Ho trovato un altro bell’articolo – del mese di ottobre – dedicato alla storia di una collega che fa questo mestiere con passione da tanti anni: Franca da Montecatini.
Era una delle partecipanti alla Gimkana femminile a Misano, io mi ricordo di lei, ma sono passati veramente tanti anni e non ho più avuto occasione di incontrarla.
Buona strada sempre Franca!
Questo è il link dell’articolo su “Prima Pistoia”:
Il racconto di una passione diventata professione…alla faccia dei tanti colleghi scettici.
Pistoia, 25 Ottobre 2020 ore 15:14
Lei lo chiama affettuosamente il “Bisonte”: a bordo di questo camion, Franca Sforzi , montecatinese, ha attraversato l’Europa in lungo ed in largo e con qualsiasi condizione atmosferica o di traffico possibile e immaginabile. Un’accoppiata formidabile che non teme confronti, con due protagonisti… non proprio comunissimi.
«Hai visto lui come ci ha guardati storti? Quello guida un Iveco, noi siamo su uno Scania. Questa si chiama invidia!». Scherza Franca, è di buon umore quando è sul suo camion e vede – ogni tanto- qualche collega con lo sguardo incuriosito che la incrocia in senso contrario.
«Sono felice di fare questo lavoro – ha raccontato –, mi permette di vedere tantissimi posti, di conoscere tanta gente, sia in Italia che all’estero. Negli anni ho macinato milioni di chilometri e ne vado molto fiera. E pensare che ho iniziato questo mestiere quando avevo 22 anni, adesso ne ho più di 50!».
Una professione iniziata quasi come un gioco che poi si è rivelata, a tutti gli effetti… la strada giusta. «Lavoravo in un’azienda all’epoca, ma non avevo nulla a che fare con il trasporto di merci. Un giorno l’autista del camion delle consegne non si è presentato a lavoro. Il titolare era disperato, aveva bisogno di qualcuno subito per consegnare la merce. Io mi sono offerta volontaria. Lui è rimasto un po’ sorpreso, poi ha scelto di mettermi alla prova. Ed è tutto cominciato da lì».
Poi, negli anni successivi, sono arrivate le varie patenti speciali per poter guidare il tanto agognato tir.
«Agognato perché sono mezzi bellissimi – ci ha raccontato Franca – ed io ho una grande passione per i motori. Per questo quando finalmente ho conseguito la patente per guidarli è stata una grande soddisfazione. Da quel momento non ho più smesso di guidarne uno. Adesso faccio circa 150mila chilometri all’anno con viaggi soprattutto in Francia e Inghilterra, più le trasferte nazionali. Sono di meno i chilometri rispetto rispetto al passato, ma è comunque la mia vita».
Non sono stati però tutti giorni semplici e felici.
L’ambiente degli autotrasportatori, possiamo dirlo senza ipocrisia, è uno dei più maschilisti in assoluto. Una ragazza – prima – ed una signora – dopo – al volante di un tir ha spesso scatenato non solo qualche risatina di troppo, ma anche episodi di pura e volgare discriminazione. «A volte è stato complicato – ci ha confidato Franca – ma fortunatamente ho sempre avuto intorno persone che in un modo o nell’altro mi hanno difeso.
É sempre stato bello però zittire tutti con le mie manovre o con le mie consegne in perfetto orario. Col mio lavoro ho messo a tacere anche i colleghi più scettici».
Un lavoro, quella della camionista per Franca, che negli anni è diventato a tutti gli effetti una questione di famiglia: prima di tutto perché suo marito, Stefano, è a sua volta un camionista. «Il merito della mia passione è suo – ha detto –. Stefano già lavorava sul camion e andava in giro per tutta l’Italia. Io ho iniziato dapprima ad accompagnarlo, poi ho voluto iniziare anche io con la guida. E non sono più tornata indietro».
Ma non è tutto: il figlio di Franca e Stefano, Simone, è cresciuto… sul camion. «Ho avuto una gravidanza tranquilla – ci ha raccontato – e per questo che ho potuto guidare il camion fino a poco prima della nascita del mio bimbo: quando avevo il pancione, spostavo il volante un po’ più verso l’alto e via! Dopo è iniziato il bello – ha raccontato –! Una volta nato Simone ha fatto l’asilo sul camion insieme a me..Mio figlio ha praticamente imparato a leggere durante i nostri viaggi, seduto buono sul sedile del passeggero».
«Viaggiavamo spesso ed ero contento di portarlo con me sul camion, quando ancora il codice della strada lo permetteva. Poi sono iniziate le elementari e lui è andato a scuola come tutti».
Ma ora il tempo di chiacchierare è finito. C’è una nuova consegna da fare e Franca, insieme a Stefano, devono ripartire nel loro viaggio insieme… al Bisonte.
Ciao lady
Quante volte ho dovuto rinunciare a un evento , un
appuntamento o semplicemente una cena fra amici causa il mio lavoro; tante, con rassegnazione perché questo mestiere è così per tutti, fa parte dei lati negativi.
Stavolta sarei andata a salutare una collega che ci ha lasciato, anche se sarò a pochi km non potrò essere presente e la cosa mi rattrista. Ma Germana sarà la prima a capirmi perché anche per lei il lavoro era molto importante e ha sacrificato altre cose per svolgerlo con dedizione.
Forse qualcuno di voi la ricorda in un video che Rai due ha riproposto molte volte. L’ho conosciuta a metà degli anni novanta , ascoltavo attentamente i suoi consigli e mi ha passato un trasporto che era stato commissionato a lei , che non voleva o poteva accettare, non saprei dirlo, ma convinse me che sarebbe stata una bella esperienza, che ci sarebbe stato il giusto trattamento , sia economico che personale e così fu: una settimana a portare in giro per il nord Italia una mostra espositiva di piastrelle particolari, facendo tappa in alberghi a tante stelle. Aveva visto giusto, ho conosciuto persone speciali con cui sono rimasta in contatto per anni. Sono andata a salutarla a casa sua, dove per anni l’ho vista passando, oppure scambiando qualche battuta davanti ad un caffè, ma stavolta non mi poteva rispondere. Era orgogliosa della sua esperienza al volante, della sua tenacia e del suo saper affrontare ogni novità con il suo carattere esuberante. Era stata la prima camionista in provincia e lo ricordava entusiasta, le piaceva partire e consegnare la merce ovunque l’avessero commissionata con la cura di un custode diligente . Le piaceva essere ammirata per essere tenace, combattiva, per il suo gusto nel vestire, le piaceva la musica e ballare, e una delle figlie ha scelto per lei un abito che la rendesse principessa un’ultima volta… era bella così, esattamente come quando usciva per andare a ballare… e così voglio ricordarla. Ciao Germana, buon ultimo viaggio, ovunque tu vada…
Questo video è un omaggio a Nora, al suo coraggio e alla sua intraprendenza.
Nel 2004, in occasione del secondo raduno “Guida in rosa” a Montichiari, Nora, una delle prime camioniste italiane, venne a fare da madrina al gruppo delle Lady Truck. L’evento venne trasmesso in TV, su Rai Uno, all’interno del programma “La vita in diretta”.
Un immenso ringraziamento a te Nora che col tuo coraggio hai aperto la strada a tutte le camioniste che dopo di te hanno intrapreso questo mestiere! Sarai sempre nei nostri cuori!
Diventa sempre più difficile incontrarsi “on the road”…
Oggi ero in Veneto e ho provato a chiamare la Rò e finalmente siamo riuscite a bere un caffè insieme, ma com’è strano dover parlare “mascherate”!
Comunque è bello lo stesso incontrare una cara amica: ciao Rò è stato un piacere rivederti!!
E dopo il caffè le foto di rito, ci ricorderanno per sempre questo strano periodo che stiamo vivendo ormai da mesi. Io scherzando le ho detto che avevo la maglia rossa perchè da oggi la Lombardia è nuovamente zona rossa… in qualche modo bisogna sdrammattizzare ma il periodo non è decisamente dei migliori.
Ognuno dice la sua e non so chi abbia ragione veramente, ma dobbiamo stare tutti attenti perchè purtroppo l’emergenza non è finita, mascherine, mani sempre pulite e distanza di sicurezza e forse riusciremo a venirne fuori…
E’ già ora di ripartire, ciao a tutte/i e buona strada sempre!!!
Questa storia inizia un paio di anni fa, quando Dorica è stata la prima donna assunta presso la ditta di trasporti SMET, si parlava di quote rosa, chissà se è rimasta l’unica o ha altre colleghe?
LA SIMPATICA NONNA ALLA GUIDA DI UN T.I.R. DELLA ”FLOTTA” SMET
Dorica Corea e
Domenico De Rosa
Salerno, 19 dicembre 2018 – “Si tratta di un primo importante passo verso l’inserimento nel nostro organico di un numero sempre maggiore di quote rosa. Vogliamo essere un esempio per tutto il settore dei trasporti, anche per quanto riguarda le pari opportunità: oggi le donne devono avere libero accesso a una professione che da sempre è considerata
appannaggio esclusivo degli uomini”.
Così Domenico De Rosa – Amministratore Delegato del Gruppo SMET, leader a livello europeo nel settore della logistica integrata – ha commentato l’ingresso in azienda di Dorica Corea, la prima donna autista che, assunta lunedì 17 dicembre, dopo una prova guida a Torino verrà impiegata a Pisa.
Dorica Corea, nata in Romania 47 anni fa, ha un figlio ed è nonna di due bambini. Ha conseguito le patenti C ed E nel 2007 presso la Scuola Europea di Empoli e, dopo una decennale esperienza di guida, ha scelto di entrare nell’organico del Gruppo SMET, pioniere in Italia non solo del trasporto sostenibile ma anche delle pari opportunità.
Ha alle spalle un lungo percorso di lavoro: prima di dedicarsi a questa professione ha infatti lavorato per molti anni presso diverse carrozzerie e pompe di benzina. “Essere donna autista, soprattutto agli inizi del percorso professionale, può non essere semplice – ha dichiarato Dorica – Non solo per gli orari che mal si conciliano con le esigenze della famiglia, ma anche perché ci sono moltissime cose da imparare: occorre conoscere la segnaletica, saper pianificare il viaggio, saper realizzare piccole manutenzioni, saper coordinare le operazioni di carico e scarico e valutare l’eventuale presenza di danni alla merce”. Ed ha aggiunto: “Non mi sono mai scoraggiata, perché ritengo che le donne abbiano la possibilità e le capacità per affermarsi anche in questo settore. E perché ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada colleghi uomini sempre solidali e disponibili. I loro consigli sono stati molto utili”.
Ha lottato tutta una vita per perseguire il proprio obiettivo, fare la camionista come il papà
Nata in Romania 47 anni fa, Dorica è migrata in Italia nel 2000 a causa della sfavorevole congiuntura economica del suo paese di quegli anni.
“La mia passione, sin da bambina, è stata sempre il camion. Sia mio padre che mio fratello maggiore facevano i camionisti ed io ero felice di andare a pulire le cabine dei loro mezzi pur di salirci – ricorda Dorica – Vedere mio padre alla guida dei camion mi trasmetteva tanta passione. Sapevo che il mio destino era quello.”
Tuttavia per guidare il camon occorrevano le patenti che, già all’epoca, avevano il loro costo. Così dapprima Dorica, pur di stare vicino a quel mondo e pagarsi i corsi di guida, si mise a lavorare presso una carrozzeria: “Mi occupavo del lavaggio, della lucidatura e della verniciatura di vari veicoli, oltre che del montaggio e smontaggio di pezzi.”
Poi dopo la carrozzeria è stata la volta di un distributore di gasolio. Finalmente nel 2007, dopo tanti sacrifici, Dorica è riuscita a prendere le tanto agognate patenti: “Appena conseguita la patente ‘E’, ho iniziato a lavorare con piccole ditte. Ma il mio desiderio era quello di entrare in una grande Compagnia di trasporti per poter avere una sicurezza economica da garantire alla mia famiglia – già perché Dorica non solo è mamma, ma anche nonna – In quegli anni ho guidato camion di tutti i tipi e marche, però il mio preferito è lo Stralis Iveco.”
“Mi ritengo molto fortunata come camionista. Da quando ho iniziato questa attività non ho mai avuto noie particolari tranne lo scoppio di uno penumatico nel 2010 – ricorda Dorica – tuttavia, grazie al mio carattere ho gestito il tutto con lucidità e naturalezza, tanto da poter definire quell’esperienza ‘normale amministrazione’. Da sempre riesco a gestire tutto ciò che mi accade con calma e lucidità. Poi so di molte colleghe che hanno avuto difficoltà nel farsi accettare in questo mondo prettamente maschile. Per mia fortuna devo dire che il rapporto con i miei colleghi maschi è stato sempre cordiale e ricco di collaborazione.”
Anche i rapporti familiari per una camionista non sono facili da gestire: “Ora vivo con un compagno. Anche se con difficoltà, lui ha accettato il mio lavoro. Ha capito che è la mia vita, la mia passione e che io non sarei la stessa senza la guida del camion. Fa parte di me. Diverso il discorso dei nipotini. Sarebbe difficile ora come ora gestire dei bimbi piccoli. Ora vivono in Romania con i miei familiari. Riesco a vederli un paio di volte all’anno. In quell’occasione recuperiamo tutto il tempo perduto ed è come se non ci fossimo mai lasciati!”
L’assunzione alla SMET per Dorica, oggi a 47 anni, è stato il coronamento di una vita di sacrifici: “Oggi sono molto soddisfatta del lavoro che faccio. Sono alla guida di uno splendido Iveco Stralis alimentato a gasolio. Corro per l’Italia in lungo e largo. Mi piace molto effettuare viaggi dalla Toscana per il Piemonte. Adoro i paesaggi tra queste due regioni. Il lavoro intermodale, oggi, ha sicuramente diminuito i chilometri che si effettuano quotidianamente. Io oggi ne faccio un numero giusto. Spesso capita di dover dormira in cabina, ma fa parte del lavoro. Gli unici momenti ‘noiosi’ sono le lunghe attese per il carico e lo scarico dai clienti. Insomma non cambierei il mio lavoro per tutto l’oro del mondo. Io penso che ogni individuo sia padrone del proprio destino seguendo la propria vocazione.”
Chi segue il blog da diverso tempo avrà notato che pubblico spesso link di video o di articoli che raccontano la storia di colleghe camioniste. Italiane, se trovo qualcosa, ma anche di ogni parte del pianeta. Il perché è presto detto, ma io voglio prenderla un po’ alla larga… Al mondo ci sono due generi di esseri umani, i maschi e le femmine, o se preferite, gli uomini e le donne. Nel corso della storia dell’umanità si è creata una sorta di suddivisione di ruoli: gli uomini fanno determinati mestieri e le donne ne fanno altri. Poi ce ne sono alcuni che possono essere svolti da entrambi i sessi senza problemi. Chi l’ha deciso? E perché? E’ solo una questione di “muscoli” o c’è dell’altro? Perché vi pongo queste domande?
Vi siete mai sentite dire, mie care colleghe, “Vai a casa a lavare i piatti!” , “Vai a fare la calza!” o altre amenità del genere senza alcun motivo preciso? Quante di voi, nel corso degli anni, si sono sentite dare delle “poco di buono” per aver scelto di fare questo mestiere? Da dove nascono questi PREGIUDIZI?
Diverse volte, leggendo interviste a colleghe, ho trovato scritto che infrangevano i pregiudizi facendo questo lavoro. Il pregiudizio è, come dice la parola, un giudizio dato a priori, senza conoscere veramente la persona. Fai la camionista? Allora sei una poco di buono, le donne per bene devono pensare alla famiglia, non stare in giro per giorni, fermarsi nei parcheggi in mezzo agli uomini, ecc, ecc. Ebbene si, c’è ancora chi ha questa mentalità.. Ma chi diffonde un pregiudizio è perché in realtà è lui a comportarsi in quel modo? Quindi accusa altre persone per difendere se stesso? E in ogni caso, essendo uomo, a lui è concesso quel comportamento, ma a una donna no. Vi sembra che sto facendo un discorso troppo femminista? Ma ho appena iniziato…
Un’altra domanda che credo che a tutte noi sia stata rivolta prima o poi, tanto da essere considerata alla stregua di un tormentone, è “Se buchi una gomma, come fai?”, e ce lo chiedono ancora anche se ormai il 99% degli autisti chiama l’assistenza e se la fa cambiare…
Ci è stato chiesto spesso, come gruppo: “ Quante sono le camioniste in Italia?” La risposta è “Chi lo sa?”. In alcune inchieste si legge che siamo 2000, a volte 3000, ma sempre una piccola percentuale rispetto ai colleghi uomini. Non so se il conteggio è fatto tenendo conto del numero di patenti superiori conseguito dalle donne o è il numero effettivo delle donne al volante di un camion. Non credo sia semplice quantificarci, non a tutte le patenti corrisponde una donna camionista, alcune l’hanno conseguita e poi non hanno mai trovato un impiego (strano, vero?), altre hanno guidato solo per un breve periodo dedicandosi poi ad altre attività o alla famiglia, ai figli. Altre ancora l’hanno fatta per essere di aiuto all’azienda familiare ma guidano saltuariamente, solo in caso di necessità.
Ma allora, quante sono le camioniste? Credo sempre poche, ed è per questo che sono spesso oggetto di curiosità da parte dei mass-media e non solo. Ogni volta che si parla di lavori maschili svolti da donne, le camioniste sono sempre citate. Perché fa strano, perché fare il camionista è ancora considerato un mestiere per uomini duri. Dai pregiudizi siamo passati agli STEREOTIPI.
Eppure le prime camioniste italiane hanno cominciato a guidare appena dopo la II Guerra Mondiale, all’inizio degli anni ’50, c’era la Nora, la madrina del nostro gruppo, che dopo aver fatto la mondina decise di diventare camionista, c’era la Teresina (che sembra sia la prima in assoluto) che iniziò a guidare per aiutare suo papà, ho conosciuto la Sandra che viaggiava in autotreno con suo marito negli anni in cui era obbligatorio il doppio autista, e di sicuro già allora ce ne erano altre di cui non conosciamo né il nome e nemmeno la storia. Probabilmente il numero delle signore al volante è aumentato dagli anni ’70 / ’80. I camion cominciavano a essere più comodi e più facili da guidare e le donne cominciavano il lento cammino dell’emancipazione anche in Italia. Ma era una strada ancora molto lunga…e il traguardo è ancora lontano.
Un’altra cosa che si sente spesso dire è che all’estero non è cosi strano, che le camioniste sono una normalità. Eppure leggendo le storie di camioniste europee e anche americane si scopre che anche loro hanno dovuto affrontare tante discriminazioni, non è che fossero poi cosi benvolute dai colleghi uomini. Ho letto storie di dispetti (anche pericolosi), di insulti, di tentate violenze… tutto come da noi, o forse anche peggio.
Ci sono nazioni nel mondo dove le camioniste sono ancora una novità e cosi ci si imbatte in titoli come “La prima camionista del…” Oppure si scopre che in certe nazioni remote ci sono donne camioniste da 20/30 anni, che hanno cominciato perché avevano tanti figli da mantenere ed erano state abbandonate dal marito…
Ma alla fine, ovunque si va, la percentuale sul totale è sempre a una cifra sola.
Ma dopo aver appurato che anche una donna è in grado di guidare un camion, ecco che scatta la caccia alla “camionista più bella del mondo”! Si perché l’aspetto fisico pare che sia molto importante per condurre con perizia un mezzo pesante. Ma solo se sei donna. Se sei uomo basta la patente. Cosi in questi anni il titolo se lo contendono Janina, Iwona, Aline, Angelica, Rino, ecc, tutte molto famose perché molto belle anche se altrettanto brave alla guida, ma questo è secondario.
E i tacchi a spillo? Spesso sono citati nei titoli per rimarcare la femminilità (non perduta) delle camioniste: Antonella, Marianna, Silvia, tutte al volante dei loro “TIR” con i tacchi a spillo! Provate a presentarvi in una qualunque piattaforma di carico senza le scarpe antinfortunistica, in alcune non solo non vi faranno salire in ribalta, ma non vi faranno nemmeno entrare dal cancello! L’abbigliamento comodo non è una mancanza di femminilità, è praticità e a volte sicurezza, i tacchi a spillo li teniamo per i week end o per i raduni, dove ci si può sbizzarrire senza l’obbligo dei DPI.
Un altro titolo che passa di generazione in generazione è quello della “camionista più giovane d’Italia”, assegnato ogni qualvolta viene scoperta una giovane fanciulla che appena ha avuto l’età per farlo, ha conseguito la patente e si è messa subito al volante di un mezzo pesante. Fa scalpore perché è ancora strano pensare che una ragazza sogni il camion e un mestiere faticoso.
Poi ci sono le camioniste laureate, e fanno ancora più strano: come è possibile che una donna che ha studiato per tanti anni poi scelga di buttare tutto al vento e di mettersi al volante di un camion?
Cosa ci trova? E’ strano anche e soprattutto perché una donna che sceglie di fare la camionista lo fa al 99% per realizzare un sogno, per una passione innata per la guida e i mezzi pesanti, per un desiderio di libertà dagli stereotipi che la società troppo spesso ci impone.
Un’altra cosa che contraddistingue la maggior parte delle camioniste è l’indole indipendente, ognuna è regina sul suo mezzo, e bisogna esserlo per sopravvivere in un settore ancora troppo maschilista. Per non essere agnelli in un mondo di lupi. Mai dare troppa confidenza, anche a rischio di sembrare antipatiche. E fare tutto bene, anzi meglio degli uomini, non sbagliare mai una manovra, non ci sarà perdonato…
Nel corso degli anni diverse colleghe avevano tentato senza successo di formare un club di camioniste. Alla fine ci siamo riuscite. Quando abbiamo cominciato c’era molto entusiasmo, , abbiamo creato una mostra fotografica, raccogliendo più foto possibile delle colleghe, che esponevamo quando si partecipava col nostro gazebo ai raduni organizzati dagli altri gruppi di camionisti o alle fiere, abbiamo creato una targa da esporre sui nostri camion per riconoscerci per strada, abbiamo fatto magliette e gadget vari, aperto il blog in cui raccontavamo le nostre avventure e gli incontri on the road, ci sono state interviste e servizi televisivi, abbiamo fatto calendari e ricettari il cui utile delle vendite è stato dato in beneficenza a varie associazioni. Ultimamente abbiamo molto rallentato le nostre attività, sarà che gli anni passano e anche le camioniste invecchiano? Sarà che non c’è un grande ricambio generazionale e alla fine siamo sempre le stesse? Ma non molliamo.
Per non perderci di vista ogni anno organizziamo un pranzo per noi e i nostri amici e colleghi. Una domenica bellissima dove incontrare vecchie amiche e conoscere nuove colleghe, chiacchierando in tranquillità senza l’assillo del cronotachigrafo e delle ore di guida e di impegno!
Di cosa vi volevo parlare all’inizio… non me lo ricordo più, ho divagato troppo e ho perso il filo del discorso nei meandri del mestiere…
Buona strada a tutte le colleghe e a tutti gli amici e buon compleanno blog: 13 ottobre 2007, 13 ottobre 2020, si va avanti, sempre!
Camionista e mamma: Federica racconta le sue scelte
Donne al volante pericolo costante? Fesserie! Parola di Federica Aristotile Jurovschi: vive a Villa Adriana, con il suo piccolino Samuel di un anno e il marito, ha sempre avuto il pallino della guida e di lavoro fa la camionista. Orario: dalle 3 alle 8.30 di mattina, per fare arrivare il pesce dai mercati generali in tutta Roma, un’attività di grande concentrazione e responsabilità Dorme poco ma non è mai stata così contenta e piena di voglia di fare. Racconta la sua scelta di vita con il sorriso sulle labbra e alla donne che “pensano” di non sapere nulla di motori, consiglia di informarsi e scoprire tutto il mondo interessante che sta dietro la loro autovettura, imparando a controllare i livelli di acqua e olio, cambiare una ruota quando serve, diventare autonome. Con i colleghi, tutti maschi, problemi non ne ha ma ci tiene a rimarcare che “Se vuoi fare un lavoro da uomo, devi farlo meglio”.
L’intervista completa su Tiburno in edicola l’8 settembre, nelle pagine dedicate ai motori.
Un’altra bella storia di una nostra collega, tratta sempre da “Uomini e trasporti” nella sezione “Anche io volevo il camion“, a firma di Gabriele Bolognini, la storia di Jennifer da Olginate.
Jennifer Altilia: «Il camion è mio e lo gestisco io»
Dinamica e amante del ballo, Jennifer Altilia si trova ancora ragazza a vendere cocktail dietro a un bancone di un locale notturno. Poi, dopo che la mamma le consigliò di «lasciar perdere» e, piuttosto, di «andare a guidare il camion dell’azienda di famiglia», arriva a fare l’autista non per passione, ma per dimostrare agli scettici uomini di famiglia che ce l’avrebbe fatta. Quando però iniziò a personalizzare il veicolo con lucine e colori si rese conto che il mestiere le era entrato nel sangue
Jennifer Altilia a fare la camionista non ci pensava proprio. Nata 36 anni fa a Olginate, in provincia di Lecco, a 16 anni era una peperina che saltava da una discoteca all’altra. Un ragazzo le è dovuto star dietro un anno prima di riuscire a conoscerla. Insomma, era una girandola: ogni settimana un locale diverso. La musica, le luci stroboscopiche, i balli scatenati erano la sua vita. Alla fine, quel ragazzo caparbio la conquistò: divenne (e lo è ancora) suo marito. Ma Jennifer non per questo abbandonò la discoteca, tanto che il suo primo lavoro, di lì a poco, divenne quello di barman (o meglio barlady). Di che tipo? Acrobatica, ovviamente: «Mi divertivo un sacco… ci lanciavamo le bottiglie facendole roteare e poi giù con Martini, Cuba libre, Margarita e tanto altro per i nostri clienti estasiati. Ogni tanto qualche bottiglia finiva a terra – ricorda Jennifer ridendo – ma erano veramente poche.Ero brava a fare quel lavoro e mi piaceva tanto…».
Un giorno mia madre mi disse…
Poi arrivò il giorno in cui la mamma la prese da parte con un piglio convinto: «Mi disse che quella vita non poteva durare a lungo, che era preoccupata perché la notte facevo sempre tardi, che era ora di mettere la testa a posto. E tutti i torti non li aveva. Avevo 21 anni e forse era arrivato il tempo di cominciare a guardare avanti. Poi, quasi per scherzo, mi disse: perché non ti prendi le patenti da camion e prendi il posto di tuo zio che si è stancato di fare il camionista per noi?».
Chiarimento necessario. Il papà di Jennifer, Gerardo, è titolare della Fimal, azienda di zincatura e trattamenti galvanici per metalli con sede a Bosisio Parini (LC), che attualmente gestisce con il figlio Paolo. Per ritirare e consegnare la merce lavorata, la Fimal ha sempre avuto un camion. Quello a cui faceva riferimento la mamma di Jennifer: «La proposta semiseria di mia madre mi lasciò di stucco. Non ci pensavo proprio a mettermi alla guida di uno di quei bestioni che per strada mi terrorizzavano! Però raccolsi la sfida e andai a parlare con mio padre e mio fratello proponendomi come camionista. All’inizio mi risero in faccia, dicendo che non era un lavoro adatto a una ragazza, che non ce l’avrei mai fatta e “piripì, piripà”. Ma siccome io sono tignosa e in questo modo mi hanno scatenato l’orgoglio: “Volete vedere che in due mesi prendo le patenti per il camion e mi metto alla guida di quel coso lì fuori?”».
Patente del camion in due mesi: scommessa vinta
La domanda di Jennifer suonava un po’ come una scommessa, ma gli uomini della sua famiglia la lasciarono fare non perché la vincesse, ma in quanto convinti che tempo qualche giorno avrebbe mollato. Invece, lei – testarda e caparbia – andò avanti nel proposito: «In due mesi presi effettivamente le patenti e le andai a sventolare sotto il naso di mio padre. A quel punto mi diede il camion, una motrice DAF due assi, dicendomi: guarda che al primo incidente o alla prima mancata consegna te ne torni a casa!»
Jennifer non tornò a casa. Anzi, durante il suo primo anno di lavoro ricevette così tanti apprezzamenti positivi da clienti soddisfatti per la sua precisione e puntualità che papà si convinse persino a comprarle un nuovo camion. «Andammo insieme in concessionaria a sceglierlo, una motrice a tre assi: un Iveco Stralis da 410 CV. Mi piaceva tantissimo e iniziai a personalizzarlo con lucine e lucette varie. In quel momento mi resi conto che il mestiere di camionista, così come la passione per i camion, mi erano entrati nel sangue».
La famiglia si allarga
Così gli anni sono passati e anche la famiglia di Jennifer è aumentata di numero con l’arrivo di due bambini, Stella e Alexander, che ora hanno rispettivamente 8 e 5 anni. «Sono due tesori. Abbiamo la fortuna di abitare vicino ai miei. Così, quando io e mio marito siamo al lavoro si dividono tra la scuola e i nonni. Oggi anche mio marito lavora nella stessa azienda: Fa il capo operaio e segue tutte le varie lavorazioni. Prima era un imbianchino, ma la ditta per cui lavorava ha conosciuto momenti difficili a causa della mancanza di lavoro successiva al Covid. Così l’ho convinto a entrare in azienda da noi».
Volvo FH: un amore a prima vista
Ma quella familiare non è stata l’unica crescita. Dopo qualche anno di onorato servizio, è arrivato il momento di cambiare il camion: «Fortunatamente il lavoro è aumentato e il tre assi non bastava più. Così abbiamo deciso di prendere un camion più grande: sempre una motrice, ma 4 assi. Avrei voluto uno Scania, però non lo avevano pronto in quella configurazione, avrei dovuto aspettare un anno. Poi dietro consiglio di un cliente, poco più di due anni fa, mi recai a Zingonia dalla Volvo Trucks. Loro da poco avevano in listino il 4 assi.È stato amore a prima vista. Uno splendido FH500 con I-Shift e sospensioni pneumatiche su tutti gli assi. L’ho preso con tutti gli optional possibili. Riguardo la sicurezza, manca solo il sistema di frenata d’emergenza in quanto nella speciale configurazione a 4 assi non è applicabile. In compenso, ho un retarder da paura! Anche a pieno carico in discesa è in grado di rallentare il camion senza stressare i freni in tutta sicurezza».
Una volta arrivato in filiale a Zingonia, il Volvo FH di Jennifer, senza toccare neanche la strada, è stato portato con il carrellone da un carrozziere di Varese per essere personalizzato: «Il colore di origine era già bello, un grigio scuro metallizzato, tuttavia volevo qualcosa di unico. Così studiammo la tonalità con il carrozziere e venne fuori questo grigio canna di fucile molto particolare che, a seconda della luce, cambia tonalità. A volte sembra marrone, altre azzurro. Poi un giovane artista, Lorenzo Dell’Acqua, che aerografa oggetti sin dall’età di 8 anni, è riuscito a capire cosa mi passasse per la testa disegnando sulle fiancate le immagini di Joker e della sua fidanzata, Harley Quinn. Questi personaggi un po’ folli rappresentano me e mio fratello che proprio normali non siamo – spiega ridendo». In più, oltre alle aerografie Jennifer ha montato un kit in acciaio della Acitoinox sul frontale: «Ora è perfetto. All’interno non manca nulla: frigobar, fornetto a micronde, macchina del caffè, televisione. Insomma, una seconda casa».
Assistenza a cinque stelle
Seconda casa che Jennifer si gode solo in viaggio perché la sera torna sempre alla prima: «Non riuscirei mai a stare lontana dai piccoli la notte. Per fortuna i nostri clienti sono quasi tutti in Lombardia. Generalmente percorro circa 400 km al giorno tra Varese, Sondrio, Valsassina, Brianza e Milano».
Una seconda casa in cui inizialmente si è creato qualche grattacapo:«Non riuscivamo a capire perché il quarto asse tendeva a bloccarsi. Poi sempre in Volvo sono riusciti a capire che era un problema di allineamento e, ancora in garanzia, me lo hanno risolto. Da allora non ho avuto più alcun problema. Finora ho percorso circa 100.000 km e fatto due tagliandi. Devo fare i complimenti al personale d’officina di Zingonia, specie a Claudio Selmi dell’accoglienza e al capo officina Dario Notario, per la grande pazienza e professionalità».
Tutta la gamma di espressioni: dal dolce al truce
Quando Jennifer esprime complimenti sorride e sgrana i suoi due grandi occhi marroni. Immagino però che disponga di un campionario di espressioni anche molto diverso con cui gestire situazioni difficili. Perché comunque, in tanti anni di circostanze scomode ne ha vissute. E spesso erano rese tali proprio dal fatto di essere una donna. Come si fa a sopravvivere in questi casi?: «Facile – risponde convinta – basta farsi rispettare. E a questo scopo da tre anni mi sono avvicinata allo Street Fighting, che non è un’arte marziale né uno sport da combattimento, vista l’assenza di regole. Diciamo che l’obiettivo di questo esercizio fisico è quello di uscire incolumi da un’aggressione tramite tre regole fondamentali: cercare di evitare qualsiasi scontro; se necessario colpire e fuggire; usare qualsiasi oggetto ci si trova per le mani come arma».
Difficile resistere alla tentazione di sapere se e come ha attuato questi principi. «Proprio di recente mentre facevo manovra per entrare da un cliente, mi taglia la strada un furgone fregandomi il posto per lo scarico. A bordo c’erano due ragazzotti che iniziano a fare commenti pesanti su di me. Allora, vista la mala parata ho detto al magazziniere che sarei passata più tardi. Senonché dopo poco mi accorgo che i tipi mi seguivano urlando dal finestrino e facendo gestacci molto espliciti. Dopo più in là c’era un semaforo rosso. A quel punto mi decido: afferro uno sfollagente e scendo dal camion…».
E com’è finita? «Beh, fortunatamente, la mia espressione è stata sufficiente a convincerlia lasciar perdere e a farli dileguare».
Un tuffo nel passato… si perchè se ci ripenso sembra ieri, in realtà sono passati… ventinove anni! Correva l’anno 1991 e di manifestazioni dedicate ai camionisti non ce n’erano molte, i raduni erano là da venire, c’erano il Salone di Torino e la manifestazione “Il camionista dell’anno” che si svolgeva facendo varie selezioni in giro per l’Italia e si concludeva con la finale all’autodromo Santa Monica di Misano Adriatico. Quell’anno era sponsorizzata dalla Mercedes Benz.
Nel 1991 ci fu anche la “I Gimkana Femminile” a cui parteciparono diverse donne che facevano le camioniste in quel periodo e il cui numero nel settore dell’autotrasporto cominciava ad aumentare anche in Italia.
Ne ho già scritto tempo fa, avevo promesso di mettere un pò di foto che avevo scattato in quell’occasione, oggi mantengo la promessa: chissà se qualcuna si riconoscerà guardandole e se si ricorderà delle emozioni di quei giorni?
E per concludere qualche ritaglio di giornale con articoli dedicati alla manifestazione:
Alessandra l’ho conosciuta giusto un anno fa al raduno del Coast to Coast a Giussano. Allora mi raccontò che stava finendo di fare le patenti superiori e il CQC per poter finalmente iniziare una nuova vita. Era entusiasta del suo progetto ed io ero contenta di sapere che presto avrei avuto una nuova collega!
Finalmente un incontro on the road!
E’ stata fortunata, all’inizio dell’anno ha trovato una ditta che le ha dato fiducia e ha cominciato la sua avventura da autista. Da allora ci siamo sentite diverse volte ma non c’è mai stata l’occasione di trovarci anche se magari eravamo a pochi km di distanza. A fare il locale spesso i tempi sono tirati e non si può perdere nemmeno un minuto.
Stamattina invece mi ha telefonato dicendomi che l’aveva chiamata un amico comune che ci aveva incrociato tutte e due sulla stessa strada, io ero un paio di km davanti a lei! Cosi appena ho trovato una stazione di servizio col posto per fermarsi l’ho aspettata e abbiamo fatto una breve sosta, giusto il tempo di due fotografie e quattro chiacchiere!
Che bello vederla sorridente davanti al suo MAN (l’ha chiamato “Leo”!) , che bello sapere che almeno a qualcuna è data la possibilità di realizzare il sogno di fare la camionista. L’emancipazione, rispetto a 20/30 anni fa c’è stata, ma non ancora del tutto, tante ragazze si sentono ancora dire che questo non è un lavoro da donne e non vengono nemmeno prese in considerazione quando fanno una domanda d’assunzione.
Comunque Ale, dopo aver lavorato per anni al chiuso tra quattro mura, ora è entusiasta del suo nuovo mestiere, te ne accorgi parlandoci insieme, si sente finalmente realizzata, ogni giorno è una nuova esperienza, una nuova sfida, è l’occasione di conoscere gente diversa, strade nuove, orizzonti nuovi… il suo sorriso dice tutto: sono sicura che non tornerebbe mai a fare la vita di prima!
Ciao Ale, è stato un piacere incontrarti, buona strada sempre!!!!
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