Cerco sempre nuovi libri ad argomento camion e camionisti. A volte trovo romanzi, a volte raccolte di fotografie, altre testi un po’ tecnici, poi ci sono quelli che mi piacciono di più, quelli che raccontano storie di strada, di viaggi, di passione e di fatica. La vita dei camionisti.
L’ultimo che ho letto si intitola “SULLE STRADE DI MIO PADRE”, scritto da Josè Henrique Bortoluci, il figlio del protagonista.
Josè, conosciuto come Didi è suo padre. Un padre ormai anziano (classe 1943) , malato, che ha passato la vita a lavorare, da quando era solo un bambino nel podere di famiglia, poi come meccanico, e dal 1965 al 2015 come camionista.
Le sue strade sono state quelle del Brasile, che ha attraversato in lungo e in largo, anche quando di strade ancora non ce n’erano e che lui ha contribuito a far costruire.
E’ bello questo libro perché racconta in parallelo storie diverse: i viaggi in camion di Didi, la storia sociopolitica del Brasile, il suo evolversi nel corso degli anni e la malattia, il cancro che lo ha colpito e il percorso di cure a cui si è dovuto sottoporre.
Non c’è una cronologia precisa, i racconti si intersecano tra loro ed è bello scoprire la storia di questo paese dall’altra parte del mondo, è bello scoprire le differenze di vedute tra padre e figlio, il primo che ha passato la vita a lavorare e che divide le persone in “lavoratori” e “fannulloni”, il secondo, il figlio, che ha studiato, è un accademico, vede il mondo con occhi diversi, ma cerca di avvicinarsi a quello di suo padre chiedendogli di raccontargli la sua vita, le sue esperienze, le sue convinzioni.
Una vita REALE, fatta di lunghi viaggi, di lunghe assenze da casa, dove sua moglie e i suoi figli aspettavano il suo rientro dopo giorni, settimane, anche mesi a volte, arrivava con il suo camion, erano un tuttuno, e dopo pochi giorni ripartiva per un altro viaggio. Una vita di fatica, quella vera, quella vissuta in un paese che cercava di crescere, anche devastando la foresta amazzonica, strappando terreno agli alberi per farne campi per colture estensive o pascolo per il bestiame.
I camionisti trasportavano materiale per costruire, portavano via il legname. Non si facevano domande, per loro era lavoro… loro andavano dove li pagavano per andare, affrontando di volta in volta i problemi che gli si ponevano davanti, con quella solidarietà di categoria che li contraddistingueva in quegli anni, dove ogni viaggio era un’avventura.
E’ un libro che consiglio perché da la possibilità di confrontare il nostro vissuto con quello di persone lontane eppure vicine in certi modi di essere e di affrontare gli eventi della vita.
Un libro bello, uno di quelli che sicuramente tornerò a leggere, lo faccio sempre con quelli che mi danno emozioni e spunti di riflessione.
Questa volta la nostra amica Elisa Bianchi di UOMINI E TRASPORTI ha intervistato Elena, una collega di Sassuolo, che dopo tanti anni in fabbrica ha deciso di dare una svolta alla sua vita e di salire su un camion!!
Elena Bortolotti, dalla fabbrica al camion: «In cabina ho ritrovato il sorriso»
Era il 2018 quando Elena Bortolotti trovava il coraggio di dare una svolta alla sua vita prendendo le patenti del camion, dando fondo ai pochi risparmi messi da parte con sacrificio. Oggi Elena ha raggiunto il suo obiettivo, è un’autista, ma la strada è stata in salita. Dalle aziende che le hanno sbattuto la porta in faccia dicendole «non assumiamo donne», alla gavetta durante il Covid con il fratello autista, senza il cui aiuto quel sogno non si sarebbe realizzato. Elena ci ha raccontato la sua storia e come è cambiata la sua vita
«Sono una mamma single di (quasi) 47 anni. Mia figlia ha vent’anni, la mantengo da sola da quando ne aveva sei, ma con tanti sacrifici credo di averla tirata su bene. Per più di 20 anni ho lavorato in fabbrica, ma quando mi sono ritrovata senza lavoro, nel 2014, ho dovuto arrangiarmi facendo un po’ di tutto: ho pulito i bagni, ho raccolto l’uva, ho servito ai tavoli in un ristorante. Facevo anche più lavori per volta per portare a casa i soldi. Nel 2018, con i pochi risparmi rimasti e mia figlia ormai adolescente, ho preso la grande decisione di dare una svolta alla mia e alla sua vita: mi sono iscritta a scuola guida, ho preso le patenti e sono salita in cabina. Oggi sono un’autista e non potrei essere più felice».
Si presenta così Elena Bortolotti, classe 1977 e originaria di Sassuolo, in provincia di Modena. Quando le chiediamo di raccontarci la sua storia Elena ci spiazza: è un fiume in piena, ha voglia di raccontarsi, di raccontare la sua storia di riscatto. Partiamo allora proprio da qui, dal momento in cui ha deciso di dare una svolta alla sua vita.
Come è andata esattamente e perché questa scelta?
La mia è sempre stata una famiglia di autotrasportatori: prima mio nonno Bruno, poi mio padre Erminio e infine mio fratello William hanno scelto questa professione. Da bambina mi è capitato di fare qualche viaggio con mio papà e così è nata anche in me la passione. Avrei voluto farlo anche io, ma quello che all’epoca era mio marito non era d’accordo, così ho fatto tutt’altro. Per vent’anni ho lavorato in una fabbrica di ceramica, ma nel 2014 il datore di lavoro ha dichiarato fallimento e ci ha lasciati tutti senza lavoro e con diversi mesi di stipendio arretrati, così ho dovuto cavarmela. Ho fatto qualunque lavoro mi si proponesse. È stato un periodo decisamente faticoso, sia mentalmente che fisicamente. Nel 2018 ho deciso di investire i pochi soldi che avevo da parte nelle patenti, un po’ per passione, un po’ per necessità.
La ricerca del primo lavoro da autotrasportatrice come è andata?
Non è stato facile trovare lavoro, infatti per un po’ di tempo ho dovuto continuare a lavorare saltuariamente in fabbrica. Mi sono sentita dire chiaramente da alcune aziende «non prendiamo donne».
E come ti sei sentita?
Non era una novità, in molti settori è così. Anche nella fabbrica dove ho lavorato per tanti anni, per esempio, erano titubanti ad assumere donne giovani. In più io non avevo esperienza nell’autotrasporto, ma fortunatamente ho potuto contare su mio fratello. Ho iniziato a fare un po’ di gavetta con lui sul suo bilico. In qualche modo dovevo pur iniziare, no? Facevamo viaggi in multipresenza ed è stata un’esperienza bellissima, anche se il periodo non è era dei migliori perché era quello del Covid. Lui è stato un gran maestro, anche se molto severo. Non potevo neanche riposarmi quando non era il mio turno di guidare perché voleva che rimanessi attenta per imparare il più possibile, però mi ha aiutata tanto. Se ci penso ancora mi emoziono, il supporto di un fratello non ha prezzo.
Poi alla fine però il lavoro è arrivato…
Sì, ma sempre grazie al suo aiuto. Quando mi sono sentita pronta a partire da sola sono entrata in società con lui, che è socio del Consorzio S. Francesco di Sassuolo. Avrei voluto continuare con il bilico, ma avevano bisogno di una motrice sul locale, così abbiamo optato per una motrice lunga, 7.20 metri di cassone, centinata, 3 assi, sponda idraulica e portata di 160 ql. Un buon compromesso, no?
Cosa trasporti e che tratte fai oggi?
Resto quasi sempre in Emilia-Romagna, la zona di Sassuolo, Modena e Fiorano. Trasporto prevalentemente macchinari, plastica, piastrelle e pellet per i privati.
Cosa ti piace di più di questo lavoro?
Dopo tanti anni in fabbrica, in mezzo alla gente, oggi non mi dispiace starmene un po’ per i fatti miei in cabina. Però devo dire che questo lavoro mi ha insegnato a comunicare. Per assurdo, quando lavoravo a contatto con altre persone non parlavo mai, non sorridevo. Ho capito che era perché non amavo il mio lavoro. Oggi parlo con tutti, sia con gli altri autisti che con le persone che incontro al carico o allo scarico. Sono cambiata. Sono sempre stata molto chiusa, ma grazie a questo lavoro oggi mi sento una persona diversa, più spigliata.
I disegni che Elena Bortolotti fa durante i tempi di attesa
C’è qualcosa, invece, che cambieresti, che non ti piace?
Un tema critico è sicuramente il tempo che si perde in attesa al carico e allo scarico. Agli inizi mi mandava fuori di testa, mi arrabbiavo per tutta quella perdita di tempo, poi ho imparato ad aver pazienza.
Il segreto?
Passo il tempo a disegnare, mi aiuta a non annoiarmi. È una mia passione, insieme a quella per i tatuaggi, che tra l’altro è nata proprio quando ero bambina durante un viaggio in camion con mio padre. Avevo 5 o forse 6 anni al massimo ed ero con lui all’Isola D’Elba, una zona che serviva spesso. Al porto vidi dei marinai pieni di tatuaggi e mi innamorai di quei disegni così strani. Così gli dissi che ne avrei fatto uno anche io da grande. A 19 anni ho mantenuto la mia promessa.
In definitiva, quindi, meglio la fabbrica o il camion?
Decisamente il camion! Ho aspettato troppo tempo a prendere questa decisione, mi sono fatta influenzare dal giudizio altrui, ma per fortuna non è mai troppo tardi.
Tua figlia come ha preso la tua decisione?
Quando ho preso le patenti lei era già grandicella, per cui è stato tutto più facile. Oggi Giulia, mia figlia, è contenta della mia decisione, perché finalmente mi vede felice, anche se ha già detto che non vuole seguire le mie orme. Il prossimo anno comincerà l’Università e da grande le piacerebbe fare la logopedista. In realtà in famiglia oggi sono tutti felici per me, compresi i miei nipotini, Elide, Emma, Elia e Achille, i figli di mio fratello e di mia sorella. La mia nipotina più grande, che ha 12 anni, mi ha detto che è molto orgogliosa di me.
Ti è rimasto qualche sogno nel cassetto?
Prima o poi riuscirò a dare l’esame per Gestore dell’autotrasporto. Ho già fatto il corso, ma sono stata bocciata. Non è facile per me, ho un problema di dislessia e nella vita ho sempre lavorato, quindi faccio un po’ fatica, ma prima o poi ce la farò, perché mi piacerebbe mettermi in proprio. E poi, beh, se proprio devo dirla tutta, mi piacerebbe trovare qualcuno disposto a fare un viaggio in camper con me. Ad una condizione però: non voglio guidare sempre e solo io, ogni tanto mi deve dare il cambio!
La nostra collega Raffy, ci ha inviato un’altra serie di fotografie scattate ai mezzi storici che hanno partecipato alla Strada delle Tavole.
Ebbene si, non sono solo i colleghi uomini appassionati di mezzi storici, ci sono anche le lady truck! Ad alcune di noi piace seguire queste manifestazioni dove si rivive la storia dell’autotrasporto!
Incuriosita da questo raduno, mi organizzo con Tania per raggiungere la Valsassina dove a Barzio si è tenuta la sesta edizione del Truck Festival organizzato da Carletto La Peste. Trovo facilmente la location e facciamo subito un giro tra i mezzi attirate dalla festa in corso. Con sorpresa trovo Marcela anche lei autista di container e formiamo un piccolo gruppo di lady truck appena ci raggiunge Simona, che non vedevo da un sacco di tempo! c’erano camion decorati anche dall’estero, Andrea ha portato il suo volvetto F16 blu e qui scattano le foto di gruppo.. e poi beh, sono innamorata da sempre di questa serie perchè è stato il primo camion che ho guidato.. ma il camion che ha attirato l’attenzione più di tutti è quello di Carletto, un Renault Magnum completamente aerografato, stilizzato indiano, con agganciato un semirimorchio speciale dove si poteva ammirare il trike. Una nuvola di passaggio non ferma la festa, andiamo ad assaggiare le specialità del posto ovvero i pizzoccheri! e la serata prosegue con musica e brindisi fino a tardi.
La domenica ci aspetta la benedizione del mitico Don Bruno e l’esibizione degli sbandieratori di Primaluna! ancora un giro in mezzo ai camion e le car tuning e la festa prosegue ma il dovere chiama e purtroppo per noi era già arrivata l’ora del rientro! a malincuore saluto la bella compagnia con cui ho condiviso queste giornate indimenticabili, dove il Grigno dominava come un gigante buono su una valle incantata, per una volta invasa dai camion che hanno portato tanta allegria!
Maria Luisa l’ho conosciuta frequentando i raduni dei mezzi storici e la LAM (Lega Antichi Motori), una collega davvero speciale!
Alla manifestazione “La strada delle tavole” ha incontrato la nostra Raffy che le ha chiesto se poteva raccontarci la sua bella storia da pubblicare qui nel blog, detto, fatto, eccola qui!
“Ciao, sono Maria Luisa figlia di Santino Massardi e Bonardi Enrica.
Essendo donna mio papà non ha voluto che facessi l’autista “le pipine non guidano!” (“pipina “è una bambina detto in dialetto bresciano).
Con questa sua decisione mi ha assicurato una “vita più facile” quando a 14 anni ho scelto quale poteva essere il “mio lavoro da grande” ma non mi ha tolto la curiosità di guidare quel “camion” con il quale mi portava verso il luogo di consegna della merce che trasportava e con orgoglio mi portava negli uffici, dove sbrigava la burocrazia del carico, e mi presentava come “la sua pipina”!
Ho provato, da grande, da tecnico di laboratorio a convincerlo che la vita non finiva andando in pensione, con il camion si poteva fare festa nei raduni di camion storici, si poteva ancora parlare con “gente come lui”, era diverso ma sul camion si poteva ancora stare! Non l’ho convinto! Se ne è andato nel 2008 e a me è toccato chiudere la sua posizione di Artigiano Autotrasportatore. Avevo tre autotreni completi in cortile di casa sua, due motrici ben custodite in garage al riparo dalle intemperie. Una motrice, il lancia , mio coetaneo.
Due li ho storicizzati e uno venduto con i tre rimorchi. Nel 2017 ho conseguito la patente grazie all’entusiasmo coltivato nella Lega Antichi Motori, fatta nascere nel 2015 con il Presidente Dario Bosio e la sua moglie Daniela, e l’appoggio del mio maestro e marito Lucio.
Ora sono contenta, messa ogni volta alla prova, ma “la pipina guida”! ho sempre accanto lo spirito testardo di Santino.
Maria Luisa, per qualcuno sono la Vice, per altri la Signora del Lancia!
Conosco Monica, mi ha dato la vostra pubblicazione e il vostro simbolo, l’ho messo sul Bedford, lo metterò anche sul Lancia.
Il Lancia a Udine sabato 29 giugno 2024 pronto per La Strada delle Tavole!
Grazie Maria Luisa, buona strada sempre , a presto ! ! !
Domenica scorsa sono stata al raduno di Senago organizzato da Team Presa Diretta.
Un bel giro in mezzo ai camion, tanti amici, nuove conoscenze, chiacchiere, fotografie, ne condivido un pò qui nel blog per portarvi a fare un giro in mezzo ai truck presenti!
Mando un grande augurio di buona strada a tutti i colleghi e le colleghe!
LADY TRUCK ! ! !
Il nuovo appuntamento con gli amici del Team Presa Diretta è per il 20 e 21 luglio a Castano Primo !
Il nostro amico e collega Michi, da Hannover, ci ha inviato queste due foto e questa breve descrizione del suo incontro con una sua collega tedesca, lui ci segue sul blog e ha piacere di farci conoscere Steffi!
“Un po’ di giorni fa, ho incontrato una camionista sul posto di carico. E` Steffi e ha 35 anni. Guidare il camion è` divertente per lei. Ha svolto la formazione come camionista nel 2018 e guida il camion dal 2019. Lavora a Bremerhaven per l’ autotrasporti Brüssel & Maass. Guida un camion frigorifero per tutta la Germania, sulle lunghe distanze.”
Sono sempre belle le interviste che Elisa Bianchi di Uomini e Trasporti fa alle nostre colleghe nella loro pagina “Anche io volevo il camion“, ci permette di conoscere storie di ragazze e donne che non abbiamo mai avuto occasione di incontrare per vari motivi, non sempre le nostre strade si incrociano, e cosi, almeno virtualmente, possiamo conoscerle!
Questa volta tocca a Lorena a cui auguriamo tanta buona strada sempre e un grazie va ancora a Elisa!
Lorena Gemma Della Giovanna, ventidue anni in cantiere
52 anni, di cui 22 passati in cabina, tra un cantiere e l’altro. È la storia di Lorena Gemma Della Giovanna, per tutti Lory, autista originaria di Primaluna, in provincia di Lecco. Una donna di poche parole e molta esperienza, che non ama mettersi in mostra ma per la prima volta si apre raccontandoci la storia perché «è bello vedere riconosciuto il lavoro delle donne»
«Ho iniziato per caso, nessuno nella mia famiglia aveva a che fare con l’autotrasporto. È stata un’opportunità che mi è stata proposta e ho scelto di provare». Era il 2002 quando Lorena Gemma Della Giovanna, ma conosciuta da tutti semplicemente come Lory, classe 1972 e originaria di Primaluna nella Valvassina, nel cuore del lago di Como, riceveva la proposta che le avrebbe in qualche modo cambiato la vita. Lorena non ama raccontarsi, «sono una persona di poche pretese» ci dice, «faccio il mio lavoro e sono contenta così, non amo dare troppo nell’occhio, ma questa volta mi sono detta perché no, in fondo non c’è niente di male nel raccontare la propria storia, magari può anche di ispirazione per qualcuno».
Riavvolgiamo il nastro e torniamo al 2002, ripartiamo da lì. Come hai deciso di prendere le patenti?
Lavoravo negli uffici di un’impresa edile quando il mio datore di lavoro, che aveva bisogno di qualcuno che potesse dare una mano in cantiere, mi propose di prendere le patenti. Ad essere onesta non amavo passare le mie giornate dietro la scrivania, ho sempre preferito l’aria aperta, così ho visto questa proposta come un’opportunità e ho deciso di accettare.
E come è andata?
È una scelta della quale non mi sono pentita. Per diversi anni ho continuato a lavorare come dipendente, portando con il camion materiale edile da un cantiere all’altro. Nel 2013, poi, lo stesso datore di lavoro mi propose di rilevare il ramo d’azienda dedicato all’autotrasporto e ancora una volta decisi di accettare.
Quindi oggi hai la tua azienda di autotrasporto?
Sì, ho un vecchio camion di proprietà, un cava cantiere 4 assi MAN del 2001, e non ho dipendenti, sono da sola. Non avevo mai pensato prima di quella occasione alla possibilità di mettermi in proprio e tornassi indietro devo ammettere che la tranquillità di essere dipendenti era impagabile. Fortunatamente, quando il mio ex datore di lavoro mi propose di rilevare il ramo d’azienda mi diede anche una grossa mano, mi lasciò i suoi clienti e mi diede le direttive giuste per potercela fare.
Tornassi indietro, seguiresti la stessa strada?
Essere autonomi comporta degli evidenti svantaggi: se una giornata è morta non ci sono introiti. Io però sono stata fortunata: da ormai tre anni lavoro prevalentemente per una ditta in prestazione di manodopera. Questo mi garantisce la continuità del lavoro, oltre alla possibilità di utilizzare i loro mezzi.
Il tuo è un settore molto particolare, il cava-cantiere. Non ci sono molte donne in questo ambito. Perché, dal tuo punto di vista?
È vero, oggi rispetto a vent’anni fa ci sono molte più donne che fanno linea, ma in questo ambito siamo pochissime. Personalmente conosco non più di un paio di colleghe nella mia zona. Eppure, non penso sia più difficile, anzi. Parlo della mia esperienza: io vado sotto scavo, che è sempre lo stesso per qualche mese o anche di più, e faccio la spola. Questo mi consente di avere degli orari fissi per il carico e lo scarico, e soprattutto di rientrare sempre la sera a casa senza imprevisti. Per esempio, sono tre anni che carico in una cava sopra Lecco e scarico a 9 km di distanza in stabilimento. È un lavoro molto più regolare.
Rischia forse di diventare noioso?
A me piace fare questo. Come ho detto, non ho grandi pretese. Mi basta poter fare il mio lavoro e rientrare a casa la sera soddisfatta. All’epoca, quando feci io le patenti, si conseguivano automaticamente insieme la D e la C, quindi anche quella per i pullman. Ecco quello è un lavoro che io non potrei sopportare, non avrei la pazienza necessaria per avere a che fare tutti i giorni con il pubblico.
Di esperienza sulle spalle ne hai parecchia, visto che sei in cabina da oltre vent’anni. Cosa hai visto cambiare in tutto questo tempo?
Molte cose, e a voler essere onesti, non sempre in meglio. Prendiamo per esempio il discorso dei tempi di guida: le nuove regole dovrebbero garantirci maggiore sicurezza, ma in realtà non è così. Immagina di essere al volante, di essere quasi arrivata a destinazione, ma di essere obbligata a fermarti dove capita, magari in un’area di sosta non sicura o dove non ci sono posteggi. Non mi sembra sia garantita la nostra sicurezza in questo modo. Per non parlare dell’immagine sbagliata e stereotipata che ci è stata attribuita negli anni. Qualunque cosa succeda oggi, è colpa dei camionisti. La verità è che quando si guida un mezzo pesante servono mille occhi e occorre prestare molta più attenzione rispetto agli automobilisti che non sono, il più delle volte, consapevoli di cosa significhi guidare un veicolo industriale.
È quest’immagine sbagliata ad allontanare nuove leve?
Non solo. Per fare questo mestiere servono innanzi tutto due cose: passione e curiosità. Chi ha entrambi gli ingredienti e vorrebbe provare, però, deve fare un grosso investimento, e non sempre è possibile. È un costo diventato proibitivo, sia per gli uomini che per le donne, indipendentemente.
A fronte di tanti “contro”, però, ci sono anche tanti “pro”. Quale è il “pro” che ti ha convinta ad andare avanti?
Questo lavoro offre delle opportunità che non molti altri mestieri danno, come per esempio la possibilità di stare sempre all’aria aperta, o di mettersi sempre alla prova anche con nuove sfide, dimostrando a se stessi che ce la si può fare. Io, per esempio, una volta, a inizio carriera, sbagliai una manovra e mi sentii dire da un ragazzo che dovevo starmene a casa. Ho preferito prenderla sul ridere e dimostrare che si sbagliava, poi infatti abbiamo lavorato insieme per diverso tempo in un cantiere.
Una delle ultime sfide nelle quali ti sei lanciata è il Sabo Rosa. Ti sei infatti candidata per l’edizione 2024. Come è andata?
In realtà è stata mia sorella, d’accordo con il mio compagno, a candidarmi. Un giorno è arrivata e mi ha detto “ho fatto una cosa, però non ti arrabbiare”. Loro sono i miei primi supporter.
Perché ti saresti dovuta arrabbiare?
Perché a me non piace mettermi in mostra. Però pensandoci mi sono detta “ma perché no, non mi costa nulla”. In fondo, è bello vedere riconosciuto il lavoro delle donne.
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