Truckerin Rosi: Mit 76 ist noch lange nicht Schluss im Lkw | Die Nordreportage | NDR Doku
Truckerin Rosi è una signora camionista di 76 anni che ancora viaggia sulle strade tedesche al volante di un autoarticolato!
In Italia questo non è possibile perchè a 68 anni ti tolgono la patente E e puoi guidare solo motrici, ma le regole non sono uguali dappertutto e in Germania lei può continuare a guidare il suo camion, e ad essere felice di farlo! Grande Rosi!
E’ di qualche settimana fa su “Varese Focus” questa intervista alla nostra collega Beatrice in cui racconta come ha cominciato e le difficoltà del suo lavoro.
Due volte candidata al premio Sabo Rosa come “Autista donna dell’anno”, Beatrice Donghi, 30enne di Azzio, racconta come, quasi per caso, si sia avvicinata alla professione di camionista. Una storia che, tra pregi e difetti di un lavoro duro per chiunque, difficoltà comuni con i colleghi maschi (la conciliazione vita-lavoro coinvolge tutti) e trasferte di diversi giorni, scardina ogni pregiudizio di un immaginario collettivo legato ancora alla classificazione degli impieghi in base al sesso
La percentuale di donne che guidano camion in Europa, secondo il “Driver Shortage Report 2023” dell’IRU (International Road Transportation Union), si attesta attorno al 6% e l’Italia si posiziona in media con questo dato. Numeri che ci sorprendono? Forse sì, ma potremmo guardarli in rapporto ad altre professioni. Sempre in Europa, le donne astronaute sono il 12%, rispetto al totale, mentre gli uomini che trovano occupazione nelle scuole dell’infanzia si fermano ad un modestissimo 5%. Basta una manciata di numeri e rapporti per dire che la differenza di genere, all’interno di alcune professioni, rappresenta ancora un tema importante; per non parlare di stereotipi e pregiudizi che facciamo fatica a superare. Eppure, nel Bel Paese tra le donne alla guida di un tir se ne trovano anche di molto giovani, come Beatrice Donghi, classe 1995 di Azzio, che ha scoperto la sua passione quasi per caso dopo la maturità e dal camion, almeno per ora, non è più scesa. In futuro? Si vedrà. Donghi, due volte candidata al premio Sabo Rosa come “Autista donna dell’anno”, ci spiega come si accede alla professione e ne racconta difficolta, pregi e difetti che, inutile dirlo, valgono per una donna quanto per un uomo.
Ci racconti come hai iniziato questo lavoro?
Dopo la maturità sono entrata nell’azienda edile di famiglia per affiancare mia mamma nel lavoro d’ufficio. Un giorno, per caso e necessità, sono dovuta andare in cantiere e lì ho scoperto un mondo nuovo. Mi sono trovata alla guida di un 35 quintali, quei piccoli camion che si possono guidare con la patente B. È stato in quel momento che ho scoperto la mia passione. Non sono una di quelle persone che fin da piccola sognava di far manovra con un camion, anche se con mio fratello giocavo con le macchinine. Per me non si è trattato di coltivare il sogno della vita, ma più di una scoperta fatta da adulta.
Come si è svolta poi la tua formazione e la tua carriera?
Per i primi 6 anni, dopo aver ottenuto la patente C, sono rimasta in azienda con i miei genitori. Poi ho preso anche la patente E, quindi la CQC, ovvero la carta di qualificazione del conducente che consente di svolgere attività di carattere professionale legata all’autotrasporto. Da quel momento in poi sono andata a lavorare in una azienda di autotrasporto.
Cosa diresti alle donne che vorrebbero intraprendere questa professione?
Direi quello che vale anche per gli uomini: si tratta di un lavoro per il quale ci vuole, prima di tutto, tanta passione. Non basta pensare che è una professione in cui si trova facilmente lavoro. La richiesta di autisti di camion oggi è molto alta, poiché c’è poco ricambio generazionale. Per accedere alla professione ci vogliono anni. È richiesta un’età minima per prendere le varie patenti che sposta ad almeno 24 anni la soglia per concludere l’iter. Per non parlare dei costi che implicano un investimento di circa 4/5mila euro. E poi si tratta di un lavoro molto impegnativo e che richiede sacrificio, soprattutto se si fanno trasferte di più giorni e occorre dormire fuori.
Proprio le condizioni di lavoro sono un tema centrale nel rendere questa professione prettamente maschile, almeno nell’immaginario collettivo. Cosa ci dici a riguardo?
Anche in questo caso, devo dire che le maggiori problematiche sono due e toccano tutti, donne e uomini. C’è un tema che riguarda le aree di sosta che sono sottodimensionate e spesso poco attrezzate, ad esempio per quel che concerne la disponibilità di docce e spazi per l’igiene personale. Poi c’è il problema della consegna delle merci nei centri logistici, soprattutto quelli di grandi dimensioni. La questione dei tempi di attesa per lo scarico del camion, che spesso sono molto lunghi, ha un forte impatto sul nostro lavoro in termini di orari e di stress.
Come è oggi la tua vita: cosa dice la tua esperienza in fatto di conciliazione vita-lavoro?
I primi anni della mia carriera lavoravo in un’azienda occupandomi di viaggi anche di 3 giorni, facevo trasferte fino in centro Italia e non al Sud o all’estero. Stare fuori più giorni è impegnativo e quando ho preso casa e sono andata a convivere con il mio compagno, anche lui camionista, ho sentito il desiderio di poter essere a casa mia più spesso. Ho trovato un nuovo impiego che mi permette di avere giornate lavorative più standard. Guido quello che in gergo si chiama un “centinato” e trasporto merce su bancale. Comincio presto la mattina, si parte verso le 4.00, ma il rientro in genere è per le 17.00 o per le 18.00 del pomeriggio. In fatto di conciliazione con i tempi di vita privata è complicato, soprattutto in una piccola azienda, chiedere dei giorni liberi. Difficile chiedere un permesso di qualche ora, proprio perché si è in giro in strada tutto il giorno.
Come vedi il tuo futuro?
In questo periodo sto riflettendo molto: le priorità possono cambiare in poco tempo, ad esempio, se si programma di metter su famiglia. Vedo però buone prospettive per non abbandonare la mia passione e per sfruttare le mie competenze: diventare istruttrice di scuola guida sarebbe un buon compromesso per alcuni anni. Conosco colleghe che, una volta cresciuti i figli, sono tornate alla guida del camion, magari a 50 anni.
“Lastwagen Ladies” è una serie con protagoniste alcune colleghe camioniste svizzere, vi metto qualche link, dovete cliccarci sopra e vi manda su You Tube dove si possono vedere direttamente!
(Sono in tedesco ma si possono mettere i sottotitoli.)
Un servizio da A3news – edizione di Treviso – un’intervista dedicata alla collega Sara, che racconta le sue emozioni nel momento in cui si è trovata di fronte l’auto contromano. Pochi istanti per decidere cosa fare. Una scelta che ha evitato conseguenze che potevano essere drammatiche.
La storia di Sharon, in un’intervista di Luca Regazzi su Uomini e Trasporti, fatta in occasione del 2° WoMAN’s Day organizzato da MAN per la Giornata Internazionale della Donna.
Sharon è figlia d’arte e guida il bilico su tratte nazionali, questo è il link dell’articolo:
La storia di Sharon Villegas: quando il camion diventa una scelta di vita
Sharon Villegas Del Fabro a 26 anni ha raggiunto la sua dimensione nel portare il bilico che guida lungo le strade italiane, «anche se mi piacerebbe trovare più strutture e servizi per noi trasportatori»
Sharon Villegas Del Fabro è una giovane donna di 26 anni, figlia d’arte perché il padre ha fatto il camionista per una vita e lei, fin da bambina, stava sul veicolo del genitore a vederlo guidare. Ma inizialmente non aveva pensato di fare questa professione. Poi il papà è venuto a mancare e, mentre faceva un altro lavoro, Sharon ha conosciuto una trasportatrice con cui fatto amicizia: «Un giorno lei mi ha chiesto perché io non avessi mai provato a guidare un pesante – ci racconta – In quel momento mi è scattata qualcosa in testa e così ho cominciato». Oggi Villegas trasporta acciaio, rifiuti ed altri materiali in tutta Italia con il suo autoarticolato da 16 metri ed è felice.
È stata una buona scelta, quella di Sharon: «Il lavoro con il camion è quello della mia vita – ci spiega – in ogni sfaccettatura, impiego e dimensione. Quando salgo sul mio bilico sono serena e tranquilla, mi piace e mi diverto anche se le giornate sono lunghe». Certo, non sempre è semplice conciliare questa vita con il resto del mondo, ma Sharon dice che è «un problema generale, che hanno anche i trasportatori maschi. Le relazioni con familiari o amici sono indubbiamente sacrificate, ma da quando faccio autotrasporto ho molte più soddisfazioni a livello personale rispetto a prima. Una volta ero più frustrata e triste, ho passato anche momenti di forte stress psicofisico, ma adesso ho raggiunto la mia dimensione ed il mio equilibrio».
«Dobbiamo adattarci alle situazioni – sottolinea – anche solo per fare una doccia o mangiare qualcosa. Il nostro lavoro passa un po’ troppo sottotraccia, viene dato per scontato. Siamo spesso invisibili quando invece avremmo diritto a una maggiore considerazione. In fondo facciamo un mestiere fondamentale per l’economia di base, trasportiamo le materie prime o il prodotto finito per il vantaggio di tutti. Sarebbe bello quindi che ci fossero delle strutture apposite per noi. Quando andiamo in un’area di servizio non vorrei insomma accontentarmi di una doccia aperta a tutti, mi piacerebbe avere un luogo solo per i trasportatori».
Ed ecco spuntare il tema uomini. Senza nascondersi dietro un dito, il trasporto su strada è un ambiente fortemente maschile, con tutti i contrasti che possono verificarsi quando si vede una donna «violare» il loro territorio.
«Conflitti ce ne sono – ammette Sharon – ma nella mia esperienza personale, che non è certo lunghissima, visto che ho iniziato a guidare il camion nel 2022, ho sempre avuto un rapporto positivo con i colleghi autisti. Semmai ho vissuto più problemi con gli addetti degli uffici o i magazzinieri, oppure con i dirigenti e i responsabili». La nostra amica cita un episodio di qualche giorno fa in cui ha bucato una gomma senza accorgersene e un autotrasportatore ha fatto di tutto per informarla del guaio: «Ho sempre trovato molto aiuto – ribadisce – La nostra categoria mi sembra una grande comunità dove è vero che, rispetto magari a tanti anni fa, ognuno si fa un po’ gli affari propri, ma nessuno ti nega mai una mano o si tira indietro. La trovo una cosa bellissima, soprattutto perché sono ancora una novellina e vedo che tutti sono ben disposti verso di me».
Sharon sta guidando oggi un autocarro con dotazione base, anche perché, come dice lei, «sto imparando. Però – confessa – mi piacerebbe avere un veicolo con più telecamere, in particolare sui semirimorchi nella parte posteriore per poter vedere gli angoli ciechi». Una dotazione di sicurezza, precisa l’autotrasportatrice, che permetterebbe di capire la presenza di persone o veicoli ed evitare così incidenti molto pericolosi.
Cosa c’è nel futuro di Sharon? Lei ha le idee ben chiare: «Per i primi anni voglio continuare con il trasporto nazionale – sottolinea – poi più avanti mi piacerebbe passare al giornaliero. Ma sono già contenta adesso di come mi va».
La giornata internazionale della donna è un momento per celebrare l’importanza del ruolo della donna nella società. Per la maggiore si festeggia come un evento di aggregazione e gioia, con omaggi di mimose e serate di divertimento, mentre noi camioniste abbiamo avuto la possibilità di viverla in un modo speciale. Grazie a Man Trucks, che per l’occasione è diventata WoMan, ho avuto la possibilità di partecipare al secondo WoMan Day e devo dire che è stata un’esperienza molto interessante! Eravamo una squadra di ventidue camioniste, tutte provenienti da posti ed esperienze diverse, con tanta voglia di incontrarsi e imparare cose nuove!
La giornata è stata impostata in due fasi, quella teorica della mattina e quella pratica del pomeriggio. La parte in aula riguardava un tema a noi caro, la violenza di genere, i femminicidi con dati sempre più preoccupanti. Abbiamo approfondito i problemi anche con esempi e dibattiti su cosa ci ha colpito e cosa si potrebbe fare, ma arrivare ad eliminare un fenomeno per ottenere una parità di diritti sarà molto difficile e lunga. Tuttavia ci sono avvocati come Stefania Crespi e associazioni come Donnexstrada, tutti contatti disponibili su Instagram, che danno una mano a chi chiede aiuto, affinchè le donne in pericolo e bisognose anche di un appoggio verbale, sappiano che non sono sole e salvarsi si può.
Dopo una pausa pranzo ecco che ci dividiamo in gruppi per poter provare i mezzi in pista; le prove consistevano in guida su percorsi bagnati per capire il pericolo derivante da sbandamento su strada ghiacciata, in guida su camion elettrico per testare le performance e in manovra di retromarcia con bilico per testare gli specchi interni (telecamere) ormai di serie su quasi tutti i camion. I professionisti che ci hanno fatto la formazione ci hanno corrette dando le giuste informazioni su come gestire volante e pedali che a volte l’istinto ti porta in una direzione, ma con i giusti accorgimenti e strumenti si può lavorare in tutta sicurezza. Credo che questi corsi dovrebbero farli tutti, per me è stato un aggiornamento che è servito tantissimo.
cliccando qui potete leggere l’articolo pubblicato su Uomini e trasporti.
Da questa esperienza porto a casa una giornata indimenticabile a livello professionale ma soprattutto umano. Trovarsi con tante colleghe non capita spesso, succede a qualche raduno o evento conviviale, ma di solito ci si organizza con chi si conosce già e si socializza poco. A volte ci si trova anche nei piazzali ma è abbastanza insolito perchè non sempre coincidono posti e orari soprattutto per chi come me fa linea. Grazie a questo evento invece abbiamo avuto la possibilità di allargare la nostra community, rafforzando la nostra rete di amicizie scambiandoci i contatti e perchè no, trovarsi per un caffè on the road! ben vengano iniziative che valorizzano la donna camionista per dare voce e importanza a una minoranza sempre in forte crescita!
Quest’anno il Sabo Rosa, il riconoscimento alla Camionista/ autista dell’anno, offerto dal Gruppo Roberto Nuti in occasione dell’8 di marzo, è stato assegnato alla nostra collega Claudia, che noi conosciamo meglio come “Streghetta” !
Claudia Gina Sasz, autista di camion per un’azienda di Bergamo, si è aggiudicata la sedicesima edizione del Sabo Rosa, il riconoscimento che dal 2010 viene conferito alla “Camionista/Autista dell’Anno” dal nostro Gruppo.
La cerimonia di consegna si è svolta nella sede di Castel Guelfo di Bologna. Il Sabo Rosa 2025 è stato consegnato alla Camionista dell’Anno da Luca Randighieri, direttore generale del Gruppo Roberto Nuti, e da Giada Spanedda, responsabile marketing del Gruppo.
“Ero nel mondo dei trasporti quando ancora dovevo nascere, mio padre era camionista, così come mia sorella e altri della famiglia. – racconta Claudia Gina Sasz -.Tuttavia ho cominciato a guidare il camion tardi, soltanto tre anni fa, quando avevo già superato i quarant’anni. A causa di un incidente ho perso mio marito, che faceva anche lui il camionista, ed è cominciato un periodo molto difficile della mia vita. Ricordo che ogni volta che partiva da casa mi diceva: ‘Se mi succede qualcosa, sappi che io sono felice perché questo è il lavoro che amo’. Dopo la disgrazia ho deciso di salire sul camion per portare avanti la sua passione, che poi è anche la mia. Certe mattine è veramente dura, ma quando giro la chiave nel cruscotto passa tutto”.
A scegliere la “Camionista dell’Anno”, fra le numerose candidature pervenute attraverso il Web, è stata una giuria composta da una rappresentanza del Roberto Nuti Group.
Della storia di Claudia Gina Sasz ci hanno colpito la perseveranza e la capacità di reagire alle avversità della vita. Salire su un camion per rendere omaggio alla persona amata, e inseguire una passione a lungo coltivata, fa onore a una lavoratrice capace e competente che ogni giorno si batte affinché la propria presenza, e quella delle sue colleghe, venga riconosciuta in un mondo che ancora guarda alle donne con diffidenza”.
L’intervista a Claudia Gina Sasz
Attività: autista di camion Residenza: Bariano (BG)
Quando hai capito che quello del trasporto sarebbe stato il tuo lavoro, il tuo mondo?
Ero nel mondo dei trasporti quando ancora dovevo nascere, mio padre era camionista, ma anche mia sorella e altri della famiglia. Mia mamma stava per partorire dentro la cabina del camion, quindi in questo settore ci sono cresciuta. Tuttavia ho cominciato a guidare il camion tardi, soltanto tre anni fa, quando avevo già superato i quarant’anni. Proprio perché sono nata e cresciuta “in mezzo alla nafta”, sapendo i sacrifici che bisogna fare, inizialmente avevo deciso di dedicarmi alla famiglia, mentre mio marito faceva anch’esso il camionista. Purtroppo cinque anni fa è morto in un incidente a Modena, un momento terribile. Ricordo che ogni volta che partiva da casa mi diceva: “Se mi succede qualcosa, sappi che io sono felice perché questo è il lavoro che amo”. Dopo quella disgrazia ho deciso di salire sul camion per portare avanti la sua passione, che poi è anche la mia.
Perché hai deciso di partecipare al Sabo Rosa?
Mi piace il messaggio che portate avanti con questa riconoscimento. Poi mi piace anche l’ammortizzatore rosa, nella mia famiglia c’erano anche meccanici e conosco bene anche gli ammortizzatori. Spero che ci siano sempre più donne in questo lavoro.
Quali sono i lati positivi del tuo lavoro e quelli che vorresti cambiare?
Io amo questo lavoro, anche se le problematiche sono tante: il traffico, la gente, la nebbia e tanto altro. Mi rendo conto che è un mondo difficile, di uomini, mio marito già me ne parlava. Io lotto perché le donne abbiano la parità con gli uomini. Siamo spesso discriminate, io ne ho subite tante ma continuo a lottare e mi fa piacere vedere che siamo tante, siamo sempre di più. Le donne ce la fanno, mi rendono orgogliosa. Ho incontrato una piccola ragazza marocchina, in mezzo al traffico di Milano, fa fatica, ma lotta per emergere.
Certe mattine è veramente dura, ma quando giro la chiave nel cruscotto passa tutto.
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