-camionista-IMTCN321810?refresh=true

La patente poi l’ha presa, ma ma nel suo futuro non è diventata camionista a tempo pieno….

Sempre a proposito di patenti, lei  il camion lo guidava senza averla:

 


https://primanovara.it/cronaca/guidava-camion-con-la-patente-b-5mila-euro-di-multa/

 

Ci sono anche articoli che parlano di incidenti con donne camioniste coinvolte, come questo dell’anno scorso dove per fortuna la collega è uscita illesa:

 

https://www.oggicronaca.it/2020/10/a-tortona-una-donna-alla-guida-di-un-tir-vola-nella-scarpata-sulla-statale-camion-distrutto-lei-illesa/

E questo dove un’altra collega se l’è cavata col codice verde per fortuna:

https://www.milanotoday.it/cronaca/incidente-stradale/tangenziale-est-carugate-oggi-25-febbraio-2021.html

Questo invece  è quello che succede a fidarsi dei navigatori:

 E alla guida del mezzo pesante con targa inglese un equipaggio formato da due donne camioniste!
https://www.valsassinanews.com/2020/09/09/taceno-bellano-ennesimo-autotreno-a-rischio-incastro-e-se-contro-i-navigatori-bastassero-cartelli-piu-grandi/

Concludo con un articolo del 2015, di una collega aspirante cacciatrice:

 

https://www.lastampa.it/novara/2015/03/06/news/camionista-in-rosa-e-aspirante-cacciatrice-porto-sensibilita-in-un-mondo-maschile-1.35280585

Ne ho trovati anche altri, prossimamente ve li linko.

Un saluto a tutte le colleghe con  l’augurio di buona strada sempre!

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Un articolo di 26 anni fa…

 

Un articolo di 26 anni fa… questo della rivista “Tuttotrasporti” n° 160 del mese di febbraio del 1995.

Un articolo dedicato alle donne camioniste di allora: “Tocco rosa in cabina“.

A rileggerlo non sembra che le cose siano cambiate poi cosi tanto, è vero che il numero delle camioniste è aumentato nel corso degli anni, ma è anche vero che il settore dell’autotrasporto è ancora prevalentemente maschile, soprattutto al volante dei mezzi pesanti. E le donne ancora oggi vengono guardate con curiosità… forse c’è meno discriminazione quando si cerca un lavoro, ma la strada per la parità è ancora lunga…

Queste sono le pagine:

 

 

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La storia di Dayana

 

Un altro bel articolo che racconta la storia di una collega tratto dalla pagina di “Uomini e Trasporti” a firma di Elisa Bianchi.

E’ la storia di Dayana, una delle amiche del gruppo, camionista da sempre, nata e cresciuta in una famiglia di camionisti, sposata con un camionista, innamorata del suo lavoro!

Buona strada sempre Dayana !!!

Questo è il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/dayana-baruzzo-faccio-lautista-perche-sono-figlia-del-camion/

E questo è il testo:

Dayana Baruzzo: «Faccio l’autista perché sono figlia del camion»

Per Dayana l’autotrasporto è una questione di famiglia, ce l’ha nel DNA. Sale sul camion a 20 anni quando inizia a lavorare per la ditta del papà e da quel momento la passione che la lega al mondo dei trasporti non si è mai esaurita. E, com’è naturale, ha finito per trasmetterla ai suoi figli

«Non mi piace essere definita una veterana del settore, faccio solo il mio lavoro. Sono un’autista per passione». Dayana è abituata ad avere a che fare con i camion fin da piccolissima, quando guardava con ammirazione i mezzi della ditta del padre. A vent’anni si mette per la prima volta al volante e da allora la sua passione non l’ha mai più abbandonata. Oggi di anni ne ha 34, è mamma di due bimbi di 5 e 3 anni e ha lasciato la ditta del papà, in Veneto, per trasferirsi a Cremona per amore.

La storia professionale di Dayana inizia 14 anni fa a Venezia: «Fin da piccola ho sempre visto i camion di papà nel cortile – ci racconta – e raggiunta l’età giusta per guidarli non sono più riuscita a stargli lontano. Il mio lavoro era molto diverso da quello che svolgo oggi, ossia il trasporto bestiame. Portavo un bilico con cisterna per il trasporto di rifiuti e materiale chimico».

Cosa è cambiato dal tuo primo impiego ad oggi?

Grazie al mio primo lavoro come autista ho potuto girare ogni angolo dell’Italia e scoprire posti bellissimi che altrimenti, forse, non avrei mai avuto modo di vedere. Ero più giovane all’epoca, mi divertivo tantissimo con il mio lavoro, passavo intere settimane fuori con il camion. Per otto anni ho amato alla follia questo mestiere, poi ho incontrato l’amore della mia vita, anche lui un autista, e ho stravolto tutto. Mi sono trasferita in provincia di Cremona per stare con lui e l’anno dopo è nato il nostro primo bambino che oggi ha cinque anni. Ho deciso di prendermi una pausa dal lavoro, ma appena ho potuto sono tornata alla guida.

Quando hai ripreso a lavorare?

Tre anni fa, poco dopo la nascita della nostra seconda figlia. I bambini hanno iniziato ad andare al nido e così ho voluto ricominciare da dove ero rimasta, ma cambiando settore. Oggi infatti mi occupo di trasporto bestiame, suini per la precisione, per la FAVA Autotrasporti. Si è trattato di un cambio di rotta voluto, perché mi ha sempre affascinato l’idea del trasporto animali. È un lavoro molto più adrenalinico, ci vuole parecchia attenzione e cautela, soprattutto nei confronti degli animali. Io sono da sola, mi occupo anche del carico e scarico: è una responsabilità. Insomma, prima guidavo di più e facevo viaggi più lunghi, oggi al contrario percorro tratte più brevi, ma non mi fermo mai.

«Le donne che fanno questo lavoro sono abituate ad avere a che fare con gli uomini; ora gli uomini si dovranno abituare ad avere a che fare con le donne»

Come è la tua giornata tipo?

Tosta. Ho la sveglia prestissimo, solitamente verso le 2.30/3 del mattino e rientro con il camion nel pomeriggio, così da poter passare del tempo con i miei bambini, anche se non è facile. Quando torno sono in piedi da molte ore, sono stanca, loro invece sono dei vulcani, non vedono l’ora di vedermi e giocare con me. Io faccio il possibile per godermi il tempo con loro, cerco di dedicargli tutte le mie ultime energie.

Loro come percepiscono il tuo lavoro?

Sono ancora molto piccoli, ma nonostante questo saprebbero riconoscere il camion della mamma tra mille. Per loro è normale, sono sempre stati abituati a vedere sia me che il mio compagno alla guida di un mezzo pesante, entrambi ci sono già saliti. Sono a tutti gli effetti figli del camion. L’autotrasporto è una questione di famiglia, come per mio padre è stato naturale vedermi salire al volante, così per loro è normale vedere la mamma e il papà alla guida di un bestione della strada e se un giorno vorranno continuare questa tradizione io sarò contenta per loro.

Come riesci a coniugare l’essere mamma con il tuo lavoro? 

Non è facile, ho dovuto fare qualche rinuncia, come per esempio vederli la mattina e accompagnarli a scuola, ma è inevitabile. Mi faccio aiutare da una babysitter e pensa lei ad accompagnarli all’asilo. In compenso non dormo quasi mai fuori casa come facevo spesso un tempo e quindi posso vederli la sera.

Ci sono molte donne nel tuo settore? 

No, siamo pochissime e spesso ancora siamo guardate con sorpresa e un po’ di diffidenza. Si fa ancora fatica a capire il mestiere dell’autista. A volte mi chiedono se so fare manovra o se so caricare gli animali. Io sorrido, non c’è motivo di prendersela, effettivamente siamo poche donne ancora a fare questo mestiere, quindi rispondo che sono tre anni che ci provo e che mi sembra di riuscirci piuttosto bene, oppure quando termino la manovra con successo chiedo: «Allora, vanno bene le donne?».

«Fare il lavoro dei propri sogni è appagante, vedere che i tuoi figli lo apprezzano lo è ancora di più. La loro mamma è un’autista e ne vanno parecchio fieri»

A tuo avviso, cosa manca per rendere più attrattivo il settore anche per il mondo femminile?

Le donne che fanno questo lavoro sono abituate ad avere a che fare con gli uomini; ora gli uomini si dovranno abituare ad avere a che fare con le donne. Come autisti abbiamo tutti le stesse esigenze e necessità, si tratta solo di eliminare questo pregiudizio nei nostri confronti. Io ormai sono temprata, ma chi decide di iniziare a fare questo lavoro deve sapere che bisogna farsi le spalle forti, ingoiare tanti rospi, ma anche che un giorno si proverà così tanta soddisfazione da poter rispedire i rospi al mittente.

Il 2020 ha acceso un faro sul mondo del trasporto, tu come lo hai vissuto?

È stato un anno strano e difficile che ho avvertito particolarmente per via del settore di cui mi occupo, il trasporto bestiame appunto. Inizialmente abbiamo avuto un boom di domanda di carne e quindi più viaggi, più lavoro. Poi la richiesta è calata e così anche la mole di trasporti. Ci sono stati dei momenti in cui non era chiaro se avremmo lavorato ancora la settimana successiva oppure no. Dal punto di vista sanitario, invece, trattandosi di un lavoro prevalentemente all’aperto e con pochi contatti non mi ha creato particolari problemi.

Ad oggi qual è l’aspetto più bello del tuo lavoro? 

Sicuramente la soddisfazione che vedo negli occhi dei miei bambini quando rientro la sera e loro esplodono di gioia urlando «È arrivato il camion della mamma!». Fare il lavoro dei propri sogni è appagante, vedere che i tuoi figli lo apprezzano lo è ancora di più. La loro mamma è un’autista e ne vanno parecchio fieri.

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Una pioniera, un vaccino e tanta voglia di vivere!

Girando e rigirando ho trovato questo articolo su una delle prime camioniste italiane, anzi, sulla prima camionista del biellese, lei si chiama Antonietta, classe 1932 e ha appena  fatto il vaccino antiCovid!

Buona strada sempre Antonietta!

Questo è il link dell’articolo:

https://notiziaoggi.it/attualita/vaccinata-la-prima-camionista-del-biellese-antonietta-ha-89-anni/

E questo è il testo:

La sua storia presa ad esempio dall’Asl Biella.

Vaccinata la prima camionista

Classe 1932, prima camionista del Biellese, Antonietta è una delle giovani donne dell’Italia del secondo dopo guerra che hanno scritto una pagina importante della nostra storia. Con lo stesso spirito fiero e fiducioso verso la vita, domenica era lì in ambulatorio, in compagnia di altre coetanee, per fare il vaccino anti Covid. Prendiamo la sua storia come simbolo di una generazione di tante donne, ora nonne, che hanno affermato per la prima volta se stesse, per il bene delle loro famiglie e contribuendo così alla rinascita del Paese.
… Quasi come una storia che si ripete e nella quale ora siamo chiamati a fare lo stesso, prendendo in mano lo stesso testimone.
Subito dopo il matrimonio, a 22 anni, è arrivata con il marito dal Veneto nel Biellese per costruirsi una famiglia e un futuro, che ha saputo realizzare con tenacia e sacrificio.
Ha infatti sempre lavorato sodo mentre seguiva la famiglia che cresceva: negli anni ’50, appena poco più che ventenne, gestiva un banco di tessuti al mercato: guidava l’apecar, che le serviva per trasportare gli scampoli, che scaricava e caricava da sola ogni giorno.
All’età di 40 anni si è iscritta all’autoscuola per conseguire la patente di guida per camion, non badando molto al fatto che negli anni ’70 era ancora un ambiente prettamente maschile. Voleva sostenere il marito, con cui ha condiviso 63 anni della sua vita, nell’ambito dell’impresa familiare di autotrasporti conto terzi.
Riuscì nell’impresa e ottenne con molta forza di volontà – ci racconta – la patente, diventando così la prima donna camionista del biellese!
Oggi, pensionata, conserva intatti i suoi valori e lo stesso spirito “guida”. Donna, mamma, nonna sempre con il motore acceso dell’allegria, del buon umore. Nonostante l’età, le avversità della vita ed in barba alla pandemia affronta la vita “con cuor contento” sempre e comunque.
Il suo motto – conclude il suo racconto – “aiutati che il ciel ti aiuta; avanti tutta!”
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Correva l’anno 1997…


Un vecchio articolo che parla della sicurezza delle donne nelle aree di servizio tedesche e che le paragona a quelle italiane, c’è anche l’opinione di una collega, Liliana, che giustamente faceva notare che il problema sicurezza riguardava anche gli uomini… cosa è cambiato da allora?

 

Ecco il testo dell’articolo:

Venerdì 24 ottobre 1997  – l’Unità – L’UNA e L’ALTRO

 

Parcheggi per le automobiliste sulle autostrade tedesche. Cosa succede in Italia

 

La camionista: «La sicurezza riguarda anche gli uomini»

 

Nessun censimento sul numero di donne al volante nel settore trasporti, ma il fenomeno è in crescita.

I camionisti «importunati». «Certo, nel nostro Paese con il camion non si è mai sicuri».

 

Viaggiando di notte lungo le autostrade tedesche vi potrebbe capitare di scorgere,nelle piazzole degli Autogrill e dei distributori di carburante, un’insegna luminosa che dice: «Frauenparkplatz bitte 3 Platze  freihalten», alla lettera: «Parcheggi per donne, prego lasciare tre posti liberi». È un’iniziativa, promossa da una legge federale, varata lo scorso agosto dal ministero dei Trasporti tedesco, per garantire più sicurezza alle donne sulle autostrade. In passato, sono stati registrati casi di aggressione di donne in aree di servizio autostradali, situazione che spesso ha demotivato  le guidatrici a fermarsi, costringendole a lunghi viaggi notturni senza sosta, minando così la loro e l’altrui sicurezza.

La nuova legge prevede da 2 a 4 posti, riservati alle donne, nelle 423 aree di servizio esistenti; inoltre, impone la verifica di sicurezza con test da effettuare nei percorsi dal parcheggio ai servizi della piazzola per controllare che non ci siano zone dove è possibile nascondersi; infine la verifica di un’illuminazione sufficiente e quella della buona visibilità del cartello segnaletico, sia dalla strada sia dall’autogrill o benzinaio. L’iniziativa, promossa in seguito a una mozione della frazione femminile dell’Spd, si immette nella scia della pianificazione urbana avviata già da tempo nel paese, atta a garantire più sicurezza alle donne anche di notte: posteggi riservati in prossimità delle uscite negli autosilo, sottopassaggi e ingressi della metropolitana illuminati a giorno proprio nelle ore notturne.

Le donne, in Germania, si sono divise: per una parte si tratterebbe della solita discriminazione maschile che vuole le donne deboli e indifese.

E in Italia qual è la situazione? La prima risposta l’abbiamo avuta da una delle poche camioniste che solcano le nostre strade nel cuore della notte con carichi e responsabilità di merci e orari da rispettare. E abbiamo scoperto un fenomeno davvero particolare. Ma occorre una piccola premessa.

Al Ministero dei Trasporti così come a quello dei Lavori Pubblici-Ispettorato di circolazione e traffico «non ci sono dati in proposito in quanto non ne sono mai stati raccolti». E ancora:  «Le camioniste in Italia non le ha contate mai nessuno. Sono, sicuramente un fenomeno in crescita, ma dai dati oscuri», racconta Alfonso Trapani, responsabile dei trasporti internazionali della Fita (la federazione sindacale di categoria). «Non si conoscono le cifre della percorribilità notturna o diurna femminile e quindi non si prevede alcuna differenziazione». Camionista è Liliana Pavanelli di Como, della ditta Trasporti Ridi, nonché presidente provinciale della Fita: «Difficile quantificare il fenomeno. Certo, da parte degli uomini, colleghi e non, c’è ancora stupore nel vedere una donna alla guida di un camion, soprattutto andando verso il Sud. Capita, quando mi incrociano che, in successione, prima guardino in cabina, poi la targa e poi di nuovo in cabina: non credono che al volante ci sia un’italiana».

Ma lei, la camionista, si sente sicura sulle autostrade italiane? «La sicurezza, esordisce, la vogliono pure gli uomini. Se dovessero fare un progetto simile a quello tedesco in Italia, sarebbe giusto farlo anche per gli uomini. Bisogna rendere sicure per tutti le piazzole di sosta. Ormai è frequente che siano i camionisti a essere importunati. Sulla Serenissima e sull’Autostrada del Sole il fenomeno è in aumento: una macchina, con uomini a bordo, si affianca e fa proposte e gesti molto eloquenti. Alle volte scendono e bussano alla cabina interrompendo e disturbando il sonno del camionista di turno. Molto spesso, il malcapitato, accende il motore e riparte prima ancora di aver esaurito la sosta prevista e concluso le ore di riposo, rischiando anche la multa. Si vive sempre sul chi va là e una macchina che ti affianca ti fa pensare immediatamente ad un furto, magari a quello del camion. La reazione del camionista, una volta che chi importuna manifesta le sue intenzioni, finisce per essere di sollievo». Poi Liliana prosegue con uno stanco, ma rassegnato elenco di problemi, perché si lavora nel disagio. «In Italia, con un camion, non si è mai sicuri. E questo vale sia per gli uomini che per donne.

Non si dorme mai tranquilli, soprattutto dall’Emilia in giù. A differenza di quanto offrono le strade all’estero, soprattutto in Germania, le piazzole di sosta sono sempre piene, mancano i servizi igienici, non ci sono le docce sufficienti e non sono installate dappertutto. Cinque, sei anni fa, fu messo a punto un progetto in collaborazione con l’Agip che prevedeva l’ampliamento delle piazzole di sosta e disponeva di attrezzare con docce le aree di servizio. Inoltre,per tirare via i camionisti dalle cabine, il progetto prevedeva anche la “sala distensiva”, dove era possibile guardare la tv, rilassarsi e il camion intanto lo si controllava con un circuito televigilato, a pagamento. Sarebbe stato utile soprattutto per la sicurezza. Ma, recuperare la stanchezza e viaggiare puliti, è un’altra cosa. Comunque, un progetto per la sicurezza della guida e di chi guida, è giusto se garantisce anche gli uomini, visto che attualmente, loro, sulla strada sono la maggioranza».

Porzia Bergamasco

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Quote rosa nel mondo del lavoro…

 

Altre storie di donne grintose che non temono i lavori “maschili”.

Da Varese news di qualche anno fa, questo è il link:

https://www.varesenews.it/2017/03/da-lady-truck-alla-tata-dei-fiori-le-donne-vincono-la-sfida-del-lavoro/601130/

E questo è l’articolo:

Da “Lady truck” alla “tata dei fiori”, le donne vincono la sfida del lavoro

Quote rosa, record lombardo a Sondrio con 6 aziende su 10

Fiori d\'autunno

Ogni notte, verso le 3, da dieci anni Franca Meroni esce di casa nella sua azienda di Inzago (ai confini orientali della provincia di Milano), carica il camion di verdure, si mette al volante e guida un tre assi di quasi 11 metri fino all’Ortomercato di Milano.

“All’inizio mi hanno guardata un po’ così, poi si sono abituati, anche perché non sono una che si fa mettere i piedi in testa” racconta la “Lady truck” delle insalate. Lei – spiega la Coldiretti regionale in occasione della Festa della Donna – è una delle oltre 10 mila imprenditrici titolari di aziende agricole in Lombardia. Insieme al fratello, dopo aver raccolto il testimone dai genitori, conduce un’azienda di 24 ettari con più di 200 serre. “La prima volta che ho guidato il camion dieci anni fa è stata un po’ una sfida come me stessa – spiega – era un due assi di circa 7 metri. Mio fratello mi ha chiesto: te la senti di andare fino all’Ortomercato? Ho risposto che ci provavo. All’inizio ero un po’ impacciata, adesso vado e torno e faccio tutte le manovre senza problemi. All’Ortomercato si sono abituati a vedermi”.

Anche se ogni tanto qualcuno rimane sorpreso, come i poliziotti che una volta in tangenziale a Milano alle 3 del mattino hanno fermato il camion pieno di verdura e dopo aver scoperto la donna al volante, hanno chiesto: “Ma signora, dove sta andando?”. Al lavoro, come tutti giorni . “Poi torno in azienda e seguo anche la contabilità e il resto delle cose insieme a mio fratello. Certo a certi orari non ti abitui mai, ma il lavoro mi piace. Credo che una donna, se vuole, possa arrivare dappertutto”. Anche al volante di un bestione da 24 tonnellate.

In Lombardia – spiega la Coldiretti regionale su dati Camera di Commercio di Milano – la provincia che ha la maggior incidenza femminile in agricoltura è Sondrio, dove quasi 4 aziende su 10 sono guidate da donne, contro una media regionale del 22%. Per quanto riguarda gli altri territori, sopra il 20% di quote rosa in agricoltura troviamo: Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Milano, Pavia e Varese. La provincia che invece ha il numero assoluto più alto di imprese agricole in mano femminile è Brescia con 2.201 realtà, a seguire Pavia con 1.564, Mantova con 1.526 e Bergamo con 1.205. “Uomo o donna non fa differenza – spiega Beatrice Lampugnani, 30 anni, di Orsenigo (Como), che è laureata in architettura del paesaggio e lavora tra piante e fiori con il padre e il fratello – io mi pongo sempre come una che in questo settore ci è cresciuta e con gli altri giardinieri non ho mai avuto problemi. L’importante è che si veda che sei una persona professionale. Forse in passato c’era qualche differenza fra uomini e donne sui lavori da svolgere, ma adesso non più. Le donne possono fare tutto. Anzi, forse sono gli uomini che non fanno tutto quello che fanno le donne”.

Le donne sono cresciute – afferma Wilma Pirola, che ha un’azienda di mucche da latte, è leader delle imprenditrici della Coldiretti regionale e Presidente della Federazione Coldiretti di Pavia – prima si occupavano di tenere in ordine i conti e le fatture, adesso entrano sempre di più nell’attività operativa quotidiana di gestione dell’azienda e nelle scelte di pianificazione e investimento. E non stiamo parlando solo di settori legati ai servizi di turismo e ristorazione, ma anche in quelli più tradizionali come gli allevamenti da latte o la viticoltura”.

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Lavori “maschili”…

 

E’ di qualche hanno fa questa inchiesta del “Corriere della sera” sulle donne che fanno lavori ancora troppo spesso considerati per lo più maschili…tra di loro c’è anche una collega!

Questo è il link:

https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/16_marzo_10/questo-non-lavoro-donne-maschili-storie-423535c4-e639-11e5-91a4-48cd9cc4cb64.shtml

E questo è l’articolo:

Dal volante del camion alle cime
degli alberi: la forza delle donne

In Lombardia sono sempre più le ragazze che fanno mestieri una volta considerati «maschili» e ne sono orgogliose. Tre storie esemplari: Monica, Rossella, Giovanna

Nella foto, da sinistra: Rossella Nigro, fabbro; Giovanna Ciraci, giardiniere; Monica Fontana, furgonista (Fotogramma)
Nella foto, da sinistra: Rossella Nigro, fabbro; Giovanna Ciraci, giardiniere; Monica Fontana, furgonista (Fotogramma)

Guidare camion, riparare guasti meccanici, risuolare scarpe non è più solo roba da maschi. In Italia sono sempre di più le «lei» che fanno il lavoro di «lui»: 3 mila camioniste, 480 elettriciste, 2700 «fabbre», 1230 meccaniche, 480 idrauliche e 370 calzolaie, secondo uno studio di Camera di Commercio di Monza e Brianza. La Lombardia è la regione con le percentuali più alte di donne impegnate in mestieri tradizionalmente maschili, e in Brianza lavorano tante «fabbre» (9,8%) e tappezziere (10,7%). Mestieri della tradizione che la crisi ha fatto riscoprire.

Chi l’ha detto che è un lavoro da uomini?
Tagliare l’acciaio

La versione femminile del fabbro si chiama Rossella Nigro, 46 anni, unica donna a capo della Carpenteria Metallica Cini di Limbiate, fondata dal padre Domenico nel 1987. Tuta da lavoro e guanti di protezione maneggia con disinvoltura i seghetti a nastro per il taglio dell’acciaio al carbonio, così come i termini tecnici delle parti delle piattaforme petrolifere che da Limbiate partono per la Russia e la Malesia. «Il mio destino era quello di segretaria — racconta — ho iniziato a 14 anni a battere a macchina preventivi e fatture per mio padre». Ma dopo gli studi di ragioneria e l’ingresso in azienda si è occupata di tutto: dalla progettazione tecnica insieme ai clienti, dalla produzione fino alla messa in opera. Quando incontra i clienti la prima impressione è di sorpresa: «All’inizio c’erano pregiudizi. Quando ingegneri e progettisti capiscono che sai bene di che cosa stai parlando e riesci anche a dare il consiglio giusto, sento una grande stima». Presidente di Donne Impresa di Confartigianato, Rossella crede che anche in un lavoro «maschile» come il suo le donne possano avere una marcia in più. «Siamo precise e organizzate — dice — e questo snellisce tutte le procedure. Sappiamo come gestire la produzione, facciamo pratica ogni giorno gestendo famiglia e lavoro». Lei ha due figli adolescenti e poco tempo libero. Il vero lusso? «Una camminata all’aria aperta e una seduta dal parrucchiere mi rimettono in forma».

Acrobazie sui rami

Non rinuncia alla femminilità nemmeno Giovanna Ciraci, «giardiniere acrobata» nei parchi più belli della Brianza. La sua specialità è il tree-climbing, ovvero l’arrampicata tra i rami in sicurezza che consente di effettuare la potatura dall’interno della pianta, verificare da vicino la stabilità e la salute di ogni esemplare. Una laurea in biologia, 41 anni, ha lasciato la Puglia per approdare alla scuola d’agraria del parco di Monza. È qui che ha imparato la progettazione del verde e come utilizzare la motosega «volando» con corda e moschettoni da un ramo all’altro. Ai nuovi clienti di solito si presenta in coppia con il compagno con cui ha fondato l’azienda Naturainmente a Renate: «Tutti pensano sempre che io lo stia accompagnando. Quando mi vedono prendere in mano la sega elettrica prima mi guardano storto, poi ammirati». Se dovesse identificarsi con una pianta sceglierebbe la Davidia Involucrata: «È più nota come l’albero dei fazzoletti e non è molto diffusa. Io trovo che sia bellissima, delicata, avvolgente, un po’ come sono io». Del suo lavoro ama la parte creativa, quella forse in cui può esprimere al meglio la sua femminilità: «Mi piace scegliere le essenze e i materiali e vedere nascere un nuovo progetto verde e poi arrampicarmi tra i rami mi permette di scoprire bellissimi nidi».

Chilometri d’asfalto

Sono chilometri di asfalto quelli che segnano le giornate di Monica Fontana, 31 anni, «furgonista» nell’azienda di trasporti di famiglia a Concorezzo. La sua giornata inizia presto: alle sei è già al volante del «Master» bianco, più di cento chilometri al giorno, spesso bloccata nel traffico, in compagnia della radio. La cabina di guida è ordinata, nessuna «personalizzazione» con foto e amuleti come fanno i colleghi uomini. «Noi donne siamo più serie — dice ridendo —anche più pignole e attente agli imballaggi. Ci prendiamo davvero cura della merce che trasportiamo». L’arrivo in un magazzino è sempre il momento di maggiori imbarazzi: «Ci sono uomini che si sbracciano per aiutarmi a fare manovra — racconta — altri che vogliono intervenire per sganciare il telone o agganciare il carico al muletto». A volte il tono è gentile, ma spesso le è capitato di sentirsi dire: «Ci penso io» con l’invito a farsi da parte. «In quei momenti provo fastidio», dice. Monica è una donna che ama cavarsela da sola. L’ha capito bene il suo compagno Andrea, che ripete: «Ogni tanto mi fai fare l’uomo?».

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La storia di Sara dalla Sardegna

Un altro articolo che racconta la storia di una collega tratto dalla pagina di “Uomini e Trasporti” a firma di Elisa Bianchi.

E’ la storia di Sara, una delle poche camioniste che viaggiano in Sardegna ma che con orgoglio percorre le strade della sua bella isola!

Buona strada Sara!

Questo è il link dell’articolo:

https://www.uominietrasporti.it/uet-blog/anche-io-volevo-il-camion/sara-cenedese-una-delle-pochissime-autotrasportatrici-sarde-ragazze-non-abbiate-paura-di-guidare-un-camion/

E questo è il testo:

” Sara Cenedese, una delle pochissime autotrasportatrici sarde: «Ragazze, non abbiate paura di guidare un camion»

Prima la passione per l’insegnamento, poi il sogno di entrare nell’esercito, infine la decisione di portare avanti l’azienda di famiglia. Lei è Sara Cenedese, ad oggi tra le pochissime donne autotrasportatrici presenti in Sardegna che dal 2008 affianca il papà alla guida (oltre che del suo camion) anche della Cenedese Sergio Pietro Autotrasporti

Sara nasce nel 1979 a Terralba, in provincia di Oristano, ma prima di intraprendere la strada dell’autotrasporto nell’azienda di famiglia, fondata a metà degli anni 50 dal nonno paterno, e trovarsi alla guida del suo camion frigo giallo paglierino – un Mercedes-Benz Actros di cui va molto fiera e con cui trasporta latte e latticini – di strade ne ha provate altre: «Avevo le idee un po’ confuse da piccola, prima volevo fare la maestra d’asilo, poi ho provato ad entrare nell’esercito e nella polizia».

Cosa ti ha fatto cambiare idea?

In realtà quella di prendere le redini dell’azienda di famiglia è un’idea che mi ha sempre stuzzicato, anche se papà non ha mai fatto pressione su me o i miei fratelli. Terminati gli studi superiori sono andata due volte a chiedere informazioni a scuola guida prima di prendere la decisione di iscrivermi. Ci ho voluto riflettere con calma, anche se la passione per la guida non mi è mai mancata. Una volta presa la decisione, però, non mi sono più fermata: nel giro di un anno ho conseguito tutte le patenti necessarie, grazie anche all’incoraggiamento di mio nonno materno che mi ha sempre spronata.

E così hai iniziato a lavorare con tuo papà…

Sì, inizialmente gli davo una mano part-time, lo accompagnavo nei viaggi più lunghi e guidavo al ritorno. Per i primi due anni ho lavorato anche a chiamata con una compagnia privata di pullman: accompagnavo i ragazzi a scuola e per un certo periodo ho guidato un pulmino per un ragazzo disabile. Nel 2015 ho deciso di dedicarmi totalmente all’azienda di famiglia, di cui oggi gestisco anche la parte amministrativa, coadiuvando papà che non poteva più continuare a fare tutto da solo. Ci siamo dati il cambio, oggi è lui ad accompagnare me quando può, ma anche mia mamma spesso mi segue nei viaggi più brevi. Ci ha sempre dato una mano in azienda e le sarebbe piaciuto poter guidare anche lei un camion.

Come è stato passare dal pulmino della scuola a un camion frigo? Un bel cambiamento…

All’inizio non è stato facile. In Sardegna ci sono parecchie strade strette e io mi irrigidivo. Ho dovuto fare molta pratica, ma grazie all’aiuto e agli insegnamenti di mio padre oggi so come affrontarle. Ricordo una mattina di qualche anno fa, il camion mi dava problemi, il rallentatore si surriscaldava e me la sono cavata da sola, scalando le marce a mano. Sono soddisfazioni quando riesci ad affrontare un problema. Ormai non mi ferma più niente o nessuno e quando serve guido anche l’ambulanza. Sono una volontaria della Croce Rossa, per cui a volte mi capita di dover guidare anche quella. Eppure, per un certo periodo, ho avuto paura delle auto.

Hai guidato praticamente ogni mezzo, perché proprio l’auto?

Nel 2013 ho avuto un brutto incidente, qualche giorno prima di Natale. Ero uscita dal corso della Croce Rossa e mi stavo dirigendo verso quello per il CQC quando mi hanno tagliato la strada. Ho distrutto la macchina. Sono stata fortunata, però, perché proprio quella mattina avevo deciso di prendere in prestito l’auto di mio padre, più grande e robusta, invece che la mia. Non posso fare a meno di pensare che se non avessi fatto quella scelta inconsapevole sarebbe andata diversamente. È stato un incidente importante e che mi ha scossa parecchio. Quando sono tornata a guidare mi tremavano le gambe, avevo paura.

Come l’hai superata?

Sono molto testarda, mi sono detta «Sara, tu lavori guidando, non puoi permetterti di avere paura, devi vincere tu». Così ho fatto. Oggi la paura è scomparsa. In realtà, per fortuna, alla guida del mio camion mi sono sempre sentita sicura e a mio agio, non mi sono mai tremate le gambe. Se ho difficoltà cerco di battere la paura sul tempo, non bisogna lasciarsi intimorire, ma reagire. Diciamo che è la mia personale ricetta contro la paura, la stessa che mi sento di suggerire quando mi chiedono se non ho timore a guidare un camion.

È una domanda frequente? 

In Sardegna siamo pochissime donne a fare questo mestiere. Quando ho iniziato eravamo un paio, non di più, e la gente ancora si sorprende quando mi vede alla guida del mio camion giallo, che peraltro non passa per nulla inosservato. Capita spesso quindi che qualcuno mi guardi con stupore o mi dica che non ha mai visto una donna alla guida di un mezzo del genere, io sorrido e rispondo che c’è sempre una prima volta. Molte donne si congratulano con me, mi dicono che se potessero tornare indietro lo farebbero anche loro. Mi fa piacere sentirmelo dire, vuol dire che stiamo abbattendo dei muri. Da queste parti guidare è una necessità: se non hai la macchina diventa difficile spostarsi o essere indipendente, per cui dico: «Ragazze, non abbiate paura: se potete guidare una macchina, potete guidare anche un camion!».

Che altre passioni hai oltre alla guida? 

Nel tempo libero sono una ballerina di balli caraibici, anche se ora sono ferma per via del Covid. Qui la pandemia ci ha dato parecchi problemi anche sul lavoro: non essendoci autostrade non avevamo modo di fermarci in aree di ristoro. I bar lungo le strade erano chiusi e nei punti di scarico non si poteva andare in bagno. Sono stati mesi difficili, penso che questo aspetto sia stato sottovalutato. Mi sono arrangiata cercando di bere il meno possibile così da non dover avere questa esigenza, ma non è giusto. La mia salvezza erano i viaggi ad Olbia, dove potevo usufruire dei servizi della stazione marittima, ma significava comunque fare oltre 200 chilometri senza trovare un bar aperto. Sicuramente è stata una difficoltà per tutti, ma per noi donne, anche se siamo poche, lo è stata molto maggiore.

Cosa ti aspetti dal futuro? 

Ho due obiettivi: tenere in piedi l’azienda di famiglia e continuare a guidare. La passione c’è ed è tanta, alla fine anche se ho tergiversato prima di prendere questa strada sento di aver fatto la scelta giusta. Oggi sono felice, ma non è sempre facile e qualche tutela in più non guasterebbe. Sicuramente così facendo si invoglierebbero anche più donne a intraprendere questa professione. Sarebbe un’altra bella sfida per il futuro.

 

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“Bruna” la camionista

 

Un mio amico mi dice sempre che sono un “cane da caccia”, perchè quando cerco qualcosa nel web di solito lo trovo. Il segreto, se cosi si può chiamare, sta tutto nella chiave di ricerca.  A seconda di cosa si digita in Google si trovano più o meno notizie inerenti all’argomento cercato.

Io di solito cerco notizie sulle camioniste, perchè mi piace conoscere le storie delle altre donne che hanno scelto di fare questo mestiere, perchè mi piace inserirle nel nostro blog “Buona strada” per renderlo una sorta di album dei ricordi della nostra professione, perchè mi è sempre piaciuto pensarci come una grande famiglia. Una “sorellanza” che nasce dalla passione che ci unisce per il lavoro più bello che c’è!

Quando mi voglio rilassare passo un pò del mio tempo libero in queste ricerche e come potete vedere pian piano l’album dei ricordi si sta riempiendo di sempre nuove (o vecchie?) storie!

A volte mi capita di imbattermi in articoli che raccontano la storia di pioniere del volante, l’ultimo che ho trovato è questo, racconta la storia di  Antonietta Bertini, detta “la Bruna” che faceva la camionista negli anni ’60/’70 (ma non ci sono date precise). La cosa curiosa è che ho trovato la foto di questo ritaglio di giornale in un articolo sul cinema italiano in cui si parlava di Dino Risi… si ipotizzava tra altre cose che il regista potesse aver preso spunto da questa storia per poi realizzare il film “Teresa”. Ma era solo un’ipotesi e non sapremo mai se corrisponde alla realtà. 

 

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Filomena, una donna contro i pregiudizi

Qualche mese fa vi ho parlato di un libro, “CB Filomena” di Carmela Bruscella, un romanzo che racconta la storia di una donna camionista, Filomena appunto…

Ora ho trovato questo articolo dedicato a lei, alla sua storia e al libro che la racconta.

https://www.storieoggi.it/2021/01/16/filomena-la-donna-che-ha-combattuto-i-pregiudizi-guidando-un-camion/

 

E’ una bella storia, fatta di coraggio e tenacia, perchè in quegli anni non era facile farsi accettare come donna camionista, c’era lo stupore di chi la vedeva al volante, ma c’era anche l’ostinazione di chi non la voleva vedere al volante!

Questo è l’articolo:

Filomena, la donna che ha combattuto i pregiudizi guidando un camion

Partita da Acerenza per il Piemonte, ha sempre fatto l’autista per l’impresa edile del marito Canio

Un modello per le ragazze di oggi: la storia raccolta in un libro da Carmela Bruscella

“Quando si fermava ai semafori, gli automobilisti che l’affiancavano la guardavano con stupore e meraviglia: una donna minuta, bella e femminile alla guida di un camion. Lei, per niente turbata, li ha sempre disarmati con un sorriso.

Altre volte, quando si presentava agli ingressi di aziende o di cave, non la facevano entrare. Oppure non caricavano l’automezzo con il materiale, perché aspettavano un autista maschio per dare il via alle operazioni.

Agli inizi la vita di Filomena è stata così: un continuo combattere con la diffidenza degli altri.

Fin da quando, per aiutare il marito, un piccolo imprenditore edile, aveva deciso di mettersi alla guida del furgone da nove posti con il quale portava i dipendenti sui cantieri.

Eppure Filomena si era mostrata audace fin da ragazzina, quando non ancora sedicenne, aiutava la sua famiglia nei lavori in campagna.

La storia di Filomena Lucente, la donna che ha vissuto gran parte della sua vita alla guida di un camion, è stata raccontata da Carmela Bruscella, nel libro “Cb Filomena”, edito da Letteratura Alternativa.

“Cb – avverte l’autrice – non sono le mie iniziali ma è la sigla con cui internazionalmente si chiama la ricetrasmittente che usano gli autisti del camion”.

Uno strumento e un linguaggio fatto di sigle per comunicare. Ma Filomena ha “comunicato” sempre con i fatti, con il suo modo di essere e di agire,  rappresentando  un modello di emancipazione reale, proprio negli anni in cui le donne lottavano per vedere riconosciute certe conquiste.

Filomena nella cabina del camion della ditta di famiglia

Siamo negli anni Sessanta. Ad Acerenza. Il padre di Filomena è guardiano in una masseria della zona, La Polosa. Filomena, quand’è il periodo della raccolta del grano, parte dal paese con il suo cavallo per portare al padre le taniche di gasolio che serve a far funzionare il trattore. Un Om 311 sul quale lei si era seduta più volte alla guida. Coi mezzi meccanici aveva confidenza.

Già a quell’età era audace, capace, testarda. A 21 anni, a una festa di matrimonio, conosce Canio. Gli piace. Si piacciono. Si scambiano promesse d’amore. Restano fidanzati un anno e mezzo, poi si sposano. La cerimonia viene fatta proprio nella masseria dove lavorava il padre.

 

Poi gli sposi, come avveniva spesso in quel periodo, lasciano Acerenza. Lui aveva una azienda di edilizia, si era trasferito in Piemonte da tempo, ma ora stava costruendo una palazzina vicino Savona. La coppia di sposini si trasferisce lì, Borghetto Santo Spirito.

Filomena ci tiene a dare una mano al marito. Vuole aiutarlo, come aveva sempre fatto, del resto, con la sua famiglia.

Si fa assumere come collaboratrice: fa di tutto nei cantieri. E ben presto si mette  alla guida del furgone con il quale trasporta i suoi dipendenti, va a fare piccole commissioni.

Con gli anni la ditta si  ingrandisce, Filomena  e Canio acquistano un camion più grande, più capiente, perché adesso si occupa anche di movimento terra: un Renault 130 da 80 quintali di portata.

Quel mezzo diviene presto la seconda casa di Filomena. Ma anche uno strumento per combattere i pregiudizi: una volta fu necessario chiamare il geometra della ditta per avere conferma che l’autista inviato dalla ditta fosse proprio lei,  prima di darle il materiale di cui aveva bisogno. Un’altra la tennero fuori da una cava, perché gli operai non si aspettavano una conduttrice donna. Ostacoli che avrebbero potuto demoralizzarla, ma che lei ha sempre superato con il suo sorriso, la sua tenacia, i suoi modi gentili.

Carmela Bruscella racconta questa storia intrecciandola, nel suo romanzo, con storie di altre donne comuni e contemporanee, mettendo in risalto come l’esempio di Filomena sia riferimento anche tanti anni dopo.

Filomena Lucente

Filomena e il marito Canio vivono ancora in Piemonte. Hanno avuto due figli e, come hanno sempre fatto, non hanno mai reciso le loro radici con la terra natia. Sono membri attivi dell’Associazione Culturale Amici della Lucania di Asti e Provincia. Promuovono, insieme agli altri soci, la Basilicata, le tradizioni e i prodotti della terra da cui provengono.

E lo fanno con passione e anche impegno costante. Tanto che, pochi mesi fa, il presidente dell’Associazione culturale amici della Lucania di Asti e provincia Antonio di Stasi, a nome di tutti i soci le ha conferito un riconoscimento “per la sua tenacia e intraprendenza nel lavoro. Un esempio per tutti, la sua storia di emigrazione, sacrifici e di lavoro, ha evidenziato come la donna abbia contribuito al miglioramento della vita della famiglia nei paesi di destinazione”.

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